II
FEDE, DISCERNIMENTO, VOCAZIONE
Attraverso il percorso di questo Sinodo, la Chiesa vuole ribadire il proprio desiderio di incontrare, accompagnare, prendersi cura di ogni giovane, nessuno escluso. Non possiamo né vogliamo abbandonarli alle solitudini e alle esclusioni a cui il mondo li espone. Che la loro vita sia esperienza buona, che non si perdano su strade di violenza o di morte, che la delusione non li imprigioni nell’alienazione: tutto ciò non può non stare a cuore a chi è stato generato alla vita e alla fede e sa di avere ricevuto un dono grande.
È in forza di questo dono che sappiamo che venire al mondo significa incontrare la promessa di una vita buona e che essere accolto e custodito è l’esperienza originaria che inscrive in ciascuno la fiducia di non essere abbandonato alla mancanza di senso e al buio della morte e la speranza di poter esprimere la propria originalità in un percorso verso la pienezza di vita.
La sapienza della Chiesa orientale ci aiuta a scoprire come questa fiducia sia radicata nell’esperienza di “tre nascite”: la nascita naturale come donna o come uomo in un mondo capace di accogliere e sostenere la vita; la nascita del battesimo «quando qualcuno diventa figlio di Dio per grazia»; e poi una terza nascita, quando avviene il passaggio «dal modo di vita corporale a quello spirituale», che apre all’esercizio maturo della libertà (cfr. Discorsi di Filosseno di Mabbug, vescovo siriano del V secolo, n. 9).
Offrire ad altri il dono che noi stessi abbiamo ricevuto significa accompagnarli lungo questo percorso, affiancandoli nell’affrontare le proprie fragilità e le difficoltà della vita, ma soprattutto sostenendo le libertà che si stanno ancora costituendo.
Da tutto questo la Chiesa, a partire dai suoi Pastori, è chiamata a mettersi in discussione e a riscoprire la sua vocazione alla custodia con lo stile che Papa Francesco ha ricordato all’inizio del suo pontificato: «Prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore» (Omelia per l’inizio del ministero petrino, 19 marzo 2013).
In questa prospettiva saranno ora presentati alcuni spunti in vista di un accompagnamento dei giovani a partire dalla fede, in ascolto della tradizione della Chiesa e con il chiaro obiettivo di sostenerli nel loro discernimento vocazionale e nell’assunzione delle scelte fondamentali della vita, a partire dalla consapevolezza del carattere irreversibile di alcune di esse.
1. Fede e vocazione
La fede, in quanto partecipazione al modo di vedere di Gesù (cfr. Lumen fidei, 18), è la fonte del discernimento vocazionale, perché ne offre i contenuti fondamentali, le articolazioni specifiche, lo stile singolare e la pedagogia propria. Accogliere con gioia e disponibilità questo dono della grazia richiede di renderlo fecondo attraverso scelte di vita concrete e coerenti.
«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15,16-17). Se la vocazione alla gioia dell’amore è l’appello fondamentale che Dio pone nel cuore di ogni giovane perché la sua esistenza possa portare frutto, la fede è insieme dono dall’alto e risposta al sentirsi scelti e amati.
La fede «non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità» (Lumen fidei, 53). Questa fede «diventa luce per illuminare tutti i rapporti sociali», contribuendo a «costruire la fraternità universale» tra gli uomini e le donne di ogni tempo (ibid., 54).
La Bibbia presenta numerosi racconti di vocazione e di risposta di giovani. Alla luce della fede, essi prendono gradualmente coscienza del progetto di amore appassionato che Dio ha per ciascuno. È questa l’intenzione di ogni azione di Dio, fin dalla creazione del mondo come luogo «buono», capace di accogliere la vita, e offerto in dono come ordito di relazioni a cui affidarsi.
Credere significa mettersi in ascolto dello Spirito e in dialogo con la Parola che è via, verità e vita (cfr. Gv 14,6) con tutta la propria intelligenza e affettività, imparare a darle fiducia “incarnandola” nella concretezza del quotidiano, nei momenti in cui la croce si fa vicina e in quelli in cui si sperimenta la gioia di fronte ai segni di risurrezione, proprio come ha fatto il “discepolo amato”. È questa la sfida che interpella la comunità cristiana e ogni singolo credente.
