Sinodo dei Vescovi Lineamenta 2014 per il Sinodo 2015 sulla Famiglia

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Caterina63
00martedì 9 dicembre 2014 13:49

 



«Sulla famiglia la Chiesa ha tradito Papa Wojtyla»

di Lorenzo Bertocchi06-02-2015


L'arcivescovo di Varsaia Henrryk Hoser

 

Lo scorso 31 gennaio Papa Francesco ha ratificato le nomine dei membri eletti da alcune Conferenze episcopali per il prossimo Sinodo di ottobre. Si tratta di 28 delle 114 Conferenze episcopali del mondo. I partecipanti al prossimo Sinodo ordinario saranno circa 370, oltre agli eletti delle Conferenze episcopali ci saranno membri di nomina papale per circa un 15% del totale. Come sappiamo il direttivo del Sinodo è stato confermato, con l'unica aggiunta del cardinale Napier, vescovo di Durban in Sud Africa.

Osservando le nomine appena ratificate vi sono diverse ragioni per sostenere che anche il prossimo Sinodo sarà caratterizzato da quel clima di “parresia” che ha animato quello straordinario del 2014. A supporto di questa previsione vi sono anche le recenti dichiarazioni di alcuni prelati particolarmente in vista, come ad esempio il cardinale tedesco Marx e il Segretario Generale del Sinodo Baldisseri. Entrambi si sono mostrati particolarmente attivi nel promuovere “scelte pastorali coraggiose” per risolvere i problemi dei divorziati risposati e per l'accoglienza delle coppie omosessuali.

Molte Conferenze episcopali con le loro nomine sembrano, invece, andare in altra direzione. Innanzitutto, la pattuglia africana di membri eletti si mostra, ancora una volta, come la più refrattaria a spericolate corse in avanti. I vescovi del Kenia sono entrambi noti per le loro posizioni in difesa della dottrina della Chiesa e della cultura africana, altrettanto si può dire del vescovo del Ghana e del Burundi. I quattro vescovi eletti dalla Conferenza episcopale americana sono tutti preoccupati di promuovere le posizioni tradizionali della Chiesa, basta citarne i nomi: monsignor Kurtz, Di Nardo, Chaput, Gomez. Proprio il presidente Kurtz ha dichiarato che i vescovi degli Stati Uniti sono molto cauti nel modificare la prassi per i divorziati risposati e sono, invece, preoccupati di promuovere «il vincolo del matrimonio e l'integrità di tale legame».

Curioso che anche la piccola Conferenza episcopale neozelandese, invece, di inviare al Sinodo il cardinale, fresco di nomina, John Dew, ha eletto monsignor Drennan che certamente non è sulle posizioni del neo-cardinale. Quest'ultimo è da tempo che auspica una misericordiosa via di accesso alla comunione per i divorziati risposati. Ma lo hanno messo in panchina. Anche dai Paesi Bassi e dalla Lituania vengono nominati vescovi considerati “conservatori”, mentre più possibiliste per una nuova prassi risultano le posizioni del vescovo di Westminster e di alcuni dei vescovi eletti da Francia e Spagna. Il clima comunque è molto acceso e le decisioni che dovrà prendere Papa Francesco sui temi più controversi del Sinodo non saranno affatto facili e scontate. 

Dalla Polonia arrivano come un uragano le dichiarazioni rilasciate al giornale Niedziela dall'arcivescovo di Varsavia, monsignor Hoser. Si tratta di parole dure e accorate. «Vi dirò brutalmente. La Chiesa ha tradito Giovanni Paolo II. Non la Chiesa come sposa di Cristo, non la Chiesa del nostro Credo, perché Giovanni Paolo II è stato una voce autentica della Chiesa; ma è la pratica pastorale che ha tradito Giovanni Paolo II. È una tesi che sottoscrivo perché 40 anni del mio sacerdozio sono stati dedicati al matrimonio e alla famiglia, durante i quali ho promosso il tema dell'evangelizzazione dell'intimità coniugale. In molti altri Paesi, a causa della contestazione agli insegnamenti della Chiesa, espressi dal Beato Paolo VI, la pastorale famigliare è stata fermata».

Il tradimento di Giovanni Paolo II, secondo monsignor Hoser, si sarebbe, appunto, consumato nellapratica pastorale, proprio quella che molti vorrebbero modificare per stare al passo con i tempi. Anzi, non mancano prelati che ritengono superata la celebre enciclica del santo papa polacco, la Familiaris Consortio, in quanto non darebbe risposte sufficienti per alcune nuove “esigenze” della nostra realtà sociale (divorziati risposati, coppie “irregolari” e dello stesso sesso). Il vescovo di Varsavia ritiene, invece, che le indicazioni di quella “straordinaria” enciclica in realtà sono state disattese e non applicate nella prassi pastorale. Giovanni Paolo II aveva chiesto ai “pastori di condividere” quell'insegnamento, ma i pastori non l'hanno condiviso “perchè non l'hanno letto, o non lo ricordavano.”





SINODO DEI VESCOVI

________________________________________________________

XIV ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA

 La vocazione e la missione della famiglia 
nella Chiesa e nel mondo contemporaneo

LINEAMENTA

 

Città del Vaticano
2014

 

INDICE

 

Prefazione

Relatio Synodi della III Assemblea Generale Straordinaria

Introduzione

I Parte
L’ascolto: il contesto e le sfide sulla famiglia

Il contesto socio-culturale
La rilevanza della vita affettiva
La sfida per la pastorale

II Parte
Lo sguardo su Cristo: il Vangelo della famiglia

Lo sguardo su Gesù e la pedagogia divina nella storia della salvezza 
La famiglia nel disegno salvifico di Dio
La famiglia nei documenti della Chiesa
L’indissolubilità del matrimonio e la gioia del vivere insieme
Verità e bellezza della famiglia e misericordia verso le famiglie ferite e fragili

III Parte
Il confronto: prospettive pastorali

Annunciare il Vangelo della famiglia oggi, nei vari contesti
Guidare i nubendi nel cammino di preparazione al matrimonio
Accompagnare i primi anni della vita matrimoniale
Cura pastorale di coloro che vivono nel matrimonio civile o in convivenze
Curare le famiglie ferite (separati, divorziati non risposati, divorziati risposati, famiglie monoparentali)
L’attenzione pastorale verso le persone con orientamento omosessuale
La trasmissione della vita e la sfida della denatalità
La sfida dell’educazione e il ruolo della famiglia nell’evangelizzazione

Conclusione

Domande per la recezione e l’approfondimento della Relatio Synodi

Domanda previa riferita a tutte le sezioni della Relatio Synodi

Domande sulla I parte
L’ascolto: il contesto e le sfide sulla famiglia

Il contesto socio-culturale (nn. 5-8) 
La rilevanza della vita affettiva (nn. 9-10)
La sfida per la pastorale (n.11)

Domande sulla II parte
Lo sguardo su Cristo: il Vangelo della famiglia

Lo sguardo su Gesù e la pedagogia divina nella storia della salvezza (nn. 12-14) 
La famiglia nel disegno salvifico di Dio (nn. 15-16) 
La famiglia nei documenti della Chiesa (nn. 17-20) 
L’indissolubilità del matrimonio e la gioia del vivere insieme (nn. 21-22) 
Verità e bellezza della famiglia e misericordia verso le famiglie ferite e fragili (nn. 23-28)

Domande sulla III parte
Il confronto: prospettive pastorali

Annunciare il Vangelo della famiglia oggi, nei vari contesti (nn. 29-38) 
Guidare i nubendi nel cammino di preparazione al matrimonio (nn. 39-40) 
Accompagnare i primi anni della vita matrimoniale (n. 40) 
Cura pastorale di coloro che vivono nel matrimonio civile o in convivenze (nn. 41-43) 
Curare le famiglie ferite (separati, divorziati non risposati, divorziati risposati, famiglie monoparentali) (nn. 44-54) 
L’attenzione pastorale verso le persone con tendenza omosessuale (nn. 55-56) 
La trasmissione della vita e la sfida della denatalità (nn. 57-59) 
La sfida dell’educazione e il ruolo della famiglia nell’evangelizzazione (nn. 60-61)

 

  

PREFAZIONE

Al termine della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi su Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione, celebrata nel 2014, Papa Francesco ha deciso di rendere pubblica la Relatio Synodi, documento con il quale si sono conclusi i lavori sinodali. Allo stesso tempo, il Santo Padre ha indicato che questo documento costituirà i Lineamenta per la XIV Assemblea Generale Ordinaria sul tema La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo, che avrà luogo dal 4 al 25 ottobre 2015.

La Relatio Synodi, che viene inviata come Lineamenta, si è conclusa con queste parole: “Le riflessioni proposte, frutto del lavoro sinodale svoltosi in grande libertà e in uno stile di reciproco ascolto, intendono porre questioni e indicare prospettive che dovranno essere maturate e precisate dalla riflessione delle Chiese locali nell’anno che ci separa dall’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi” (Relatio Synodi n. 62).

Ai Lineamenta viene aggiunta una serie di domande per conoscere la recezione del documento e per sollecitare l’approfondimento del lavoro iniziato nel corso dell’Assemblea Straordinaria. Si tratta di “ripensare con rinnovata freschezza ed entusiasmo quanto la rivelazione trasmessa nella fede della Chiesa ci dice sulla bellezza, sul ruolo e sulla dignità della famiglia” (Relatio Synodi, n. 4). In questa prospettiva, siamo chiamati a vivere “un anno per maturare con vero discernimento spirituale, le idee proposte e trovare soluzioni concrete a tante difficoltà e innumerevoli sfide che le famiglie devono affrontare” (Papa Francesco, Discorso conclusivo, 18 ottobre 2014). Il risultato di questa consultazione insieme alla Relatio Synodi costituirà il materiale per l’Instrumetum laboris della XIV Assemblea Generale Ordinaria del 2015.

Le Conferenze Episcopali sono invitati a scegliere le modalità adeguate a questo scopo coinvolgendo tutte le componenti delle chiese particolari ed istituzioni accademiche, organizzazioni, aggregazioni laicali ed altre istanze ecclesiali.

 

RELATIO SYNODI 
della
III Assemblea Generale Straordinaria

(5-19 ottobre 2014)
 

Introduzione

1. Il Sinodo dei Vescovi riunito intorno al Papa rivolge il suo pensiero a tutte le famiglie del mondo con le loro gioie, le loro fatiche, le loro speranze. In particolare sente il dovere di ringraziare il Signore per la generosa fedeltà con cui tante famiglie cristiane rispondono alla loro vocazione e missione. Lo fanno con gioia e con fede anche quando il cammino familiare le pone dinanzi a ostacoli, incomprensioni e sofferenze. A queste famiglie va l’apprezzamento, il ringraziamento e l’incoraggiamento di tutta la Chiesa e di questo Sinodo. Nella veglia di preghiera celebrata in Piazza San Pietro Sabato 4 Ottobre 2014 in preparazione al Sinodo sulla famiglia Papa Francesco ha evocato in maniera semplice e concreta la centralità dell’esperienza familiare nella vita di tutti, esprimendosi così: «Scende ormai la sera sulla nostra assemblea. È l’ora in cui si fa volentieri ritorno a casa per ritrovarsi alla stessa mensa, nello spessore degli affetti, del bene compiuto e ricevuto, degli incontri che scaldano il cuore e lo fanno crescere, vino buono che anticipa nei giorni dell’uomo la festa senza tramonto. È anche l’ora più pesante per chi si ritrova a tu per tu con la propria solitudine, nel crepuscolo amaro di sogni e di progetti infranti: quante persone trascinano le giornate nel vicolo cieco della rassegnazione, dell’abbandono, se non del rancore; in quante case è venuto meno il vino della gioia e, quindi, il sapore – la sapienza stessa – della vita... Degli uni e degli altri questa sera ci facciamo voce con la nostra preghiera, una preghiera per tutti».

2. Grembo di gioie e di prove, di affetti profondi e di relazioni a volte ferite, la famiglia è veramente “scuola di umanità” (cf. Gaudium et Spes, 52), di cui si avverte fortemente il bisogno. Nonostante i tanti segnali di crisi dell’istituto familiare nei vari contesti del “villaggio globale”, il desiderio di famiglia resta vivo, in specie fra i giovani, e motiva la Chiesa, esperta in umanitàe fedele alla sua missione, ad annunciare senza sosta e con convinzione profonda il “Vangelo della famiglia” che le è stato affidato con la rivelazione dell’amore di Dio in Gesù Cristo e ininterrottamente insegnato dai Padri, dai Maestri della spiritualità e dal Magistero della Chiesa. La famiglia assume per la Chiesa un’importanza del tutto particolare e nel momento in cui tutti i credenti sono invitati a uscire da se stessi è necessario che la famiglia si riscopra come soggetto imprescindibile per l’evangelizzazione. Il pensiero va alla testimonianza missionaria di tante famiglie.

3. Sulla realtà della famiglia, decisiva e preziosa, il Vescovo di Roma ha chiamato a riflettere il Sinodo dei Vescovi nella sua Assemblea Generale Straordinaria dell’ottobre 2014, per approfondire poi la riflessione nell’Assemblea Generale Ordinaria che si terrà nell’ottobre 2015, oltre che nell’intero anno che intercorre fra i due eventi sinodali. «Già il convenire in unum attorno al Vescovo di Roma è evento di grazia, nel quale la collegialità episcopale si manifesta in un cammino di discernimento spirituale e pastorale»: così Papa Francesco ha descritto l’esperienza sinodale, indicandone i compiti nel duplice ascolto dei segni di Dio e della storia degli uomini e nella duplice e unica fedeltà che ne consegue.

4. Alla luce dello stesso discorso abbiamo raccolto i risultati delle nostre riflessioni e dei nostri dialoghi nelle seguenti tre parti: l’ascolto, per guardare alla realtà della famiglia oggi, nella complessità delle sue luci e delle sue ombre; lo sguardo fisso sul Cristo per ripensare con rinnovata freschezza ed entusiasmo quanto la rivelazione, trasmessa nella fede della Chiesa, ci dice sulla bellezza, sul ruolo e sulla dignità della famiglia; il confronto alla luce del Signore Gesù per discernere le vie con cui rinnovare la Chiesa e la società nel loro impegno per la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna.

Prima parte

L’ascolto: il contesto e le sfide sulla famiglia

Il contesto socio-culturale

5. Fedeli all’insegnamento di Cristo guardiamo alla realtà della famiglia oggi in tutta la sua complessità, nelle sue luci e nelle sue ombre. Pensiamo ai genitori, ai nonni, ai fratelli e alle sorelle, ai parenti prossimi e lontani, e al legame tra due famiglie che tesse ogni matrimonio. Il cambiamento antropologico-culturale influenza oggi tutti gli aspetti della vita e richiede un approccio analitico e diversificato. Vanno sottolineati prima di tutto gli aspetti positivi: la più grande libertà di espressione e il migliore riconoscimento dei diritti della donna e dei bambini, almeno in alcune regioni. Ma, d’altra parte, bisogna egualmente considerare il crescente pericolo rappresentato da un individualismo esasperato che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente della famiglia come un'isola, facendo prevalere, in certi casi, l'idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri assunti come un assoluto. A ciò si aggiungeanche la crisi della fede che ha toccato tanti cattolici e che spesso è all’origine delle crisi del matrimonio e della famiglia.

6. Una delle più grandi povertà della cultura attuale è la solitudine, frutto dell’assenza di Dio nella vita delle persone e della fragilità delle relazioni. C’è anche una sensazione generale di impotenza nei confronti della realtà socio-economica che spesso finisce per schiacciare le famiglie. Così è per la crescente povertà e precarietà lavorativa che è vissuta talvolta come un vero incubo, o a motivo di una fiscalità troppo pesante che certo non incoraggia i giovani al matrimonio. Spesso le famiglie si sentono abbandonate per il disinteresse e la poca attenzione da parte delle istituzioni. Le conseguenze negative dal punto di vista dell’organizzazione sociale sono evidenti: dalla crisi demografica alle difficoltà educative, dalla fatica nell’accogliere la vita nascente all’avvertire la presenza degli anziani come un peso, fino al diffondersi di un disagio affettivo che arriva talvolta alla violenza. È responsabilità dello Stato creare le condizioni legislative e di lavoro per garantire l’avvenire dei giovani e aiutarli a realizzare il loro progetto di fondare una famiglia.

7. Ci sono contesti culturali e religiosi che pongono sfide particolari. In alcune società vige ancora la pratica della poligamia e in alcuni contesti tradizionali la consuetudine del “matrimonio per tappe”. In altri contesti permane la pratica dei matrimoni combinati. Nei Paesi in cui la presenza della Chiesa cattolica è minoritaria sono numerosi i matrimoni misti e di disparità di culto con tutte le difficoltà che essi comportano riguardo alla configurazione giuridica, al battesimo e all'educazione dei figli e al reciproco rispetto dal punto di vista della diversità della fede. In questi matrimoni può esistere il pericolo del relativismo o dell’indifferenza, ma vi può essere anche la possibilità di favorire lo spirito ecumenico e il dialogo interreligioso in un’armoniosa convivenza di comunità che vivono nello stesso luogo. In molti contesti, e non solo occidentali, si va diffondendo ampiamente la prassi della convivenza che precede il matrimonio o anche di convivenze non orientate ad assumere la forma di un vincolo istituzionale. A questo si aggiunge spesso una legislazione civile che compromette il matrimonio e la famiglia. A causa della secolarizzazione in molte parti del mondo il riferimento a Dio è fortemente diminuito e la fede non è più socialmente condivisa.

8. Molti sono i bambini che nascono fuori dal matrimonio, specie in alcuni Paesi, e molti quelli che poi crescono con uno solo dei genitori o in un contesto familiare allargato o ricostituito. Il numero dei divorzi è crescente e non è raro il caso di scelte determinate unicamente da fattori di ordine economico. I bambini spesso sono oggetto di contesa tra i genitori e i figli sono le vere vittime delle lacerazioni familiari. I padri sono spesso assenti non solo per cause economiche laddove invece si avverte il bisogno che essi assumano più chiaramente la responsabilità per i figli e per la famiglia. La dignità della donna ha ancora bisogno di essere difesa e promossa. Oggi infatti, in molti contesti, l’essere donna è oggetto di discriminazione e anche il dono della maternità viene spesso penalizzato piuttosto che essere presentato come valore. Non vanno neppure dimenticati i crescenti fenomeni di violenza di cui le donne sono vittime, talvolta purtroppo anche all’interno delle famiglie e la grave e diffusa mutilazione genitale della donna in alcune culture. Lo sfruttamento sessuale dell’infanzia costituisce poi una delle realtà più scandalose e perverse della società attuale. Anche le società attraversate dalla violenza a causa della guerra, del terrorismo o della presenza della criminalità organizzata, vedono situazioni familiari deteriorate e soprattutto nelle grandi metropoli e nelle loro periferie cresce il cosiddetto fenomeno dei bambini di strada. Le migrazioni inoltre rappresentano un altro segno dei tempi da affrontare e comprendere con tutto il carico di conseguenze sulla vita familiare.

La rilevanza della vita affettiva

9. A fronte del quadro sociale delineato si riscontra in molte parti del mondo, nei singoli un maggiore bisogno di prendersi cura della propria persona, di conoscersi interiormente, di vivere meglio in sintonia con le proprie emozioni e i propri sentimenti, di cercare relazioni affettive di qualità; tale giusta aspirazione può aprire al desiderio di impegnarsi nel costruire relazioni di donazione e reciprocità creative, responsabilizzanti e solidali come quelle familiari. Il pericolo individualista e il rischio di vivere in chiave egoistica sono rilevanti. La sfida per la Chiesa è di aiutare le coppie nella maturazione della dimensione emozionale e nello sviluppo affettivo attraverso la promozione del dialogo, della virtù e della fiducia nell’amore misericordioso di Dio. Il pieno impegno richiesto nel matrimonio cristiano può essere un forte antidoto alla tentazione di un individualismo egoistico.

10. Nel mondo attuale non mancano tendenze culturali che sembrano imporre una affettività senza limiti di cui si vogliono esplorare tutti i versanti, anche quelli più complessi. Di fatto, la questione della fragilità affettiva è di grande attualità: una affettività narcisistica, instabile e mutevole che non aiuta sempre i soggetti a raggiungere una maggiore maturità. Preoccupa una certa diffusione della pornografia e della commercializzazione del corpo, favorita anche da un uso distorto di internet e va denunciata la situazione di quelle persone che sono obbligate a praticare la prostituzione. In questo contesto, le coppie sono talvolta incerte, esitanti e faticano a trovare i modi per crescere. Molti sono quelli che tendono a restare negli stadi primari della vita emozionale e sessuale. La crisi della coppia destabilizza la famiglia e può arrivare attraverso le separazioni e i divorzi a produrre serie conseguenze sugli adulti, i figli e la società, indebolendo l’individuo e i legami sociali. Anche il calo demografico, dovuto ad una mentalità antinatalista e promosso dalle politiche mondiali di salute riproduttiva, non solo determina una situazione in cui l’avvicendarsi delle generazioni non è più assicurato, ma rischia di condurre nel tempo a un impoverimento economico e a una perdita di speranza nell’avvenire. Lo sviluppo delle biotecnologie ha avuto anch’esso un forte impatto sulla natalità.

La sfida per la pastorale

11. In questo contesto la Chiesa avverte la necessità di dire una parola di verità e di speranza. Occorre muovere dalla convinzione che l’uomo viene da Dio e che, pertanto, una riflessione capace di riproporre le grandi domande sul significato dell’essere uomini, possa trovare un terreno fertile nelle attese più profonde dell’umanità. I grandi valori del matrimonio e della famiglia cristiana corrispondono alla ricerca che attraversa l’esistenza umana anche in un tempo segnato dall’individualismo e dall’edonismo. Occorre accogliere le persone con la loro esistenza concreta, saperne sostenere la ricerca, incoraggiare il desiderio di Dio e la volontà di sentirsi pienamente parte della Chiesa anche inchi ha sperimentato il fallimento o si trova nelle situazioni più disparate. Il messaggio cristiano ha sempre in sé la realtà e la dinamica della misericordia e della verità, che in Cristo convergono.




Caterina63
00martedì 9 dicembre 2014 13:49

II Parte


Lo sguardo su Cristo: il Vangelo della famiglia


Lo sguardo su Gesù e la pedagogia divina nella storia della salvezza


12. Al fine di «verificare il nostro passo sul terreno delle sfide contemporanee, la condizione decisiva è mantenere fisso lo sguardo su Gesù Cristo, sostare nella contemplazione e nell’adorazione del suo volto [...]. Infatti, ogni volta che torniamo alla fonte dell’esperienza cristiana si aprono strade nuove e possibilità impensate» (Papa Francesco,Discorso del 4 ottobre 2014). Gesù ha guardato alle donne e agli uomini che ha incontrato con amore e tenerezza, accompagnando i loro passi con verità, pazienza e misericordia, nell’annunciare le esigenze del Regno di Dio.


13. Dato che l’ordine della creazione è determinato dall’orientamento a Cristo, occorre distinguere senza separare i diversi gradi mediante i quali Dio comunica all’umanità la grazia dell’alleanza. In ragione della pedagogia divina, secondo cui l’ordine della creazione evolve in quello della redenzione attraverso tappe successive, occorre comprendere la novità del sacramento nuziale cristiano in continuità con il matrimonio naturale delle origini. Così qui s’intende il modo di agire salvifico di Dio, sia nella creazione sia nella vita cristiana. Nella creazione: poiché tutto è stato fatto per mezzo di Cristo ed in vista di Lui (cf. Col 1,16), i cristiani sono «lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che vi si trovano nascosti; debbono seguire attentamente la trasformazione profonda che si verifica in mezzo ai popoli» (Ad Gentes, 11). Nella vita cristiana: in quanto con il battesimo il credente è inserito nella Chiesa mediante quella Chiesa domestica che è la sua famiglia, egli intraprende quel «processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio» (Familiaris Consortio, 9), mediante la conversione continua all’amore che salva dal peccato e dona pienezza di vita.


14. Gesù stesso, riferendosi al disegno primigenio sulla coppia umana, riafferma l’unione indissolubile tra l’uomo e la donna, pur dicendo che «per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così» (Mt 19,8). L’indissolubilità del matrimonio (“Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi” Mt 19,6), non è innanzitutto da intendere come “giogo” imposto agli uomini bensì come un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio. In tal modo, Gesù mostra come la condiscendenza divina accompagni sempre il cammino umano, guarisca e trasformi il cuore indurito con la sua grazia, orientandolo verso il suo principio, attraverso la via della croce. Dai Vangeli emerge chiaramente l’esempio di Gesù che è paradigmatico per la Chiesa. Gesù infatti ha assunto una famiglia, ha dato inizio ai segni nella festa nuziale a Cana, ha annunciato il messaggio concernente il significato del matrimonio come pienezza della rivelazione che recupera il progetto originario di Dio (cf. Mt 19,3). Ma nello stesso tempo ha messo in pratica la dottrina insegnata manifestando così il vero significato della misericordia. Ciò appare chiaramente negli incontri con la samaritana (cf. Gv 4,1-30) e con l’adultera (cf. Gv 8,1-11) in cui Gesù, con un atteggiamento di amore verso la persona peccatrice, porta al pentimento e alla conversione (“va’ e non peccare più”), condizione per il perdono.


La famiglia nel disegno salvifico di Dio


15. Le parole di vita eterna che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli comprendevano l’insegnamento sul matrimonio e la famiglia. Tale insegnamento di Gesù ci permette di distinguere in tre tappe fondamentali il progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia. All’inizio, c'è la famiglia delle origini, quando Dio creatore istituì il matrimonio primordiale tra Adamo ed Eva, come solido fondamento della famiglia. Dio non solo ha creato l'essere umano maschio e femmina (cf.Gen 1,27), ma li ha anche benedetti perché fossero fecondi e si moltiplicassero (cf. Gen 1,28). Per questo, «l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gen 2,24). Questa unione è stata danneggiata dal peccato ed è diventata la forma storica di matrimonio nel Popolo di Dio, per il quale Mosè concesse la possibilità di rilasciare un attestato di divorzio (cf. Dt 24, 1ss). Tale forma era prevalente ai tempi di Gesù. Con il Suo avvento e la riconciliazione del mondo caduto grazie alla redenzione da Lui operata, terminò l'era inaugurata con Mosé.


16. Gesù, che ha riconciliato ogni cosa in sé, ha riportato il matrimonio e la famiglia alla loro forma originale (cf. Mc10,1-12). La famiglia e il matrimonio sono stati redenti da Cristo (cf. Ef 5,21-32), restaurati a immagine della Santissima Trinità, mistero da cui scaturisce ogni vero amore. L'alleanza sponsale, inaugurata nella creazione e rivelata nella storia della salvezza, riceve la piena rivelazione del suo significato in Cristo e nella sua Chiesa. Da Cristo attraverso la Chiesa, il matrimonio e la famiglia ricevono la grazia necessaria per testimoniare l'amore di Dio e vivere la vita di comunione. Il Vangelo della famiglia attraversa la storia del mondo sin dalla creazione dell’uomo ad immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1, 26-27) fino al compimento del mistero dell’Alleanza in Cristo alla fine dei secoli con le nozze dell’Agnello (cf. Ap 19,9; Giovanni Paolo II, Catechesi sull'amore umano).


La famiglia nei documenti della Chiesa


17. «Nel corso dei secoli, la Chiesa non ha fatto mancare il suo costante insegnamento sul matrimonio e la famiglia. Una delle espressioni più alte di questo Magistero è stata proposta dal Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes, che dedica un intero capitolo alla promozione della dignità del matrimonio e della famiglia (cf. Gaudium et Spes, 47-52). Esso ha definito il matrimonio come comunità di vita e di amore (cf.Gaudium et Spes, 48), mettendo l’amore al centro della famiglia, mostrando, allo stesso tempo, la verità di questo amore davanti alle diverse forme di riduzionismo presenti nella cultura contemporanea. Il “vero amore tra marito e moglie” (Gaudium et Spes, 49) implica la mutua donazione di sé, include e integra la dimensione sessuale e l’affettività, corrispondendo al disegno divino (cf. Gaudium et Spes, 48-49). Inoltre, Gaudium et Spes 48 sottolinea il radicamento in Cristo degli sposi: Cristo Signore “viene incontro ai coniugi cristiani nel sacramento del matrimonio”, e con loro rimane. Nell’incarnazione, Egli assume l’amore umano, lo purifica, lo porta a pienezza, e dona agli sposi, con il suo Spirito, la capacità di viverlo, pervadendo tutta la loro vita di fede, speranza e carità. In questo modo gli sposi sono come consacrati e, mediante una grazia propria, edificano il Corpo di Cristo e costituiscono una Chiesa domestica (cf. Lumen Gentium, 11), così che la Chiesa, per comprendere pienamente il suo mistero, guarda alla famiglia cristiana, che lo manifesta in modo genuino» (Instrumentum Laboris, 4).


18. «Sulla scia del Concilio Vaticano II, il Magistero pontificio ha approfondito la dottrina sul matrimonio e sulla famiglia. In particolare, Paolo VI, con la Enciclica Humanae Vitae, ha messo in luce l’intimo legame tra amore coniugale e generazione della vita. San Giovanni Paolo II ha dedicato alla famiglia una particolare attenzione attraverso le sue catechesi sull’amore umano, la Lettera alle famiglie (Gratissimam Sane) e soprattutto con l’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio. In tali documenti, il Pontefice ha definito la famiglia “via della Chiesa”; ha offerto una visione d’insieme sulla vocazione all’amore dell’uomo e della donna; ha proposto le linee fondamentali per la pastorale della famiglia e per la presenza della famiglia nella società. In particolare, trattando della carità coniugale (cf. Familiaris Consortio, 13), ha descritto il modo in cui i coniugi, nel loro mutuo amore, ricevono il dono dello Spirito di Cristo e vivono la loro chiamata alla santità» (Instrumentum Laboris, 5).


19. «Benedetto XVI, nell’Enciclica Deus Caritas Est, ha ripreso il tema della verità dell’amore tra uomo e donna, che s’illumina pienamente solo alla luce dell’amore di Cristo crocifisso (cf. Deus Caritas Est, 2). Egli ribadisce come: “Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano” (Deus Caritas Est, 11). Inoltre, nella Enciclica Caritas in Veritate, evidenzia l’importanza dell’amore come principio di vita nella società (cf. Caritas in Veritate, 44), luogo in cui s’impara l’esperienza del bene comune» (Instrumentum Laboris, 6).


20. «Papa Francesco, nell’Enciclica Lumen Fidei affrontando il legame tra la famiglia e la fede, scrive: “L’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare e guidare dal suo amore allarga l’orizzonte dell’esistenza, le dona una speranza solida che non delude. La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. Essa fa scoprire una grande chiamata, la vocazione all’amore, e assicura che quest’amore è affidabile, che vale la pena di consegnarsi ad esso, perché il suo fondamento si trova nella fedeltà di Dio, più forte di ogni nostra fragilità” (Lumen Fidei, 53)» (Instrumentum Laboris, 7).


L’indissolubilità del matrimonio e la gioia del vivere insieme


21. Il dono reciproco costitutivo del matrimonio sacramentale è radicato nella grazia del battesimo che stabilisce l’alleanza fondamentale di ogni persona con Cristo nella Chiesa.Nella reciproca accoglienza e con la grazia di Cristo i nubendi si promettono dono totale, fedeltà e apertura alla vita, essi riconoscono come elementi costitutivi del matrimonio i doni che Dio offre loro, prendendo sul serio il loro vicendevole impegno, in suo nome e di fronte alla Chiesa. Ora, nella fede è possibile assumere i beni del matrimonio come impegni meglio sostenibili mediante l’aiuto della grazia del sacramento. Dio consacra l’amore degli sposi e ne conferma l’indissolubilità, offrendo loro l’aiuto per vivere la fedeltà, l’integrazione reciproca e l’apertura alla vita. Pertanto, lo sguardo della Chiesa si volge agli sposi come al cuore della famiglia intera che volge anch’essa lo sguardo verso Gesù.


22. Nella stessa prospettiva, facendo nostro l’insegnamento dell’Apostolo secondo cui tutta la creazione è stata pensata in Cristo e in vista di lui (cf. Col 1,16), il Concilio Vaticano II ha voluto esprimere apprezzamento per il matrimonio naturale e per gli elementi validi presenti nelle altre religioni (cf. Nostra Aetate, 2) e nelle culture nonostante i limiti e le insufficienze (cf. Redemptoris Missio, 55). La presenza dei semina Verbi nelle culture (cf. Ad Gentes, 11) potrebbe essere applicata, per alcuni versi, anche alla realtà matrimoniale e familiare di tante culture e di persone non cristiane. Ci sono quindi elementi validi anche in alcune forme fuori del matrimonio cristiano –comunque fondato sulla relazione stabile e vera di un uomo e una donna –, che in ogni caso riteniamo siano ad esso orientate. Con lo sguardo rivolto alla saggezza umana dei popoli e delle culture, la Chiesa riconosce anche questa famiglia come la cellula basilare necessaria e feconda della convivenza umana.


Verità e bellezza della famiglia e misericordia verso le famiglie ferite e fragili


23. Con intima gioia e profonda consolazione, la Chiesa guarda alle famiglie che restano fedeli agli insegnamenti del Vangelo, ringraziandole e incoraggiandole per la testimonianza che offrono. Grazie ad esse, infatti, è resa credibile la bellezza del matrimonio indissolubile e fedele per sempre. Nella famiglia,«che si potrebbe chiamare Chiesa domestica» (Lumen Gentium, 11), matura la prima esperienza ecclesiale della comunione tra persone, in cui si riflette, per grazia,  il mistero della Santa Trinità. «È qui che si apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono generoso, sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e l’offerta della propria vita» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1657). La Santa Famiglia di Nazaret ne è il modello mirabile, alla cui scuola noi «comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo» (Paolo VI, Discorso a Nazaret, 5 gennaio 1964). Il Vangelo della famiglia, nutre pure quei semi che ancora attendono di maturare, e deve curare quegli alberi che si sono inariditi e necessitano di non essere trascurati.


24. La Chiesa, in quanto maestra sicura e madre premurosa, pur riconoscendo che per i battezzati non vi è altro vincolo nuziale che quello sacramentale, e che ogni rottura di esso è contro la volontà di Dio, è anche consapevole della fragilità di molti suoi figli che faticano nel cammino della fede. «Pertanto, senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno. […] Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà. A tutti deve giungere la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio, che opera misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue cadute» (Evangelii Gaudium, 44).


25. In ordine ad un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nelle loro vite e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro. Seguendo lo sguardo di Cristo, la cui luce rischiara ogni uomo (cf. Gv 1,9; Gaudium et Spes, 22) la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite dando loro il coraggio per compiere il bene, per prendersi cura con amore l’uno dell’altro ed essere a servizio della comunità nella quale vivono e lavorano.


26. La Chiesa guarda con apprensione alla sfiducia di tanti giovani verso l’impegno coniugale, soffre per la precipitazione con cui tanti fedeli decidono di porre fine al vincolo assunto, instaurandone un altro. Questi fedeli, che fanno parte della Chiesa hanno bisogno di un’attenzione pastorale misericordiosa e incoraggiante, distinguendo adeguatamente le situazioni. I giovani battezzati vanno incoraggiati a non esitare dinanzi alla ricchezza che ai loro progetti di amore procura il sacramento del matrimonio, forti del sostegno che ricevono dalla grazia di Cristo e dalla possibilità di partecipare pienamente alla vita della Chiesa.


27. In tal senso, una dimensione nuova della pastorale familiare odierna consiste nel prestare attenzione alla realtà dei matrimoni civili tra uomo e donna, ai matrimoni tradizionali e, fatte le debite differenze, anche alle convivenze. Quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio. Molto spesso invece la convivenza si stabilisce non in vista di un possibile futuro matrimonio, ma senza alcuna intenzione di stabilire un rapporto istituzionale.


28. Conforme allo sguardo misericordioso di Gesù, la Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una fiaccola portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta. Consapevoli che la misericordia più grande è dire la verità con amore, andiamo aldilà della compassione. L’amore misericordioso, come attrae e unisce, così trasforma ed eleva. Invita alla conversione. Così nello stesso modo intendiamo l’atteggiamento del Signore, che non condanna la donna adultera, ma le chiede di non peccare più (cf. Gv8,1-11).


Caterina63
00martedì 9 dicembre 2014 13:50

III Parte


Il confronto: prospettive pastorali


Annunciare il Vangelo della famiglia oggi, nei vari contesti


29. Il dialogo sinodale si è soffermato su alcune istanze pastorali più urgenti da affidare alla concretizzazione nelle singole Chiese locali, nella comunione “cum Petro et sub Petro”. L’annunzio del Vangelo della famiglia costituisce un’urgenza per la nuova evangelizzazione. La Chiesa è chiamata ad attuarlo con tenerezza di madre e chiarezza di maestra (cf. Ef 4,15), in fedeltà alla kenosi misericordiosa del Cristo. La verità si incarna nella fragilità umana non per condannarla, ma per salvarla (cf. Gv 3,16 -17).


30. Evangelizzare è responsabilità di tutto il popolo di Dio, ognuno secondo il proprio ministero e carisma. Senza la testimonianza gioiosa dei coniugi e delle famiglie, chiese domestiche, l’annunzio, anche se corretto, rischia di essere incompreso o di affogare nel mare di parole che caratterizza la nostra società (cf. Novo Millennio Ineunte, 50). I Padri sinodali hanno più volte sottolineato che le famiglie cattoliche in forza della grazia del sacramento nuziale sono chiamate ad essere esse stesse soggetti attivi della pastorale familiare.


31. Decisivo sarà porre in risalto il primato della grazia, e quindi le possibilità che lo Spirito dona nel sacramento. Si tratta di far sperimentare che il Vangelo della famiglia è gioia che «riempie il cuore e la vita intera», perché in Cristo siamo «liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento» (Evangelii Gaudium, 1). Alla luce della parabola del seminatore (cf. Mt 13, 3-9), il nostro compito è di cooperare nella semina: il resto è opera di Dio. Non bisogna neppure dimenticare che la Chiesa che predica sulla famiglia è segno di contraddizione.


32. Per questo si richiede a tutta la Chiesa una conversione missionaria: è necessario non fermarsi ad un annuncio meramente teorico e sganciato dai problemi reali delle persone. Non va mai dimenticato che la crisi della fede ha comportato una crisi del matrimonio e della famiglia e, come conseguenza, si è interrotta spesso la trasmissione della stessa fede dai genitori ai figli. Dinanzi ad una fede forte l’imposizione di alcune prospettive culturali che indeboliscono la famiglia e il matrimonio non ha incidenza.


33. La conversione è anche quella del linguaggio perché esso risulti effettivamente significativo. L’annunzio deve far sperimentare che il Vangelo della famiglia è risposta alle attese più profonde della persona umana: alla sua dignità e alla realizzazione piena nella reciprocità, nella comunione e nella fecondità. Non si tratta soltanto di presentare una normativa ma di proporre valori, rispondendo al bisogno di essi che si constata oggi anche nei Paesi più secolarizzati.


34. La Parola di Dio è fonte di vita e spiritualità per la famiglia. Tutta la pastorale familiare dovrà lasciarsi modellare interiormente e formare i membri della Chiesa domestica mediante la lettura orante e ecclesiale della Sacra Scrittura. La Parola di Dio non solo è una buona novella per la vita privata delle persone, ma anche un criterio di giudizio e una luce per il discernimento delle diverse sfide con cui si confrontano i coniugi e le famiglie.


35. Allo stesso tempo molti Padri sinodali hanno insistito su un approccio più positivo alle ricchezze delle diverse esperienze religiose, senza tacere sulle difficoltà. In queste diverse realtà religiose e nella grande diversità culturale che caratterizza le Nazioni è opportuno apprezzare prima le possibilità positive e alla luce di esse valutare limiti e carenze.


36. Il matrimonio cristiano è una vocazione che si accoglie con un’adeguata preparazione in un itinerario di fede, con un discernimento maturo, e non va considerato solo come una tradizione culturale o un’esigenza sociale o giuridica. Pertanto occorre realizzare percorsi che accompagnino la persona e la coppia in modo che alla comunicazione dei contenuti della fede si unisca l’esperienza di vita offerta dall’intera comunità ecclesiale.


37. È stata ripetutamente richiamata la necessità di un radicale rinnovamento della prassi pastorale alla luce del Vangelo della famiglia, superando le ottiche individualistiche che ancora la caratterizzano. Per questo si è più volte insistito sul rinnovamento della formazione dei presbiteri, dei diaconi, dei catechisti e degli altri operatori pastorali, mediante un maggiore coinvolgimento delle stesse famiglie.


38. Si è parimenti sottolineata la necessità di una evangelizzazione che denunzi con franchezza i condizionamenti culturali, sociali, politici ed economici, come l’eccessivo spazio dato alla logica del mercato, che impediscono un’autentica vita familiare, determinando discriminazioni, povertà, esclusioni, violenza. Per questo va sviluppato un dialogo e una cooperazione con le strutture sociali, e vanno incoraggiati e sostenuti i laici che si impegnano, come cristiani, in ambito culturale e socio-politico.


Guidare i nubendi nel cammino di preparazione al matrimonio


39. La complessa realtà sociale e le sfide che la famiglia oggi è chiamata ad affrontare richiedono un impegno maggiore di tutta la comunità cristiana per la preparazione dei nubendi al matrimonio. È necessario ricordare l’importanza delle virtù. Tra esse la castità risulta condizione preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale. Riguardo a questa necessità i Padri sinodali sono stati concordi nel sottolineare l’esigenza di un maggiore coinvolgimento dell’intera comunità privilegiando la testimonianza delle stesse famiglie, oltre che di un radicamento della preparazione al matrimonio nel cammino di iniziazione cristiana, sottolineando il nesso del matrimonio con il battesimo e gli altri sacramenti. Si è parimenti evidenziata la necessità di programmi specifici per la preparazione prossima al matrimonio che siano vera esperienza di partecipazione alla vita ecclesiale e approfondiscano i diversi aspetti della vita familiare.


Accompagnare i primi anni della vita matrimoniale


40. I primi anni di matrimonio sono un periodo vitale e delicato durante il quale le coppie crescono nella consapevolezza delle sfide e del significato del matrimonio. Di qui l’esigenza di un accompagnamento pastorale che continui dopo la celebrazione del sacramento (cf. Familiaris Consortio, parte III). Risulta di grande importanza in questa pastorale la presenza di coppie di sposi con esperienza. La parrocchia è considerata come il luogo dove coppie esperte possono essere messe a disposizione di quelle più giovani, con l’eventuale concorso di associazioni, movimenti ecclesiali e nuove comunità. Occorre incoraggiare gli sposi a un atteggiamento fondamentale di accoglienza del grande dono dei figli. Va sottolineata l’importanza della spiritualità familiare, della preghiera e della partecipazione all’Eucaristia domenicale, incoraggiando le coppie a riunirsi regolarmente per promuovere la crescita della vita spirituale e la solidarietà nelle esigenze concrete della vita. Liturgie, pratiche devozionali e Eucaristie celebrate per le famiglie, soprattutto nell’anniversario del matrimonio, sono state menzionate come vitali per favorire l’evangelizzazione attraverso la famiglia.


Cura pastorale di coloro che vivono nel matrimonio civile o in convivenze


41. Mentre continua ad annunciare e promuovere il matrimonio cristiano, il Sinodo incoraggia anche il discernimento pastorale delle situazioni di tanti che non vivono più questa realtà. È importante entrare in dialogo pastorale con tali persone al fine di evidenziare gli elementi della loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua pienezza. I pastori devono identificare elementi che possono favorire l’evangelizzazione e la crescita umana e spirituale. Una sensibilità nuova della pastorale odierna, consiste nel cogliere gli elementi positivi presenti nei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze. Occorre che nella proposta ecclesiale, pur affermando con chiarezza il messaggio cristiano, indichiamo anche elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più ad esso. 


42. È stato anche notato che in molti Paesi un «crescente numero di coppie convivono ad experimentum, senza alcun matrimonio né canonico, né civile» (Instrumentum Laboris, 81). In alcuni Paesi questo avviene specialmente nel matrimonio tradizionale, concertato tra famiglie e spesso celebrato in diverse tappe. In altri Paesi invece è in continua crescita il numero di coloro dopo aver vissuto insieme per lungo tempo chiedono la celebrazione del matrimonio in chiesa. La semplice convivenza è spesso scelta a causa della mentalità generale contraria alle istituzioni e agli impegni definitivi, ma anche per l’attesa di una sicurezza esistenziale (lavoro e salario fisso). In altri Paesi, infine, le unioni di fatto sono molto numerose, non solo per il rigetto dei valori della famiglia e del matrimonio, ma soprattutto per il fatto che sposarsi è percepito come un lusso, per le condizioni sociali, così che la miseria materiale spinge a vivere unioni di fatto.


43. Tutte queste situazioni vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo. Si tratta di accoglierle e accompagnarle con pazienza e delicatezza. A questo scopo è importante la testimonianza attraente di autentiche famiglie cristiane, come soggetti dell’evangelizzazione della famiglia.


Curare le famiglie ferite (separati, divorziati non risposati, divorziati risposati, famiglie monoparentali)


44. Quando gli sposi sperimentano problemi nelle loro relazioni, devono poter contare sull’aiuto e l’accompagnamento della Chiesa. La pastorale della carità e la misericordia tendono al recupero delle persone e delle relazioni. L’esperienza mostra che con un aiuto adeguato e con l’azione di riconciliazione della grazia una grande percentuale di crisi matrimoniali si superano in maniera soddisfacente. Saper perdonare e sentirsi perdonati è un’esperienza fondamentale nella vita familiare. Il perdono tra gli sposi permette di sperimentare un amore che è per sempre e non passa mai (cf. 1 Cor 13,8). A volte risulta difficile, però, per chi ha ricevuto il perdono di Dio avere la forza per offrire un perdono autentico che rigeneri la persona.


45. Nel Sinodo è risuonata chiara la necessità di scelte pastorali coraggiose. Riconfermando con forza la fedeltà al Vangelo della famiglia e riconoscendo che separazione e divorzio sono sempre una ferita che provoca profonde sofferenze ai coniugi che li vivono e ai figli, i Padri sinodali hanno avvertito l’urgenza di cammini pastorali nuovi, che partano dall’effettiva realtà delle fragilità familiari, sapendo che esse, spesso, sono più “subite” con sofferenza che scelte in piena libertà. Si tratta di situazioni diverse per fattori sia personali che culturali e socio-economici. Occorre uno sguardo differenziato come San Giovanni Paolo II suggeriva (cf. Familiaris Consortio, 84).


46. Ogni famiglia va innanzitutto ascoltata con rispetto e amore facendosi compagni di cammino come il Cristo con i discepoli sulla strada di Emmaus. Valgono in maniera particolare per queste situazioni le parole di Papa Francesco: «La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cf. Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana» (Evangelii Gaudium, 169).


47. Un particolare discernimento è indispensabile per accompagnare pastoralmente i separati, i divorziati, gli abbandonati. Va accolta e valorizzata soprattutto la sofferenza di coloro che hanno subito ingiustamente la separazione, il divorzio o  l’abbandono, oppure sono stati costretti dai maltrattamenti del coniuge a rompere la convivenza. Il perdono per l’ingiustizia subita non è facile, ma è un cammino che la grazia rende possibile. Di qui la necessità di una pastorale della riconciliazione e della mediazione attraverso anche centri di ascolto specializzati da stabilire nelle diocesi. Parimenti va sempre sottolineato che è indispensabile farsi carico in maniera leale e costruttiva delle conseguenze della separazione o del divorzio sui figli, in ogni caso vittime innocenti della situazione. Essi non possono essere un “oggetto” da contendersi e vanno cercate le forme migliori perché possano superare il trauma della scissione familiare e crescere in maniera il più possibile serena. In ogni caso la Chiesa dovrà sempre mettere in rilievo l’ingiustizia che deriva molto spesso dalla situazione di divorzio. Speciale attenzione va data all’accompagnamento delle famiglie monoparentali, in maniera particolare vanno aiutate le donne che devono portare da sole la responsabilità della casa e l’educazione dei figli.  


48. Un grande numero dei Padri ha sottolineato la necessità di rendere più accessibili ed agili, possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità. Tra le proposte sono stati indicati: il superamento della necessità della doppia sentenza conforme; la possibilità di determinare una via amministrativa sotto la responsabilità del vescovo diocesano; un processo sommario da avviare nei casi di nullità notoria. Alcuni Padri tuttavia si dicono contrari a queste proposte perché non garantirebbero un giudizio affidabile. Va ribadito che in tutti questi casi si tratta dell’accertamento della verità sulla validità del vincolo. Secondo altre proposte, andrebbe poi considerata la possibilità di dare rilevanza al ruolo della fede dei nubendi in ordine alla validità del sacramento del matrimonio, tenendo fermo che tra battezzati tutti i matrimoni validi sono sacramento.


49. Circa le cause matrimoniali lo snellimento della procedura, richiesto da molti, oltre alla preparazione di sufficienti operatori, chierici e laici con dedizione prioritaria, esige di sottolineare la responsabilità del vescovo diocesano, il quale nella sua diocesi potrebbe incaricare dei consulenti debitamente preparati che possano gratuitamente consigliare le parti sulla validità del loro matrimonio. Tale funzione può essere svolta da un ufficio o persone qualificate (cf. Dignitas Connubii, art. 113, 1).


50. Le persone divorziate ma non risposate, che spesso sono testimoni della fedeltà matrimoniale, vanno incoraggiate a trovare nell’Eucaristia il cibo che le sostenga nel loro stato. La comunità locale e i Pastori devono accompagnare queste persone con sollecitudine, soprattutto quando vi sono figli o è grave la loro situazione di povertà.


51. Anche le situazioni dei divorziati risposati esigono un attento discernimento e un accompagnamento di grande rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati e promovendo la loro partecipazione alla vita della comunità. Prendersi cura di loro non è per la comunità cristiana un indebolimento della sua fede e della sua testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale, anzi essa esprime proprio in questa cura la sua carità.


52. Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del Vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» da diversi «fattori psichici oppure sociali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735).


53. Alcuni Padri hanno sostenuto che le persone divorziate e risposate o conviventi possono ricorrere fruttuosamente alla comunione spirituale. Altri Padri si sono domandati perché allora non possano accedere a quella sacramentale. Viene quindi sollecitato un approfondimento della tematica in grado di far emergere la peculiarità delle due forme e la loro connessione con la teologia del matrimonio.


54. Le problematiche relative ai matrimoni misti sono ritornate sovente negli interventi dei Padri sinodali. La diversità della disciplina matrimoniale delle Chiese ortodosse pone in alcuni contesti problemi sui quali è necessario riflettere in ambito ecumenico. Analogamente per i matrimoni interreligiosi sarà importante il contributo del dialogo con le religioni.


L’attenzione pastorale verso le persone con orientamento omosessuale


55. Alcune famiglie vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con orientamento omosessuale. Al riguardo ci si è interrogati su quale attenzione pastorale sia opportuna di fronte a questa situazione riferendosi a quanto insegna la Chiesa: «Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». Nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali devono essere accolti con rispetto e delicatezza. «A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4).


56. È del tutto inaccettabile che i Pastori della Chiesa subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso.


La trasmissione della vita e la sfida della denatalità


57. Non è difficile constatare il diffondersi di una mentalità che riduce la generazione della vita a una variabile della progettazione individuale o di coppia. I fattori di ordine economico esercitano un peso talvolta determinante contribuendo al forte calo della natalità che indebolisce il tessuto sociale, compromette il rapporto tra le generazioni e rende più incerto lo sguardo sul futuro. L’apertura alla vita è esigenza intrinseca dell'amore coniugale. In questa luce, la Chiesa sostiene le famiglie che accolgono, educano e circondano del loro affetto i figli diversamente abili.


58. Anche in questo ambito occorre partire dall'ascolto delle persone e dar ragione della bellezza e della verità di una apertura incondizionata alla vita come ciò di cui l'amore umano ha bisogno per essere vissuto in pienezza. È su questa base che può poggiare un adeguato insegnamento circa i metodi naturali per la procreazione responsabile. Esso aiuta avivere in maniera armoniosa e consapevole la comunione tra i coniugi, in tutte le sue dimensioni, insieme alla responsabilità generativa. Va riscoperto il messaggio dell’Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, che sottolinea il bisogno di rispettare la dignità della persona nella valutazione morale dei metodi di regolazione della natalità. L’adozione di bambini, orfani e abbandonati, accolti come propri figli, è una forma specifica di apostolato familiare (cf. Apostolicam Actuositatem, 11), più volte richiamata e incoraggiata dal magistero (cf. Familiaris Consortio, 41; Evangelium Vitae, 93). La scelta dell’adozione e dell’affidoesprime una particolare fecondità dell’esperienza coniugale, non solo quando questa è segnata dalla sterilità. Tale scelta è segno eloquente dell’amore familiare, occasione per testimoniare la propria fede e restituire dignità filiale a chi ne è stato privato.


59. Occorre aiutare a vivere l'affettività, anche nel legame coniugale, come un cammino di maturazione, nella sempre più profonda accoglienza dell'altro e in una donazione sempre più piena. Va ribadita in tal senso la necessità di offrire cammini formativi che alimentino la vita coniugale e l'importanza di un laicato che offra un accompagnamento fatto di testimonianza viva. È di grande aiuto l’esempio di un amore fedele e profondo fatto di tenerezza, di rispetto, capace di crescere nel tempo e che nel suo concreto aprirsi alla generazione della vita fa l'esperienza di un mistero che ci trascende.


La sfida dell'educazione e il ruolo della famiglia nell’evangelizzazione


60. Una delle sfide fondamentali di fronte a cui si trovano le famiglie oggi è sicuramente quella educativa, resa più impegnativa e complessa dalla realtà culturale attuale e della grande influenza dei media. Vanno tenute in debito conto le esigenze e le attese di famiglie capaci di essere nella vita quotidiana, luoghi di crescita, di concreta ed essenziale trasmissione delle virtù che danno forma all'esistenza. Ciò indica che i genitori possano scegliere liberalmente il tipo dell’educazione da dare ai figli secondo le loro convinzioni.


61. La Chiesa svolge un ruolo prezioso di sostegno alle famiglie, partendo dall'iniziazione cristiana, attraverso comunità accoglienti. Ad essa è chiesto, oggi ancor più di ieri, nelle situazioni complesse come in quelle ordinarie, di sostenere i genitori nel loro impegno educativo, accompagnando bambini, ragazzi e giovani nella loro crescita attraverso cammini personalizzati capaci di introdurre al senso pieno della vita e di suscitare scelte e responsabilità, vissute alla luce del Vangelo. Maria, nella sua tenerezza, misericordia, sensibilità materna può nutrire la fame di umanità e vita, per cui viene invocata dalle famiglie e dal popolo cristiano. La pastorale e una devozione mariana sono un punto di partenza opportuno per annunciare il Vangelo della famiglia.


Conclusione


62. Le riflessioni proposte, frutto del lavoro sinodale svoltosi in grande libertà e in uno stile di reciproco ascolto, intendono porre questioni e indicare prospettive che dovranno essere maturate e precisate dalla riflessione delle Chiese locali nell’anno che ci separa dall’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi prevista per l’ottobre 2015, dedicata alla vocazione e missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. Non si tratta di decisioni prese né di prospettive facili. Tuttavia il cammino collegiale dei vescovi e il coinvolgimento dell’intero popolo di Dio sotto l’azione dello Spirito Santo, guardando al modello della Santa Famiglia, potranno guidarci a trovare vie di verità e di misericordia per tutti. È l’auspicio che sin dall’inizio dei nostri lavori Papa Francesco ci ha rivolto invitandoci al coraggio della fede e all’accoglienza umile e onesta della verità nella carità.



Caterina63
00martedì 9 dicembre 2014 13:51

Domande per la recezione

l’approfondimento
della
Relatio Synodi

 

Domanda previa riferita a tutte le sezioni della Relatio Synodi

La descrizione della realtà della famiglia presente nella Relatio Synodi corrisponde a quanto si rileva nella Chiesa e nella società di oggi? Quali aspetti mancanti si possono integrare?

Prima parte
L’ascolto: il contesto e le sfide sulla famiglia

Come indicato nell’introduzione (nn. 1-4), il Sinodo straordinario ha inteso rivolgersi a tutte le famiglie del mondo, volendo partecipare delle loro gioie, fatiche e speranze; alle molte famiglie cristiane fedeli alla loro vocazione, il Sinodo ha poi rivolto uno speciale sguardo riconoscente, incoraggiandole a coinvolgersi più decisamente in questa ora della “Chiesa in uscita”, riscoprendosi come soggetto imprescindibile dell’evangelizzazione, soprattutto nell’alimentare per loro stesse e per le famiglie in difficoltà quel “desiderio di famiglia” che resta sempre vivo e che è a fondamento della convinzione di quanto sia necessario “ripartire dalla famiglia” per annunciare con efficacia il nucleo del Vangelo.

Il rinnovato cammino tracciato dal Sinodo straordinario è inserito nel più ampio contesto ecclesiale indicato dall’esortazione Evangelii Gaudium di Papa Francesco, partendo cioè dalle “periferie esistenziali”, con una pastorale contraddistinta dalla “cultura dell’incontro”, capace di riconoscere l’opera libera del Signore anche fuori dai nostri schemi consueti e di assumere, senza impaccio, quella condizione di “ospedale da campo” che tanto giova all’annuncio della misericordia di Dio. A tali sfide rispondono i numeri della prima parte della Relatio Synodi dove sono esposti gli aspetti che formano il quadro di riferimento più concreto sulla situazione reale delle famiglie dentro il quale proseguire la riflessione.

Le domande che si propongono di seguito, con riferimento espresso agli aspetti della prima parte della Relatio Synodi, intendono facilitare il dovuto realismo nella riflessione dei singoli episcopati, evitando che le loro risposte possano essere fornite secondo schemi e prospettive proprie di una pastorale meramente applicativa della dottrina, che non rispetterebbe le conclusioni dell’Assemblea sinodale straordinaria, e allontanerebbe la loro riflessione dal cammino ormai tracciato.

Il contesto socio-culturale (nn. 5-8)

1. Quali sono le iniziative in corso e quelle in programma rispetto alle sfide che pongono alla famiglia le contraddizioni culturali (cf. nn. 6-7): quelle orientate al risveglio della presenza di Dio nella vita delle famiglie; quelle volte a educare e stabilire solide relazioni interpersonali; quelle tese a favorire politiche sociali ed economiche utili alla famiglia; quelle per alleviare le difficoltà annesse all’attenzione dei bambini, anziani e familiari ammalati; quelle per affrontare il contesto culturale più specifico in cui è coinvolta la Chiesa locale?

2. Quali strumenti di analisi si stanno impiegando, e quali i risultati più rilevanti circa gli aspetti (positivi e non) del cambiamento antropologico culturale?(cf. n.5) Tra i risultati si percepisce la possibilità di trovare elementi comuni nel pluralismo culturale?

3. Oltre all’annuncio e alla denuncia, quali sono le modalità scelte per essere presenti come Chiesa accanto alle famiglie nelle situazioni estreme? (cf. n. 8). Quali le strategie educative per prevenirle? Che cosa si può fare per sostenere e rafforzare le famiglie credenti, fedeli al vincolo?

4. Come l’azione pastorale della Chiesa reagisce alla diffusione del relativismo culturale nella società secolarizzata e al conseguente rigetto da parte di molti del modello di famiglia formato dall’uomo e dalla donna uniti nel vincolo matrimoniale e aperto alla procreazione?

La rilevanza della vita affettiva (nn. 9-10)

5. In che modo, con quali attività sono coinvolte le famiglie cristiane nel testimoniare alle nuove generazioni il progresso nella maturazione affettiva? (cf. nn. 9-10). Come si potrebbe aiutare la formazione dei ministri ordinati rispetto a questi temi? Quali figure di agenti di pastorale specificamente qualificati si sentono come più urgenti?

La sfida per la pastorale (n. 11)

6. In quale proporzione, e attraverso quali mezzi, la pastorale familiare ordinaria è rivolta ai lontani? (cf. n. 11). Quali le linee operative predisposte per suscitare e valorizzare il “desiderio di famiglia” seminato dal Creatore nel cuore di ogni persona, e presente specialmente nei giovani, anche di chi è coinvolto in situazioni di famiglie non corrispondenti alla visione cristiana? Quale l’effettivo riscontro tra di essi della missione loro rivolta? Tra i non battezzati quanto è forte la presenza di matrimoni naturali, anche in relazione al desiderio di famiglia dei giovani?

II Parte
Lo sguardo su Cristo: il Vangelo della famiglia

Il Vangelo della famiglia, custodito fedelmente dalla Chiesa nel solco della Rivelazione cristiana scritta e trasmessa, esige di essere annunciato nel mondo odierno con rinnovata gioia e speranza, volgendo costantemente lo sguardo a Gesù Cristo. La vocazione e la missione della famiglia si configurano pienamente nell’ordine della creazione che evolve in quello della redenzione, così sintetizzato dall’auspicio del Concilio: «i coniugi stessi, creati ad immagine del Dio vivente e muniti di un'autentica dignità personale, siano uniti da un uguale mutuo affetto, dallo stesso modo di sentire, da comune santità, così che, seguendo Cristo principio di vita nelle gioie e nei sacrifici della loro vocazione, attraverso il loro amore fedele possano diventare testimoni di quel mistero di amore che il Signore ha rivelato al mondo con la sua morte e la sua risurrezione» (Gaudium et Spes, 52; cf. Catechismo della Chiesa Cattolica 1533-1535).

In questa luce, le domande che scaturiscono dalla Relatio Synodi hanno lo scopo di suscitare risposte fedeli e coraggiose nei Pastori e nel popolo di Dio per un rinnovato annuncio del Vangelo della famiglia.

Lo sguardo su Gesù e la pedagogia divina nella storia della salvezza (nn. 12-14)

Accogliendo l’invito di Papa Francesco, la Chiesa guarda a Cristo nella sua permanente verità ed inesauribile novità, che illumina anche ogni famiglia. «Cristo è il “Vangelo eterno” (Ap 14,6), ed è “lo stesso ieri e oggi e per sempre” (Eb 13,8), ma la sua ricchezza e la sua bellezza sono inesauribili. Egli è sempre giovane e fonte costante di novità» (Evangelii Gaudium, 11).

7. Lo sguardo rivolto a Cristo apre nuove possibilità. «Infatti, ogni volta che torniamo alla fonte dell’esperienza cristiana si aprono strade nuove e possibilità impensate» (n. 12). Come è utilizzato l’insegnamento della Sacra Scrittura nell’azione pastorale verso le famiglie? In quale misura tale sguardo alimenta una pastorale familiare coraggiosa e fedele?

8. Quali valori del matrimonio e della famiglia vedono realizzati nella loro vita i giovani e i coniugi? E in quale forma? Ci sono valori che possono essere messi in luce? (cf. n. 13) Quali le dimensioni di peccato da evitare e superare?

9. Quale pedagogia umana occorre considerare - in sintonia con la pedagogia divina - per comprendere meglio ciò che è richiesto alla pastorale della Chiesa di fronte alla maturazione della vita di coppia, verso il futuro matrimonio? (cf. n. 13).

10. Che cosa fare per mostrare la grandezza e bellezza del dono dell’indissolubilità, in modo da suscitare il desiderio di viverla e di costruirla sempre di più? (cf. n. 14)

11. In che modo si potrebbe aiutare a capire che la relazione con Dio permette di vincere le fragilità che sono inscritte anche nelle relazioni coniugali? (cf. n. 14). Come testimoniare che la benedizione di Dio accompagna ogni vero matrimonio? Come manifestare che la grazia del sacramento sostiene gli sposi in tutto il cammino della loro vita?

La famiglia nel disegno salvifico di Dio (nn. 15-16)

La vocazione creaturale all’amore tra uomo e donna riceve la sua forma compiuta dall’evento pasquale di Cristo Signore, che si dona senza riserve, rendendo la Chiesa suo mistico Corpo. Il matrimonio cristiano, attingendo alla grazia di Cristo, diviene così la via sulla quale, coloro che vi sono chiamati, camminano verso la perfezione dell’amore, che è la santità.

12. Come si potrebbe far comprendere che il matrimonio cristiano corrisponde alla disposizione originaria di Dio e quindi è un'esperienza di pienezza, tutt’altro che di limite? (cf. n. 13)

13. Come concepire la famiglia quale “Chiesa domestica” (cf. LG 11), soggetto e oggetto dell’azione evangelizzatrice al servizio del Regno di Dio?

14. Come promuovere la coscienza dell’impegno missionario della famiglia?

La famiglia nei documenti della Chiesa (nn. 17-20)

Il magistero ecclesiale deve essere meglio conosciuto dal Popolo di Dio in tutta la sua ricchezza. La spiritualità coniugale si nutre dell’insegnamento costante dei Pastori, che si prendono cura del gregge, e matura grazie all’ascolto incessante della Parola di Dio, dei sacramenti della fede e della carità.

15. La famiglia cristiana vive dinanzi allo sguardo amante del Signore e nel rapporto con Lui cresce come vera comunità di vita e di amore. Come sviluppare la spiritualità della famiglia, e come aiutare le famiglie ad essere luogo di vita nuova in Cristo? (cf. n. 21)

16. Come sviluppare e promuovere iniziative di catechesi che facciano conoscere e aiutino a vivere l’insegnamento della Chiesa sulla famiglia, favorendo il superamento della distanza possibile fra ciò che è vissuto e ciò che è professato e promuovendo cammini di conversione?

L’indissolubilità del matrimonio e la gioia del vivere insieme (nn. 21-22)

«L'autentico amore coniugale è assunto nell'amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi in maniera efficace siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento della sublime missione di padre e madre. Per questo motivo i coniugi cristiani sono fortificati e quasi consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato. Ed essi, compiendo con la forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, penetrati dello spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santificazione, ed assieme rendono gloria a Dio» (Gaudium et Spes, 48).