Lo spazio di questo dialogo è la coscienza. Come insegna il Concilio Vaticano II, essa «è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità» (Gaudium et spes, 16). La coscienza è dunque uno spazio inviolabile in cui si manifesta l’invito ad accogliere una promessa. Discernere la voce dello Spirito dagli altri richiami e decidere che risposta dare è un compito che spetta a ciascuno: gli altri lo possono accompagnare e confermare, ma mai sostituire.
La vita e la storia ci insegnano che per l’essere umano non è sempre facile riconoscere la forma concreta di quella gioia a cui Dio lo chiama e a cui il suo desiderio tende, tantomeno ora in un contesto di cambiamento e di incertezza diffusa. Altre volte la persona deve fare i conti con lo scoraggiamento o con la forza di altri attaccamenti, che la trattengono nella sua corsa verso la pienezza: è l’esperienza di tanti, ad esempio di quel giovane che aveva troppe ricchezze per essere libero di accogliere la chiamata di Gesù e per questo se ne andò triste anziché pieno di gioia (cfr. Mc 10,17-22). La libertà umana, pur avendo bisogno di essere sempre purificata e liberata, non perde tuttavia mai del tutto la radicale capacità di riconoscere il bene e di compierlo: «Gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi, al di là di qualsiasi condizionamento psicologico e sociale che venga loro imposto» (Laudato si’, 205).
2. Il dono del discernimento
Prendere decisioni e orientare le proprie azioni in situazioni di incertezza e di fronte a spinte interiori contrastanti è l’ambito dell’esercizio del discernimento. Si tratta di un termine classico della tradizione della Chiesa, che si applica a una pluralità di situazioni. Vi è infatti un discernimento dei segni dei tempi, che punta a riconoscere la presenza e l’azione dello Spirito nella storia; un discernimento morale, che distingue ciò che è bene da ciò che è male; un discernimento spirituale, che si propone di riconoscere la tentazione per respingerla e procedere invece sulla via della pienezza di vita. Gli intrecci tra queste diverse accezioni sono evidenti e non si possono mai sciogliere completamente.
Tenendo presente ciò, ci concentriamo qui sul discernimento vocazionale, cioè sul processo con cui la persona arriva a compiere, in dialogo con il Signore e in ascolto della voce dello Spirito, le scelte fondamentali, a partire da quella sullo stato di vita. Se l’interrogativo su come non sprecare le opportunità di realizzazione di sé riguarda tutti gli uomini e le donne, per il credente la domanda si fa ancora più intensa e profonda. Come vivere la buona notizia del Vangelo e rispondere alla chiamata che il Signore rivolge a tutti coloro a cui si fa incontro: attraverso il matrimonio, il ministero ordinato, la vita consacrata? E qual è il campo in cui si possono mettere a frutto i propri talenti: la vita professionale, il volontariato, il servizio agli ultimi, l’impegno in politica?
Lo Spirito parla e agisce attraverso gli avvenimenti della vita di ciascuno, ma gli eventi in se stessi sono muti o ambigui, in quanto se ne possono dare interpretazioni diverse. Illuminarne il significato in ordine a una decisione richiede un percorso di discernimento. I tre verbi con cui esso è descritto in Evangelii gaudium, 51 – riconoscere, interpretare e scegliere – possono aiutarci a delineare un itinerario adatto tanto per i singoli quanto per i gruppi e le comunità, sapendo che nella pratica i confini tra le diverse fasi non sono mai così netti.
Riconoscere
Il riconoscimento riguarda innanzi tutto gli effetti che gli avvenimenti della mia vita, le persone che incontro, le parole che ascolto o che leggo producono sulla mia interiorità: una varietà di «desideri, sentimenti, emozioni» (Amoris laetitia, 143) di segno molto diverso: tristezza, oscurità, pienezza, paura, gioia, pace, senso di vuoto, tenerezza, rabbia, speranza, tiepidezza, ecc. Mi sento attirato o spinto in una pluralità di direzioni, senza che nessuna mi appaia come quella chiaramente da imboccare; è il momento degli alti e dei bassi e in alcuni casi di una e vera e propria lotta interiore. Riconoscere richiede di far affiorare questa ricchezza emotiva e nominare queste passioni senza giudicarle. Richiede anche di cogliere il “gusto” che lasciano, cioè la consonanza o dissonanza fra ciò che sperimento e ciò che c’è di più profondo in me.
In questa fase la Parola di Dio riveste una grande importanza: meditarla mette infatti in moto le passioni come tutte le esperienze di contatto con la propria interiorità, ma al tempo stesso offre una possibilità di farle emergere immedesimandosi nelle vicende che essa narra. La fase del riconoscere mette al centro la capacità di ascolto e l’affettività della persona, senza sottrarsi per paura alla fatica del silenzio. Si tratta di un passaggio fondamentale nel percorso di maturazione personale, in particolare per i giovani che sperimentano con maggiore intensità la forza dei desideri e possono anche rimanerne spaventati, rinunciando magari ai grandi passi a cui pure si sentono spinti.
Interpretare
Non basta riconoscere ciò che si è provato: occorre “interpretarlo”, o, in altre parole, comprendere a che cosa lo Spirito sta chiamando attraverso ciò che suscita in ciascuno. Tante volte ci si ferma a raccontare un’esperienza, sottolineando che “mi ha colpito molto”. Più difficile è cogliere l’origine e il senso dei desideri e delle emozioni provate e valutare se ci stanno orientando in una direzione costruttiva o se invece ci stanno portando a ripiegarci su noi stessi.
Questa fase di interpretazione è molto delicata; richiede pazienza, vigilanza e anche un certo apprendimento. Bisogna essere capaci di rendersi conto degli effetti dei condizionamenti sociali e psicologici. Richiede di mettere in campo anche le proprie facoltà intellettuali, senza tuttavia cadere nel rischio di costruire teorie astratte su ciò che sarebbe bene o bello fare: anche nel discernimento «la realtà è superiore all’idea» (Evangelii gaudium, 231). Nell’interpretare non si può neppure tralasciare di confrontarsi con la realtà e di prendere in considerazione le possibilità che realisticamente si hanno a disposizione.
Per interpretare i desideri e i moti interiori è necessario confrontarsi onestamente, alla luce della Parola di Dio, anche con le esigenze morali della vita cristiana, sempre cercando di calarle nella situazione concreta che si sta vivendo. Questo sforzo spinge chi lo compie a non accontentarsi della logica legalistica del minimo indispensabile, per cercare invece il modo di valorizzare al meglio i propri doni e le proprie possibilità: per questo risulta una proposta attraente e stimolante per i giovani.
Questo lavoro di interpretazione si svolge in un dialogo interiore con il Signore, con l’attivazione di tutte le capacità della persona; l’aiuto di una persona esperta nell’ascolto dello Spirito è pero un sostegno prezioso che la Chiesa offre e di cui è poco accorto non avvalersi.
Scegliere
Una volta riconosciuto e interpretato il mondo dei desideri e delle passioni, l’atto di decidere diventa esercizio di autentica libertà umana e di responsabilità personale, sempre ovviamente situate e quindi limitate. La scelta si sottrae dunque alla forza cieca delle pulsioni, a cui un certo relativismo contemporaneo finisce per assegnare il ruolo di criterio ultimo, imprigionando la persona nella volubilità. Al tempo stesso si libera dalla soggezione a istanze esterne alla persona e dunque eteronome, richiedendo altresì una coerenza di vita.
Per lungo tempo nella storia le decisioni fondamentali della vita non sono state prese dai diretti interessati; in alcune parti del mondo è ancora così, come si è accennato anche nel I capitolo. Promuovere scelte davvero libere e responsabili, spogliandosi da ogni connivenza con retaggi di altri tempi, resta l’obiettivo di ogni seria pastorale vocazionale. Il discernimento ne è lo strumento principe, che permette di salvaguardare lo spazio inviolabile della coscienza, senza pretendere di sostituirsi a essa (cfr. Amoris laetitia, 37).