17. Quali sono le iniziative per far comprendere il valore del matrimonio indissolubile e fecondo come cammino di piena realizzazione personale? (cf. n. 21)

18. Come proporre la famiglia come luogo per molti aspetti unico per realizzare la gioia degli esseri umani?

19. Il Concilio Vaticano II ha espresso l'apprezzamento per il matrimonio naturale, rinnovando una antica tradizione ecclesiale. In quale misura le pastorali diocesane sanno valorizzare anche questa sapienza dei popoli, come fondamentale per la cultura e la società comune? (cf. n. 22)

Verità e bellezza della famiglia e misericordia verso le famiglie ferite e fragili (nn. 23-28)

Dopo aver considerato la bellezza dei matrimoni riusciti e delle famiglie solide, e aver apprezzato la testimonianza generosa di coloro che sono rimasti fedeli al vincolo pur essendo stati abbandonati dal coniuge, i pastori riuniti in Sinodo si sono chiesti – in modo aperto e coraggioso, non senza preoccupazione e cautela – quale sguardo deve rivolgere la Chiesa ai cattolici che sono uniti solo con vincolo civile, a coloro che ancora convivono e a coloro che dopo un valido matrimonio si sono divorziati e risposati civilmente.

Consapevoli degli evidenti limiti e delle imperfezioni presenti in così diverse situazioni, i Padri hanno assunto positivamente la prospettiva indicata da Papa Francesco, secondo la quale «senza sminuire il valore dell’idea­le evangelico, bisogna accompagnare con mise­ricordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno» (Evangelii Gaudium, 44).

20. Come aiutare a capire che nessuno è escluso dalla misericordia di Dio e come esprimere questa verità nell’azione pastorale della Chiesa verso le famiglie, in particolare quelle ferite e fragili? (cf. n. 28)

21. Come possono i fedeli mostrare nei confronti delle persone non ancora giunte alla piena comprensione del dono di amore di Cristo, una attitudine di accoglienza e accompagnamento fiducioso, senza mai rinunciare all’annuncio delle esigenze del Vangelo? (cf. n. 24)

22. Che cosa è possibile fare perché nelle varie forme  di unione – in cui si possono riscontrare valori umani – l’uomo e la donna avvertano il rispetto, la fiducia e l’incoraggiamento a crescere nel bene da parte della Chiesa e siano aiutate a giungere alla pienezza del matrimonio cristiano? (cf. n. 25)

III Parte
Il confronto: prospettive pastorali

Nell’approfondire la terza parte della Relatio Synodi, è importante lasciarsi guidare dalla svolta pastorale che il Sinodo Straordinario ha iniziato a delineare, radicandosi nel Vaticano II e nel magistero di Papa Francesco. Alle Conferenze Episcopali compete di continuare ad approfondirla, coinvolgendo, nella maniera più opportuna, tutte le componenti ecclesiali, concretizzandola nel loro specifico contesto. È necessario far di tutto perché non si ricominci da zero, ma si assuma il cammino già fatto nel Sinodo Straordinario come punto di partenza.

Annunciare il Vangelo della famiglia oggi, nei vari contesti (nn. 29-38)

Alla luce del bisogno di famiglia e allo stesso tempo delle molteplici e complesse sfide, presenti nel nostro mondo, il Sinodo ha sottolineato l’importanza di un rinnovato impegno per un annunzio, franco e significativo, del Vangelo della famiglia.

23. Nella formazione dei presbiteri e degli altri operatori pastorali come viene coltivata la dimensione familiare? vengono coinvolte le stesse famiglie?

24. Si è consapevoli che il rapido evolversi della nostra società esige una costante attenzione al linguaggio nella comunicazione pastorale? Come testimoniare efficacemente la priorità della grazia, in maniera che la vita familiare venga progettata e vissuta quale accoglienza dello Spirito Santo?

25. Nell’annunciare il vangelo della famiglia come si possono creare le condizioni perché ogni famiglia sia come Dio la vuole e venga socialmente riconosciuta nella sua dignità e missione? Quale “conversione pastorale” e quali ulteriori approfondimenti vanno attuati in tale direzione?

26. La collaborazione al servizio della famiglia con le istituzioni sociali e politiche è vista in tutta la sua importanza? Come viene di fatto attuata? Quali i criteri a cui ispirarsi? Quale ruolo possono svolgere in tal senso le associazioni familiari? Come tale collaborazione può essere sostenuta anche dalla denunzia franca dei processi culturali, economici e politici che minano la realtà familiare?

27. Come favorire una relazione fra famiglia - società e politica a vantaggio della famiglia? Come promuovere il sostegno della comunità internazionale e degli Stati alla famiglia?

Guidare i nubendi nel cammino di preparazione al matrimonio (nn. 39-40)

Il Sinodo ha riconosciuto i passi compiuti in questi ultimi anni per favorire un’adeguata preparazione dei giovani al matrimonio. Ha sottolineato però anche la necessità di un maggiore impegno di tutta la comunità cristiana non solo nella preparazione ma anche nei primi anni di vita familiare.

28. Come i percorsi di preparazione al matrimonio vanno proposti in maniera da evidenziare la vocazione e missione della famiglia secondo la fede in Cristo? Sono attuati come offerta di un’autentica esperienza ecclesiale? Come rinnovarli e migliorarli?

29. Come la catechesi di iniziazione cristiana presenta l’apertura alla vocazione e missione della famiglia? Quali passi vengono visti come più urgenti? Come proporre il rapporto tra battesimo – eucaristia e matrimonio? In che modo evidenziare il carattere di catecumenato e di mistagogia che i percorsi di preparazione al matrimonio vengono spesso ad assumere? Come coinvolgere la comunità in questa preparazione?

Accompagnare i primi anni della vita matrimoniale (n. 40)

30. Sia nella preparazione che nell’accompagnamento dei primi anni di vita matrimoniale viene adeguatamente valorizzato l’importante contributo di testimonianza e di sostegno che possono dare famiglie, associazioni e movimenti familiari? Quali esperienze positive possono essere riportate in questo campo?

31. La pastorale di accompagnamento delle coppie nei primi anni di vita familiare – è stato osservato nel dibattito sinodale – ha bisogno di ulteriore sviluppo. Quali le iniziative più significative già realizzate? Quali gli aspetti da incrementare a livello parrocchiale, a livello diocesano o nell’ambito di associazioni e movimenti?

Cura pastorale di coloro che vivono nel matrimonio civile o in convivenze (nn. 41-43)

Nel dibattito sinodale è stata richiamata la diversità di situazioni, dovuta a molteplici fattori culturali ed economici, prassi radicate nella tradizione, difficoltà dei giovani per scelte che impegnano per tutta la vita.

32. Quali criteri per un corretto discernimento pastorale delle singole situazioni vanno considerati alla luce dell’insegnamento della Chiesa, per cui gli elementi costitutivi del matrimonio sono unità, indissolubilità e apertura alla procreazione?

33. La comunità cristiana è in grado di essere pastoralmente coinvolta in queste situazioni? Come aiuta a discernere questi elementi positivi e quelli negativi della vita di persone unite in matrimoni civili in maniera da orientarle e sostenerle nel cammino di crescita e di conversione verso il sacramento del matrimonio? Come aiutare chi vive in nelle  convivenze a decidersi per il matrimonio?

34. In maniera particolare, quali risposte dare alle problematiche poste dal permanere delle forme tradizionali di matrimonio a tappe o combinato tra famiglie?

Curare le famiglie ferite (separati, divorziati non risposati, divorziati risposati, famiglie monoparentali) (nn. 44-54)

Nel dibattito sinodale è stata evidenziata la necessità di una pastorale retta dall’arte dell’accompagnamento, dando «al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che al medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana» (Evangelii gaudium, 169).

35. La comunità cristiana è pronta a prendersi cura delle famiglie ferite per far sperimentare loro la misericordia del Padre? Come impegnarsi per rimuovere i fattori sociali ed economici che spesso le determinano? Quali passi compiuti e quali da fare per la crescita di questa azione e della consapevolezza missionaria che la sostiene?

36. Come promuovere l’individuazione di linee pastorali condivise a livello di Chiesa particolari? Come sviluppare al riguardo il dialogo tra le diverse Chiese particolari “cum Petro e sub Petro”?

37. Come rendere più accessibili e agili, possibilmente gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità? (n. 48).

38. La pastorale sacramentale nei riguardi dei divorziati risposati necessita di un ulteriore approfondimento, valutando anche la prassi ortodossa e tenendo presente «la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti» (n. 52). Quali le prospettive in cui muoversi? Quali i passi possibili? Quali suggerimenti per ovviare a forme di impedimenti non dovute o non necessarie?

39. La normativa attuale permette di dare risposte valide alle sfide poste dai matrimoni misti e da quelli interconfessionali? Occorre tenere conto di altri elementi?

L’attenzione pastorale verso le persone con tendenza omosessuale (nn. 55-56)

La cura pastorale delle persone con tendenza omosessuale pone oggi nuove sfide, dovute anche alla maniera in cui vengono socialmente proposti i loro diritti.

40. Come la comunità cristiana rivolge la sua attenzione pastorale alle famiglie che hanno al loro interno persone con tendenza omosessuale? Evitando ogni ingiusta discriminazione, in che modo prendersi cura delle persone in tali situazioni alla luce del Vangelo? Come proporre loro le esigenze della volontà di Dio sulla loro situazione?

La trasmissione della vita e la sfida della denatalità (nn. 57-59)

La trasmissione della vita è elemento fondamentale della vocazione-missione della famiglia: «I coniugi sappiano di essere cooperatori dell’amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla; ciò deve essere considerato come missione loro propria» (Gaudium et spes, 50).

41. Quali i passi più significativi che sono stati fatti per annunziare e promuovere efficacemente la apertura alla vita e la bellezza e la dignità umana del diventare madre o padre, alla luce ad esempio dellaHumanae Vitae del Beato Paolo VI? Come promuovere il dialogo con le scienze e le tecnologie biomediche in maniera che venga rispettata l’ecologia umana del generare?

42. Una maternità/paternità generosa necessita di strutture e strumenti. La comunità cristiana vive un’effettiva solidarietà e sussidiarietà? Come? È coraggiosa nella proposta di soluzioni valide a livello anche socio-politico? Come incoraggiare alla adozione e all’affido quale segno altissimo di generosità feconda? Come promuovere la cura e il rispetto dei fanciulli?

43. Il cristiano vive la maternità/paternità come risposta a una vocazione. Nella catechesi è sufficientemente sottolineata questa vocazione? Quali percorsi formativi vengono proposti perché essa guidi effettivamente le coscienze degli sposi? Si è consapevoli delle gravi conseguenze dei mutamenti demografici?

44. Come la Chiesa combatte la piaga dell’aborto promuovendo un’efficace cultura della vita?

La sfida dell'educazione e il ruolo della famiglia nell’evangelizzazione (nn. 60-61)

45. Svolgere la loro missione educatrice non è sempre agevole per i genitori: trovano solidarietà e sostegno nella comunità cristiana? Quali percorsi formativi vanno suggeriti? Quali passi compiere perché il compito educativo dei genitori venga riconosciuto anche a livello socio-politico?

46. Come promuovere nei genitori e nella famiglia cristiana la coscienza del dovere della trasmissione della fede quale dimensione intrinseca alla stessa identità cristiana.

   


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Caterina63
00martedì 9 dicembre 2014 13:54

  Il Santo Padre a “La Nacion”: cammino sinodale vada avanti senza paura




Papa Francesco intervistato dal quotidiano "La Nacion" si sofferma sul Sinodo sulla famiglia - L'Osservatore Romano





07/12/2014 



Dal Sinodo sulla famiglia alla riforma della Curia, dallo Ior alla sua vita a Casa Santa Marta, Papa Francesco ha rilasciato un’intervista a tutto campo al quotidiano argentino “La Nacion”. Parlando con la giornalista Elisabetta Piqué, il Pontefice ha sottolineato che il processo sinodale deve andare avanti “senza paura” nell’ascolto dello Spirito Santo. Il servizio diAlessandro Gisotti:


Il Sinodo non è un parlamento, ma uno spazio “aperto, protetto dallo Spirito Santo”. Francesco risponde ampiamente nell’intervista a “La Nacion” sull’ultimo Sinodo sulla famiglia e osserva che è “semplificatorio” dire che i padri sinodali si sono divisi in due settori uno contro l’altro. E ribadisce l’importanza di “parlare chiaro e ascoltare con umiltà”.
La famiglia, prosegue, è oggi in grande difficoltà e rileva che per molte persone “sposarsi è diventato un fatto sociale” e questo implica anche il chiedersi, come aveva fatto Benedetto XVI, quanti matrimoni siano realmente compiuti nella fede e con quale fede, quale consapevolezza abbia avuto una persona quando si è sposata, il che naturalmente è rilevante per la validità o nullità del matrimonio.

A proposito delle preoccupazioni in alcuni ambienti riguardo alle posizioni emerse al Sinodo sulle unioni omosessuali, il Pontefice ha precisato che “nessuno ha parlato di matrimonio omosessuale al Sinodo”. Quello di cui si è parlato, ha proseguito, è “una famiglia che ha un figlio o una figlia omosessuale” e quindi come aiutare “questa famiglia in questa situazione un po’ inedita”. Insomma, si è “parlato della famiglia e delle persone omosessuali in relazione con i propri familiari, poiché è una realtà che si incontra nei confessionali”. A proposito delle obiezioni sulla “Relazione dopo il dibattito”, il Papa fa notare che era una “prima bozza”, “un documento relativo”. E sui timori di alcuni ambienti, ha sottolineato che non si può leggere una notizia, un articolo e non leggere invece “ciò che ha deciso il Sinodo”. Cos’è ciò che “conta nel Sinodo?”, si è chiesto: “la relazione post Sinodale, il messaggio finale e il discorso del Papa”. Al tempo stesso, ha detto, “non bisogna aver paura” di andare avanti guidati dallo Spirito Santo.

Nel discorso finale, ha soggiunto, “ho detto che non si è toccato nessun punto della dottrina della Chiesa sul matrimonio”. Nel caso dei divorziati che si risposano, ha detto ancora, si presentano molte domande pastorali. Ed ha affermato che “non è una soluzione se diamo loro la Comunione. Questo soltanto non è la soluzione: la soluzione è l’integrazione”. “E’ vero che non sono scomunicati”, ha constatato, “però non possono essere padrini di Battesimo, non possono leggere a Messa, non possono dare la Comunione, non possono insegnare catechismo”, perciò “sembra che siano scomunicati di fatto”. Per questo, ha esortato, “bisogna aprire un po’ di più le porte”.

Il Papa ha rilevato che per alcuni queste persone non danno una buona “testimonianza” e però si consente magari a un “politico corrotto” di fare da padrino, lo si accetta “perché è sposato in Chiesa”. Allora, ha detto, “bisogna cambiare un po’ le cose, le norme di valore”. E a chi ha parlato di confusione, risponde: “continuamente pronuncio discorsi, omelie e questo è il Magistero”. Questo, ha rimarcato, “è quello che io penso, non quello che i giornali dicono che io pensi”, “Evangelii Gaudium è molto chiara”.

Francesco non ha mancato di rispondere anche sulla riforma della Curia, affermando che “è un processo lento” e non pensa che sarà concluso nel 2015. Ed ha spiegato che una delle proposte in discussione è l’accorpamento dei dicasteri dei Laici e della Famiglia, e “Giustizia e Pace”. Del resto, il Papa ribadisce che la riforma che ha più a cuore è quella “spirituale, la riforma del cuore” e spiega che, per Natale, sta preparando un discorso ai membri della Curia e uno per i dipendenti del Vaticano con le famiglie, che incontrerà in Aula Paolo VI. Il Pontefice ha detto di “non essere preoccupato” per le “divergenze” emerse nella riforma della Curia Romana e ha ricordato che questo processo è stato deciso dai cardinali nelle Congregazioni Generali che hanno preceduto il Conclave. Lo Ior, ha poi aggiunto, “sta funzionando benissimo” e anche la riforma economica “sta procedendo bene”.

Francesco ha quindi parlato del suo “essere Papa”, confidando che quando è stato eletto al Conclave si è detto: “Jorge non cambiare, continua a essere te stesso perché cambiare alla tua età è ridicolo”. Sulla salute, ha affermato, “ho degli acciacchi che alla mia età si sentono, però sono nelle mani di Dio e finora posso tenere un ritmo di lavoro più o meno buono”.E scherzando ha soggiunto che Dio gli ha donato “una sana dote di incoscienza”. Sui prossimi viaggi apostolici, ha detto che andrà “forse in Argentina nel 2016”, mentre nel 2015 c’è in programma una visita a tre Paesi dell’America Latina e in Africa.

Proprio sulla sua terra natale, il Papa ha sottolineato che “in vista delle prossime elezioni, non riceverà politici argentini” per “non interferire”. Ha però affermato che, in questo momento, “la rottura del sistema democratico, della Costituzione” sarebbe “un errore” per l’Argentina.

Infine, sull’avvicendamento del Comandante della Guardia Svizzera, decisione su cui non sono mancate interpretazioni del tutto ingiustificate, il Papa ha voluto riaffermare la sua grande stima per il Comandante, definendolo “persona eccellente, buon cattolico, con una famiglia eccellente”, e di desiderare semplicemente un sano e normale rinnovamento. Il mandato del Comandante era terminato da tempo e ora era in corso una proroga “donec aliter provideatur” (“finché non si disponga altrimenti”), e il Papa lo aveva da tempo informato personalmente che la proroga sarebbe terminata con l’anno in corso.




 Ecco una vera NOVITA' di Bergoglio-Papa
e sì.... il Bergoglio di una volta NON avrebbe mai avanzato una cosa simile   ma è evidente che deve aver compreso che era giunto il momento di chiarire e se il Papa Francesco ha capito e finalmente arriva a dedicare delle Catechesi del mercoledì sul Sinodo... bè io lo trovo lungimirante, un atto di UMILTA' VERA perchè il Papa non era tenuto a dare spiegazioni a meno che.... i lavori stessi e i Media non avessero esagerato ESASPERANDO L'INCOMPRENSIONE dei fatti ma, soprattutto l'incomprensione sul dove si vuole arrivare  
Il Papa deve aver letto, o è stato messo al corrente, che l'espressione "LA CONFUSIONE AUMENTA ANCHE TRA I VESCOVI" (leggasi Magister ma anche la nuova Bussola) è più che fondata.....
Ottima scelta la trasparenza del Papa ....   


UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 10 dicembre 2014

 

L’Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia

Cari fratelli e sorelle, buongiorno.

abbiamo concluso un ciclo di catechesi sulla Chiesa (cliccare qui). Ringraziamo il Signore che ci ha fatto fare questo cammino riscoprendo la bellezza e la responsabilità di appartenere alla Chiesa, di essere Chiesa, tutti noi.

Adesso iniziamo una nuova tappa, un nuovo ciclo, e il tema sarà la famiglia (cliccare qui); un tema che si inserisce in questo tempo intermedio tra due Assemblee del Sinodo dedicate a questa realtà così importante. Perciò, prima di entrare nel percorso sui diversi aspetti della vita familiare, oggi desidero ripartire proprio dall’Assemblea sinodale dello scorso mese di ottobre, che aveva questo tema: “Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto della nuova evangelizzazione”. E’ importante ricordare come si è svolta e che cosa ha prodotto, come è andata e che cosa ha prodotto.

Durante il Sinodo i media hanno fatto il loro lavoro – c’era molta attesa, molta attenzione – e li ringraziamo perché lo hanno fatto anche con abbondanza. Tante notizie, tante! Questo è stato possibile grazie alla Sala Stampa, che ogni giorno ha fatto un briefing. Ma spesso la visione dei media era un po’ nello stile delle cronache sportive, o politiche: si parlava spesso di due squadre, pro e contro, conservatori e progressisti, eccetera. Oggi vorrei raccontare quello che è stato il Sinodo.

Anzitutto io ho chiesto ai Padri sinodali di parlare con franchezza e coraggio e di ascoltare con umiltà, dire con coraggio tutto quello che avevano nel cuore. Nel Sinodo non c’è stata censura previa, ma ognuno poteva - di più doveva - dire quello che aveva nel cuore, quello che pensava sinceramente. “Ma, questo farà discussione”. E’ vero, abbiamo sentito come hanno discusso gli Apostoli. Dice il testo: è uscita una forte discussione. Gli Apostoli si sgridavano fra loro, perché cercavano la volontà di Dio sui pagani, se potevano entrare in Chiesa o no. Era una cosa nuova. Sempre, quando si cerca la volontà di Dio, in un’assemblea sinodale, ci sono diversi punti di vista e c’è la discussione e questo non è una cosa brutta! Sempre che si faccia con umiltà e con animo di servizio all’assemblea dei fratelli. 
Sarebbe stata una cosa cattiva la censura previa. No, no, ognuno doveva dire quello che pensava. 

Dopo la Relazione iniziale del Card. Erdö, c’è stato un primo momento, fondamentale, nel quale tutti i Padri hanno potuto parlare, e tutti hanno ascoltato. Ed era edificante quell’atteggiamento di ascolto che avevano i Padri. Un momento di grande libertà, in cui ciascuno ha esposto il suo pensiero con parresia e con fiducia. Alla base degli interventi c’era lo “Strumento di lavoro”, frutto della precedente consultazione di tutta la Chiesa. E qui dobbiamo ringraziare la Segreteria del Sinodo per il grande lavoro che ha fatto sia prima che durante l’Assemblea. Davvero sono stati bravissimi.

Nessun intervento ha messo in discussione le verità fondamentali del Sacramento del Matrimonio, cioè: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e l’apertura alla vita (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48; Codice di Diritto Canonico, 1055-1056). Questo non è stato toccato. 

Tutti gli interventi sono stati raccolti e così si è giunti al secondo momento, cioè una bozza che si chiama Relazione dopo la discussione. Anche questa Relazione è stata svolta dal Cardinale Erdö, articolata in tre punti: l’ascolto del contesto e delle sfide della famiglia; lo sguardo fisso su Cristo e il Vangelo della famiglia; il confronto con le prospettive pastorali.

Su questa prima proposta di sintesi si è svolta la discussione nei gruppi, che è stato il terzo momento. I gruppi, come sempre, erano divisi per lingue, perché è meglio così, si comunica meglio: italiano, inglese, spagnolo e francese. Ogni gruppo alla fine del suo lavoro ha presentato una relazione, e tutte le relazioni dei gruppi sono state subito pubblicate. Tutto è stato dato, per la trasparenza perché si sapesse quello che accadeva.

A quel punto – è il quarto momento – una commissione ha esaminato tutti i suggerimenti emersi dai gruppi linguistici ed è stata fatta la Relazione finale, che ha mantenuto lo schema precedente – ascolto della realtà, sguardo al Vangelo e impegno pastorale – ma ha cercato di recepire il frutto dalle discussioni nei gruppi. Come sempre, è stato approvato anche un Messaggio finale del Sinodo, più breve e più divulgativo rispetto alla Relazione.

Questo è stato lo svolgimento dell’Assemblea sinodale. Alcuni di voi possono chiedermi: “Hanno litigato i Padri?”. Ma, non so se hanno litigato, ma che hanno parlato forte, sì, davvero. E questa è la libertà, è proprio la libertà che c’è nella Chiesa. Tutto è avvenuto “cum Petro et sub Petro”, cioè con la presenza del Papa, che è garanzia per tutti di libertà e di fiducia, e garanzia dell’ortodossia. E alla fine con un mio intervento ho dato una lettura sintetica dell’esperienza sinodale.

Dunque, i documenti ufficiali usciti dal Sinodo sono tre: il Messaggio finale, la Relazione finale e il discorso finale del Papa. Non ce ne sono altri.

La Relazione finale, che è stata il punto di arrivo di tutta la riflessione delle Diocesi fino a quel momento, ieri è stata pubblicata e viene inviata alle Conferenze Episcopali, che la discuteranno in vista della prossima Assemblea, quella Ordinaria, nell’ottobre 2015. Dico che ieri è stata pubblicata - era già stata pubblicata -, ma ieri è stata pubblicata con le domande rivolte alle Conferenze Episcopali e così diventa proprio Lineamenta del prossimo Sinodo.

Dobbiamo sapere che il Sinodo non è un parlamento, viene il rappresentante di questa Chiesa, di questa Chiesa, di questa Chiesa… No, non è questo. Viene il rappresentante, sì, ma la struttura non è parlamentare, è totalmente diversa. Il Sinodo è uno spazio protetto affinché lo Spirito Santo possa operare; non c’è stato scontro tra fazioni, come in parlamento dove  questo è lecito, ma un confronto tra i Vescovi, che è venuto dopo un lungo lavoro di preparazione e che ora proseguirà in un altro lavoro, per il bene delle famiglie, della Chiesa e della società. 
E’ un processo, è il normale cammino sinodale. Ora questa Relatio torna nelle Chiese particolari e così continua in esse il lavoro di preghiera, riflessione e discussione fraterna al fine di preparare la prossima Assemblea. 
Questo è il Sinodo dei Vescovi. Lo affidiamo alla protezione della Vergine nostra Madre. Che Lei ci aiuti a seguire la volontà di Dio prendendo le decisioni pastorali che aiutino di più e meglio la famiglia. Vi chiedo di accompagnare questo percorso sinodale fino al prossimo Sinodo con la preghiera. Che il Signore ci illumini, ci faccia andare verso la maturità di quello che, come Sinodo, dobbiamo dire a tutte le Chiese. E su questo è importante la vostra preghiera.

Saluti:

 

* * *

Porgo il mio cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. .... Il tempo liturgico dell’Avvento favorisca in tutti una rinnovata adesione al Vangelo, una sincera solidarietà verso i fratelli e una riscoperta della speranza cristiana.

Rivolgo un pensiero speciale ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Oggi celebriamo la memoria della Beata Vergine di Loreto. Cari giovani, imitate la madre di Gesù per prepararvi con gioia al Natale; la sua celeste protezione sostenga voi, cari ammalati, nel portare la vostra croce quotidiana; e il suo abbandono alla volontà del Padre ricordi a voi, cari sposi novelli, la presenza feconda della Provvidenza nella vostra famiglia.





Caterina63
00giovedì 11 dicembre 2014 19:56

  Sinodo, verso il secondo round. La requisitoria del canonista


Il cardinale Velasio De Paolis riapre il fuoco contro la comunione ai divorziati risposati: "Se approvata, le conseguenze sarebbero di una gravità inaudita". Il rebus di papa Francesco 

di Sandro Magister




ROMA, 9 dicembre 2014 – Da oggi è di dominio pubblico la traccia preparatoria del prossimo sinodo dei vescovi, dedicato, come il precedente, al tema della famiglia:

> Sinodo dei vescovi. "Lineamenta" per la XIV assemblea generale ordinaria, 4-25 ottobre 2015

La traccia – in latino "lineamenta" – ha come base di partenza la "Relatio" finale del sinodo dello scorso ottobre, ma poi prosegue riformulandone i vari punti in forma di domande. Il questionario, per ora diffuso soltanto in italiano, sarà inviato nei prossimi giorni in più lingue alle conferenze episcopali di tutto il mondo, che potranno sottoporlo a una cerchia anche amplissima di persone.

A detta del cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del sinodo, la finalità del sondaggio sarà "l'approfondimento delle questioni affrontate nel dibattito, di tutte, ma soprattutto di quelle che hanno bisogno di essere discusse in modo più accurato".

Con ciò, il cardinale ha alluso alle due questioni che in effetti sono state quelle più controverse, nel sinodo dello scorso ottobre. Talmente controverse da non aver ottenuto, nella loro formulazione finale, i due terzi dei voti necessari per l'approvazione.

Sono le questioni che riguardano la comunione ai divorziati risposati e l'omosessualità.

Dei 62 paragrafi che componevano la "Relatio", infatti, i tre dedicati a tali questioni sono i soli che non sono stati approvati, anche se – per volontà di papa Francesco – sono stati ugualmente mantenuti nel testo reso pubblico, assieme all'esito delle rispettive votazioni.

Nel questionario diffuso oggi, la domanda riguardante la comunione ai divorziati risposati è la n. 38:

"La pastorale sacramentale nei riguardi dei divorziati risposati necessita di un ulteriore approfondimento, valutando anche la prassi ortodossa e tenendo presente 'la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti'. Quali le prospettive in cui muoversi? Quali i passi possibili? Quali suggerimenti per ovviare a forme di impedimenti non dovute o non necessarie?".

Mentre quella riguardante l'omosessualità è la n. 40:

"Come la comunità cristiana rivolge la sua attenzione pastorale alle famiglie che hanno al loro interno persone con tendenza omosessuale? Evitando ogni ingiusta discriminazione, in che modo prendersi cura delle persone in tali situazioni alla luce del Vangelo? Come proporre loro le esigenze della volontà di Dio sulla loro situazione?".

Il tema del sinodo, naturalmente, non si esaurisce in queste due questioni, ma riguarda piuttosto il destino presente e futuro del matrimonio cristiano in quanto tale. Basti pensare al generale declino numerico dei matrimoni sia civili che sacramentali, i quali ultimi stanno calando a picco anche in un paese cattolico come l'Italia, dove nell'ultimo mezzo secolo sono precipitati da 414.652 (nel 1963) a 111.545 (nel 2013), con un ritmo di decrescita che prelude alla loro scomparsa tra meno di vent'anni.

Sta di fatto, però, che la comunione ai divorziati risposati continua ad essere la questione più dibattuta, perché a dispetto della sua applicazione numericamente molto ristretta mette comunque in gioco il senso ultimo sia del matrimonio cristiano sia del sacramento dell'eucaristia, cioè di due colonne portanti del cristianesimo.

Il testo che segue è una prova di quanto vivacemente questo dibattito prosegua. Ne è autore il cardinale Velasio De Paolis, 79 anni, missionario scalabriniano, canonista illustre, presidente emerito della prefettura degli affari economici della Santa Sede.

Già prima del sinodo dello scorso ottobre De Paolis aveva pubblicamente preso posizione contro le tesi a favore della comunione ai divorziati risposati, sostenute più di tutti dal cardinale Walter Kasper.

L'aveva fatto in una conferenza tenuta il 27 marzo a Perugia, come prolusione inaugurale del nuovo anno giudiziario del tribunale ecclesiastico dell'Umbria:

> I divorziati risposati e i sacramenti dell'eucaristia e della penitenza

La conferenza era stata poi ripubblicata in Spagna nella rivista "Ius Communionis" (2, 2014, pp. 203-248) e in Italia e negli Stati Uniti nel volume a più voci uscito alla vigilia del sinodo con gli interventi di altri quattro cardinali anch'essi critici delle posizioni di Kasper:

"Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e Comunione nella Chiesa cattolica", Cantagalli, Siena, 2014.

"Remaining in the Truth of Christ. Marriage and Communion in the Catholic Church", Ignatius Press, San Francisco, 2014.

Ma ora De Paolis è tornato sull'argomento prendendo ad oggetto delle sue critiche proprio quel paragrafo 52 della "Relatio" finale del sinodo dello scorso ottobre riguardante i pro e i contro la comunione ai divorziati risposati.

A giudizio del cardinale De Paolis, questo paragrafo non solo è in sé incoerente e contraddittorio, ma "le novità che si introdurrebbero se fosse approvato sarebbero di una gravità inaudita", perché minerebbero le stesse fondamenta del dogma e della morale cattolica.

Questo è il rimando al testo integrale della conferenza, tenuta il 26 novembre alla facoltà di diritto canonico dell'Università San Dámaso di Madrid:

> Caminos adecuados para la pastoral de los divorciados vueltos a casar


Mentre qui di seguito è riprodotta la sua sezione finale.

Con l'avvertenza che le considerazioni di De Paolis contro la comunione ai divorziati risposati egli le applica anche a tutte le altre situazioni irregolari di convivenza, come spiega nella prima parte della sua conferenza.

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LA PROPOSIZIONE N. 52 DEL SINODO STRAORDINARIO SULLA FAMIGLIA

di Velasio De Paolis



Il tema dell'accesso ai sacramenti, specialmente all'eucarestia, da parte dei divorziati risposati é stato oggetto di riflessione nel sinodo straordinario dei vescovi dello scorso mese di ottobre. A questo fa riferimento la proposizione n. 52 della "Relatio" finale, che dice:

"Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia. Diversi padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del vescovo diocesano. Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che 'l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate' da diversi 'fattori psichici oppure sociali' (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735)".


1. Il senso della proposizione sinodale


Il testo non ha raccolto un numero sufficiente di adesioni, cioè i due terzi dei voti, ragione per cui non è stato approvato dal sinodo; pertanto, non dovrebbe considerarsi un testo sinodale. Ma bisogna dire subito che è difficile valutare il significato della votazione. Il testo si compone di varie parti non omogenee, persino contrapposte, anche con motivazioni inadeguate o non totalmente appropriate o, perlomeno, incomplete, nel raccordarsi con le fonti dottrinali.

In effetti la proposta comincia con un dato di cronaca: si è riflettuto sul tema. Poi fa riferimento a una corrente di padri che sono favorevoli alla disciplina attuale e ad altri che sono favorevoli a un cambio nella disciplina. Il testo prosegue spiegando in quali punti dovrebbe cambiare la disciplina attuale, segnalando anche quale sarebbe la responsabilità che dovrebbe competere al vescovo. Infine conclude con un avvertimento e un invito a un maggiore approfondimento, suggerendo anche alcuni elementi per farlo. Pertanto, un eventuale voto contrario o di approvazione del testo non si sa bene a cosa riferirlo.