La decisione richiede di essere messa alla prova dei fatti in vista della sua conferma. La scelta non può restare imprigionata in una interiorità che rischia di rimanere virtuale o velleitaria – si tratta di un pericolo accentuato nella cultura contemporanea –, ma è chiamata a tradursi in azione, a prendere carne, a dare inizio a un percorso, accettando il rischio di confrontarsi con quella realtà che aveva messo in moto desideri ed emozioni. Altri ne nasceranno in questa fase: riconoscerli e interpretarli permetterà di confermare la bontà della decisione presa o consiglierà di rivederla. Per questo è importante “uscire”, anche dalla paura di sbagliare che, come abbiamo visto, può diventare paralizzante.
3. Percorsi di vocazione e missione
Il discernimento vocazionale non si compie in un atto puntuale, anche se nel racconto di ogni vocazione è possibile identificare momenti o incontri decisivi. Come tutte le cose importanti della vita, anche il discernimento vocazionale è un processo lungo, che si snoda nel tempo, durante il quale continuare a vigilare sulle indicazioni con cui il Signore precisa e specifica una vocazione che è squisitamente personale e irripetibile. Il Signore ha chiesto ad Abramo e Sara di partire, ma solo in un cammino progressivo e non senza passi falsi si è chiarito quale fosse l’inizialmente misterioso «paese che io ti indicherò» (Gn 12,1). Maria stessa progredisce nella consapevolezza della propria vocazione attraverso la meditazione sulle parole che ascolta e gli eventi che le accadono, anche quelli che non comprende (cfr. Lc 2,50-51).
Il tempo è fondamentale per verificare l’orientamento effettivo della decisione presa. Come insegna ogni pagina del testo biblico, non vi è vocazione che non sia ordinata a una missione accolta con timore o con entusiasmo.
Accogliere la missione implica la disponibilità di rischiare la propria vita e percorrere la via della croce, sulle orme di Gesù, che con decisione si mise in cammino verso Gerusalemme (cfr. Lc 9,51) per offrire la propria vita per l’umanità. Solo se la persona rinuncia a occupare il centro della scena con i propri bisogni si apre lo spazio per accogliere il progetto di Dio alla vita familiare, al ministero ordinato o alla vita consacrata, come pure per svolgere con rigore la propria professione e ricercare sinceramente il bene comune. In particolare nei luoghi dove la cultura è più profondamente segnata dall’individualismo, occorre verificare quanto le scelte siano dettate dalla ricerca della propria autorealizzazione narcisistica e quanto invece includano la disponibilità a vivere la propria esistenza nella logica del generoso dono di sé. Per questo il contatto con la povertà, la vulnerabilità e il bisogno rivestono grande importanza nei percorsi di discernimento vocazionale. Per quanto riguarda i futuri pastori, è opportuno soprattutto vagliare e promuovere la crescita della disponibilità a lasciarsi impregnare dall’“odore delle pecore”.
4. L’accompagnamento
Alla base del discernimento possiamo rintracciare tre convinzioni, ben radicate nell’esperienza di ogni essere umano riletta alla luce della fede e della tradizione cristiana. La prima è che lo Spirito di Dio agisce nel cuore di ogni uomo e di ogni donna attraverso sentimenti e desideri che si legano a idee, immagini e progetti. Ascoltando con attenzione, l’essere umano ha la possibilità di interpretare questi segnali. La seconda convinzione è che il cuore umano, per via della propria fragilità e del peccato, si presenta normalmente diviso perché attratto da richiami diversi, o persino opposti. La terza convinzione è che comunque il percorso della vita impone di decidere, perché non si può rimanere all’infinito nell’indeterminazione. Occorre però darsi gli strumenti per riconoscere la chiamata del Signore alla gioia dell’amore e scegliere di darvi risposta.
Tra questi strumenti, la tradizione spirituale evidenzia l’importanza dell’accompagnamento personale. Per accompagnare un’altra persona non basta studiare la teoria del discernimento; occorre fare sulla propria pelle l’esperienza di interpretare i movimenti del cuore per riconoscervi l’azione dello Spirito, la cui voce sa parlare alla singolarità di ciascuno. L’accompagnamento personale richiede di affinare continuamente la propria sensibilità alla voce dello Spirito e conduce a scoprire nelle peculiarità personali una risorsa e una ricchezza.