2. Limiti della proposizione


La proposizione si presenta con una formulazione limitata. Si riferisce a una categoria limitata di persone che vivono in una situazione di unione irregolare: i divorziati risposati. Si tratta di una categoria che meriterebbe, secondo la proposizione, un'attenzione particolare ed eccezionale, motivata dalle situazioni particolari degne di considerazione che questa categoria potrebbe presentare, come effettivamente il testo spiega subito dopo.

Non è difficile trovare in queste parole alcuni elementi significativi della proposta del cardinale Kasper. Ma abbiamo già avuto occasione di studiare questa proposta e di verificare che non è stata sostenuta da alcun argomento valido. Del resto quella proposta era già stata a conoscenza dell'autorità competente, che l'aveva studiata e respinta, non trovando in essa elementi che la potessero sottrarre a una valutazione secondo i principi dottrinali dei documenti della Chiesa. Pertanto, l'ipotesi avanzata nella proposizione sinodale era già stata studiata e valutata in maniera esplicita e si era arrivati alla conclusione che non implicava principi eccezionali ma rientrava nella categoria dei principi generali, dato che, dal punto di vista della gravità morale e in ordine all'accesso all'eucarestia, l'ipotesi avanzata nella proposta costituisce in tutti i casi una violazione grave della morale coniugale e della disciplina della Chiesa, che non può permettere l'accesso all'eucarestia. Per questo motivo i documenti della Chiesa non fanno mai una distinzione tra le diverse categorie di persone che convivono in unioni irregolari: le varie tipologie di persone che convivono irregolarmente non si distinguono per quanto si riferisce alla convivenza coniugale e all'accesso all'eucarestia.

Inoltre, le condizioni in virtù delle quali si pretenderebbe una considerazione speciale per i divorziati risposati possono verificarsi in tutti quelli che si trovano in situazioni irregolari. E, in alcuni casi, la situazione potrebbe persino aggravarsi: potrebbe sembrare un premio e un invito a stabilire nuovi vincoli.

Possiamo ancora fare un'ulteriore considerazione. La proposizione, nel restringere l'ipotesi a una categoria specifica, riconosce il valore dottrinale e normativo dei documenti della Chiesa che regolano la materia. E, visto che la proposizione invita a un approfondimento, si evidenzia una certa perplessità sulla proposta stessa. Su che cosa può consistere questo approfondimento? Non sul valore dottrinale e normativo dei documenti, ma sulla possibile eccezione contenuta nella proposizione. E da dove può sorgere il dubbio se non dal fatto che la proposizione contiene in sé un'eccezione alle due condizioni essenziali per l'accesso all'eucarestia, dal momento che si verifica una violazione grave della legge morale naturale e una situazione personale non idonea per accedere all'eucarestia?

In effetti, anche in questa categoria dei divorziati risposati si trovano presenti le due condizioni che impediscono l'accesso all'eucarestia, il che porta l'autorità ecclesiastica a non poter agire in un altro modo, poiché l'autorità ecclesiastica non può disporre della legge naturale e divina: il rispetto della legge naturale del matrimonio e la necessità della grazia santificante.

Le situazioni descritte potrebbero non consentire la separazione delle due persone che stanno convivendo in un'unione irregolare, però non richiedono necessariamente la vita in comune "more uxorio" e la situazione permanente di peccato.


3. Disciplina, dottrina o magistero?


Osserviamo che la stesura del testo della proposizione genera equivoci. Si parla di "disciplina attuale" e di una possibile modifica alla stessa, ma questo suscita qualche dubbio, che esige un approfondimento. In realtà, la normativa vigente non è soltanto una "disciplina attuale", come se si trattasse di una norma meramente ecclesiastica e non di norme divine, sancite dal magistero, con motivazioni dottrinali e magisteriali che riguardano i fondamenti stessi della vita cristiana, della morale coniugale, del senso e rispetto dell'eucarestia e della validità del sacramento della penitenza. Ci troviamo dinanzi a una disciplina fondata sul diritto divino. Non si sottolinea abbastanza che i documenti della Chiesa in questa materia non impongono obblighi da parte dell'autorità, bensì affermano che l'autorità ecclesiastica non può agire diversamente, perché questa "disciplina" non può essere modificata nei suoi elementi essenziali. La Chiesa non può agire diversamente. Non può modificare né la legge naturale né il rispetto della natura dell'eucarestia, perché è in questione la volontà divina.

La proposizione, nella misura nella quale prevede la possibilità di ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati costituisce, di fatto, un cambio dottrinale. E questo contrariamente al fatto che si afferma che non si vuole modificare la dottrina. D'altra parte, la dottrina, per sua propria natura, non è modificabile se è oggetto del magistero autentico della Chiesa. Prima di parlare e di trattare di un'eventuale modifica della disciplina vigente, è necessario riflettere sulla natura di questa disciplina. Nell'affrontare questa materia si dovrebbe, in primo luogo, riflettere su questa dottrina e sul suo grado di fermezza; bisogna studiare bene ciò che può essere modificato e ciò che non si può modificare. Il dubbio è stato insinuato nella stessa proposizione quando chiede un'approfondimento, che deve essere dottrinale e previo a qualsiasi decisione.

Possiamo chiederci anche se è competenza di un sinodo dei vescovi trattare una questione come questa: il valore della dottrina e della disciplina vigente nella Chiesa, che si sono formate nel corso dei secoli e sono sancite con interventi del magistero supremo della Chiesa. Inoltre, chi è competente per modificare il magistero di altri papi? Questo costituirebbe un precedente pericoloso. D'altra parte, le novità che si introdurrebbero se fosse approvato il testo della proposizione sarebbero di una gravità inaudita:

a) la possibilità di ammettere alla comunione eucaristica con approvazione esplicita della Chiesa una persona in stato di peccato mortale, con pericolo di sacrilegio e di profanazione dell'eucarestia;

b) facendo così si mette in discussione il principio generale della necessità dello stato di grazia santificante per poter accedere alla comunione eucaristica, specialmente ora che si è introdotta o si sta introducendo nella Chiesa una prassi generalizzata di accedere all'eucarestia senza una previa confessione sacramentale, anche se si ha coscienza di trovarsi in peccato grave, con tutte le deleterie conseguenze che questa prassi comporta;

c) l'ammissione alla comunione eucaristica di un fedele che convive "more uxorio" significherebbe mettere in discussione anche la morale sessuale, fondata particolarmente sul sesto comandamento;

d) inoltre, in questo modo si darebbe rilevanza alla convivenza o ad altri vincoli, indebolendo di fatto il principio della indissolubilità del matrimonio.


4. Le motivazioni addotte per conservare la disciplina vigente


Riguardo a questo, la proposizione afferma quanto segue: "Diversi padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile".

Il testo non è molto chiaro e, in ogni caso, è insufficiente perché non pone l'accento sulla problematica coinvolta. Non si tratta solo di ragioni disciplinari da decidere d'accordo con la maggioranza, ma di una dottrina e di un magistero indisponibile, che  certamente va oltre le competenze di un sinodo straordinario dei vescovi. In realtà, in questo problema sono implicate questioni dottrinali di estrema importanza, alle quali abbiamo fatto riferimento. Si deve specificare che la ragione prima del divieto di accedere all'eucarestia è, semplicemente, la condizione nella quale si trova il divorziato che convive maritalmente con un'altra persona: una condizione di peccato grave oggettivo. Il fatto che questa condizione sia causata dal divorzio o dall'eventuale nuovo vincolo civile non ha rilevanza sulla condizione morale che esclude l'eucarestia: trovarsi in uno stato permanente di violazione della norma morale della Chiesa.


5. Approfondimenti


La proposizione sostiene quanto segue: "Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che 'l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate' da diversi 'fattori psichici oppure sociali' (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1735)".

Il testo afferma la necessità di un approfondimento da un solo punto di vista, abbastanza debole. Di fatto, si cita il Catechismo della Chiesa Cattolica, con il quale non è possibile non essere d'accordo. Il problema sta nel fatto di sapere quanto incide questo paragrafo del Catechismo della Chiesa Cattolica nella problematica qui trattata. La prima fonte della moralità è quella oggettiva. Ed è della moralità oggettiva che stiamo qui trattando.

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E COSA NE DICE IL PAPA?



A proposito della comunione ai divorziati risposati, papa Francesco ha espresso un'ultima volta il suo pensiero nell'intervista che ha dato a Elisabetta Piqué sul quotidiano argentino "La Nación" del 7 dicembre (vedi foto):

"Nel caso dei divorziati risposati, che facciamo con loro, che porta si può aprire? C'è un'inquietudine pastorale: allora andiamo a dare loro la comunione? Non è una soluzione dare loro la comunione. Questo solo non è la soluzione, la soluzione è l'integrazione. Non sono scomunicati, certo. Però non possono essere padrini di battesimo, non possono leggere le letture a messa, non possono distribuire la comunione, non possono insegnare il catechismo, non possono fare sette cose, ho l'elenco qui. Basta! Se racconto questo, sembrerebbero scomunicati di fatto! Allora, aprire un po' di più le porte".

Nella stessa intervista, Francesco ha rivendicato la chiarezza delle proprie formulazioni:

"Uno mi ha detto una volta: 'Sì, certo, il discernimento va bene, ma abbiamo bisogno di cose più chiare'. Gli ho detto: 'Guardi, ho scritto un'enciclica e un'esortazione apostolica, di continuo faccio dichiarazioni e tengo omelie, e questo è magistero. Ciò che sta lì è ciò che penso, non ciò che i media dicono che io pensi. Vada lì e lo trova ed è ben chiaro'".

Resta tuttavia il fatto che quanto detto dal papa in questa intervista a proposito della comunione ai divorziati risposati si presta ancora una volta a dubbi interpretativi. Vi si può leggere, infatti, sia un rifiuto della "soluzione" di dare loro la comunione, sia un assenso a questa stessa soluzione, come parte di una più complessiva "integrazione" degli stessi soggetti.

Il testo completo, in più sezioni, dell'intervista a "La Nación":

> Francisco: "Dios me da una sana dosis de inconsciencia"

> El sínodo: "Los divorciados vueltos a casar parecen excomulgados"


> Sobre la Argentina: "El país tiene que llegar al término del mandato en paz"

> Cambio en la Guardia Suiza: "Fue una mera renovación…"

> La intimidad de la entrevista: humor y anécdotas


Mentre questa è la sua traduzione in italiano, uscita su "L'Osservatore Romano" in data 10 dicembre:

> Coraggio di parlare, umiltà di ascoltare


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Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

3.12.2014
> Nel sinodo sulla famiglia anche il papa emerito prende la parola
Ha riscritto le conclusioni di un suo articolo del 1972 che il cardinale Kasper aveva citato a proprio sostegno. Ecco il testo integrale della sua "retractatio", in cui ribadisce e spiega il divieto della comunione ai divorziati risposati

26.11.2014
> Le lenti del cardinale, del sociologo, dei giornalisti
Tutte puntate su Francesco. Per capire chi è e dove vuole andare. Nella Chiesa, a tutti i livelli, le critiche al papa non si tacciono più. Si dicono apertamente. Tra i porporati, il più esplicito è Francis George 

24.11.2014
> Diario Vaticano / Che cosa pensa davvero Francesco dell'Europa
L'ha spiegato il 3 ottobre ai vescovi del consiglio delle conferenze episcopali europee. Il discorso è stato tenuto segreto. Eccolo. Alla vigilia del suo viaggio a Strasburgo 


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Caterina63
00mercoledì 17 dicembre 2014 15:16

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 17 dicembre 2014

[Multimedia]



 

La Famiglia - 1. Nazaret

Cari fratelli e sorelle buongiorno!

Il Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia, appena celebrato, è stato la prima tappa di un cammino, che si concluderà nell’ottobre prossimo con la celebrazione di un’altra Assemblea sul tema “Vocazione e missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo”. La preghiera e la riflessione che devono accompagnare questo cammino coinvolgono tutto il Popolo di Dio. Vorrei che anche le consuete meditazioni delle udienze del mercoledì si inserissero in questo cammino comune. Ho deciso perciò di riflettere con voi, in questo anno, proprio sulla famiglia, su questo grande dono che il Signore ha fatto al mondo fin dal principio, quando conferì ad Adamo ed Eva la missione di moltiplicarsi e di riempire la terra (cfr Gen 1,28). Quel dono che Gesù ha confermato e sigillato nel suo vangelo.

La vicinanza del Natale accende su questo mistero una grande luce. L’incarnazione del Figlio di Dio apre un nuovo inizio nella storia universale dell’uomo e della donna. E questo nuovo inizio accade in seno ad una famiglia, a Nazaret. Gesù nacque in una famiglia. Lui poteva venire spettacolarmente, o come un guerriero, un imperatore… No, no: viene come un figlio di famiglia, in una famiglia. Questo è importante: guardare nel presepio questa scena tanto bella.

Dio ha scelto di nascere in una famiglia umana, che ha formato Lui stesso. L’ha formata in uno sperduto villaggio della periferia dell’Impero Romano. Non a Roma, che era la capitale dell’Impero, non in una grande città, ma in una periferia quasi invisibile, anzi, piuttosto malfamata. Lo ricordano anche i Vangeli, quasi come un modo di dire: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46). Forse, in molte parti del mondo, noi stessi parliamo ancora così, quando sentiamo il nome di qualche  luogo periferico di una grande città. Ebbene, proprio da lì, da quella periferia del grande Impero, è iniziata la storia più santa e più buona, quella di Gesù tra gli uomini! E lì si trovava questa famiglia.

Gesù è rimasto in quella periferia per trent’anni. L’evangelista Luca riassume questo periodo così: Gesù «era loro sottomesso [cioè a Maria e Giuseppe]. E uno potrebbe dire: “Ma questo Dio che viene a salvarci, ha perso trent’anni lì, in quella periferia malfamata?” Ha perso trent’anni! Lui ha voluto questo. Il cammino di Gesù era in quella famiglia. « La madre custodiva nel suo cuore tutte queste cose, e Gesù cresceva in sapienza, in età e in grazia davanti a Dio e davanti agli uomini» (2,51-52). Non si parla di miracoli o guarigioni, di predicazioni - non ne ha fatta nessuna in quel tempo - di folle che accorrono; a Nazaret tutto sembra accadere “normalmente”, secondo le consuetudini di una pia e operosa famiglia israelita: si lavorava, la mamma cucinava, faceva tutte le cose della casa, stirava le camice… tutte le cose da mamma. Il papà, falegname, lavorava, insegnava al figlio a lavorare. Trent’anni. “Ma che spreco, Padre!”. Le vie di Dio sono misteriose. Ma ciò che era importante lì era la famiglia! E questo non era uno spreco! Erano grandi santi: Maria, la donna più santa, immacolata, e Giuseppe, l’uomo più giusto… La famiglia.

Saremmo certamente inteneriti dal racconto di come Gesù adolescente affrontava gli appuntamenti della comunità religiosa e i doveri della vita sociale; nel conoscere come, da giovane operaio, lavorava con Giuseppe; e poi il suo modo di partecipare all’ascolto delle Scritture, alla preghiera dei salmi e in tante altre consuetudini della vita quotidiana. I Vangeli, nella loro sobrietà, non riferiscono nulla circa l’adolescenza di Gesù e lasciano questo compito alla nostra affettuosa meditazione. L’arte, la letteratura, la musica hanno percorso questa via dell’immaginazione. Di certo, non ci è difficile immaginare quanto le mamme potrebbero apprendere dalle premure di Maria per quel Figlio! E quanto i papà potrebbero ricavare dall’esempio di Giuseppe, uomo giusto, che dedicò la sua vita a sostenere e a difendere il bambino e la sposa – la sua famiglia – nei passaggi difficili! Per non dire di quanto i ragazzi potrebbero essere incoraggiati da Gesù adolescente a comprendere la necessità e la bellezza di coltivare la loro vocazione più profonda, e di sognare in grande! E Gesù ha coltivato in quei trent’anni la sua vocazione per la quale il Padre lo ha inviato. E Gesù mai, in quel tempo, si è scoraggiato, ma è cresciuto in coraggio per andare avanti con la sua missione.

Ciascuna famiglia cristiana – come fecero Maria e Giuseppe – può anzitutto accogliere Gesù, ascoltarlo, parlare con Lui, custodirlo, proteggerlo, crescere con Lui; e così migliorare il mondo. Facciamo spazio nel nostro cuore e nelle nostre giornate al Signore. Così fecero anche Maria e Giuseppe, e non fu facile: quante difficoltà dovettero superare! Non era una famiglia finta, non era una famiglia irreale. La famiglia di Nazaret ci impegna a riscoprire la vocazione e la missione della famiglia, di ogni famiglia. E, come accadde in quei trent’anni a Nazaret, così può accadere anche per noi: far diventare normale l’amore e non l’odio, far diventare comune l’aiuto vicendevole, non l’indifferenza o l’inimicizia. Non è un caso, allora, che “Nazaret” significhi “Colei che custodisce”, come Maria, che – dice il Vangelo – «custodiva nel suo cuore tutte queste cose» (cfr Lc 2,19.51).
Da allora, ogni volta che c’è una famiglia che custodisce questo mistero, fosse anche alla periferia del mondo, il mistero del Figlio di Dio, il mistero di Gesù che viene a salvarci, è all’opera. E viene per salvare il mondo. E questa è la grande missione della famiglia: fare posto a Gesù che viene, accogliere Gesù nella famiglia, nella persona dei figli, del marito, della moglie, dei nonni… Gesù è lì. Accoglierlo lì, perché cresca spiritualmente in quella famiglia. Che il Signore ci dia questa grazia in questi ultimi giorni prima del Natale. Grazie.


Saluti:

Je suis heureux de vous saluer chers amis francophones, particulièrement les jeunes venant de France. À quelques jours de la célébration de la Nativité du Seigneur, je vous invite à lui demander d’aider toutes les familles à redécouvrir leur vocation et leur mission dans l’Église et dans le monde. A tous, je souhaite de bonnes fêtes de Noël et du Nouvel An !

[Sono lieto di salutare i cari amici di lingua francese, particolarmente i giovani venuti dalla Francia. A pochi giorni dalla celebrazione della Natività del Signore, vi invito a chiederGli di aiutare tutte le famiglie a riscoprire la loro vocazione e la loro missione nella Chiesa e nel mondo. A tutti auguro buone Feste di Natale e del Nuovo Anno.]

I greet the English-speaking pilgrims and visitors taking part in today’s Audience, including the various student groups from the United States of America. As the holy season of Christmas draws near, I invoke upon you and your families joy and peace in the Lord Jesus. God bless you all!

[Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente i vari gruppi di studenti provenienti dagli Stati Uniti d’America. Nell’imminenza del Santo Natale, invoco su voi e sulle vostre famiglie la gioia e la pace nel Signore Gesù. Dio vi benedica!]

Einen herzlichen Gruß richte ich an die Pilger und Besucher deutscher Sprache. Ich wünsche euch ein gesegnetes und frohes Weihnachtsfest. Betrachtet die heilige Familie als Heim, als lebendigen und geistigen Raum für den heranwachsenden Jesus. Öffnet ihm eure Herzen und eure Häuser und gebt die Gaben seiner Liebe der Welt weiter. Gott segne eure Familien!

[Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini e visitatori di lingua tedesca. Vi auguro una santa e serena festa di Natale. Contemplate la Sacra Famiglia come focolare di vita e spirito per la crescita di Gesù. ApriteGli i vostri cuori e le vostre case, dispensando i doni del suo amore nel mondo. Dio benedica le vostre famiglie!]

Saludo a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos provenientes de España, Argentina, México, y otros países latinoamericanos. También, cuando hice el recorrido, había varios grupos de tangueros. Les deseo que hoy puedan hacer buen espectáculo, y que sople un poco de viento pampero aquí.  Que la proximidad del nacimiento de Jesús avive en todas nuestras familias el deseo de recibirlo con un corazón puro y agradecido. Muchas gracias y que Dios los bendiga.

Queridos peregrinos de língua portuguesa, sede bem-vindos! De coração vos saúdo a todos, confiando ao bom Deus a vossa vida e a dos vossos familiares. Muito obrigado pelos votos formulados pelo meu aniversário e para as próximas Festas Natalícias, que retribuo desejando-vos um Santo Natal e um Ano Novo repleto das bênçãos do Deus Menino.

[Carissimi pellegrini di lingua portoghese, benvenuti! Di cuore vi saluto tutti e affido al buon Dio la vostra vita e quella dei vostri familiari. Grazie mille dei vostri auguri per il mio compleanno e per le prossime festività natalizie, che ricambio augurandovi un Santo Natale e un buon Anno Nuovo pieno delle benedizioni del Bambino Divino.]

أُرحّبُ بالحجّاجِ الناطقينَ باللغةِ العربيّةِ، وخاصةً بالقادمينَ منالشّرقِ الأوسط. أيُّها الأعزّاءُ، في الميلادِ يتواضعُ اللهُ وينزلُ إلى الأرضِ صغيرًا وفقيرًا ويدعونا للتّشبُهِ به. لتُساعدْنا العذراءُ مريمُ أمُّ يسوعَ وأمُّنا لنتعرّفَ في وجهِ قريبنا، وخصوصًا في الأشخاصِ الأشدَّ ضعفًا والمُهمَّشين، إلى صورةِ ابنِ اللهِ الذي صارَ إنسانًا. ميلادًا مجيدًا!

[Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dal Medio Oriente! Carissimi, a Natale Dio si abbassa, discende sulla terra, piccolo e povero, e ci invita ad essere simili a Lui. La Vergine Maria Madre di Gesù e nostra, ci aiuti a riconoscere nel volto del nostro prossimo, specialmente delle persone più deboli ed emarginate, l’immagine del Figlio di Dio fatto uomo. Buon Natale!]

Na ostatniej w tym roku audiencji, w atmosferze adwentowego czuwania, witam i pozdrawiam serdecznie wszystkich Polaków. Życzę, by święta Bożego Narodzenia i Nowego Roku były dla was czasem radości, dobra i pokoju. Niech przychodzący na ziemię Emmanuel, Książę Pokoju opromieni swoim światłem, nadzieją i miłością wasze rodziny, bliskich, każdego z was. Wszystkim, którzy pragną spotkać Jezusa w tajemnicy betlejemskiej nocy z serca błogosławię.

[In quest’ultima udienza dell’anno, mentre ancora siamo nell’Avvento, saluto cordialmente tutti i polacchi. Auguro che il Santo Natale e il Capodanno siano per voi un tempo di gioia, di bontà e di pace. L’Emmanuele, Principe della Pace, che viene sulla terra, faccia risplendere della sua luce, della speranza e del suo amore le vostre famiglie, i vostri cari e ognuno di voi. Benedico di cuore voi e tutti coloro che desiderano incontrare Gesù nel mistero della notte di Betlemme.]


APPELLO - PREGHIERA

Ora, un momento di silenzio e poi, con il Padre Nostro, vorrei pregare insieme con voi per le vittime dei disumani atti terroristici compiuti nei giorni scorsi in Australia, in Pakistan e nello Yemen. Il Signore accolga nella sua pace i defunti, conforti i familiari, e converta i cuori dei violenti che non si fermano neppure davanti ai bambini. Cantiamo il Padre Nostro chiedendo questa grazia.

* * *

Nel clima di serena attesa, caratteristico di questi giorni prossimi al Natale, mi è gradito salutare con affetto i fedeli di lingua italiana. Saluto gli studenti del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum e la Comunità dei Legionari di Cristo con i sacerdoti novelli;Tutti esorto a rendere più intenso in questi giorni l’impegno nella preghiera e con le opere buone, affinché la nascita di Gesù riempia i cuori della gioia vera che solo Lui può donare.

Un saluto speciale rivolgo ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Affidiamoci a Maria, madre della speranza e modello di perfetta credente. Cari giovani, accogliete il mistero di Betlemme con la stessa fede con cui Maria ha accolto l’annunzio dell’angelo Gabriele. Cari ammalati, attingete da Lei quella gioia e quell'intima pace che Gesù viene a portare nel mondo. Cari sposi novelli, imitate l’esempio della Madre di Gesù con la preghiera e le virtù.


si legga anche questo: STRAVOLGONO PIO XI PER AVANZARE CON IL FALSO....

L'obiettivo chiaro è giustificare la comunione ai divorziati risposati in vista del prossimo Sinodo sulla famiglia. Come fare? Dimostrando che anche nel recente passato la dottrina è "evoluta" così che quello che prima era proibito poi è stato ammesso. Ed ecco che il sedicente teologo Gianni Gennari - che su Avvenirequotidianamente fa il guardiano dell'ortodossia e su altri giornali fa "l'innovatore" - sostiene (clicca qui) che l'enciclica "Casti Connubii" del 1931 vieti assolutamente quei metodi naturali che verranno invece promossi da Pio XII ed esaltati da Paolo VI. Peccato che sia una palese menzogna.

- PIO XI CONDANNO' I METODI NATURALI? FALSO
   di Giorgio Carbone
Un articolo di Vatican Insider attribuisce all'enciclica Casti Connubii ciò che neanche poteva essere scritto: nel 1931 i metodi naturali non erano ancora stati messi a punto. E in ogni caso Paolo VI e Giovanni Paolo II sono perfettamente in linea con quanto sancito da Pio XI.

- SULLA CONTRACCEZIONE NESSUN CAMBIAMENTO
di Renzo Puccetti
Sostenere che Pio XII abbia cambiato la dottrina stabilita da Pio XI in fatto di metodi naturali per la regolazione della fertilità è una menzogna. La tesi sostenuta dal sedicente teologo Gianni Gennari è la stessa di chi si è da sempre opposto alla Humanae Vitae, e che oggi si rispolvera per cercare di giustificare eventuali cambiamenti dottrinali.



Caterina63
00venerdì 16 gennaio 2015 17:53
  Florida, vescovi contro sul matrimonio gay
di Lorenzo Bertocchi16-01-2015
Chiesa della Florida divisa sul matrimonio gay

Di fronte alla ridefinizione del matrimonio civile, per includere anche quello tra persone dello stesso sesso, i vescovi della Florida (Usa) hanno battuto un colpo. Con una dichiarazione congiunta molto precisa hanno evidenziato i rischi che comporta una certa definizione pubblica di matrimonio. Ma qualche confratello nell'episcopato dissente.

Il vescovo di St. Peterbursburg, diocesi suffraganea di Miami, hamesso i puntini sulle i dalle colonne del Tampa Bay Times del 6 gennaio. Monsignor Robert Lynch, dopo aver lodato la dottrina della Chiesa su matrimonio e famiglia, pone però l'accento sulle sfide pastorali che la Chiesa deve affrontare oggi. «Pertanto», ha scritto smarcandosi dai suoi colleghi vescovi, «non voglio prestare la nostra voce a nozioni che potrebbero suggerire che le coppie omosessuali sono incapaci di intraprendere relazioni segnate da amore e santità, e quindi incapaci di contribuire all'edificazione sia della Chiesa che della società in generale».

Nella dichiarazione congiunta dei vescovi si rileva, invece, che «questo cambiamento anticipa l’ideache il matrimonio è solo gratificazione emotiva tra adulti consenzienti. (…) Per il beneficio della società e del bene comune, la comprensione coniugale del matrimonio tra uno sposo e una sposa, e la complementarità di un padre e una madre, deve essere preservata». La distanza con monsignor Lynch è evidente, soprattutto dalle posizioni dell'arcivescovo di Miami, Thomas Wenski, che ha emanato anche una direttiva rivolta a tutti i dipendenti della diocesi, chiedendo loro di comportarsi in maniera coerente con le verità morali della Chiesa. «A causa della particolare funzione della Chiesa nella società, determinati comportamenti in contrasto con gli insegnamenti della Chiesa cattolica, potrebbero portare ad azioni disciplinari, compreso il licenziamento». Due pastorali decisamente in contrasto e monsignor Lynch lo sottolinea. «La nostra Chiesa», ha scritto sul Tampa Bay Times, «deve continuamente sforzarsi di comprendere ciò che lo Spirito dice e rispondere al suggerimento dei padri sinodali nel discernere la risposta pastorale fedele all'insegnamento della Chiesa e caratterizzata da rispetto e sensibilità». Un botta e risposta che pone al centro, ancora una volta, le tensioni che si registrano ormai a tutte le latitudini dell'episcopato mondiale rispetto ai temi del sinodo sulla famiglia. 

Lo stesso vescovo Lynch sul suo blog aveva salutato la Relatio intermedia del Sinodo, quella poipesantemente emendata, dicendo che superava le sue «più fondate speranze e preghiere». In particolare sottolineava che «gay e lesbiche possono trovare l'inizio di una chiamata» per un «futuro migliore del passato», riferendosi a quei passaggi della Relatio che lo stesso relatore, cardinale Erdo, in conferenza stampa di fatto sconfessò. Eppure monsignor Lynch dopo aver letto il documento intermedio confidava in un Sinodo che finalmente avrebbe «lasciato la casa per approdare a un nuovo posto» e concludeva: «Mio Dio! Che grande Chiesa noi possiamo diventare!».

Secondo il vescovo Lynch in questa “nuova grande Chiesa” c'è condivisione sul fatto che «genitorigay e lesbiche che hanno adottato bambini sono meravigliosi, amorevoli e premurosi», mentre nella Chiesa reale, quella della dichiarazione congiunta dei vescovi della Florida, si sottolinea che occorre «riscoprire il ruolo insostituibile della madre e del padre, che offrono doni unici per l’educazione e la crescita dei figli». La differenza è abbastanza evidente, al punto che è difficile pensare sia solo un semplice fatto pastorale. Non resta che capire quale Chiesa sia quella cattolica.

 da labussola



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Sul matrimonio Lutero batte e Trento risponde

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(a cura di Luisella Scrosati) Questo sesto estratto dello studio “Recenti proposte per la Pastorale dei divorziati risposati: Una valutazione teologica” ci permette di vedere come l’insegnamento della Chiesa sul matrimonio -  e conseguentemente sull’adulterio – sia stato approfondito durante il Concilio di Trento, in risposta alla dissoluzione del matrimonio avanzata da Lutero. Che non sia un caso che i promotori della comunione ai divorziati risposati (con tutte le conseguenze che ciò comporterebbe) siano anche benevoli sostenitori di Lutero?

Tali questioni sono state determinate nell’ambito delle controversie della Riforma

La Riforma ha apertamente contestato gli insegnamenti della Chiesa sul matrimonio e sulla sessualità umana, utilizzando argomenti abbastanza simili a quelli in uso oggi. Si faceva notare allora che il celibato dei sacerdoti fosse cosa troppo ardua, ben oltre ciò che la natura umana può affrontare, anche sotto la grazia (1) . Fu negata la natura sacramentale del matrimonio cristiano, così come la sua indissolubilità (2). In Germania venne introdotto il divorzio civile con il pretesto che non era lecito aspettarsi che lo Stato privilegiasse, promuovesse e difendesse il matrimonio a vita (3) . Infatti, la Riforma ha ridefinito radicalmente il concetto stesso di unione matrimoniale.

Il Concilio di Trento ha reagito a questa crisi in quattro modi. In primo luogo, esso ha definito in forma dogmatica l’insegnamento tradizionale sulla sacramentalità e l’indissolubilità del matrimonio cristiano, identificando esplicitamente l’atto del risposarsi come un adulterio (4) . In secondo luogo, il Concilio ha reso obbligatoria la forma pubblica ed ecclesiale del matrimonio, correggendo l’abuso di matrimoni privati o clandestini (in tali casi, un coniuge poteva talvolta far cessare l’unione coniugale basata esclusivamente sulla propria decisione privata e soggettiva, per poi risposarsi pubblicamente. Il Concilio ha proibito tale approccio arbitrario e soggettivo) (5) . In terzo luogo, Trento ha ridotto a dogma la giurisdizione della Chiesa riguardo ai casi di matrimonio ed ha richiesto, nell’interesse dell’integrità dei sacramenti, che tali casi siano giudicati secondo norme oggettive all’interno dei tribunali ecclesiastici (6). In quarto luogo, il Concilio ha chiarito espressamente che gli adulteri incorrono nella perdita della grazia della giustificazione: «Gli adulteri» e «tutti gli altri che commettono peccati mortali», «anche se non si perde la fede», perdono «la grazia già ricevuta della giustificazione» e li si «esclude dal Regno di Dio», a meno che essi non si pentano, desistano dal proprio peccato e lo detestino, e compiano una confessione sacramentale (7)  (altrove, Trento ha decretato che essi non possono ricevere la Santa Comunione finché non abbiano seguito le suddette prescrizioni) (8) .

E’ semplicemente impossibile ammettere alla Santa Comunione coloro che perseverano nell’adulterio e allo stesso tempo affermare queste dottrine conciliari. Le definizioni tridentine di adulterio, giustificazione (il che implica la carità così come la fede) oppure il significato e l’importanza dell’Eucaristia sarebbero altrimenti modificate. La Chiesa, inoltre, non può trattare il matrimonio come un affare privato, né permettere che esso ricada sotto la giurisdizione dello Stato e neppure che esso sia qualcosa di risolvibile in base ad arbitrari giudizi di coscienza. Dopo un lungo dibattito, tali questioni sono state chiaramente risolte all’interno di un concilio ecumenico e nel modo più solenne. Queste dichiarazioni sono state poi più volte ribadite dal Magistero contemporaneo, anche nel Concilio Vaticano II e nel Catechismo della Chiesa Cattolica (9).