Si tratta di favorire la relazione tra la persona e il Signore, collaborando a rimuovere ciò che la ostacola. Sta qui la differenza tra l’accompagnamento al discernimento e il sostegno psicologico, che pure, se aperto alla trascendenza, si rivela spesso di importanza fondamentale. Lo psicologo sostiene una persona nelle difficoltà e la aiuta a prendere consapevolezza delle sue fragilità e potenzialità; la guida spirituale rinvia la persona al Signore e prepara il terreno all’incontro con Lui (cfr. Gv 3,29-30).
I brani evangelici che narrano l’incontro di Gesù con le persone del suo tempo mettono in luce alcuni elementi che ci aiutano a tracciare il profilo ideale di chi accompagna un giovane nel discernimento vocazionale: lo sguardo amorevole (la vocazione dei primi discepoli, cfr. Gv 1,35-51); la parola autorevole (l’insegnamento nella sinagoga di Cafarnao, cfr. Lc 4,32); la capacità di “farsi prossimo” (la parabola del buon samaritano, cfr. Lc 10, 25-37); la scelta di “camminare accanto” (i discepoli di Emmaus, cfr. Lc 24,13-35); la testimonianza di autenticità, senza paura di andare contro i pregiudizi più diffusi (la lavanda dei piedi nell’ultima cena, cfr. Gv 13,1-20).
Nell’impegno di accompagnamento delle giovani generazioni la Chiesa accoglie la sua chiamata a collaborare alla gioia dei giovani piuttosto che tentare di impadronirsi della loro fede (cfr. 2Cor 1,24). Tale servizio si radica in ultima istanza nella preghiera e nella richiesta del dono dello Spirito che guida e illumina tutti e ciascuno.
III
L’AZIONE PASTORALE
Che cosa significa per la Chiesa accompagnare i giovani ad accogliere la chiamata alla gioia del Vangelo, soprattutto in un tempo segnato dall’incertezza, dalla precarietà, dall’insicurezza?
Lo scopo di questo capitolo è mettere a fuoco che cosa comporta prendere sul serio la sfida della cura pastorale e del discernimento vocazionale, tenendo in considerazione quali sono i soggetti, i luoghi e gli strumenti a disposizione. In questo senso, riconosciamo una inclusione reciproca tra pastorale giovanile e pastorale vocazionale, pur nella consapevolezza delle differenze. Non si tratterà di una panoramica esaustiva, ma di indicazioni da completare sulla base delle esperienze di ciascuna Chiesa locale.
1. Camminare con i giovani
Accompagnare i giovani richiede di uscire dai propri schemi preconfezionati, incontrandoli lì dove sono, adeguandosi ai loro tempi e ai loro ritmi; significa anche prenderli sul serio nella loro fatica a decifrare la realtà in cui vivono e a trasformare un annuncio ricevuto in gesti e parole, nello sforzo quotidiano di costruire la propria storia e nella ricerca più o meno consapevole di un senso per le loro vite.
Ogni domenica i cristiani tengono viva la memoria di Gesù morto e risorto, incontrandolo nella celebrazione dell’Eucaristia. Nella fede della Chiesa molti bambini sono battezzati e proseguono il cammino dell’iniziazione cristiana. Questo, però, non equivale ancora a una scelta matura per una vita di fede. Per arrivarci è necessario un cammino, che passa a volte anche attraverso strade imprevedibili e lontane dai luoghi abituali delle comunità ecclesiali. Per questo, come ha ricordato Papa Francesco, «la pastorale vocazionale è imparare lo stile di Gesù, che passa nei luoghi della vita quotidiana, si ferma senza fretta e, guardando i fratelli con misericordia, li conduce all’incontro con Dio Padre» (Discorso ai partecipanti al Convegno di pastorale vocazionale, 21 ottobre 2016). Camminando con i giovani si edifica l’intera comunità cristiana.