___________________________________________

(1) Martin Luther, An appeal to the ruling class of Germany Nationality, III, 14; John Calvin, Institutes of the Christian Religion IV, c.13, nn. 15 & 17

(2) Martin Luther, The Babylonian Captivity of the Church, cap. 5

(3) Vedi ad es. Martin Luther, Brief an den Rath zu Danzig; Philp Melanchthon, De Conjugio, cited in Joyce, Christian Marriage, 409-29. Vedi altresì John Calvin, Institutes  of the Christian Religion IV, c. 19, nn. 34-37

(4) Concilio di Trento, Decreto e Canoni sul matrimonio (1563), DH 1797-1812. Sul risposarsi inteso come adulterio, vedi il can. 7

(5) Concilio di Trento, Decreto Tametsi (1563), DH 1813-16

(6) Concilio di Trento, Canone 12 sul Matrimonio, DH 1812. Pio VI chiarì successivamente il significato del Can. 12: “queste cause appartengono all’unico giudizio della Chiesa (…) perché il contratto matrimoniale è veramente e  propriamente uno dei sette sacramenti della legge evangelica”. Pio VI, Deessemus Nobis (1788), DH 2598. Giovanni Paolo II ha reiterato il concetto nel suo Discorso alla Rota Romana nel 1995.

(7) Concilio di Trento, Decreto sulla Giustificazione (1547), c. 15, DH 1544, sulla necessità della confessione vedere c. 14, DH 1542, 43

(8) Concilio di Trento, Decreto sull’Eucaristia (1555), DH 1646, 47

(9) Lumen Gentium (1964), n°11; Gaudium et Spes (1965) nn. 47,49,50; 1640, 1650. Vedi altresì Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio (1981), nn. 13, 19, 20, 83, 84

da laBussola









Caterina63
00venerdì 23 gennaio 2015 17:25
  2030, l'anno in cui spariranno i matrimoni religiosi «Colpa anche nostra, di questo si parli al Sinodo»

di Lorenzo Bertocchi23-01-2015 da LanuovaBussola

Secondo le previsioni, nel 2030 in Italia non ci saranno più matrimoni religiosi

Dal 1995 al 2002 è stato Direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Famiglia della Cei, dal 2003 al 2009 Consultore del Pontificio Consiglio per la Famiglia, da sempre si occupa “sul campo” di pastorale familiare. È don Renzo Bonetti, oggi presidente della Fondazione Famiglia Dono Grande. Poco prima del Sinodo di ottobre è stato tra i firmatari di una lettera (Commitment to marriage) che alcune personalità di varie nazioni hanno firmato, rivolgendosi ai padri sinodali. Ha tutte le carte in regola per fare due chiacchiere sui temi del Sinodo.

Don Renzo in Italia, secondo le statistiche, dal 1963 abbiamo perso circa 6.000 matrimoni religiosi all’anno, se andiamo avanti così fra circa 15 anni non ci saranno più matrimoni religiosi. Come può esserci Chiesa senza famiglia?

«Spesso diamo la colpa al “mondo”, ma raramente ci poniamo la domanda se noi come Chiesa siamo stati capaci di insegnare la bellezza della realtà della coppia e della sessualità. I vescovi italiani, con un documento del 1975, proponevano una profonda revisione dei corsi in preparazione al matrimonio e additavano il Sacramento come fonte di bellezza, di santificazione, di impegno pastorale. Se allora quello fu uno snodo importante, dobbiamo purtroppo constatare che a tutt’oggi, a 40 anni di distanza, si ripropongono più o meno quegli stessi corsi. Forse non abbiamo saputo correre e percorrere fino in fondo quelle intuizioni. Forse perché occupati troppo in altre cose. Ma così facendo non abbiamo saputo mettere al centro la famiglia e ora che ne veniamo privati ci rendiamo conto che non possiamo permettercelo, perché senza famiglia non comprendiamo la Chiesa. Come affermava san Giovanni Paolo II al n°19 della Lettera alle famiglie, «non si può comprendere la Chiesa come Corpo mistico di Cristo, come segno dell'Alleanza dell'uomo con Dio in Cristo, come sacramento universale di salvezza, senza riferirsi al grande mistero, congiunto alla creazione dell'uomo maschio e femmina ed alla vocazione di entrambi all'amore coniugale, alla paternità e alla maternità. Non esiste il grande mistero, che è la Chiesa e l'umanità in Cristo, senza il grande mistero espresso nell'essere “una sola carne”, cioè nella realtà del matrimonio e della famiglia».

Purtroppo oggi gli uomini e le donne faticano a interpretare questo “grande mistero”...

«In un certo senso dobbiamo chiederci se le nostre coppie di sposi non siano troppo trascinate dalla corrente culturale dominante. Ma dobbiamo domandarci anche se nei nostri percorsi per gli sposi sappiamo mostrare come la croce fa parte della luce, come la croce fa parte dell’amore, della grandezza dell’amore. Noi stessi, operatori di pastorale familiare, spesso abbiamo staccato amore da sofferenza, amore da croce (dono voluto, scelto, totale), amore da “passione” e quindi non possiamo pensare che i nostri cristiani possano essere testimoni, perché non sanno leggere le fatiche della vita di coppia e di famiglia alla luce della croce. Occorre formare un “minimo” di coscienza sacramentale, attraverso una pastorale che sia anche formazione spirituale, cioè di una vita secondo lo Spirito, degli sposi cristiani. Di uno Spirito non disincarnato, ma che fa brillare la bellezza di coppia».

Prima del Sinodo, insieme ad altri intellettuali, ha firmato una lettera pubblica (Commitment to marriage). Si facevano 9 proposte per una rinnovata pastorale familiare. Quale ritiene sia la più essenziale e perché?

«Dei 9 punti indicati in quella lettera, i quali hanno tutti una loro preziosità, ritengo sia fondamentale per il futuro quello relativo alla formazione dei sacerdoti, non soltanto in riferimento alle omelie, ma per il loro modo di vivere accanto agli sposi. Abbiamo bisogno di sacerdoti che facciano da guida spirituale agli sposi, che preparino i fidanzati accompagnandoli al sacramento. Abbiamo bisogno di sacerdoti che sappiano che il loro non è un sacramento “solitario” per la Chiesa e per il mondo, bensì è un sacramento che va vissuto in comunione con un altro sacramento, quello delle nozze. Due sono i sacramenti per la missione, questo viene troppo spesso dimenticato! (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1533, 1534, 1535). Mi domando: come e quando noi prepariamo i fidanzati ad essere a servizio della Chiesa e della società? A meno che non intendiamo che a servizio della Chiesa significhi soltanto fare attività parrocchiale. Viceversa, “a servizio della Chiesa e della società” trova il suo fondamento e la sua possibilità nel sacramento del matrimonio. Noi abbiamo perso la dignità sacramentale degli sposi e abbiamo ridotto il matrimonio a una pura benedizione! Gli sposi sono moltiplicatori della missione, sono le venature, i vasi capillari della missione della Chiesa, perché sono collocati sulle strade, nei luoghi di lavoro, di svago, nelle abitazioni …»

Tutti parlano di crisi della famiglia, pochi di crisi del fidanzamento

«Credo che uno degli elementi che andrebbe affrontato relativamente alla crisi della famiglia, sia proprio la crisi del fidanzamento, per come è vissuto, per i criteri con cui i fidanzati si scelgono, per le modalità con cui si preparano e per gli obiettivi che si propongono, per i tempi (talora troppo prolungati, altre troppo brevi) di attesa prima del matrimonio. In questo senso c’è una crisi del fidanzamento. Mi permetto di richiamare che probabilmente c’è una crisi ancor prima del fidanzamento. Perché è più comunicata e insegnata la capacità di ricevere amore, piuttosto che a dare amore. Abbiamo generato “spugne” di amore gigantesche, nei nostri bambini, nei nostri ragazzi, nei nostri adolescenti, sempre alla ricerca di essere amati. Li abbiamo abituati da piccoli a essere coperti di un affetto fuori misura, coperti di peluche senza fine, di giocattoli, di risposte alle loro esigenze. Non che questo sia sbagliato, ma non abbiamo altrettanto insegnato a “dare”, a fare un sorriso a chi piange, un regalo a chi non ti regala niente. Non abbiamo insegnato a donare l'amore, ma quasi solo a cercare chi ci ama. Ma quando un fidanzamento è fondato, anche inconsciamente, sul “chi mi ama”, chi mi fa sentire l’amore, allora sostanzialmente il rapporto dura il tempo che a me “sembra che l’altro mi ami”. Il fidanzamento finisce per corrispondere al criterio del “mi trovo bene”, sto bene con quella persona. Non avendo alle spalle un’educazione all’amore rischiamo di avere un fidanzamento fragile».

Come aiutare i fidanzati?

«Come Chiesa raramente riusciamo a proporre criteri di discernimento adeguati per verificare se questo fidanzamento porti ad un matrimonio che possa accogliere, dirsi e darsi il “per sempre”. Per quanto conosco in nessun posto in Italia viene proposto un serio aiuto di discernimento e verifica circa l’idoneità umana reciproca: se quello è l’uomo della mia vita, se quella è la donna della mia vita, se io sono l’uomo/donna per lei/lui. Negli sposi non cerchiamo assolutamente se questo dato naturale esista, se può divenire sacramento. Questo perché abbiamo finito per scambiare la grazia del sacramento del matrimonio con un diritto del battezzato, abbiamo scambiato il dono con un diritto a ricevere il dono. Ma il sacramento del matrimonio è un dono al quale ci si deve predisporre, non è primariamente un diritto! Ritengo sarebbe molto utile che la Chiesa, possedendo già un iter per verificare la validità del sacramento, si dotasse anche di percorsi per questo discernimento previo al matrimonio stesso, come fa per il sacerdozio e la vita consacrata. A questo si dovrebbe poi affiancare l’altro elemento che è totalmente disatteso, ovvero il discernimento di carattere sacramentale. I due fidanzati sanno che con il sacramento del matrimonio diventeranno «segno visibile» di Cristo Gesù? La prova che un sacramento è celebrato bene è domandare ad una coppia neo sposata che esce dalla Chiesa che provi a spiegare il sacramento ricevuto e quale missione specifica ha iniziato con esso, per la Chiesa e per la società. Possiamo continuare ad avere sposati in Chiesa che non sanno spiegare cosa è in loro accaduto, che non sanno dire chi sono?» 

Nel dibattito sinodale c’è un equilibrio da mantenere, quello tra dottrina e pastorale

«Quando si parla di questo rapporto tra dottrina e pastorale credo sia più corretto ricollocare questo argomento in ordine al matrimonio e alla famiglia dentro un orizzonte più ampio. Non è in discussione, anche se sembra che lo stiamo facendo, soltanto la pastorale del matrimonio e della famiglia. È in discussione il volto della Chiesa. Di questo dovremmo renderci conto perché, come ho detto precedentemente, la famiglia rivela il volto della Chiesa. La Chiesa è la presenza di Gesù, la Sua presenza viva nel mondo. Se ho presente questo dato delle fede allora troverò la strada per comporre dottrina e pastorale, partendo dal fatto che Gesù è vivo. I cristiani sono chiamati a dire che Gesù è vivo, che Gesù continua a vivere ed esprimersi in mezzo a noi, con la sua Parola, i suoi segni sacramentali, i suoi gesti di amore misericordioso. In questa ottica evangelica siamo chiamati a rivedere e rivitalizzare tutti i sacramenti. Noi stiamo mettendo in risalto la debolezza del matrimonio, ma non ci siamo accorti che sono fragili tutti i sacramenti? Pensiamo alla fragilità del battesimo, della confessione (sacramento quasi scomparso dalla vita cristiana), alla fragilità dell’Eucaristia (senza tanti giri di parole: oggi tutti fanno la comunione, confessati e non confessati). Il matrimonio si colloca in questa fragilità che è di tutti i sacramenti». 

In che senso? 

«Perché nel tempo abbiamo perso l’origine dei sacramenti, la fonte. Come Chiesa abbiamo perso, meglio, abbiamo una scarsa consapevolezza, che nei segni sacramentali è Gesù vivo che si dona, non è un ripetere umano semplicemente rituale. Solo nella misura in cui recuperiamo la fonte sacramentale, noi andremo a rivitalizzare i sacramenti. Ravvivare negli sposi la consapevolezza che Gesù è vivo e presente in mezzo a loro, significa ravvivare la consapevolezza che Gesù è presente nella Chiesa e che pone dei segni concreti come dono per le persone, perché formino il corpo della Sposa. L’orizzonte deve essere la bellezza della vita di grazia. Altrimenti rischiamo di avere una Chiesa dove forse i risposati potranno fare la comunione, ma paradossalmente il Popolo di Dio non crederà più, non comprenderà più «cosa è» e cosa dona l’Eucaristia». 

Cos’è più urgente allora? 

«Mi sembra che questo Sinodo per la famiglia sia veramente l’occasione per collocare il matrimonio nella Chiesa e la Chiesa nel matrimonio. Oggi nelle persone ferite, che stanno male, dobbiamo riscoprire e vedere quel costato aperto che ci rivela l’abisso infinito del mistero di Gesù, ci richiama la sua Presenza, annuncia al mondo che Lui è il Crocefisso risorto! Non possiamo pensare che la soluzione dell’accoglienza dei divorziati consista nel dare loro la comunione, come alcuni nella Chiesa oggi propongono. Non possiamo pensare che data la comunione abbiamo risolto il problema. Non possiamo affidare all’Eucaristia ciò che non riusciamo, che non facciamo come Chiesa. Stiamo dando all’Eucaristia il compito di sostituirsi alle nostre inadempienze. Siamo noi che dobbiamo diventare Eucaristia per gli sposi in crisi, per le coppie ferite, per i risposati. Per far loro capire che se c’è un’indissolubilità che non è stata conservata, un amore che è stato tradito, dall’altra parte c’è un indissolubilità eterna, un amore che non tradisce, quello di Dio per ogni uomo, del quale gli sposi sono segno visibile. Perché anch’essi si sentano amati e in comunione, perché anche se non possono gustare la comunione eucaristica possono godere della comunione fraterna, dell’essere parte di un solo corpo nella Chiesa per la misericordia del Signore. Per questo rimango convinto che separare dottrina e pastorale sia uno sminuire il mandato di Gesù. Questo tempo ci invita a ricercare le radici dell’indissolubilità e a fare una operazione di verità. Ribadisco: l'urgenza è la riscoperta del matrimonio come dono sacramentale». 

Da qualche anno si dedica al “Progetto Mistero Grande”, cos'è e come opera?

«Da circa sette anni, unitamente ad un piccolo gruppo di famiglie e singole persone provenienti da varie parti d’Italia, abbiamo dato inizio a un progetto pastorale in favore della famiglia. Si tratta di un percorso articolato che intende offrire alla Chiesa e alla famiglia cristiana un approfondimento teologico, esperienziale e pastorale del tesoro di grazia contenuto ed espresso dal sacramento delle nozze. Non quindi un movimento ecclesiale, un’aggregazione intorno ad un carisma personale, ma un percorso per formare sposi e operatori di pastorale familiare perché siano poi sale, lievito, grano buono nella loro terra, sotto la guida dei loro pastori. Nel sito web www.misterogrande.org è possibile conoscere tutte le nostre attività. La Fondazione “Famiglia Dono Grande”, che si ispira alla concezione cristiana del matrimonio e della famiglia, ha lo scopo di promuovere e mantenere sicuro ed obbediente al Magistero della Chiesa il cammino del Progetto Mistero Grande. Vogliamo condividere con tutti, senza giudicare chi vive diversamente da questo ideale, che la famiglia è il dono grande per il futuro dei nostri figli e delle future generazioni».




Caterina63
00venerdì 23 gennaio 2015 18:13
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Francesco, i figli e i conigli. Con un “Post scriptum”



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aereo


[Il titolo iniziale di questo post, prima dell'aggiunta del "Post acriptum", era: "Francesco e la paternità responsabile: 'I buoni cattolici non fanno come i conigli'"]


*


Nella seconda conferenza stampa volante del suo viaggio in Sri Lanka e nelle Filippine, sull’aereo che lunedì 19 gennaio lo riportava a Roma, papa Francesco ha toccato numerosi argomenti, ritornando anche su cose già dette nei giorni precedenti. Ecco alcuni passaggi delle sue risposte.


*


SUL “PUGNO” A CHI OFFENDE


In teoria, possiamo dire che una reazione violenta davanti a un’offesa, a una provocazione, non è una cosa buona, non si deve fare. In teoria, possiamo dire quello che il Vangelo dice, che dobbiamo dare l’altra guancia. In teoria, possiamo dire che noi abbiamo la libertà di esprimere e questa è importante. Nella teoria siamo tutti d’accordo, ma siamo umani, e c’è la prudenza, che è una virtù della convivenza umana. Io non posso insultare, provocare una persona continuamente, perché rischio di farla arrabbiare, rischio di ricevere una reazione non giusta. Per questo la libertà deve essere accompagnata dalla prudenza.


SULLA REGOLAZIONE DELLE NASCITE


Il cristiano non deve fare figli in serie. Io ho rimproverato alcuni mesi fa una donna in una parrocchia perché era incinta dell’ottavo, dopo sette cesarei. “Ma lei vuole lasciare orfani sette? Questo è tentare Dio”. “No, io confido in Dio”. “Ma guarda, Dio ti da i mezzi, sii responsabile”. […] Io credo che il numero di tre figli per famiglia è quello che dicono i tecnici che è importante per mantenere la popolazione. Per questo la parola chiave per rispondere è quella che usa la Chiesa sempre, anche io: paternità responsabile. Alcuni credono che – scusatemi la parola, eh – per essere buoni cattolici dobbiamo essere come conigli, no? No, paternità responsabile. Questo è chiaro e per questo nella Chiesa ci sono i gruppi matrimoniali, ci sono gli esperti in questo, ci sono i pastori e si cerca. E io conosco tante e tante vie d’uscita lecite che hanno aiutato a questo.


SU PAOLO VI E LA “HUMANAE VITAE”


Che volevo dire di Paolo VI? È vero che l’apertura alla vita è condizione del sacramento del matrimonio. Un uomo non può dare il sacramento alla donna e la donna darlo all’uomo se non sono in questo punto d’accordo, di essere aperti alla vita. Il rifiuto di Paolo VI non era soltanto ai problemi personali, sui quali dirà poi ai confessori di essere misericordiosi e capire le situazioni e perdonare. Lui guardava al neo-Malthusianismo universale che era in corso. e che cercava un controllo dell’umanità da parte delle potenze. Paolo VI non è stato un arretrato, un chiuso. No, è stato un profeta.


SULL’IDEOLOGIA DEL “GENDER”


Dirò soltanto un esempio, che ho visto io. Venti anni fa, nel 1995, una ministro dell’istruzione pubblica aveva chiesto un prestito forte per fare la costruzione di scuole per i poveri. Le hanno dato il prestito a condizione che nelle scuole ci fosse un libro per i bambini di un certo livello. Era un libro di scuola, un libro preparato bene didatticamente, dove si insegnava la teoria del “gender”. Questa è la colonizzazione ideologica: entrano in un popolo con un’idea che niente ha da fare col popolo, e colonizzano il popolo con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o una struttura. Durante il sinodo i vescovi africani si lamentavano di questo, che per certi prestiti si impongano certe condizioni. Ma non è una novità questa. Lo stesso hanno fatto le dittature del secolo scorso. Sono entrate con la loro dottrina. Pensate ai Balilla, pensate alla Gioventù Hitleriana. C’è uno scrittore che ha visto questo dramma della colonizzazione ideologica e lo descrive in un libro. Si chiama “The Lord of the Earth” o “The Lord of the World”, uno dei due. L’autore è Benson, scritto nel 1903, vi consiglio di leggerlo. Leggendolo capirete bene quello che voglio dire con “colonizzazione ideologica”.


SULLA CORRUZIONE NELLA CHIESA


Ricordo una volta, anno 1994, appena nominato vescovo del quartiere di Flores a Buenos Aires, sono venuti da me due funzionari di un ministero a dirmi: “Ma lei ha tanto bisogno qui, con tanti poveri, nelle Villas miserias”. “Oh, si”, ho detto io, e ho raccontato. “Ma noi possiamo aiutare. Noi abbiamo, se lei vuole, un aiuto di 400.000 pesos”. A quel tempo il peso e il dollaro erano uno a uno: 400.000 dollari. “E voi potete fare?”. “Ma si, si”. Io ascoltavo, perché quando l’offerta è tanto grande, anche il Santos sfida; e poi andando avanti: “Ma, per fare questo, noi facciamo il deposito e poi lei dà la metà a noi”. In quel momento io ho pensato cosa fare: o li insulto e do loro un calcio dove non dà il sole, o faccio lo scemo. E ho fatto lo scemo. Ho detto: “Lei sa che noi nelle vicarie non abbiamo conto; lei deve fare il deposito in arcivescovado con la ricevuta”. E lì è tutto. “Ah, non sapevamo… Piacere” e se ne sono andati. Ma poi io ho pensato: se questi due sono atterrati direttament


SUL DALAI LAMA E LA CINA


È abitudine per il protocollo della segreteria di Stato di non ricevere capi di Stato o gente di quel livello quando sono in una riunione internazionale qui a Roma. Per esempio per la FAO non è stato ricevuto nessuno. È per questo che il Dalai Lama non è stato ricevuto. Ho visto che qualche giornale ha detto che non lo ha ricevuto per paura della Cina. Non è vero. Lui ha chiesto un’udienza e gli è stata detta una data a un certo punto. La aveva chiesto prima, ma non per questo momento, e siamo in relazione. Ma il motivo non era il rifiuto alla persona o la paura per la Cina. Sì, noi siamo aperti e vogliamo la pace con tutti. E come vanno i rapporti? Mah, il governo cinese è educato. Anche noi siamo educati e facciamo le cose passo passo come si fanno le cose nella storia, no? Ancora non si sa, ma loro sanno che io sono disposto a ricevere o andare. Lo sanno.


*


POST SCRIPTUM – “Sorpreso” e “dispiaciuto”: così dicono sia rimasto papa Francesco quando ha visto le reazioni dell’opinione pubblica mondiale e soprattutto di tanti suoi fedeli alla sua sortita sui conigli.


Due giorni dopo il suo ritorno a Roma dalle Filippine, nella prima udienzautile, il papa ha tenuto a dire che “dà consolazione e speranza vedere tante famiglie numerose che accolgono i figli come un vero dono di Dio”.


Intanto, però, il disagio montava a dismisura. È tracimato anche sul quotidiano dei vescovi italiani “Avvenire”, che ha pubblicato varie lettere di protesta, non solo per la battuta sui conigli, ma anche per altre parole dette dal papa nella stessa occasione, in particolare quel suo duro rimprovero a una donna incinta dell’ottavo figlio dopo sette parti cesarei.


  Ha scritto ad esempio un lettore che si firma “Alfonso, irresponsabile ma non troppo”:


“Caro direttore, è martedì sera, 20 gennaio, sono qui davanti al mio computer e leggo “Avvenire’. Mentre leggo cullo il mio sesto nato che dorme nel passeggino, il suo nome è Francesco e ha 4 mesi. Lo guardo, sesto di sei cesarei andati tutti bene, ringraziando Dio e l’ottimo controllo medico. È beato e tranquillo. Riprendo a leggere il giornale. Intorno c’è molto silenzio. I fratellini sono nelle loro stanze e studiano o giocano. La cronaca invece è rumorosa, schiamazzante, polemica. Martedì mattina, al lavoro mi hanno fatto nero, i colleghi. Ridacchiavano: ‘Hai letto il giornale, sì?’. Francesco si agita nel sonno, muovo un po’ il passeggino e lui placidamente si assopisce di nuovo. Cosa sognerà adesso? Non lo so, ma sono molto contento che lui ci sia”.


Dal Vaticano ha tentato di correre ai ripari il sostituto segretario di Stato Angelo Becciu, con un’intervista che “Avvenire” ha pubblicato giovedì 22 gennaio. Col fine dichiarato di “ricostruire il senso autentico delle parole di Francesco”.


Ma alla domanda: “Qual è dunque la corretta interpretazione?”, ecco Becciu come ha risposto:


“È che senza mai dividere il carattere unitivo e procreativo dell’atto sessuale, esso si deve sempre inserire nella logica dell’amore nella misura in cui la persona intera (fisica, morale e spirituale) si apre al mistero del dono di sé nel vincolo del matrimonio”.


Se questo è il chiarimento…




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Matrimonio e seconde nozze. Cosa direbbe nel sinodo sant’Agostino

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matrimonio

Ricevo e pubblico. L’autore è diplomato all’Istituto di Scienze Religiose di Trieste e si è dedicato particolarmente allo studio della teologia di san Bonaventura da Bagnoregio. Scrive sul settimanale diocesano “Vita Nuova”. In questa nota sottopone a critica il saggio di padre Guido Innocenzo Gargano su matrimonio e seconde nozze, rilanciato giorni fa da www.chiesa:

> Per i “duri di cuore” vale sempre la legge di Mosè

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LE MAGLIE PIÙ STRETTE DELLA LEGGE COMPIUTA DA GESÙ

di Silvio Brachetta

Nel suo saggio su “Il mistero delle nozze cristiane” pubblicato in “Urbaniana University Journal“, il monaco camaldolese Guido Innocenzo Gargano, biblista e patrologo, vede nel compimento della legge mosaica, proclamato da Cristo, una sorta di alleggerimento della stessa a favore della misericordia, anche nel caso del decalogo.

L’autore, cioè, reputa il discorso della montagna di Gesù “un generosissimo programma di liberazione dalle strettoie della ‘littera’” legalistica. Di conseguenza, pastoralmente, si dovrebbero dischiudere indicazioni “nuove e persino rivoluzionarie”, non meglio specificate. Si vuole forse rivedere la prassi di esclusione dal sacramento dell’eucaristia dei divorziati risposati? Per quanto suggestiva, esposta con discrezione e presentata come contributo alla riflessione, la tesi non sembra tuttavia essere dimostrata in modo esaustivo o supportata a sufficienza dalla teologia e dalla patristica.

Un’ipotesi debole

A fare problema, in particolare, è l’assunto per cui ci sarebbe un collegamento di misericordia tra la prassi di ripudiare la propria moglie – concessa da Mosé (cf. Mt 19, 8 ) – e l’inclusione nel regno dei cieli dei “minimi”, che Gesù indica come “trasgressori” della legge nel discorso della montagna (cf. Mt 5, 19). L’autore pare sollevato dal fatto che “in Mt 5, 19 Gesù non parla di ‘esclusione’ dal regno dei cieli, ma soltanto di situazione di ‘minimo’ o di ‘grande’ nel regno dei cieli”.

La pericope in questione è la seguente: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli”.

Successivamente – e come argomento portante – Gargano continua ad essere pienamente convinto che ci sarà una salvezza per i “minimi”, non ponendo alcun dubbio su ciò.

È difficile capire dove l’autore abbia trovato il sostegno a questa sua interpretazione, che si potrebbe considerare inclusivista, anche perché il suo testo è carente di autorità extra–bibliche a sostegno degli argomenti proposti, i quali si presentano quasi sempre come opinioni personali o interpretazioni private del testo sacro. C’è penuria di fonti, insomma. Alle volte si accenna ai Padri, ma in modo sporadico e generalizzato.

Eppure l’interpretazione di Gargano è avversata dagli autori maggiori. Quanto a Mt 5, 19 sant’Agostino, ad esempio, è nettamente contrario alla tesi inclusivista summenzionata. Nel “De civitate Dei” (XX, 9.1) il vescovo di Ippona dimostra che tanto il “grande” quanto il “minimo” evangelici sono sì nel regno dei cieli, ma come figura della “Chiesa quale è nel tempo”. Tanto più che il Signore aggiunge, subito dopo: “Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5. 20). Questa volta – scrive sant’Agostino – “si ha la Chiesa quale sarà, allorché non vi sarà più il cattivo”. Pertanto, al v. 19, Gesù Cristo parla della Chiesa militante e nel verso successivo della Chiesa trionfante.

Il “minimo” è escluso dal paradiso

E il “cattivo” che fine ha fatto, nel frattempo? Semplicemente non c’è: è escluso dal regno futuro, non è incluso nella Chiesa trionfante, nel paradiso. Lo spiega meglio Agostino nel “Commento al Vangelo secondo Giovanni” (Omelia CXXII, n. 9), dove mette in relazione il discorso della montagna con la vicenda dei “centocinquantatre grossi pesci” (Gv 21, 11) e con la parabola dei “pesci buoni e cattivi” (Mt 13, 47–50). Solo il “grande” – osserva – “potrà far parte del numero dei grossi pesci”, cioè dei centocinquantatre che rappresentano i salvati. Quanto al “minimo”, che “distrugge con i fatti ciò che insegna con le parole, potrà far parte di quella Chiesa che viene raffigurata nella prima pesca, fatta di buoni e di cattivi, perché anch’essa viene chiamata regno dei cieli”. Ma, proprio come insegna la parabola di Mt 13, 47–50, i buoni e i cattivi “dovranno essere separati sulla riva, cioè alla fine del mondo”. Su questo sant’Agostino è chiaro: “chi è minimo nel regno dei cieli, cioè nella Chiesa del tempo presente, non entrerà nel regno dei cieli”.

Il santo monaco Giovanni Cassiano giunge a dire che non solo il “minimo” è nullo nella Chiesa, ma addirittura che è grande nell’inferno – “sed in gehennae supplicio maximus habeatur” (“Collationes Sanctorum Patrum”, coll. XIV). Stesso giudizio lo ritroviamo in san Tommaso d’Aquino, che riporta la riflessione di san Giovanni Crisostomo, Omelia XVI: “con le parole ‘ultimo nel regno dei cieli’ non bisogna vedere altra cosa, se non il supplizio della dannazione eterna”. In effetti – aggiunge il Crisostomo – “nel linguaggio corrente del Salvatore il regno dei cieli non significa soltanto il godimento della felicità eterna, ma il tempo della risurrezione e la terribile venuta del Cristo” (San Tommaso, “Catena Aurea in Matteo”, l. 12).

Ancora san Tommaso cita sant’Agostino nella “Summa Theologiae”, a proposito di cosa siano i precetti minimi della legge e cosa, in generale, debba intendersi per legge. Dice dunque Agostino che “i precetti della legge [antica] sono minori, mentre quelli del Vangelo sono maggiori” (S.Th. Ia IIae, q. 107, a. 3). Tommaso aggiunge che tale fatto, però, non impedisce al maggiore di essere contenuto nel minore, come l’albero è potenzialmente contenuto nel seme.

Forzatura dei passi evangelici

Più sorprendente ancora appare l’accostamento della pericope analizzata con il passo, che Gargano propone, di Mt 19, 3–9: “Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: ‘È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?’. Ed egli rispose: ‘Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi’. Gli obiettarono: ‘Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e mandarla via?’. Rispose loro Gesù: ‘Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio””.

Queste parole non dovrebbero porre troppi problemi interpretativi: Gesù revoca la liceità di dare l’atto di ripudio e conferma la condizione di adulterio per eventuali seconde nozze.

Gargano vi vede invece una sorta di presa d’atto da parte di Gesù della “durezza di cuore”: ovvero, l’atto di ripudio farebbe parte dei “precetti minimi” e, di conseguenza, il “minimo” che ripudia la moglie entrerà comunque in paradiso.

Ma il ragionamento così impostato sembra del tutto forzoso e, alla luce di quanto visto, contrario alle autorità dei Padri. Tanto più che, nel caso di Mt 19, 3–9, sant’Agostino sostiene l’illiceità assoluta del ripudio, ad esempio in “La dignità del matrimonio” (n. 7). Eppure l’autore del saggio conferma, in Gesù, “l’assenza di qualsiasi decisione di cassare una simile prescrizione mosaica”, cioè l’atto di ripudio. Ma su che basi è fatta una simile affermazione? Su che fonti patristiche?

Giustizia e misericordia

È vero che, nel discorso della montagna, la legge è rivista e compiuta da Gesù in modo da introdurre la misericordia, ma non in maniera generalizzata e non con le modalità espresse da Gargano.

Quanto al decalogo, anzi, la condizione umana rispetto all’obbedienza ai precetti è aggravata: se con Mosè era illecito l’adulterio, con Gesù è illecito persino guardare una donna per desiderarla (Mt 5, 27–28). O se con Mosè era illecito uccidere, con Gesù è illecito persino adirarsi col fratello (Mt 5, 21–22). È strano come Gargano escluda che l’intero discorso della montagna possa essere “letto come una sorta di inasprimento delle prescrizioni”.

Viceversa, si tratta proprio di questo: un “inasprimento delle prescrizioni”. Se con Mosè il decalogo poteva essere applicato a fatica, con Gesù l’applicazione è impossibile. Con Gesù non c’è più il “giusto” ma, tutt’al più, il “giustificato”, perché solo il Maestro è giusto, non avendo mai peccato. Con Gesù tutti abbiamo peccato ed è solo partendo da questa verità che è pensabile la penitenza e il perdono.