Proprio perché si tratta di interpellare la libertà dei giovani, occorre valorizzare la creatività di ogni comunità per costruire proposte capaci di intercettare l’originalità di ciascuno e assecondarne lo sviluppo. In molti casi si tratterà anche di imparare a dare spazio reale alla novità, senza soffocarla nel tentativo di incasellarla in schemi predefiniti: non può esserci una semina fruttuosa di vocazioni se restiamo semplicemente chiusi nel «comodo criterio pastorale del “si è sempre fatto così”», senza «essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità» (Evangelii gaudium, 33). Tre verbi, che nei Vangeli connotano il modo con cui Gesù incontra le persone del suo tempo, ci aiutano a strutturare questo stile pastorale: uscire, vedere, chiamare.
Uscire
Pastorale vocazionale in questa accezione significa accogliere l’invito di Papa Francesco a uscire, anzitutto da quelle rigidità che rendono meno credibile l’annuncio della gioia del Vangelo, dagli schemi in cui le persone si sentono incasellate e da un modo di essere Chiesa che a volte risulta anacronistico. Uscire è segno anche di libertà interiore da attività e preoccupazioni abituali, così da permettere ai giovani di essere protagonisti. Troveranno la comunità cristiana attraente quanto più la sperimenteranno accogliente verso il contributo concreto e originale che possono portare.
Vedere
Uscire verso il mondo dei giovani richiede la disponibilità a passare del tempo con loro, ad ascoltare le loro storie, le loro gioie e speranze, le loro tristezze e angosce, per condividerle: è questa la strada per inculturare il Vangelo ed evangelizzare ogni cultura, anche quella giovanile. Quando i Vangeli narrano gli incontri di Gesù con gli uomini e le donne del suo tempo, evidenziano proprio la sua capacità di fermarsi insieme a loro e il fascino che percepisce chi ne incrocia lo sguardo. È questo lo sguardo di ogni autentico pastore, capace di vedere nella profondità del cuore senza risultare invadente o minaccioso; è il vero sguardo del discernimento, che non vuole impossessarsi della coscienza altrui né predeterminare il percorso della grazia di Dio a partire dai propri schemi.
Chiamare
Nei racconti evangelici lo sguardo di amore di Gesù si trasforma in una parola, che è una chiamata a una novità da accogliere, esplorare e costruire. Chiamare vuol dire in primo luogo ridestare il desiderio, smuovere le persone da ciò che le tiene bloccate o dalle comodità in cui si adagiano. Chiamare vuol dire porre domande a cui non ci sono risposte preconfezionate. È questo, e non la prescrizione di norme da rispettare, che stimola le persone a mettersi in cammino e incontrare la gioia del Vangelo.
2. Soggetti
Tutti i giovani, nessuno escluso
Per la pastorale i giovani sono soggetti e non oggetti. Spesso nei fatti essi sono trattati dalla società come una presenza inutile o scomoda: la Chiesa non può riprodurre questo atteggiamento, perché tutti i giovani, nessuno escluso, hanno diritto a essere accompagnati nel loro cammino.
Ciascuna comunità è poi chiamata ad avere attenzione soprattutto ai giovani poveri, emarginati ed esclusi e a renderli protagonisti. Essere prossimi dei giovani che vivono in condizioni di maggiore povertà e disagio, violenza e guerra, malattia, disabilità e sofferenza è un dono speciale dello Spirito, in grado di far risplendere lo stile di una Chiesa in uscita. La Chiesa stessa è chiamata ad imparare dai giovani: ne danno una testimonianza luminosa tanti giovani santi che continuano a essere fonte di ispirazione per tutti.
Una comunità responsabile
Tutta la comunità cristiana deve sentirsi responsabile del compito di educare le nuove generazioni e dobbiamo riconoscere che sono molte le figure di cristiani che se lo assumono, a partire da coloro che si impegnano all’interno della vita ecclesiale. Vanno anche apprezzati gli sforzi di chi testimonia la vita buona del Vangelo e la gioia che ne scaturisce nei luoghi della vita quotidiana. Occorre infine valorizzare le opportunità di coinvolgimento dei giovani negli organismi di partecipazione delle comunità diocesane e parrocchiali, a partire dai consigli pastorali, invitandoli a offrire il contributo della loro creatività e accogliendo le loro idee anche quando appaiono provocatorie.