Dove allora, nel discorso della montagna, si allargano le maglie della legge e, quindi, Dio concede la misericordia al peccatore? Ad esempio, in Mt 5, 38–39, dove è rovesciato il precetto “occhio per occhio e dente per dente” e s’invita a “porgere l’altra guancia”. Ma la cosiddetta “legge del taglione” non fa parte del decalogo, bensì della prassi applicativa dello stesso. Ovvero, mentre da una parte la legge è inasprita, ne è rovesciata però l’applicazione nel senso della misericordia. E tutto ciò è tramandato dalla patristica e dal magistero.

In realtà pare del tutto ambigua una sorta di liberazione dalla “littera” legalistica, come auspica Gargano, almeno per quanto riguarda il decalogo. La strada della misericordia è invece indicata con chiarezza dalla Chiesa: pentimento del delitto contro la “littera” dei santi precetti e conseguente perdono da parte di Dio.

Trieste, gennaio 2015


Caterina63
00giovedì 5 marzo 2015 08:44

  FAMIGLIA
Il sito della Fraternità Sposi per sempre
 

«Ho conosciuto il male della separazione, ma se ho scelto di restare fedele alle promesse matrimoniali, lo devo alla fedeltà della Chiesa», dice Emanuele Scotti. Lui è presidente della Fraternità Sposi per sempre, uomini e donne che vogliono vivere la fedeltà al matrimonio.

di Lorenzo Bertocchi


«Ho conosciuto il male della separazione», mi dice Emanuele Scotti, presidente dell'associazione Fraternità Sposi per sempre. «So cosa significa la ferita profonda che infligge agli sposi, le cicatrici che lascia sui figli. Eppure, se tutto ciò non mi ha distrutto, se ho scoperto una fede che prima non conoscevo, se la mia vita è ora fondata su una speranza che non delude, se ho scelto di restare fedele alle promesse matrimoniali, lo devo alla fedeltà della Chiesa cattolica alle parole di Gesù sul Matrimonio». La Fraternità Sposi per sempre è fatta di queste persone, uomini e donne che vogliono vivere la fedeltà al matrimonio, nonostante si trovino in una condizione di separati, o divorziati. «Riconosciamo», continua Emanuele, «il matrimonio come sacramento voluto ed istituito da Dio per la missione ed il bene comune».

Decido di provocarlo. Scusa, Emanuele, ma non vi siete accorti che il mondo sta cambiando?

«È la stessa domanda che mi ha fatto qualche giorno fa un divorziato risposato. Anzi, è andato oltre e mi ha detto che anche la Chiesa se vuole stare nel mondo, deve cambiare... e che se io voglio stare nella Chiesa devo cambiare... Sì, il mondo è cambiato, cambia da sempre, forse oggi solo un po’ più velocemente. E poi, sì, so bene che restare nella Chiesa, cioè nel popolo di Dio, nel corpo di Cristo e nel tempio dello Spirito Santo è una grazia, ma mi richiede anche una lotta interiore continua e un continuo cambiamento personale. Ma è alla seconda domanda, quella che si riferiva alla necessità di quel cambiamento, di quel “necessario aggiornamento” e, in definitiva, di quella conformazione ai criteri mondani che oggi è da molti considerata indispensabile che non mi convinco di poter dare il mio incondizionato assenso».

E perché?

«Per il sacramento. Quella “carne sola” è unita per il Regno dei Cieli, nonostante il fallimento umano; non c’è ferita, non c’è tradimento, non c’è cattiveria che possa spezzare, annullare il sacramento dell’Alleanza di Cristo e della Chiesa. E per questo che il giorno in cui la Chiesa dovesse dirci: Sapete che c’è? Ci siamo sbagliati, la vostra fedeltà non è servita a niente. Avere rinunciato al calore di un affetto umano per abbracciare un amore più grande, non avere abbandonato le vostre spose e sposi a loro stessi, conservandogli il vostro cuore, avere rinunciato alla carne per non dover rinunciare al Corpo di Gesù: sappiate ora tutto ciò è stata una croce inutile. Non è stato di nessun beneficio per voi, per i vostri sposi e spose, per i vostri figli; non ha dato nessuna testimonianza alla grazia del sacramento… Potevate risposarvi e sarebbe stato lo stesso. Anzi meglio! Avete speso inutilmente i migliori anni della vostra vita: peggio per voi. Per me sarebbe un momento molto doloroso, sarei confuso e smarrito… Ma non credo che sarebbe un bel momento per tutta la Chiesa».

Non credi che questo significhi continuare a caricare fardelli insopportabili sulle spalle dei fratelli?

«Non credo sia così. Voglio bene ai miei amici divorziati risposati, ci vivo in mezzo, soffro e gioisco con loro. Due dei miei più cari amici sono una coppia di divorziati risposati, ho partecipato al loro matrimonio civile, e mi sono commosso e ho fatto festa con loro. E loro mi sono stati e mi sono tuttora vicini nei miei momenti bui. Ho parenti che vivono situazioni irregolari, e infine mia moglie stessa è una divorziata risposata. Come potrei non essere interessato a loro? Ma io vorrei la loro come la mia salvezza, la salvezza dell’anima, la vita eterna, e non solo la soddisfazione dei loro desideri immediati. Per questo, penso che una “carità” a buon mercato può gratificare nell’immediato ma non aiuterebbe veramente nessuno a salvarsi. 

Eppure ci sono tante persone che si indignano di fronte ad una Chiesa che “chiude” l'accesso all'eucaristia per i divorziati risposati...

«Beh, io vorrei chiedere loro: ma tu cosa hai fatto per accogliere un separato? Hai mai invitato a cena quell'amico separato, o a dormire a casa tua se è stato sbattuto fuori di casa? Lo hai mai ascoltato ripeterti fino alle tre del mattino sempre le stesse cose? Lo hai invitato a venire a Messa con te, e a nutrirsi assieme a te di tutte le altre “presenze reali” di Cristo? O vuoi solo che abbia ora e subito quello a cui ritiene di aver diritto, in modo che si tolga presto di torno e smetta di infastidire tutti con le sue lagne e tu ti possa sentire tanto buono?»

Il Sinodo sulla famiglia è in corso, tutta la Chiesa si sta interrogando su questi temi. E non mancano discussioni accese. Cosa ne pensi? 

«Un bravo sacerdote, mio amico e coetaneo, qualche giorno fa cercava di convincermi, e si capiva che credeva sinceramente in ciò che diceva, che mettere in dubbio le verità del Magistero, per poterne discutere apertamente, e poi naturalmente riconfermarle, è un fatto positivo, che potrà portare ad una migliore comprensione del tutto. Vorrei crederlo anch’io. Però, se è vero, come ricordava il cardinale Muller nel suo libro “La speranza della famiglia”, che «l’assoluta indissolubilità di un matrimonio valido non è una mera dottrina, bensì un dogma divino e definitivo della Chiesa», allora perché non mettere in discussione anche altri dogmi? L’Infallibilità papale, l’Immacolata Concezione, ecc...? Qual è il limite di applicazione di questo nuovo criterio che sembra fondarsi sulla comprensibilità e accettabilità dei principi da parte della comunità dei fedeli? A ben vedere, ci sono molte altre verità di fede che oggi non sono comprese e vissute. Se il criterio è quello di abbassare il principio, attenuarlo, adeguarlo alle nostre capacità di comprensione, dove ci si ferma? Anche la partecipazione alla Messa è in drammatico calo. E la Transustanziazione, la conversione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo al momento della consacrazione, è compresa dalla maggioranza statisticamente verificabile dei fedeli?»

D'accordo, ma allora come affrontare i problemi?

«Voglio solo dire che questo non può essere il criterio da cui partire. Sin dai suoi primi passi, la Chiesa non ha avuto timore dell’incomprensione del mondo, ma ha avuto solo a cuore la salvezza di tutti. Nell’areopàgo ateniese, culla della democrazia, Paolo non ebbe timore di parlare di risurrezione dei morti, anche se doveva immaginare di incontrare l’incredulità della maggioranza e di suscitare la derisione dei più, testimoniata da quel “Ti sentiremo su questo un'altra volta”, che suona come un misto di ironia e malcelata sufficienza. Eppure “alcuni aderirono a lui e divennero credenti”».





Borsino del sinodo. Giù Kasper, su Caffarra

Anche papa Francesco prende le distanze dal primo e si accosta al secondo. E si tiene caro il cardinale Müller. E promuove l'africano Sarah. Tutti intransigenti difensori della dottrina cattolica del matrimonio 


di Sandro Magister




ROMA, 20 marzo 2015 – "Con questo non si risolve nulla", ha detto papa Francesco riguardo all'idea di dare la comunione ai divorziati risposati. Tanto meno se loro la "vogliono", la pretendono. Perché la comunione non è "una coccarda, una onorificenza. No". 

Nella sua ultima grande intervista Jorge Mario Bergoglio ha gelato le aspettative di sostanziale cambiamento nella dottrina e nella cura pastorale del matrimonio cattolico che lui stesso aveva indirettamente alimentato:

> Due anni di pontificato in una intervista a Televisa

"Aspettative smisurate", le ha definite. Senza più fare un cenno alle tesi innovative del cardinale Walter Kasper, da lui in passato più volte magnificato, ma dal quale sembra ora aver preso le distanze.

Viceversa, da qualche tempo papa Francesco guarda con crescente attenzione e stima a un altro cardinale teologo, che sul "Vangelo del matrimonio" sostiene tesi perfettamente in linea con la tradizione: l'italiano Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna.

Da professore di teologia morale, Caffarra era specialista del matrimonio, della famiglia, della procreazione. E per questo Giovanni Paolo II lo volle alla presidenza del pontificio istituto per studi su matrimonio e famiglia da lui creato nel 1981 nell'università del Laterano, a seguito del sinodo del 1980 dedicato proprio questi temi.

Fece quindi sensazione l'esclusione, lo scorso ottobre, di qualsiasi esponente del detto istituto – che nel frattempo si è esteso in tutto il mondo – dalla prima sessione del sinodo sulla famiglia.

Ma ora questo vuoto è stato colmato, perché lo scorso 14 marzo papa Francesco ha nominato tra i consultori della segreteria generale della seconda e ultima sessione del sinodo, in programma nell'ottobre di quest'anno, proprio il vicepreside del pontificio istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, il professor José Granados.

Quanto a Caffarra, se non sarà la conferenza episcopale italiana, nel maggio prossimo, ad eleggerlo tra i propri quattro delegati al sinodo, sicuramente provvederà il papa ad includerlo tra i padri sinodali, come già aveva fatto per la precedente sessione.

L'arcivescovo di Bologna è uno dei cinque cardinali anti-Kasper che hanno raccolto le loro tesi nel libro "Permanere nella verità di Cristo" pubblicato in Italia da Cantagalli alla vigilia del sinodo scorso e ora tradotto in dieci lingue.

E fu da subito uno dei critici più decisi e argomentati della relazione bomba letta da Kasper al concistoro del febbraio 2014:

> Da Bologna con amore: Fermatevi!

In questa ampia intervista a "Il Foglio" del 15 marzo 2014, Caffarra disse tra l'altro, a proposito della comunione ai divorziati risposati:

"Chi fa questa ipotesi non ha risposto a una domanda molto semplice: che ne è del primo matrimonio rato e consumato? La soluzione prospettata porta a pensare che resta il primo matrimonio, ma c’è anche una seconda forma di convivenza che la Chiesa legittima. Quindi, c’è un esercizio della sessualità umana extraconiugale che la Chiesa considera legittimo. Ma con questo si nega la colonna portante della dottrina della Chiesa sulla sessualità. A questo punto uno potrebbe domandarsi: e perché non si approvano le libere convivenze? E perché non i rapporti tra gli omosessuali? Non è questione solo di prassi, qui si tocca la dottrina. Inevitabilmente. Si può anche dire che non lo si fa, ma lo si fa. Non solo. Si introduce una consuetudine che a lungo andare determina questa idea nel popolo non solo cristiano: non esiste nessun matrimonio assolutamente indissolubile. E questo è certamente contro la volontà del Signore".

Più sotto è riportata integralmente l'ultima presa di posizione di Caffarra su matrimonio e famiglia: una conferenza che ha tenuto lo scorso 12 marzo a Roma alla Pontificia Università della Santa Croce.

Ma prima sarà utile richiamare altri fatti che evidenziano il crescente avvicinamento di papa Francesco al fronte dei critici di Kasper.

Intanto, il papa continua a mantenere alla testa della congregazione per la dottrina della fede il cardinale Gerhard L. Müller, il più autorevole dei cinque porporati del libro anti-Kasper, fermissimo nel mettere in guardia da quella "sottile eresia cristologica" che consiste nel dividere la dottrina dalla prassi pastorale, nell'illusione che si possa cambiare la seconda senza intaccare la prima e quindi benedire le seconde nozze tenendo ferma l'indissolubilità del matrimonio:

> Introduzione ai lavori della commissione teologica internazionale, 1 dicembre 2014


In secondo luogo papa Francesco, in una delle poche nomine importanti da lui fatte recentemente in curia, ha messo alla testa della congregazione per il culto divino il cardinale guineano Robert Sarah, autore di un libro-intervista, "Dieu ou rien. Entretien sur la foi", edito in Francia da Fayard, nel quale respinge alla radice l'idea di dare la comunione ai divorziati risposati, che a suo giudizio è "l’ossessione di certe Chiese occidentali che vogliono imporre soluzioni, cosiddette 'teologicamente responsabili e pastoralmente appropriate', che contraddicono radicalmente l’insegnamento di Gesù e del magistero della Chiesa".

Dando pienamente ragione a Müller, il cardinale Sarah dice inoltre:

"L’idea che consisterebbe nel piazzare il magistero in un bello scrigno separandolo dalla pratica pastorale, la quale potrebbe evolvere a seconda delle circostanze, delle mode e delle passioni, è una forma di eresia, una pericolosa patologia schizofrenica".

E dopo aver rilevato che la questione dei divorziati risposati "non è una sfida urgente per le chiese d’Africa e d’Asia", dichiara:

"Affermo dunque solennemente che la Chiesa d’Africa si opporrà fermamente a ogni ribellione contro l’insegnamento di Gesù e del magistero".

In effetti i cardinali e vescovi africani finora eletti come rappresentanti nel prossimo sinodo dalle rispettive Chiese nazionali sono tutti sulle posizioni intransigenti di Sarah, con l'unica eccezione dell'arcivescovo ghanese di Accra Charles Palmer-Buckle, che si è detto favorevole non solo alla comunione ai risposati ma anche – in ipotesi – al divorzio, grazie ai poteri del papa di "legare e sciogliere" ogni cosa sulla terra:

> African Archbishop Lays Down "Daring" Challenge for Synod on the Family

Va aggiunto che sono attestati su posizioni intransigenti anche i vescovi dell'Europa orientale, con in prima fila i polacchi:

> Konferencji Episkopatu Polski. Komunikat

> In English

Così come i quattro padri sinodali eletti dalla conferenza episcopale degli Stati Uniti: Joseph Kurtz, Charles Chaput, Daniel DiNardo, José H. Gómez.

Il più "moderato" dei quattro, Kurtz, non ha mancato nemmeno lui di rimarcare – sulla scia del cardinale Müller – che "è molto importante che non vi sia nessuno stacco tra il modo in cui preghiamo e crediamo e il modo in cui provvediamo la cura pastorale. C’è una giusta preoccupazione che rimaniamo fedeli al vero magistero della Chiesa, e questa è l’attitudine che adotterò nel sinodo":

> On Synod, Archbishop Kurtz Calls for Unity Between Catholic Beliefs and Pastoral Practice

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FEDE E CULTURA DI FRONTE AL MATRIMONIO

di Carlo Caffarra



Credo necessario fare una chiarificazione dei termini, così da poter indicare con rigore concettuale qual è esattamente il tema della mia riflessione.

Fede: intendo la "fides quae" circa il matrimonio. È sinonimo di “Vangelo del matrimonio” sia nel senso oggettivo: ciò che il Vangelo propone circa il matrimonio; sia nel senso soggettivo: il Vangelo, la buona notizia che è il matrimonio. È da sottolineare che non rifletterò sulla dottrina di fede circa il matrimonio considerata in sé per sé, ma in quanto è comunicata in un preciso ambito culturale, quello occidentale. In breve: rifletterò sulla comunicazione della proposta cristiana circa il matrimonio dentro alla cultura occidentale.

E passo al secondo termine: cultura. Con esso intendo la visione condivisa del matrimonio oggi in Occidente. Per visione intendo il modo di pensare il matrimonio, che soprattutto si esprime negli ordinamenti giuridici degli Stati e nelle dichiarazione degli organismi internazionali.

Ed entro in argomento, scandendo la mia riflessione in tre tempi.

Nel primo cercherò di disegnare uno schizzo della condizione culturale in cui oggi versa il matrimonio in Occidente.

Nel secondo cercherò di individuare i problemi fondamentali che questa condizione culturale pone alla proposta cristiana riguardante il matrimonio.

Nel terzo indicherò alcune modalità fondamentali con cui il Vangelo del matrimonio oggi deve proporsi.


1. Condizione del matrimonio


"Rari nantes in gurgite vasto". Il famoso verso di Virgilio fotografa perfettamente la condizione del matrimonio in Occidente. L’edificio del matrimonio non è stato distrutto; è stato decostruito, smontato prezzo per pezzo. Alla fine abbiamo tutti i pezzi, ma non c’è più l’edificio.

Esistono ancora tutte le categorie che costituiscono l’istituzione matrimoniale: coniugalità; paternità-maternità; filiazione-fraternità. Ma esse non hanno più un significato univoco.

Perché e come è potuta accadere questa decostruzione? Cominciando a scendere in profondità, constatiamo che è in opera una istituzionalizzazione del matrimonio che prescinde dalla determinazione biosessuale della persona. Diventa sempre più pensabile il matrimonio separandolo totalmente dalla sessualità propria di ciascuno dei due coniugi. Questa separazione è giunta perfino a coinvolgere anche la categoria della paternità-maternità.

La conseguenza più importante di questa debiologizzazione del matrimonio è la sua riduzione a mera emozione privata, senza una rilevanza pubblica fondamentale.

Il processo che ha portato alla separazione dell’istituto matrimoniale dall’identità sessuale dei coniugi, è stato lungo e complesso.


- Il primo momento è costituito dal modo di pensare il rapporto della persona col proprio corpo, un tema che ha sempre accompagnato il pensiero cristiano. Mi sia consentito ci descrivere come sono andate le cose attraverso una metafora.

Ci sono dei cibi che ingeriti possono essere metabolizzati senza creare problemi né immediati, né remoti; né causano indigestioni, né aumentano il colesterolo. Ci sono cibi che ingeriti sono di difficile digestione. Ci so no infine cibi che per l’organismo sono dannosi, anche a lungo termine.

Il pensiero cristiano ha ingerito la visione platonica e neoplatonica dell’uomo, ed una tale decisione ha creato gravi problemi di “metabolismo”. Come amavano esprimersi i teologi medievali, il vino della fede rischiava di trasformarsi nell’acqua di Platone, anziché l’acqua di Platone nel vino della fede.

Agostino vide molto chiaramente e profondamente che la difficoltà stava nella "humanitas-humilitas Verbi", nel suo essersi fatto carne, corpo.

La difficoltà propriamente teologica non poteva non divenire anche difficoltà antropologica riguardante precisamente i l rapporto persona-corpo. La grande tesi di san Tommaso che affermava l’unità sostanziale della persona non è risultata vincente.


- Secondo momento. La separazione del corpo dalla persona trova un nuovo impulso nella metodologia propria della scienza moderna, la quale bandisce dal suo oggetto di studio ogni riferimento alla soggettività, in quanto grandezza non misurabile. Il percorso della separazione del corpo dalla persona può dirsi sostanzialmente concluso: la riduzione, la trasformazione del corpo in puro oggetto.

Da una parte il dato biologico viene progressivamente espulso dalla definizione di matrimonio, dall’altra, e di conseguenza in ordine alla definizione di matrimonio, le categorie di una soggettività ridotta a pura emotività diventano centrali.

Mi fermo un poco su questo. Prima della svolta debiologizzante, in sostanza il “genoma” del matrimonio e famiglia era costituito dalla relazione fra due relazioni: la relazione di reciprocità (la coniugalità) e la relazione intergenerazionale (la genitorialità). Tutte e tre le relazioni erano intrapersonali: erano pensate come relazioni radicate nella persona. Esse non si riducevano certamente al dato biologico, ma il dato biologico veniva assunto ed integrato dentro la totalità della persona. Il corpo è un corpo-persona e la persona è una persona-corpo.

Ora la coniugalità può essere sia etero che omosessuale; la genitorialità può essere ottenuta da un procedimento tecnico. Come giustamente ha dimostrato Pier Paolo Donati, stiamo assistendo non ad un cambiamento morfologico, ma ad un cambiamento del genoma della famiglia e del matrimonio.


2. Problemi posti al Vangelo del matrimonio


In questo secondo punto vorrei individuare i problemi fondamentali che questa condizione culturale pone alla proposta cristiana del matrimonio.

Penso che non si tratti in primo luogo di un problema etico, di condotte umane. La condizione in cui versa oggi il matrimonio e la famiglia non può essere affrontata in primo luogo con esortazioni morali. È una questione radicalmente antropologica quella che viene posta all’annuncio del Vangelo del matrimonio. Vorrei ora precisare in che senso.


- La prima dimensione della questione antropologica è la seguente. È noto che secondo la dottrina cattolica il matrimonio sacramento coincide col matrimonio naturale . La coincidenza fra i due penso che non si possa più oggi mettere teologicamente in dubbio, anche se con e dopo Duns Scoto – il primo a negarla – si è lungamente discusso nella Chiesa latina al riguardo.

Ora ciò che la Chiesa intendeva ed intende per “matrimonio naturale” è stato demolito nella cultura contemporanea. È stata tolta la “materia”, mi sia consentito dire, al sacramento del matrimonio.

Giustamente teologi, canonisti, e pastori si stanno interrogando sul rapporto fede-sacramento del matrimonio. Ma esiste un problema più radicale. Chi chiede di sposarsi sacramentalmente, è capace di sposarsi naturalmente? Oppure: non la sua fede, ma la sua umanità è così devastata da non essere più in grado di sposarsi? Sono certamente da tenere presenti i canoni 1096 ("È necessario che i contraenti non ignorino che il matrimonio è la comunità permanente tra l'uomo e la donna, ordinata alla procreazione") e 1099. Tuttavia la "praesumptio iuris" del § 2 del canone 1096 ("Tale ignoranza non si presume dopo la pubertà") non deve essere un’occasione di disimpegno nei confronti della condizione spirituale in cui molti versano in ordine al matrimonio naturale.


- La questione antropologica ha una seconda dimensione. Essa consiste nell’incapacità di percepire la verità e quindi la preziosità della sessualità umana. Mi sembra che Agostino abbia descritto nel modo più preciso questa condizione: "Sommerso ed accecato come ero, non ero capace di pensare alla luce della verità e ad una bellezza che meritasse di essere amata per se stessa che non fosse visibile agli occhi della carne, ma nell’interiorità" (Confessioni VI 16, 26).

La Chiesa deve chiedersi perché ha di fatto ignorato il magistero di san Giovanni Paolo II sulla sessualità e l’amore umano. Dobbiamo chiederci anche: la Chiesa possiede una grande scuola in cui impara la profonda verità del corpo-persona: la liturgia. Come e perché non ha saputo farne tesoro anche in ordine alla domanda antropologica di cui stiamo parlando? Fino a che punto la Chiesa ha coscienza del fatto che la teoria del "gender" è un vero tsunami, che non ha di mira principalmente il comportamento degli individui, ma la distruzione totale del matrimonio e della famiglia?

In sintesi: il secondo problema fondamentale che si pone oggi alla proposta cristiana del matrimonio è la ricostruzione di una teologia e filosofia del corpo e della sessualità, che generino un nuovo impegno educativo in tutta la Chiesa.


- La questione antropologica posta dalla condizione in cui versa il matrimonio alla proposta cristiana dello stesso ha una terza dimensione: la più grave.

Il collasso della ragione nella sua tensione verso la verità di cui parla l'enciclica "Fides et ratio" (81-83) ha trascinato con sé anche la volontà e la libertà della persona. L’impoverimento della ragione ha generato l’impoverimento della libertà. In conseguenza del fatto che disperiamo della nostra capacità di conoscere una verità totale e definitiva, noi abbiamo difficoltà a credere che la persona umana possa realmente donare se stessa in modo totale e definitivo, e ricevere l’autodonazione totale e definitiva di un altro.

L’annuncio del Vangelo del matrimonio ha a che fare con una persona la cui volontà e libertà è privata dalla sua consistenza ontologica. Nasce da questa inconsistenza l’incapacità oggi della persona di pensare l’indissolubilità del matrimonio se non in termini di una legge "exterius data": una grandezza inversamente proporzionale alla grandezza della libertà. È questa una questione molto seria anche nella Chiesa.

Il passaggio negli ordinamenti giuridici civili dal divorzio per colpa al divorzio per consenso, istituzionalizza la condizione in cui oggi versa la persona nell’esercizio della sua libertà.


- Con quest'ultima constatazione siamo entrati nella quarta ed ultima dimensione della questione antropologica posta all’annuncio del Vangelo del matrimonio: la logica interna propria de gli ordinamenti giuridici degli Stati riguardo a matrimonio e famiglia. Non tanto il "quid juris", ma il "quid jus", direbbe Kant. Sulla questione in generale, Benedetto XVI ha espresso il magistero della Chiesa in uno dei suoi discorsi fondamentali, quello tenuto davanti al parlamento della repubblica federale tedesca a Berlino il 22 settembre 2011.

Gli ordinamenti giuridici sono andati progressivamente sradicando il diritto di famiglia dalla natura della persona umana. È una sorta di tirannia dell’artificialità che si va imponendo, riducendo la legittimità alla procedura.

Ho parlato di “tirannia dell’artificialità”. Prendiamo il caso del la attribuzione della coniugalità alla convivenza omosessuale. Mentre gli ordinamenti giuridici, fino ad ora, partendo dal presupposto della naturale capacità di contrarre matrimonio fra uomo e donna, si limitavano a determinare gli impedimenti all’esercizio di questa naturale capacità o la forma in cui doveva esercitarsi, le leggi attuali di equiparazione si attribuiscono l’autorità di creare la capacità di esercitare il diritto di sposarsi. La legge si arroga l’autorità di rendere artificialmente possibile ciò che naturalmente non lo è.

Sarebbe un grave errore il pensare – e agire di conseguenza – che il matrimonio civile non interessi il Vangelo del matrimonio, al quale interesserebbe solo il sacramento del matrimonio. Abbandonare il matrimonio civile alle derive delle società liberali.


3. Modalità dell’annuncio 


Vorrei ora in questo terzo ed ultimo punto indicare alcune modalità in cui la proposta cristiana del matrimonio non deve essere fatta, ed alcune modalità in cui può essere fatta.

Vi sono tre modalità che vanno evitate.

La modalità tradizionalista, la quale confonde una particolare forma di essere famiglia con la famiglia ed il matrimonio come tale.

La modalità catacombale, la quale sceglie di ritornare o rimanere nelle catacombe. Concretamente: bastano le virtù “private degli sposi”; è meglio lasciare che il matrimonio, dal punto di vista istituzionale, sia definito da ciò che la società liberale decide.

La modalità buonista, la quale ritiene che la cultura di cui ho parlato sopra sia un processo storico inarrestabile. Propone di venire, quindi, a compromessi con ess o, salvando ciò che in esso sembra essere riconoscibile come buono.

Non ho ora il tempo per riflettere più a lungo su ciascuna di queste tre modalità, e passo quindi all’indicazione di alcune modalità positive.

Parto da una constatazione. La ricostruzione della visione cristiana del matrimonio nella coscienza dei singoli e nella cultura dell’Occidente è da pensarsi come un processo lungo e difficile. Quando una pandemia si abbatte su un popolo, la prima urgenza è sicuramente curare chi è stato colpito, ma è anche necessario eliminare le cause.

La prima necessità è la riscoperta delle evidenze originarie riguardanti il matrimonio e la famiglia. Togliere dagli occhi del cuore la cataratta delle ideologie, le quali ci impediscono di vedere la realtà. È la pedagogia socratico-agostiniana del maestro interiore, non semplicemente del consenso. Cioè: recuperare quel “conosci te stesso” che ha accompagnato il cammino spirituale dell’Occidente.

Le evidenze originarie sono inscritte nella stessa natura della persona umana. La verità del matrimonio non è una "lex exterius data", ma una "veritas indita".

La seconda necessità è la riscoperta della coincidenza del matrimonio naturale col matrimonio-sacramento. La separazione fra i due finisce da una parte col pensare la sacramentalità come qualcosa di aggiunto, di estrinseco, e dall’altra parte rischia di abbandonare l’istituto matrimoniale a quella tirannia dell’artificiale di cui parlavo.

La terza necessità è la ripresa della “teologia del corpo” presente nel magistero di san Giovanni Paolo II. Il pedagogo cristiano si trova oggi ad aver bisogno di un lavoro teologico e filosofico che non può più essere rimandato, o limitato ad una particolare istituzione.

Come vedete si tratta di prendere sul serio quella superiorità del tempo sullo spazio di cui parla la "Evangelii gaudium" (222-225). Ho indicato tre processi più che tre interventi di urgenza.

Sono anch’io, alla fine, del parere di George Weigel che alla base delle discussioni del sinodo è il rapporto che la Chiesa vuole avere con la postmodernità, nella quale i relitti della decostruzione del matrimonio sono la realtà più drammatica ed inequivocabile.

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Nel citare George Weigel, il cardinale Caffarra si è riferito in particolare al seguente saggio, pubblicato lo scorso gennaio su "First Things":

> Between Two Synods. An Analysis of the Challenge of This Particular Catholic Moment

> Traduzione italiana

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Alcuni estratti di "Dieu ou rien" del cardinale Robert Sarah sui temi in discussione nel sinodo, tradotti e pubblicati su "Il Foglio" del 13 marzo 2015:

> Diavolo d'un Occidente


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Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

17.3.2015
> Diario Vaticano / Il passo doppio del papa argentino
Perfettamente aderente alla tradizione quando parla di aborto, divorzio, omosessualità. Ma anche aperto a cambiamenti nella dottrina e nella prassi. Un'antologia che accresce il mistero




Caterina63
00giovedì 19 marzo 2015 14:52

 Un sacerdote risponde

Fra i dispiaceri che fanno parte della nostra vita di sacerdoti vi è l’incomprensione (che poi degenera nel disprezzo, nella calunnia ecc) e ora anche la figura di Papa Francesco diventa pretesto per accusarci

Quesito

Sono un parroco di un piccolo paese.
Fra i dispiaceri che fanno parte della nostra vita di sacerdoti vi è l’incomprensione (che poi degenera nel disprezzo, nella calunnia ecc) a causa di alcuni “No” che in coscienza si devono devo dare. 
Mi riferisco alla solita questione dei sacramenti agli irregolari. Questo diventa a volta drammatico e fonte di discussioni e di litigi in occasione della celebrazione della prima Comunione, dove alcuni genitori divorziati risposati, sposati civilmente, ecc. “pretendono” di ricevere a loro volta la comunione in quel giorno, perché si sentono discriminati rispetto agli altri. La comunione forse non sanno che sia, non ci credono neppure,  e in altre situazioni non avrebbe nessuna attrattiva per loro, ma in quel caso diventa una “rivendicazione” e una fonte di litigi e incomprensioni a non finire. 
Chiaro che tu lo spieghi in bei modi, motivi il perché del tuo ‘no’... Tutto inutile. Ora ci si mette pure papa Francesco che predica “apertura” “disponibilità” “accoglienza” a questi fratelli (quanto mai è stato il contrario?) … ma non chiarisce che non è in potere di nessun uomo, fosse anche papa, cambiare la volontà di Cristo nel vangelo  che a riguardo dell’indissolubilità del matrimonio è netta e non ammette dubbi. Il fatto che, certa gente ti sbatta sul muso “Papa Francesco” così grande, così aperto, così innovativo e non come te: “chiuso, ottuso, retrogrado, incapace” è stato avvertito da altre confratelli, in confessionale e non. E’ un equivoco, è chiaro, ma farne le spese siamo noi parroci che quotidianamente dobbiamo affrontare e sostenere queste situazioni che ci portano a dire dei sofferti ‘no’ controcorrente in nome della verità e della fedeltà al Signore. Forse sarebbe bene che qualcuno lo facesse sapere al papa di questo disagio di noi parroci e di questi equivoci che si stanno creando, e forse lui stesso dica una parola chiarificatrice. 
Mi aiuti padre, sono davvero stanco e avvilito. Ho pensato talvolta, per evitare questo spiacevole inconveniente, in quel giorno, di dare la comunione solo ai bambini e a nessun altro (“Muoia Sansone e tutti i filistei”) ma non so se è la soluzione migliore…. Grazie saluti. 
Don  P.


Risposta del sacerdote

Caro don P.,
1. comprendo bene l’amarezza di tanti sacerdoti che oltre alla sofferenza per molti che si allontanano dalla casa del Signore ne ricevono anche il disprezzo, come se da loro dovessero imparare a fare il sacerdote, a fare il parroco.
E in maniera molto sommaria accusano di non essere conformi all’insegnamento e al comportamento di Papa Francesco, che è aperto, va incontro alla gente, ecc…
La tua non è un’esperienza isolata, ma abbastanza comune.