Ovunque nel mondo sono presenti parrocchie, congregazioni religiose, associazioni, movimenti e realtà ecclesiali capaci di progettare e offrire ai giovani esperienze di crescita e di discernimento davvero significative. Talvolta questa dimensione progettuale lascia spazio all’improvvisazione e all’incompetenza: è un rischio da cui difendersi prendendo sempre più sul serio il compito di pensare, concretizzare, coordinare e realizzare la pastorale giovanile in modo corretto, coerente ed efficace. Anche qui si impone la necessità di una preparazione specifica e continua dei formatori.
Le figure di riferimento
Il ruolo di adulti degni di fede, con cui entrare in positiva alleanza, è fondamentale in ogni percorso di maturazione umana e di discernimento vocazionale. Servono credenti autorevoli, con una chiara identità umana, una solida appartenenza ecclesiale, una visibile qualità spirituale, una vigorosa passione educativa e una profonda capacità di discernimento. A volte, invece, adulti impreparati e immaturi tendono ad agire in modo possessivo e manipolatorio, creando dipendenze negative, forti disagi e gravi controtestimonianze, che possono arrivare fino all’abuso.
Perché ci siano figure credibili, occorre formarle e sostenerle, fornendo loro anche maggiori competenze pedagogiche. Questo vale in particolare per coloro a cui è affidato il compito di accompagnatori del discernimento vocazionale in vista del ministero ordinato e della vita consacrata.
Genitori e famiglia: all’interno di ogni comunità cristiana va riconosciuto l’insostituibile ruolo educativo svolto dai genitori e dagli altri familiari. Sono in primo luogo i genitori, all’interno della famiglia, a esprimere ogni giorno la cura di Dio per ogni essere umano nell’amore che li lega tra di loro e ai propri figli. A questo riguardo sono preziose le indicazioni offerte da Papa Francesco in uno specifico capitolo di Amoris laetitia (cfr. 259-290).
Pastori: l’incontro con figure ministeriali, capaci di mettersi autenticamente in gioco con il mondo giovanile dedicandogli tempo e risorse, grazie anche alla testimonianza generosa di donne e uomini consacrati, è decisivo per la crescita delle nuove generazioni. Lo ha ricordato anche Papa Francesco: «Lo chiedo soprattutto ai pastori della Chiesa, ai Vescovi e ai Sacerdoti: voi siete i principali responsabili delle vocazioni cristiane e sacerdotali, e questo compito non si può relegare a un ufficio burocratico. Anche voi avete vissuto un incontro che ha cambiato la vostra vita, quando un altro prete – il parroco, il confessore, il direttore spirituale – vi ha fatto sperimentare la bellezza dell’amore di Dio. E così anche voi: uscendo, ascoltando i giovani – ci vuole pazienza! –, potete aiutarli a discernere i movimenti del loro cuore e a orientare i loro passi» (Discorso ai partecipanti al Convegno di pastorale vocazionale, 21 ottobre 2016).
Insegnanti e altre figure educative: tanti insegnanti cattolici sono impegnati come testimoni nelle università e nelle scuole di ogni ordine e grado; nel mondo del lavoro molti sono presenti con competenza e passione; nella politica tanti credenti cercano di essere lievito per una società più giusta; nel volontariato civile molti si spendono per il bene comune e la cura del creato; nell’animazione del tempo libero e dello sport tanti sono impegnati con slancio e generosità. Tutti costoro danno testimonianza di vocazioni umane e cristiane accolte e vissute con fedeltà e impegno, suscitando in chi li vede il desiderio di fare altrettanto: rispondere con generosità alla propria vocazione è il primo modo di fare pastorale vocazionale.