2. Che dire di questa situazione?
Benedetto XVI, prima di lasciare il governo della Chiesa e salutando i parroci di Roma, aveva fatto un grande discorso, che valeva un’enciclica. Aveva distinto tra Concilio reale e Concilio virtuale.
Il Concilio reale è quello che è stato celebrato ed è quello il cui spirito trasuda dai testi emanati e che sono a disposizione di tutti.
Il Concilio virtuale è quello fatto dai media, che hanno imposto un’altra immagine del Concilio, un’altra dottrina e un altro magistero che non corrispondono al Concilio reale. Ma alla fine, proprio per la potenza dei media, si è imposto il Concilio virtuale su quello reale.
Mi pare che si possa dire più o meno la stessa cosa tra il papa Francesco vero e il papa Francesco virtuale e che di fatto presso la gente, soprattutto presso i più fragili e più lontani che dell’insegnamento di Papa Francesco non ne ascoltano e non ne mettono in pratica una parola (l’unica cosa che sanno dire è questa: “è il papa che dice buona sera, buon pranzo!”), si sia imposto papa Francesco virtuale.

3. Ma Papa Francesco diverse volte ha detto che anche lui “è figlio della Chiesa” e cioè che è obbediente al deposito della fede e al Magistero della Chiesa, a quel deposito che ha ricevuto perché lo custodisca e lo trasmetta intatto.
Quando gli è capitato, ha avuto occasione di dire che la dottrina della Chiesa non muta.
Su questo punto non dobbiamo avere alcun timore per un duplice motivo: primo, perché ha manifestato pubblicamente questa sua volontà.
Secondo, perché siamo certi che Colui che ha detto “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli…. insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,19-20) continuerà ad assistere la sua Chiesa anche nel suo Magistero perché trasmetta in maniera fedele agli uomini le verità che Egli ci ha insegnato e ci ha comandato di osservare.
È interessante quell’insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato, perché qui il Signore in maniera molto chiara fa riferimento non solo alle verità di fede, ma anche alle verità di morale, che sono le vie che di fatto e concretamente ci conducono a Lui, al cielo.

4. Nel frattempo ci stiamo abituando a conoscere Papa Francesco, che nel suo modo di presentarsi, di parlare e di agire è certamente diverso dai suoi predecessori.
Anche i suoi predecessori avevano ognuno una personalità e un carisma proprio. 
Certamente erano marcatamente diversi l’uno dall’altro.
Ma rimanevano tutti entro un certo stile o filone al quale eravamo assuefatti e che inconsapevolmente eravamo portati a identificare con l’essere Papa.
Papa Francesco è al di fuori di questo stile e col suo comportamento, con i fatti più ancora che con le parole, distingue bene ciò che è Magistero e ciò che è connotazione personale.

5. Di papa Francesco è evidente il fervore evangelico e l’ansia di andare a ricuperare le molte pecore perdute.
Vuole che tutti gli uomini – soprattutto i più lontani - non si sentano respinti da Dio, che si è incarnato proprio per accoglierli, per curarne le ferite e portarli alla comunione con Sé.
Conseguentemente vuole che non si sentano respinti neanche dalla Chiesa, che è il prolungamento di Cristo, della sua opera evangelizzatrice e della sua misericordia.
Questo tutti l’hanno capito e di questo tutti siamo contenti.

6. Rimane il problema pastorale degli irregolari, acuito dal “Papa Francesco virtuale”, e cioè da quello presentato dai media, come il papa che dice di dare la Comunione a tutti quelli che la chiedono, anche se come dici tu, “la comunione forse non sanno che sia, non ci credono neppure,  e in altre situazioni non avrebbe nessuna attrattiva per loro, ma in quel caso diventa una “rivendicazione” e una fonte di litigi e incomprensioni a non finire”.
Mi dici che sei tentato da un’opzione radicale, ma della quale avverti subito che forse che non è la strada giusta: dare la Comunione solo ai bambini e non agli adulti.

7. Secondo me sarebbe necessario percorrere una duplice strada.
La prima è a livello catechetico: non tanto in riferimento ai bambini (di cui si presuppone o si spera che abbiano imparato la dottrina), quanto piuttosto per gli adulti, per i genitori e i parenti dei bambini della prima Comunione.
In genere tutti i parroci si preoccupano di fare almeno un incontro con loro per prendere accordi per tanti problemi pratici relativi alla festa.
Bisognerebbe cogliere l’occasione per far capire ai genitori di che cosa si tratta, partendo dai primi due requisiti che il Catechismo indica per poter fare bene la Santa Comunione.

8. Il primo di questi requisiti consiste nell’essere in grazia di Dio.
Molti genitori “irregolari” che rivendicano di poter fare la Santa Comunione almeno in quel giorno non sanno che cosa sia la grazia.
Allora è necessario spiegare che cosa è la grazia santificante e che per godere della presenza della grazia è necessario osservare i comandamenti del Signore secondo le parole di Gesù: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama” (Gv 14,23).
E che prima di mangiare di quel “Pane” è necessario esaminare se stessi secondo le parole della Sacra Scrittura: “Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti” (1 Cor 11,27-30).
Credo che sia necessario avere il coraggio di ripetere anche queste parole di San Paolo: non per privarli di qualcosa, ma per premunirli, per il loro bene.

9. Il secondo di questi requisiti è il seguente: “sapere e pensare chi si va a ricevere”.
Si richiede pertanto di vivere bene la Comunione col Signore, di stare insieme con Lui nel raccoglimento e nella preghiera.
In particolare si richiede di ringraziare il Signore per il grande dono che ci fa per mezzo della Santa Comunione e dell’occasione privilegiata di domandare grazie per sé, per i propri cari vivi o defunti, per la Chiesa, per il mondo intero.

10. La seconda strada da percorrere è a livello pratico.
Se una volta si poteva dire ai bambini della prima Comunione che il più bel regalo che i genitori avrebbero potuto fare loro in quella  circostanza sarebbe stata la Santa Comunione (e per molti genitori era un’occasione opportuna per riavvicinarsi alla confessione e alla Comunione), adesso, a motivo dello stragrande numero di irregolari, questo invito non si può e non si deve fare.
In riferimento a questo in alcune parrocchie si era presa l’abitudine di comunicare prima il figlio e subito dopo i genitori che gli stavano accanto (o dietro) e poi passare al successivo bambino.
Questa prassi di fatto metteva in risalto chi non poteva fare la Comunione. Anzi, che era necessario “saltarlo”.
E così agli occhi altrui - in riferimento ai bambini - emergeva quella che poteva sembrare una discriminazione e un’offesa o dispiacere recato ai bambini proprio in quel giorno indimenticabile.
Ricordo invece che quando io ho fatto la prima Comunione i bambini stavano davanti in semicerchio e i genitori stavano confusi tra la gente. Nessuno poteva verificare se l’uno o l’altro si accostava al Sacramento e così la possibile e odiosa discriminazione era del tutto neutralizzata.

11. Ecco, caro don P., quello che mi sono sentito di suggerire.
Come vedi, aveva ragione San Paolo a dire: “noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28).
Tutto è disposto dal Signore sempre per il meglio.
Ti assicuro la mia preghiera perché il Signore ti sostenga nelle fatiche, nelle delusioni, nelle incomprensioni e nella mancanza di sostegni umani.

Ti auguro ogni bene e un fruttuoso lavoro nella vigna del Signore.
Padre Angelo


 


Comunicato della Conferenza Episcopale dei vescovi polacchi sulla comunione ai divorziati "risposati"

 
Riprendiamo da Toronto Catholic witness [qui] by Rorate Caeli.
In relazione all'articolo precedente sull'eco internazionale delle dichiarazioni dei Cardinale Burke e Tagle in Inghilterra, registriamo anche le posizioni pubbliche di distanza formale dalla tesi sinodale del Card. Kasper da parte dei Vescovi polacchi. 
I fronti si vanno delineando. Non dimentichiamo che la problematica del matrimonio e della famiglia non è l'unica questione in discussione, ma è quella attorno alla quale e dalla quale sono stati lanciati segnali rivoluzionari di portata ben più ampia e generale.
Aggiungo alle informazioni che ricaviamo dal testo tradotto che la plenaria dei vescovi polacchi tocca la questione di cui stiamo parlando al punto 3. mentre negli altri punti esamina anche svariati problemi non solo di etica (eutanasia, fecondazione in vitro, aborto) ma anche la persecuzione dei cristiani in tante parti del mondo, la situazione al loro confine orientale (l'Ucraina), le migliaia di sacerdoti polacchi vittime a Dachau, verso cui preparano un Pellegrinaggio in occasione dei 70 anni dalla liberazione del campo. (M.G.)


I Vescovi della Conferenza Episcopale polacca nella riunione plenaria annuale (368) hanno respinto formalmente la "proposta-Kasper" di dare la comunione ai cattolici sposati sacramentalmente, che vivono seconde "unioni" illecite e peccaminose.
Nell'affermare formalmente la loro posizione, i Vescovi polacchi rifiutano totalmente il Partito in favore dell'adulterio di cui alla scandalosa ed eretica relatio di medio-termine dello scorso ottobre 2014, e si pongono dalla parte di Nostro Signore Gesù Cristo e della sua dottrina della indissolubilità del santo matrimonio.

In tal modo, i Vescovi rimangono fedeli alla Familiaris Consortio che si limita a ribadire l'immutata e immutabile verità sul matrimonio cristiano che nessun uomo, anche se si tratti del Papa può cambiare. San Giovanni Paolo II ha ribadito in un discorso alla Rota Romana[cito per esteso in nota 1 per comodità di chi legge] che nessun Papa ha l'autorità di modificare la dottrina della Chiesa. Il Papa è il Pastore universale, tenuto solennemente sotto pena di peccato grave a sostenere gli insegnamenti dell'Unico Cristo e dell'unica Chiesa.

Dal Comunicato della Conferenza episcopale polacca [qui]: 
[...] 3. In vista del prossimo Sinodo straordinario dei vescovi a Roma, i vescovi si sono assunti l'impegno di una riflessione sul matrimonio e sulla famiglia. Questa riflessione ha dimostrato l'importanza della famiglia dal punto di vista delle questioni filosofiche, teologiche e giuridiche.
Una volta l'imprescindibile importanza del sacramento del matrimonio e della famiglia era collegata alla crescita della vita cristiana nella Chiesa.
Essi hanno sottolineato la necessità di promuovere la pastorale delle famiglie, per rafforzare i fedeli nella comprensione e nell'attuazione del matrimonio sacramentale, inteso come unione sacra e indissolubile tra un uomo e una donna.
L'insegnamento e la tradizione della Chiesa dimostra che le persone che vivono in unione non-sacramentale si privano della possibilità di ricevere la Santa Comunione.
A chi vive in tali unioni deve essere garantita la cura pastorale perché possano essere in grado di mantenere la fede e rimanere nella comunità della Chiesa. La cura pastorale per le persone che vivono unioni non-sacramentali dovrebbe tener conto anche dei bambini, che hanno il diritto di partecipare pienamente alla vita e alla missione della Chiesa. [...]
[Traduzione di Chiesa e post-concilio] 
_____________________________
1. Giovanni Paolo II, Discorso alla Rota Romana, 21 gennaio 2000, in AAS, 92 (2000), pp. 350-355 
[...] Tuttavia, va diffondendosi l’idea secondo cui la potestà del Romano Pontefice, essendo vicaria della potestà divina di Cristo, non sarebbe una di quelle potestà umane alle quali si riferiscono i citati canoni [1099 - 1057], e quindi potrebbe forse estendersi in alcuni casi anche allo scioglimento dei matrimoni rati e consumati. Di fronte ai dubbi e turbamenti d’animo che ne potrebbero emergere, è necessario riaffermare che il matrimonio sacramentale rato e consumato non può mai essere sciolto, neppure dalla potestà del Romano Pontefice. L’affermazione opposta implicherebbe la tesi che non esiste alcun matrimonio assolutamente indissolubile, il che sarebbe contrario al senso in cui la Chiesa ha insegnato ed insegna l’indissolubilità del vincolo matrimoniale.

7. Questa dottrina, della non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni rati e consumati, è stata proposta molte volte dai miei Predecessori [Cfr. ad esempio, Pio IX, Lett. Verbis exprimere, 15 agosto 1859: Insegnamenti Pontifici, Ed. Paoline, Roma 1957, vol. I, n. 103; Leone XIII, Lett. Enc. Arcanum, 10 febbraio 1880: ASS 12 [1879-1880], 400; Pio XI, Lett. Enc. Casti connubii, 31 dicembre 1930: AAS 22 [1930], 552; Pio XII, Allocuzione agli sposi novelli, 22 aprile 1942: Discorsi e Radiomessaggi di S.S. Pio XII, Ed. Vaticana, vol. IV, 47]. Vorrei citare, in particolare, un’affermazione di Pio XII: “Il matrimonio rato e consumato è per diritto divino indissolubile, in quanto che non può essere sciolto da nessuna autorità umana [Can. 1118]; mentre gli altri matrimoni, sebbene intrinsecamente siano indissolubili, non hanno però una indissolubilità estrinseca assoluta, ma, dati certi necessari presupposti, possono (si tratta, come è noto, di casi relativamente ben rari) essere sciolti, oltre che in forza del privilegio Paolino, dal Romano Pontefice in virtù della sua potestà ministeriale” [Allocuzione alla Rota Romana, 3 ottobre 1941: AAS 33 [1941], 424-425.]. 
Con queste parole Pio XII interpretava esplicitamente il canone 1118, corrispondente all’attuale canone 1141 del Codice di Diritto Canonico, e al canone 853 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, nel senso che l’espressione “potestà umana” include anche la potestà ministeriale o vicaria del Papa, e presentava questa dottrina come pacificamente tenuta da tutti gli esperti in materia. In questo contesto conviene citare anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, con la grande autorità dottrinale conferitagli dall’intervento dell’intero Episcopato nella sua redazione e dalla mia speciale approvazione. Vi si legge infatti: “Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che risulta dall’atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad un’alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione della sapienza divina” [N. 1640].

8. Il Romano Pontefice, infatti, ha la “sacra potestas” di insegnare la verità del Vangelo, amministrare i sacramenti e governare pastoralmente la Chiesa in nome e con l’autorità di Cristo, ma tale potestà non include in sé alcun potere sulla Legge divina naturale o positiva. Né la Scrittura né la Tradizione conoscono una facoltà del Romano Pontefice per lo scioglimento del matrimonio rato e consumato; anzi, la prassi costante della Chiesa dimostra la consapevolezza sicura della Tradizione che una tale potestà non esiste. Le forti espressioni dei Romani Pontefici sono soltanto l’eco fedele e l’interpretazione autentica della convinzione permanente della Chiesa.
Emerge quindi con chiarezza che la non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni sacramentali rati e consumati è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da tenersi definitivamente, anche se essa non è stata dichiarata in forma solenne mediante un atto definitorio. Tale dottrina infatti è stata esplicitamente proposta dai Romani Pontefici in termini categorici, in modo costante e in un arco di tempo sufficientemente lungo. Essa è stata fatta propria e insegnata da tutti i Vescovi in comunione con la Sede di Pietro nella consapevolezza che deve essere sempre mantenuta e accettata dai fedeli. 
In questo senso è stata riproposta dal Catechismo della Chiesa Cattolica. Si tratta d’altronde di una dottrina confermata dalla prassi plurisecolare della Chiesa, mantenuta con piena fedeltà e con eroismo, a volte anche di fronte a gravi pressioni dei potenti di questo mondo.
È altamente significativo l’atteggiamento dei Papi, i quali, anche nel tempo di una più chiara affermazione del primato Petrino, mostrano di essere sempre consapevoli del fatto che il loro Magistero è a totale servizio della Parola di Dio [474] e, in questo spirito, non si pongono al di sopra del dono del Signore, ma si impegnano soltanto a conservare e ad amministrare il bene affidato alla Chiesa.

9. Queste sono, illustri Prelati Uditori ed Officiali, le riflessioni, che, in materia di tanta importanza e gravità, mi premeva parteciparvi. Le affido alle vostre menti e ai vostri cuori, sicuro della vostra piena fedeltà e adesione alla Parola di Dio, interpretata dal Magistero della Chiesa, e alla legge canonica nella più genuina e completa interpretazione.


 

Caterina63
00giovedì 16 aprile 2015 12:02

  SINODO



 

«Un cambiamento della dottrina, è impensabile. Chi tuttavia lo fa consapevolmente è un eretico anche se indossa la porpora romana». Lo dice il cardinale Walter Brandmuller, in opposizione alle tesi di Kasper al Sinodo. Concetti ripetuti anche dal cardinale Muller, prefetto della Congregazione per la fede.

di Lorenzo Bertocchi


«È evidente che la pratica pastorale della Chiesa non può stare in opposizione alla dottrina vincolante, né semplicemente ignorarla. Allo stesso modo, un architetto potrebbe forse costruire un ponte più bello. Tuttavia, se non presta attenzione alle leggi di ingegneria strutturale, rischia il collasso della sua costruzione. Allo stesso modo, ogni pratica pastorale deve seguire la Parola di Dio, se non vuole fallire. Un cambiamento della dottrina, del dogma, è impensabile. Chi tuttavia lo fa consapevolmente, o lo richiede con insistenza, è un eretico - anche se indossa la porpora romana.”

Lunga intervista del cardinale Walter Brandmuller a Life Site news in cui esprime chiaramente il suo pensiero rispetto ai temi del Sinodo e non solo. Il cardinale è stato uno degli autori del testo “Permanere nelle verità di Cristo”, un libro che, come sappiamo, si oppone alle tesi del cardinale Kasper e non ha mancato di far discutere di sé. Ripetendo quanto sottolineato recentemente dal prefetto della Dottrina della Fede, Brandmuller ricorda che l'unico modo per i divorziati risposati di accedere alla comunione è quello di impegnarsi a «vivere come fratello e sorella». Una dottrina chiaramente espressa, tra l'altro, nell'enciclica Familiaris Consortio di San Giovanni Paolo II. «Se certe norme morali che sono state valide in generale, sempre e ovunque, non sono più riconosciute», dice Brandmuller, «accade che ognuno fa da sé la propria legge morale».
É lo spirito del relativismo che continua a farsi strada, come ha notato anche il cardinale Gerhard Muller nell'intervento tenuto lunedì alla Plenaria annuale della Pontificia Commissione biblica. Nel discorso di apertura dei lavori, il prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede ha ricordato che i promotori della «morale laica affermano che l’uomo, come essere razionale, non solo può, ma addirittura deve decidere liberamente il valore dei propri comportamenti». Per questo, ha detto Muller, «il presunto conflitto tra libertà e legge si ripropone oggi con singolare forza in rapporto alla legge naturale». 

Il problema ha radici molto profonde e, specialmente all'interno della Chiesa, riguarda la crisi di fede. «L'argomento peccato originale, con le sue conseguenze, la necessità di redenzione attraverso la sofferenza, la morte e la risurrezione di Cristo è stata ampiamente soppressa e dimenticata per molto tempo», dice Brandumuller a Lifesitenews. «Tuttavia, non si può capire il corso del mondo - e la propria vita - senza queste verità.
È inevitabile che ignorare queste verità essenziali porta alla cattiva condotta morale». Quello tra libertà e legge morale è lo snodo fondamentale della vivibilità delle nostre comunità civili. Basti pensare all'attacco planetario all'istituto del matrimonio, alle teorie del gender in rapporto all'educazione dei bambini, agli embrioni umani congelati come fossero cose qualsiasi, alle pratiche di aborto e eutanasia. Ma si potrebbe anche citare un modo di fare economia sempre più alienante e distante dalla concreta realtà produttiva. La vivibilità del nostro quotidiano è sempre più liquida e difficile.

Per questo il cardinale Muller ha puntualizzato che non è possibile mettere tra parentesi quantoproposto da Scrittura, Tradizione e Magistero, in quanto «ci dicono, invece, che la vocazione e la piena realizzazione dell’uomo non significano affatto il rifiuto della legge di Dio, ma la sua obbediente accoglienza».
É il riferimento a quell'istanza più alta che permette agli uomini di non sbandare dietro alle mode, o alle maggioranze, ma offre la possibilità di giudicare la realtà con la schiena diritta. Si tratta, in poche parole, del vero esercizio della libertà. «Per essere vera», ha concluso Muller, «la libertà ha bisogno di obbedire alla legge di Dio: questa è la sua più alta realizzazione». 





Sinodo. Una voce controcorrente dall'Argentina

Un giurista e padre di 14 figli demolisce le tesi del cardinale Kasper a favore della comunione ai divorziati risposati, non approvate dai padri sinodali ma già diventate pratica effettiva in molti luoghi 

di Sandro Magister




ROMA, 19 maggio 2015 – Era stato facile profeta il cardinale sudafricano Wilfrid Napier, quando durante il sinodo dello scorso ottobre disse che ormai "il messaggio è partito e tutto quello che possiamo fare è solo tentare di limitare i danni".

Il "messaggio" era quello lanciato dai fautori di cambiamenti della pratica pastorale in materia di omosessualità e divorzio.

Tali cambiamenti, infatti, se pur non hanno raccolto lo scorso ottobre l'approvazione dei padri sinodali né la raccoglieranno verosimilmente nella prossima sessione del sinodo, hanno comunque conquistato un risalto incancellabile nel circuito dei media.

Ma soprattutto hanno conquistato una cittadinanza di fatto nella Chiesa. Se ne è parlato e se ne parla anche ai gradi più alti della gerarchia. Sono diventati materia discussa e quindi discutibile. Tra i vescovi, tra il clero, tra i teologi molti già teorizzano e operano di conseguenza.

Uno di questi, Basilio Petrà, presidente dei teologi moralisti italiani e autore di riferimento de "La Civiltà Cattolica", ha messo nero su bianco che "le cose sono cambiate" da quando il cardinale Walter Kasper – con l'avallo del papa – si espresse nel concistoro del febbraio 2014 a favore della comunione ai divorziati risposati.

Da allora – ha scritto Petrà sull'importante rivista "Il Regno" – "il magistero ha di fatto collocato nell'area del dubbio" ciò che fino ad allora era un divieto indiscutibile.

Con la conseguenza che ora "un confessore può serenamente ritenere dubbia la norma esclusiva e quindi può assolvere e ammettere alla comunione i divorziati risposati", senza nemmeno aspettare il permesso del suo vescovo, che "non è necessario".

Vista questa deriva, dallo scorso ottobre in poi papa Francesco ha anche lui "tentato di limitare i danni", per dirla con il cardinale Napier.

Non ha più detto una sola parola a sostegno delle "aperture" reclamate dai novatori. 

Anzi, ha picchiato duro, con almeno quaranta interventi in meno di sette mesi, in difesa della dottrina e della prassi tradizionale della Chiesa cattolica in materia di aborto, divorzio, omosessualità, contraccezione:

> Diario Vaticano / Il passo doppio del papa argentino (17.3.2015)

> La porta chiusa di papa Francesco (11.5.2015)

Ma sui media questi interventi del papa hanno trovato pochissimo spazio. Ignorati e oscurati. Mentre nello stesso tempo i vescovi e il clero di Germania – ma non solo – continuano ad andare avanti imperterriti come se il via libera alla comunione ai divorziati risposati sia già un dato acquisito.

Nel testo che segue un giurista cattolico argentino analizza precisamente questo stato di cose a partire da ciò che l'ha innescato, la relazione del cardinale Kasper al concistoro del febbraio 2014, che sebbene non formalmente approvata dal sinodo dello scorso ottobre ha comunque ottenuto il risultato di diventare pratica effettiva, in molti luoghi.

L'autore del testo, José E. Durand Mendioroz, 59 anni, dell'arcidiocesi di Salta nel nordest dell'Argentina, di professione avvocato, insegna filosofia del diritto alla Universidad Católica dell'arcidiocesi (nella foto la basilica di San Francesco a Salta).

È padre di 14 figli. Da tre anni, con la moglie Inés e con la benedizione del suo arcivescovo Mario Antonio Cargnello anima a Salta un centro pro vita di aiuto alle donne tentate di abortire. È assessore per il nordest del dipartimento dei laici della conferenza episcopale argentina.

Il suo arcivescovo ha letto e apprezzato questa sua analisi, "come prova della libertà dei figli di Dio nel dibattito su questi temi".

Il brano qui riprodotto ne è una piccola parte. Il testo integrale apparirà tra pochi giorni in spagnolo e in inglese su "Catholic World Report", il magazine on line diretto da Carl E. Olson ed edito a San Francisco dalla Ignatius Press del gesuita Joseph Fessio:

> Catholic World Report


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KASPER E IL SINODO. IL PUNTO DI VISTA DI UN GIURISTA CATTOLICO

di José E. Durand Mendioroz



È facile constatare che la relazione finale dell'ultimo sinodo straordinario sulla famiglia ha dato generosa ospitalità alle tesi del cardinale Kasper.

Ecco il paragrafo 52:

“Si è riflettuto sulla possibilità che i divorziati e risposati accedano ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Diversi Padri sinodali hanno insistito a favore della disciplina attuale, in forza del rapporto costitutivo fra la partecipazione all’Eucaristia e la comunione con la Chiesa ed il suo insegnamento sul matrimonio indissolubile. Altri si sono espressi per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise, soprattutto quando si tratta di casi irreversibili e legati ad obblighi morali verso i figli che verrebbero a subire sofferenze ingiuste. L’eventuale accesso ai sacramenti dovrebbe essere preceduto da un cammino penitenziale sotto la responsabilità del vescovo diocesano....".

Questo testo si limita a constatare l'esistenza di due posizioni tra i padri sinodali riguardo alla materia in discussione.

La prima coincide con la disciplina "attuale" della Chiesa, che è costante e unanime nel magistero pontificio.

La seconda è precisamente quella promossa dal cardinale Kasper che, oltre che nuova, cerca di configurare e convalidare un'eccezione al principio stabilito dalla disciplina attuale. È corretto parlare di configurazione di un'eccezione al principio, visto che egli si schiera “per un’accoglienza non generalizzata alla mensa eucaristica, in alcune situazioni particolari ed a condizioni ben precise”.

Bisogna dire però che le caratteristiche speciali di queste situazioni non furono ben definite, né furono precisate le condizioni dalle quali dipenderebbero. Di certo non l'ha fatto Kasper, nonostante nel suo epilogo de "Il Vangelo della famiglia" si esprima così:

“Anche se una casistica non è possibile e nemmeno auspicabile, bisognerebbe dare ed annunciare pubblicamente i criteri vincolanti. Nel mio rapporto ho cercato di fare questo”.

Sta di fatto che le “condizioni ben precise” sono soltanto un'espressione di desiderio. Ecco perché attira la nostra attenzione il fatto che la "Relatio" accolga allo stesso livello – anche se al solo effetto di indicare le diverse posizioni entrate in conflitto nell'aula – sia la disciplina costante sia la proposta innovatrice, pur così scarsamente configurata.

In questi casi, sarebbe possibile sopprimere l'imputabilità e la responsabilità? 

Il paragrafo 52 della "Relatio" dice nella sua parte finale:

“… Va ancora approfondita la questione, tenendo ben presente la distinzione tra situazione oggettiva di peccato e circostanze attenuanti, dato che 'l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate' da diversi 'fattori psichici oppure sociali' (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1735)".

Sarebbe possibile far "scomparire" l'imputabilità di chi si trova nella situazione oggettiva di peccato di adulterio, in base a questa considerazione del Catechismo?

La risposta del Catechismo non lascia spazio ad alcun dubbio: “Ogni atto voluto direttamente è da imputarsi a chi lo compie” (Catechismo, n. 1736). E la lettura del testo completo del n. 1735 ci fa capire ancor meglio il rapporto tra questo basilare principio morale e le situazioni attenuanti ed esimenti:

“L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali”.

Senza voler fare un'esegesi esaustiva, si può vedere che qui si prospetta un arco di possibilità, che vanno da una lieve diminuzione della responsabilità fino alla sua totale soppressione.

Ciò dipenderà, in ogni caso particolare, da quanto vi è coinvolto il libero arbitrio di chi agisce. Sicuramente a questo riguardo l'ignoranza (che ammette a sua volta diversi gradi) è un fattore fondamentale da tenere in considerazione.

La responsabilità, quindi, può diminuire quando i fattori di condotta (abitudini, affetti disordinati), psichici o sociali causano una insufficiente comprensione dell'azione che si compie e/o limitano in diversa misura la libertà. Ma soltanto in caso di perdita totale della comprensione dell'azione e/o della libertà si verificherebbe la soppressione dell'imputabilità e perciò anche della responsabilità di chi agisce.

Allora, perché i divorziati risposati in una seconda unione adultera possano non essere imputabili, bisognerebbe che siano totalmente ignari di quanto stanno facendo oppure che permangano nella loro situazione in uno stato di totale annullamento della loro libertà.

Quanto detto mette in evidenza l'inutilità di approfondire il ragionamento, dato che per definizione la "via per pochi" che Kasper propone ha bisogno di un accostamento pastorale ravvicinato di ogni singola persona (“trattare ogni caso particolare con discrezione, discernimento spirituale, saggezza e buon senso pastorale”) perché arrivi infine alla “conversione” dopo un impegnativo cammino penitenziale. In questo contesto, come potrebbe un battezzato sollevare la pretesa di una ignoranza e mancanza di libertà tali da sopprimere la sua imputabilità e la sua responsabilità riguardo al peccato di adulterio?

“Ogni atto voluto direttamente è da imputarsi a chi lo compie”. Per questo, la Chiesa è materna con il fratello che, persistendo il vincolo sacramentale, si trova in situazione di seconde nozze civili, e lo accompagna da vicino e in modo fraterno e lo affida alla misericordia di Dio assumendo la realtà che a questa situazione si arriva non di raro in contesti molto difficili, in circostanze particolarissime, in cui è possibile che si configurino attenuanti alla sua piena responsabilità. Paradossalmente sarebbe meglio per qualcuno rimanere nell'ignoranza, piuttosto che ricevere un accompagnamento pastorale ravvicinato, che gli dia una chiara consapevolezza della gravità del suo peccato ma gli faccia anche pensare di essere esonerato da ogni "ritorno a prima" e nello stesso tempo gli faccia credere di essere in piena comunione con Cristo. […]


OBIETTIVI DI MINIMA E DI MASSIMA?


Dinanzi a una tradizione bimillenaria circa l'impossibilità di concedere la comunione sacramentale ai fratelli in situazione di adulterio, per la prima volta in molti secoli una posizione divergente è stata resa pubblica, denominandola pastorale della tolleranza, della clemenza e dell'indulgenza.

La "Relatio" sinodale ha confermato, con aria di neutralità, che ambedue le posizioni hanno trovato posto nell'aula del sinodo, senza una chiara definizione dell'una o dell'altra, il che da un punto di vista della comunicazione può essere facilmente interpretato come l'esistenza oggi nella Chiesa di due posizioni attendibili e di uguale importanza nella materia.

L'autore di "Il Vangelo della famiglia" è il campione della pastorale della tolleranza. E possono leggersi nell'opera del cardinale Kasper espressioni che denotano, riguardo la causa da lui intrapresa, l'aspettativa di obiettivi di massima e di minima.

L'“annuncio pubblico” di “criteri vincolanti” sarebbe l'obiettivo di massima:

“Anche se una casistica non è possibile e neppure auspicabile, dovrebbero valere ed essere pubblicamente dichiarati dei criteri vincolanti. Nella mia relazione ho cercato di farlo”.

Kasper non fa riferimento né alla forma canonica dell'annuncio ne all'autorità che lo renderebbe pubblico, ma non sarebbe sbagliato pensare che qualsiasi intervento del Santo Padre esaudirebbe questo obiettivo.

Si ipotizza poi una situazione intermedia:

"L'accesso ai sacramenti viene percorso in casi singoli con la tolleranza o con il tacito consenso del vescovo. Questa discrepanza tra l'ordinamento ufficiale e la tacita prassi locale non è una buona nuova situazione".

Ciò probabilmente implicherebbe una direttiva più o meno informale diretta a tutti i vescovi, il che sarebbe comunque un passo avanti rispetto alla situazione odierna.

Infine l'obiettivo di minima è spiegato testualmente in questo paragrafo:

"Dovremmo lasciare almeno uno spiraglio per la speranza e le aspettative delle persone. E dare almeno un segnale che anche da parte nostra prendiamo sul serio le speranze, come pure le domande, le sofferenze e le lacrime di tanti cristiani seri".

“Uno spiraglio per la speranza” e “almeno un segnale” sarebbero anch'essi un piccolo passo in là. Di certo questa ipotesi scarterebbe la pubblicazione di criteri vincolanti e perfino la direttiva informale ai vescovi. Sarebbe però sufficiente per mantenere la situazione di ambiguità che si può osservare ai nostri giorni; per cui chi sta già attuando al di fuori dalla disciplina la “tacita prassi pastorale” potrà andare avanti con la stessa, nella consapevolezza soggettiva di aver ricevuto un cenno d'assenso da parte della Santa Sede.