3. Luoghi
La vita quotidiana e l’impegno sociale
Diventare adulti significa imparare a gestire in autonomia dimensioni della vita che sono al tempo stesso fondamentali e quotidiane: l’utilizzo del tempo e dei soldi, lo stile di vita e di consumo, lo studio e il tempo libero, l’abbigliamento e il cibo, la vita affettiva e la sessualità. Questo apprendimento, con cui i giovani sono inevitabilmente alle prese, è l’occasione per mettere ordine nella propria vita e nelle proprie priorità, sperimentando percorsi di scelta che possono diventare una palestra di discernimento e consolidare il proprio orientamento in vista delle decisioni più importanti: la fede, quanto più è autentica, tanto più interpella la vita quotidiana e se ne lascia interpellare. Una menzione particolare va alle esperienze, spesso difficili o problematiche, della vita lavorativa o a quelle di mancanza di lavoro: anch’esse sono occasione per cogliere o approfondire la propria vocazione.
I poveri gridano e insieme a loro la terra: l’impegno ad ascoltare può essere un’occasione concreta di incontro con il Signore e con la Chiesa e di scoperta della propria vocazione. Come insegna Papa Francesco, le azioni comunitarie con cui ci si prende cura della casa comune e della qualità della vita dei poveri «quando esprimono un amore che si dona, possono trasformarsi in intense esperienze spirituali» (Laudato si’, 232) e quindi anche in occasione di cammini e di discernimento vocazionale.
Gli ambiti specifici della pastorale
La Chiesa offre ai giovani dei luoghi specifici di incontro e di formazione culturale, di educazione e di evangelizzazione, di celebrazione e di servizio, mettendosi in prima linea per un’accoglienza aperta a tutti e a ciascuno. La sfida per questi luoghi e per coloro che li animano è di procedere sempre di più nella logica della costruzione di una rete integrata di proposte, e di assumere nel proprio modo di operare lo stile dell’uscire, vedere, chiamare.
- A livello mondiale spiccano le Giornate Mondiali della Gioventù. Inoltre Conferenze Episcopali e Diocesi sentono sempre più un loro dovere offrire eventi ed esperienze specifiche per i giovani.
- Le Parrocchie offrono spazi, attività, tempi e percorsi per le giovani generazioni. La vita sacramentale offre occasioni fondamentali per crescere nella capacità di accogliere il dono di Dio nella propria esistenza e invita alla partecipazione attiva alla missione ecclesiale. Segno di attenzione al mondo dei giovani sono i centri giovanili e gli oratori.
- Le università e le scuole cattoliche, con il loro prezioso servizio culturale e formativo, sono un altro strumento di presenza della Chiesa tra i giovani.
- Le attività sociali e di volontariato offrono l’opportunità di mettersi in gioco nel servizio generoso; l’incontro con persone che sperimentano povertà ed esclusione può essere un’occasione favorevole di crescita spirituale e di discernimento vocazionale: anche da questo punto di vista i poveri sono maestri, anzi portatori della buona notizia che la fragilità è il luogo in cui si fa esperienza della salvezza.
- Le associazioni e i movimenti ecclesiali, ma pure tanti luoghi di spiritualità, offrono ai giovani seri percorsi di discernimento; le esperienze missionarie divengono momenti di servizio generoso e di scambio fecondo; la riscoperta del pellegrinaggio come forma e stile di cammino appare valida e promettente; in molti contesti l’esperienza della pietà popolare sostiene e nutre la fede dei giovani.
- Un luogo di importanza strategica è rivestito dai seminari e dalle case di formazione, che, anche attraverso un’intensa vita comunitaria, devono permettere ai giovani che accolgono di fare l’esperienza che li renderà a loro volta in grado di accompagnare altri.
Il mondo digitale
Per le ragioni già ricordate, merita una menzione particolare il mondo dei new media, che soprattutto per le giovani generazioni è divenuto davvero un luogo di vita; offre tante opportunità inedite, soprattutto per quanto riguarda l’accesso all’informazione e la costruzione di legami a distanza, ma presenta anche rischi (ad esempio cyberbullismo, gioco d’azzardo, pornografia, insidie delle chat room, manipolazione ideologica, ecc.). Pur con molte differenze tra le diverse regioni, la comunità cristiana sta ancora costruendo la propria presenza in questo nuovo areopago, dove i giovani hanno certamente qualcosa da insegnarle.