Certamente, la desiderabile eliminazione di ogni ambiguità e la riproposizione positiva della pastorale tradizionale in forma chiara e maggioritaria, con l'avallo del papa, significherebbe un rovesciamento di queste proposte innovatrici. […]

Davanti alla tacita prassi di dare la comunione sacramentale ad alcuni fratelli che vivono in adulterio e davanti alla confusione che questa situazione porta con sé per tutti i fedeli, oso chiedere con spirito filiale al Santo Padre che, se lo considera necessario, formuli una definizione solenne in questa materia. Riconosco sin d'ora che manco di competenza e di prudenza nel chiedergli qualcosa di simile. Ma a volte noi figli siamo fiduciosi all'eccesso e questo, senza dubbio, è il caso.

 



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19.5.2015 


Caterina63
00martedì 16 giugno 2015 13:33
   

> Sinodo. Il doppio grido d’allarme del cardinale Antonelli
Ha presieduto per cinque anni il pontificio consiglio per la famiglia. La comunione ai divorziati risposati, avverte, segnerebbe non solo lo svilimento dell’eucaristia ma anche la fine del sacramento del matrimonio

8.6.2015


di Sandro Magister




ROMA, 12 giugno 2015 – Il cardinale Ennio Antonelli, 78 anni, è un'autorità in materia. È stato presidente per cinque anni del pontificio consiglio per la famiglia e ha organizzato i due incontri mondiali che hanno preceduto il prossimo di Philadelphia: a Città del Messico nel 2009 e a Milano nel 2012.

Ha anche accumulato una notevole esperienza pastorale. È stato arcivescovo prima di Perugia e poi di Firenze, oltre che segretario per sei anni della conferenza episcopale italiana. Appartiene al movimento dei Focolari.

Non ha preso parte alla prima sessione del sinodo sulla famiglia tenuta lo scorso ottobre. Ma partecipa attivamente alla discussione in corso, come prova il libro che ha pubblicato in questi giorni:

E. Antonelli, "Crisi del matrimonio ed eucaristia", Edizioni Ares, Milano, 2015, pp. 72, euro 7,00.

È un libro speciale. Agile, di poche pagine, si legge d'un fiato. È introdotto da una prefazione di un altro cardinale esperto in materia, Elio Sgreccia, già presidente della pontificia accademia per la vita.

Il sito web del pontificio consiglio per la famiglia l'ha messo in rete integralmente e in tre lingue, in italiano, in inglese e in spagnolo:

> Crisi del matrimonio ed eucaristia


Qui di seguito se ne offrono alcuni brani d'assaggio.

In essi il cardinale Antonelli ripropone con amabile fermezza e realismo pratico la dottrina e la pastorale vigenti in materia di matrimonio.

E mette in evidenza le conseguenze insostenibili alla quali si arriverebbe con taluni cambiamenti oggi proposti ai vari livelli della Chiesa.

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DA: "CRISI DEL MATRIMONIO ED EUCARISTIA"

di Ennio Antonelli



ANCHE AI CONVIVENTI OMOSESSUALI, PERCHÉ NO?

Oltre che ai divorziati risposati, la posizione pastorale finora vigente dà indicazioni analoghe anche riguardo ai conviventi senza alcun vincolo istituzionale e ai cattolici sposati solo civilmente. 

Il trattamento riservato a essi è praticamente lo stesso: non ammissione ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia, accoglienza nella vita ecclesiale, vicinanza rispettosa e personalizzata per conoscere concretamente le singole persone, orientarle e accompagnarle verso una possibile regolarizzazione.

Ora, alcuni ipotizzano l’ammissione all’eucaristia ai soli divorziati risposati civilmente, lasciando esclusi i conviventi di fatto, i conviventi registrati, i conviventi omosessuali.

Personalmente ritengo che questa ultima limitazione sia poco realistica, perché i conviventi sono molto più numerosi dei divorziati risposati. Per la pressione sociale e per la logica interna delle cose finiranno senz’altro per prevalere le opinioni orientate verso un più largo permissivismo.


L'EUCARISTIA RIDOTTA A GESTO DI CORTESIA

È vero che l’eucaristia è necessaria per la salvezza, ma ciò non significa che di fatto si salvano solo quelli che ricevono questo sacramento. Un cristiano non cattolico o addirittura un credente di altra religione non battezzato potrebbe essere spiritualmente più unito a Dio di un cattolico praticante e tuttavia non può venire ammesso alla comunione eucaristica, perché non è in piena comunione visibile con la Chiesa.

L’eucaristia è vertice e fonte della comunione spirituale e visibile. Anche la visibilità è essenziale, in quanto la Chiesa è sacramento generale della salvezza e segno pubblico di Cristo salvatore nel mondo. Ma, purtroppo, i divorziati risposati e gli altri conviventi irregolari si trovano in una situazione oggettiva e pubblica di grave contrasto con il Vangelo e con la dottrina della Chiesa.

Nell’odierno contesto culturale di relativismo c’è il rischio di banalizzare l’eucaristia e ridurla a un rito di socializzazione. È già successo che persone neppure battezzate si siano accostate alla mensa, pensando di fare un gesto di cortesia, o che persone non credenti abbiano reclamato il diritto di comunicarsi in occasione di nozze o di funerali, semplicemente in segno di solidarietà con gli amici.


PEGGIO CHE NELLE CHIESE D'ORIENTE

Si vorrebbe concedere l’eucarestia ai divorziati risposati affermando l’indissolubilità del primo matrimonio e non riconoscendo la seconda unione come un vero e proprio matrimonio, in modo da evitare la bigamia.

Questa posizione è diversa da quella delle Chiese orientali che concedono ai divorziati risposati civilmente un secondo (e terzo) matrimonio canonico, sia pure connotato in senso penitenziale. Anzi, per certi aspetti, appare più pericolosa, in quanto conduce logicamente ad ammettere il lecito esercizio della sessualità genitale fuori del matrimonio, anche perché i conviventi sono molto più numerosi dei divorziati risposati.

I più pessimisti prevedono che si finirà per ritenere eticamente lecite le convivenze prematrimoniali, le convivenze di fatto registrate e non registrate, i rapporti sessuali occasionali, e forse le convivenze omosessuali e perfino il poliamore e la polifamiglia.


TRA BENE E MALE NON C'È GRADUALITÀ

È senz’altro auspicabile che nella pastorale si assuma un atteggiamento costruttivo, cercando di "cogliere gli elementi positivi presenti nei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze" (Relatio Synodi, n. 41).

Certamente anche le unioni illegittime contengono autentici valori umani (per esempio l’affetto, l’aiuto reciproco, l’impegno condiviso verso i figli), perché il male è sempre mescolato al bene e non esiste mai allo stato puro. Tuttavia bisogna evitare di presentare tali unioni in se stesse come valori imperfetti, mentre si tratta di gravi disordini. 

La legge della gradualità riguarda solo la responsabilità soggettiva delle persone e non deve essere trasformata in gradualità della legge, presentando il male come bene imperfetto. Tra vero e falso, tra bene e male non c’è gradualità. Mentre si astiene dal giudicare le coscienze, che solo Dio vede, e accompagna con rispetto e pazienza i passi verso il bene possibile, la Chiesa non deve cessare di insegnare la verità oggettiva del bene e del male.

La legge della gradualità serve a discernere le coscienze, non a classificare come più o meno buone le azioni da compiere e tantomeno a elevare il male alla dignità di bene imperfetto.

Riguardo ai divorziati risposati e ai conviventi, lungi dal favorire le proposte innovative, tale legge serve in definitiva a confermare la prassi pastorale tradizionale.


NIENTE PERDONO SENZA CONVERSIONE

L’ammissione dei divorziati risposati e dei conviventi alla mensa eucaristica comporta una separazione tra misericordia e conversione che non sembra in sintonia con il Vangelo.

Questo sarebbe l’unico caso di perdono senza conversione. Dio concede sempre il perdono; ma lo riceve solo chi è umile, si riconosce peccatore e si impegna a cambiar vita.

Invece il clima di relativismo e soggettivismo etico-religioso, che oggi si respira, favorisce l’autogiustificazione, particolarmente in ambito affettivo e sessuale. Si tende a sminuire la propria responsabilità, attribuendo gli eventuali fallimenti ai condizionamenti sociali. È facile inoltre attribuire la colpa del fallimento all’altro coniuge e proclamare la propria innocenza.

Non si deve però tacere il fatto che, se la colpa del fallimento può qualche volta essere di uno solo, almeno la responsabilità della nuova unione (illegittima) è di ambedue i conviventi ed è questa soprattutto che, finché perdura, impedisce l’accesso all’eucaristia.

Non ha fondamento teologico la tendenza a considerare positivamente la seconda unione e a circoscrivere il peccato alla sola precedente separazione. Non basta fare penitenza per questa soltanto. Occorre cambiare vita.


INDISSOLUBILITÀ ADDIO

Di solito i favorevoli alla comunione eucaristica dei divorziati risposati e dei conviventi affermano che non si mette in discussione l’indissolubilità del matrimonio.

Ma, al di là delle loro intenzioni, stante l’incoerenza dottrinale tra l’ammissione di queste persone all’eucaristia e l’indissolubilità del matrimonio, si finirà per negare nella prassi concreta ciò che si continuerà ad affermare teoricamente in linea di principio, rischiando di ridurre il matrimonio indissolubile a un ideale, bello forse, ma realizzabile solo da alcuni fortunati.

Istruttiva al riguardo è la prassi pastorale sviluppatasi nelle Chiese orientali ortodosse.

Esse nella dottrina affermano l’indissolubilità del matrimonio cristiano. Tuttavia nella loro prassi si sono progressivamente moltiplicati i motivi di scioglimento del precedente matrimonio e di concessione di un secondo (o terzo) matrimonio. Inoltre sono diventati numerosissimi i richiedenti. Ormai chiunque presenta un documento di divorzio civile ottiene anche dall’autorità ecclesiastica l’autorizzazione al nuovo matrimonio, senza neppure dover passare attraverso un’indagine e valutazione canonica della causa.

È prevedibile che anche la comunione eucaristica dei divorziati risposati e dei conviventi diventi rapidamente un fatto generalizzato. Allora non avrà più molto senso parlare di indissolubilità del matrimonio e perderà rilevanza pratica la stessa celebrazione del sacramento del matrimonio.



Caterina63
00venerdì 28 agosto 2015 23:40

Antonio Livi. Il fondo inquietante della proposta kasperiana. L'Eucaristia secondo Kasper


 

Il fondo inquietante della proposta kasperiana

Un grazie a Mons. Antonio Livi, decano di Filosofia alla Pontificia Università Lateranense, per questa esaustiva presa di posizione.

Riprendiamo da Disputationes Théologicaeche non manca di sottolineare come “il processo che sta dietro ai fenomeni collegati al Sinodo di ottobre è una realtà di portata ben più ampia dei punti specifici dei “divorziati risposati” e degli omosessuali. Siamo davanti all’assalto finale del pensiero gnostico-massonico alla Chiesa di Cristo”. Ed è per cogliere la portata dello scontro in atto nonché gli aspetti sottostanti alla scandalosa “proposta Kasper” o da essa implicati che propone l'analisi del fondo della “teologia eucaristica” dell’ecclesiastico tedesco attraverso la trattazione di Mons. Livi.


L'eucaristia secondo Kasper
di Antonio Livi

Walter Kasper è nato in Germania il 5 marzo 1933, a Heidenheim (Brenz) nei pressi di Rottemburg. Completati gli studi di Filosofia e di Teologia presso la Facoltà teologica cattolica dell’Università di Tubinga, nel 1961 ha conseguito il  dottorato con una tesi su Die Lehre von der Tradition in der Römischen Schule, e ha ottenuto  la libera docenza in Teologia quattro anni dopo. Dal 1964 al 1970 ha insegnato nell’Università di Münster e dal 1971 è ritornato nell’ Università di Tubinga come ordinario di Teologia dogmatica. Ordinato sacerdote nel 1957, è stato consacrato Vescovo di Rottenburg-Stoccarda nel 1989. Nel 1994 hanno inizio i suoi incarichi nel campo dell’ecumenismo con la nomina come co-presidente della Commissione Internazionale di dialogo cattolica-luterana, cui fa seguito nel marzo 1999 la nomina come segretario del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e nel marzo del 2001 la nomina come presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. Nel Concistoro del 21 febbraio 2001 Kasper è stato elevato alla porpora cardinalizia.

La produzione teologica di Kasper è costituita da saggi di argomento prevalentemente ecclesiologico e pastorale; l’edizione completa delle sue opere, programmata da Herder Verlag, prevede finora diciotto volumi[1]. La prima osservazione da fare a riguardo di queste opere e di quelle che si sono poi aggiunte negli ultimi anni, è che in esse risulta evidente la mancanza di una corretta metodologia teologica.
Ogni singola tesi sostenuta da Kasper (che raramente ha i caratteri dell’originalità, visto che l’autore si accontenta di ripetere quanto già sostenuto dai suoi maestri, a cominciare da Karl Rahner), se analizzata da un punto di vista rigorosamente epistemologico, appare priva di quella consistenza epistemica che caratterizza la vera teologia; le sue ricerche teologiche non sono (e nemmeno si propongono  di essere) un’ipotesi di interpretazione scientifica della fede professata dalla Chiesa attraverso la Sacra Scrittura, le formule dogmatiche e la liturgia: sono piuttosto espressioni di una ambigua “filosofia religiosa”, termine con il quale io designo quell’arbitraria interpretazione delle nozioni religiose proprie del cristianesimo che ha prodotto nell’Ottocento i grandi sistemi dell’idealismo storicistico, come quello di Hegel e quello di Schelling[2]. A questi sistemi di pensiero - che epistemologicamente sono da considerare esclusivamente filosofici ma che nell’ambiente luterano nel quale sono sorti sono considerati anche teologici - si sono ispirati nel Novecento e si ispirano oggi molti teologi cattolici, tra i quali proprio Walter Kasper, il quale si è formato presso quella scuola di Tubinga che, come egli stesso scrive compiaciuto in una sua opera prima, «ha avviato un rinnovamento della teologia e dell’intero cattolicesimo tedesco nell’incontro con Schelling ed Hegel»[3],

il cosiddetto «incontro con Schelling ed Hegel», che i teologi appartenenti alla scuola di Tubinga hanno ritenuto necessario per “rinnovare” la teologia e con essa l’intera Chiesa “conciliare”, è in realtà un incomprensibile regresso alle posizioni ideologiche di quei teologi (non a caso anch’essi tedeschi) che nell’Ottocento erano stati condannati dalla Santa Sede proprio per l’adozione in teologia delle categorie filosofiche dell’idealismo hegeliano e schellinghiano. Il fatto che nel  Novecento  degli studiosi cattolici abbiano voluto combattere la loro battaglia contro la tradizione metafisica in teologia mediante la sistematica ripresa di una filosofia religiosa nata in ambiente luterano e sempre criticata in ambiente cattolico, non ha altra spiegazione plausibile se  non la loro sudditanza psicologica nei confronti dei teologi luterani, la cui egemonia nella cultura tedesca è sempre stata assoluta (si consideri che persino la critica di Hegel svolta da Kierkegaard è sorta ed è rimasta all’interno della cultura religiosa luterana). Tra Hegel e Schelling, Kasper predilige quest’ultimo, chiamandolo «gigante solitario»[4] e mostrandosi affascinato dal carattere gnostico delle sue ricerche filosofico-religiose, senza avvertire alcun imbarazzo di fronte al loro esito chiaramente panteistico[5]. La ripresa di temi specificamente schellinghiani da parte di Kasper mi fa pensare all’analoga scelta metodologica operata da un altro teologo cattolico tedesco, Klaus Hemmerle, alla cui scuola si è formato poi in Italia Piero Coda, entrambi analiticamente da me criticati per via del metodo teologico, radicalmente incompatibile con quella della vera teologia[6].

Kasper sembra condividere senza riserve le premesse immanentistiche dell’analisi filosofica della fede cristiana condotta da Schelling, e nelle parole con le quali egli si dichiara convinto di dover “rinnovare” la teologia cattolica proprio sulla base di quelle premesse si avverte chiaramente come egli sia privo di quel senso critico che è il primo requisito di ogni ricerca scientifica, tanto che la sua sintesi della filosofia religiosa di Schelling è un accumulo di parole senza senso:
«Schelling  non concepisce in modo statico, metafisico e sovratemporale il rapporto tra naturale e soprannaturale, bensì in modo dinamico e storico. L’essenziale della rivelazione Cristiana è proprio questo, che essa è storia»[7].
Che significa che la rivelazione cristiana, nella sua “essenza” (termine indubbiamente metafisico, ma che deve essere sfuggito a Kasper), è “storia”? Storia di che cosa, storia di chi? Si deve forse intendere la storia degli uomini (quello che Kasper chiama la «natura») in rapporto all’azione di Dio (il «soprannaturale»)? In questo caso, si tratterebbe della nozione teologica di “storia della salvezza”, ossia dell’iniziativa salvifica di Dio Creatore e Redentore, che è rivelata all’uomo da Dio stesso, prima tramite i Profeti e poi, definitivamente, mediante l’Incarnazione del Verbo. Questa però non può essere la concezione di Kasper, perché corrisponde pienamente alla dottrina teologica tradizionale, che per Kasper sarebbe da rigettare in quanto presupporrebbe un «modo statico, metafisico e sovratemporale» di concepire «il rapporto tra naturale e soprannaturale». Ora, tenendo conto del fatto che, parlando di un «rapporto tra naturale e soprannaturale», Kasper ammette (involontariamente) la distinzione tra il mondo (la creazione) e Dio (il Creatore), uno dei due termini del rapporto, Dio, non può essere identificato con la “Storia”: a meno che non si voglia, in definitiva, escludere Dio dal discorso teologico e parlare solo del mondo e delle sue vicissitudini, anche quando si tratta della vita religiosa e della Chiesa. Il che è proprio quello che intende Kasper, come ben presto si vedrà.

In un’ecclesiologia immanentistica il mistero eucaristico non trova più il proprio spazio teologico.

I frequenti cambiamenti di tesi teologiche che hanno caratterizzato la produzione scientifica e la pubblicistica divulgativa di Kasper fanno pensare che il criterio (i target, la finalità, lo scopo finale) dei suoi discorsi non sia tanto una valida proposta di interpretazione del dogma, animata dallo  zelo per la sua applicazione salvifica alla vita dei fedeli, quanto piuttosto l’ansia di imporsi nell’opinione pubblica come figura di rilievo dell’ala progressista della teologia contemporanea, soprattutto in rapporto all’ecumenismo, ossia al “dialogo” con i protestanti in vista di un “riavvicinamento” rituale e dottrinale tra loro e la Chiesa cattolica. In ogni caso, va detto che, nelle opere di  Kasper, la continua proposta di “riforme” della Chiesa  - riforme istituzionali, liturgiche, pastorali - ignora il necessario riferimento alla fondamentale “forma” che la Chiesa ha per istituzione divina; e ciò dipende dalla svalutazione dei principi propriamente teologici dell’ecclesiologia, a cominciare dal riconoscimento esplicito della natura divina di Cristo come Verbo Incarnato che ha affidato alla Chiesa da Lui fondata la prosecuzione della sua missione salvifica con il fedele annuncio dei misteri soprannaturali e la grazia santificante dei sacramenti.

I principi propriamente teologici dell’ecclesiologia erano stati giustamente connessi con il dogma cristologico (e anche a quello mariologico) negli anni precedenti il Concilio da un altro teologo del Novecento, lo svizzero Charles Journet, il quale aveva saputo  ripresentare  e sviluppare coerentemente i principi essenziali della tradizione dogmatica su Cristo, Maria e la Chiesa nel suo trattato su L’Église du Verbe Incarné[8], la cui dottrina risulta  in gran parte recepita nella costituzione dogmatica Lumen gentium, specie nell’ottavo capitolo, lì dove il Concilio parla di Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa[9]. Ma Kasper, che pure si presenta come “teologo conciliare”, ignora sistematicamente le nozioni propriamente teologiche dell’ecclesiologia, anzi pretende di “purificare” la fede cattolica dalle «forme e formule» che pure erano state riconfermate solennemente dal Vaticano II, in quanto proprio queste «forme e formule»  assicurano il carattere soprannaturale (trascendente) delle realtà divine e giustificano il culto di adorazione che la Chiesa tributa a Cristo, che è Dio, il Verbo eterno che nel tempo si è fatto carne ed è realmente presente nell’Eucaristia, così come giustificano la venerazione nei confronti di Maria, riconosciuta come Madre di Dio  in quanto è la vera Madre di Cristo che è Dio[10].

La battaglia per l’abolizione di termini teologici dal sapore “metafisico”, presentata come mera esigenza pastorale (la solita pretesa necessità di abbandonare un linguaggio che risulterebbe incomprensibile e inaccettabile per l’uomo di oggi), è indirizzata in realtà a eliminare dalla “predicazione” tutti i principi di base dell’ecclesiologia cattolica, sottomettendoli a una sistematica critica razionalistica, a cominciare proprio dalla nozione di “Verbo Incarnato”. Questa infatti è ridotta in termini immanentistici nella sua opera   più nota, Jesus der Christus[11], dove Kasper propone la “sua” cristologia in chiave antimetafisica: si tratta in realtà di una riformulazione del dogma cristiano attraverso l’adozione delle categorie immanentistiche proprie della filosofia religiosa di Schelling, il quale riduce le tre Persone divine a tre “modi di sussistenza” di un’unica realtà divina, la cui natura si risolve nella storia del suo manifestarsi al mondo. Nell’orizzonte di questa Selbstoffenbarung Gottes, Cristo non è più creduto e adorato come Mediatore tra Dio e gli uomini[12], ma è ridotto alla manifestazione storica della Trinità “economica”[13].

Kasper non riesce a emanciparsi dalla filosofia della rivelazione schellinghiana, come invece aveva fatto nel suo stesso ambiente tedesco Romano Guardini[14], e così, da teologo cattolico finisce per ostinarsi in un’opera insensata di decostruzione del dogma cristologico tradizionale; persino le prove storiche della divinità di Cristo - ossia i miracoli da Lui operati con l’esplicita intenzione di mostrare la sua onnipotenza e sostenere così la fede dei discepoli - vengono sottoposti da Kasper al dubbio sulla loro effettiva verità fattuale e sul loro significato teologico in rapporto alla fede, sicché in definitiva vengono a essere negate per quello che essenzialmente sono, cioè l’evidenza empirica dell’intervento di Dio, facente parte dei motivi di credibilità. Dalla negazione implicita della divinità di Cristo deriva l’uso insistito che Kasper fa dell’espressione «il Dio di Gesù Cristo», espressione che appare anche come titolo di una delle sue opere dianzi citate (Der Gott Jesu Christi) e che, in quanto separa il nome di Dio dal nome di Cristo, insinua semanticamente la negazione della divinità di Gesù, non riconosciuto come l’unigenito Figlio di Dio, consustanziale al Padre[15].

In realtà, Kasper partecipa in pieno a quella corrente ideologica che fa capo a Hans Küng e a Kar Rahner e che intende la teologia come antropologia, suggerendo alla Chiesa di parlare non tanto di Dio quanto dell’uomo[16]; in  conformità a questo preciso indirizzo speculativo, Kasper mette da parte il discorso sulla duplice natura di Cristo, Verbo eterno (discorso che logicamente ha senso solo se si ammette che le categorie metafisiche di “persona” e di “natura” siano adeguate alla necessaria formulazione dogmatica del mistero soprannaturale contenuto nella Rivelazione) e riduce la cristologia a un discorso di stampo fenomenologico sulla coscienza di Gesù come “uomo che parla di Dio”.



   continua...





Caterina63
00venerdì 28 agosto 2015 23:42

Alcuni esempi di come Kasper, ricorrendo a categorie filosofiche inadeguate, non riesca mai a interpretare correttamente il dogma eucaristico.

In seguito alla pubblicazione dell’enciclica Ecclesia de Eucharistia di papa Giovanni Paolo II[18], Walter Kasper volle commentarla in una lunga intervista alla rivista italiana Trentagiorni per valutarne gli “effetti” nei confronti del dialogo ecumenico[19]. Leggendo le sue risposte si comprende come egli guardi all’Eucaristia in un’ottica umanistica e sociologica, che è l’ottica con la quale egli crede di dover affrontare da teologo i temi dell’ecclesiologia. In effetti, l’argomento pressoché unico di tutti gli scritti e i discorsi di Kasper è la Chiesa, vista però non come mistero soprannaturale intrinsecamente connesso ai dogmi della Trinità e dell’Incarnazione, bensì come una realtà umana sociologicamente rilevabile,  che dal teologo tedesco viene identificata con la comunità di quanti professano la fede in Cristo, una comunità che è dinamicamente proiettata verso l’avvento del “Regno” e che oggi è chiamata a superare le divisioni confessionali del passato tra cattolici, ortodossi e  protestanti.

Al fine ultimo dell’azione ecumenica Kasper riduce ogni altro aspetto della Chiesa e dell’Eucaristia nella vita della Chiesa; l’Eucaristia come sacramento in senso proprio resta in un secondo piano, mentre in primo piano viene collocata la Chiesa, la cui “sacramentalità”, enunciata dal Concilio, è però da intendersi in senso soltanto improprio, cioè derivato per analogia. Sicché l’inevitabile ammissione della natura sacrificale della santa Messa (inevitabile in un commento all’enciclica, che di questo principalmente tratta) va di pari passo, nel discorso di Kasper, con la mancanza di ogni riferimento alla “presenza reale” di Cristo nell’Eucaristia, e quindi al culto di adorazione che la Chiesa le tributa, sia nella liturgia che nella pietà individuale dei fedeli. Ecco in proposito le parole di Kasper:
«Nel nostro tempo si assiste a tutta una fioritura di rituali prodotti quasi a ritmo commerciale, ma sembra perdersi la percezione stessa della specificità storica dei sacramenti cristiani. Per riprendere un’immagine usata una volta dal cardinale Danneels, si assiste a una sorta di atrofizzazione, di "accecamento", per cui non si percepisce più la sacramentalità della Chiesa stessa, soprattutto nelle terre di antica evangelizzazione. Già il Concilio Vaticano II, con la costituzione Lumen gentium e con quella sulla liturgia, ha richiamato la natura sacramentale della Chiesa. Ma dopo si sono registrati una banalizzazione, un appiattimento, che certo non possono essere imputati al Concilio. Anche grazie al dialogo coi fratelli protestanti abbiamo imparato l’importanza del ministero della Parola. Ma intanto i sacramenti rischiano di non essere più il punto di gravità della pastorale cattolica»[20].
Discorso quanto mai confuso, dove l’unica cosa che si capisce è che Kasper aborrisce la concretezza del dogma eucaristico, dove l’essenziale è la Persona divina di Cristo Signore, che con la sua “presenza reale” sotto le specie del pane e del vino è a disposizione di quanti – singole persone umane – possono unirsi a Lui con la fede e con l’amore. Ma Kasper non riesce a parlare dell’unione personale con Cristo, tanto che traduce quell’espressione teologicamente pregnante di «contatto attuale» che aveva usato Giovanni Paolo II nell’enciclica in una soggettiva e impersonale «memoria celebrata»:
«Al paragrafo 12, riguardo all’Eucaristia, sta scritto che "la Chiesa vive continuamente del sacrificio redentore, e ad esso accede non soltanto per mezzo di un ricordo pieno di fede, ma anche in un contatto attuale". La vita di grazia si trasmette per contatto: questa è la dinamica propria dei sacramenti, che è evidente nell’Eucaristia. La memoria celebrata nell’Eucaristia non è solo ricordo di un fatto passato su cui coltivare riflessioni religiose soggettive: al paragrafo 11, sta scritto che l’Eucaristia "non è solo l’evocazione, ma la ri-presentazione sacramentale" della passione e della morte del Signore. Il riconoscimento di questo contenuto oggettivo, reale della memoria eucaristica aiuta anche nel dialogo con i luterani, per far riconoscere anche a loro la dimensione sacrificale della celebrazione eucaristica»[21].
Non si sa a che cosa si riferisce precisamente Kasper quando parla di “contatto”, visto che ignora di proposito i presupposti metafisici della teologia sacramentaria. In ogni caso, trovandosi a doversi rifare, oltre che all’insegnamento di Papa Wojtyla, anche alle formule dogmatiche del Concilio di Trento, Kasper finisce per parlare di un «contatto personale» tra il singolo cristiano e Cristo nell’Eucaristia. Ma tale “contatto” si riduce evidentemente a qualcosa di meramente intenzionale (nel senso di cognitivo, rappresentativo): invece di riferirsi esplicitamente alla Persona di Cristo alla quale si unisce il cristiano nella comunione eucaristica, egli riduce il suo discorso alla percezione soggettiva del significato della celebrazione, percezione che consentirebbe – dice Kasper – di arrivare a «un contatto personale con lo stesso unico sacrificio di Gesù Cristo». Con queste incomprensibili contorsioni dialettiche il teologo tedesco spera di poter concludere positivamente i suoi sforzi di intesa dottrinale con i protestanti, i quali certamente non vogliono sentir parlare di “transustanziazione” e di “presenza reale”:
«I luterani in passato hanno spesso compreso il nostro riconoscimento del carattere sacrificale della celebrazione eucaristica come una moltiplicazione del fatto unico, singolare, non riproducibile della passione del Signore. Ma la Chiesa cattolica riconosce che l’evento unico, singolare della passione e morte di Gesù non può essere ripetuto. È lo stesso evento che in modo sacramentale, e quindi misterioso, diviene presente nella celebrazione liturgica. L’Eucaristia è il dono presente della stessa santa umanità di Gesù, e non una rappresentazione metaforica di quel dono messa in scena dagli uomini. Chi mangia il pane eucaristico entra in un contatto personale con lo stesso unico sacrificio di Gesù Cristo. L’enciclica al paragrafo 12 si rifà all’insegnamento del Concilio di Trento, quando riconosce che "la messa rende presente il sacrificio della croce, non vi si aggiunge e non lo moltiplica". E cita su questo anche una bella frase di san Giovanni Crisostomo: "Noi offriamo sempre il medesimo Agnello, e non oggi uno e domani un altro, ma sempre lo stesso. Per questa ragione il sacrificio è sempre uno solo". Al paragrafo 13 si ripete che "l’Eucaristia è sacrificio in senso proprio, e non solo in senso generico", come se Cristo si fosse offerto in senso metaforico, quale "cibo spirituale" per i fedeli. Il sacrificio di Cristo è autodonazione del Figlio al Padre e a noi. Ridurlo a un incontro conviviale fraterno per ricordare una vicenda del passato è una banalizzazione»[22].
Quella è certamente una «banalizzazione», ma lo è altrettanto e più ancora la riduzione che fa Kasper dell’Eucaristia a una “memoria celebrata” della Passione, trascurando il fatto che il fine proprio del sacramento, istituito da Cristo e che la Chiesa celebra come «memoriale mortis Domini», è la comunione eucaristica, ossia l’incontro personale del fedele con Cristo che si fa realmente presente, come Verbo Incarnato, con il suo corpo, il suo sangue, la sua anima e la sua divinità. Il significato memoriale dell’istituzione dell’Eucaristia, come risulta  dalle parole dell’Ultima Cena riferite dai Vangeli sinottici, è da collegarsi alla sua finalità comunionale, quale risulta dalle parole di Cristo nel discorso a Cafarnao riferito da Giovanni nel quarto Vangelo, la cui redazione è di molti anni posteriore a quella dei primi tre Vangeli. Kasper, che si vede costretto dai testi del Magistero da lui citati a usare il termine metafisico “transustanziazione”, lo riferisce correttamente al momento liturgico della “consacrazione”, ma poi evita di metterlo in rapporto con la possibilità e con la convenienza della comunione eucaristica; mentre il suo maestro  Rahner riconosce che la comunione è il fine principale della “transustanziazione”[23], come se avesse un significato teologico in rapporto alla sola celebrazione eucaristica, dove la Chiesa prega il Padre affinché renda presente il Figlio per opera dello Spirito Santo:
«Al paragrafo dell’enciclica 23 si trova scritto: "L’azione congiunta e inseparabile del Figlio e dello Spirito Santo, che è all’origine della Chiesa, del suo costituirsi e del suo permanere, è operante nell’Eucaristia". Anche grazie all’ultimo Concilio ecumenico, abbiamo riscoperto l’importanza dell’epiclesi, cioè della preghiera eucaristica in cui il prete invoca il Padre di mandare il suo Spirito, affinché il pane e il vino diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo. Non è il sacerdote che compie la transustanziazione: il sacerdote prega il Padre, affinché essa avvenga per opera dello Spirito Santo. Si può dire che tutta la Chiesa è una epiclesis».
Ed ecco che il discorso torna, come sempre, sulla dinamiche della Chiesa e sulle pretese gestionali avanzate da parte di alcune sue componenti insoddisfatte di avere in essa un ruolo sociologicamente “passivo”:
«È una tentazione reale, che affiora in molti ambiti ecclesiali, quando ad esempio si dice di voler costruire la Chiesa "dal basso". In senso proprio, non si può "fare" Chiesa, "organizzare" Chiesa. Perché la communio non viene dal basso, è grazia e dono che viene dall’alto.Ma "dall’alto" vuol dire dallo Spirito Santo, non dalla gerarchia. La Chiesa non si può "fare" dal basso, ma nemmeno dal vertice. Neanche la gerarchia, il Papa, i vescovi, possono pensare di essere loro a "produrre" la Chiesa. E di fatto, la tentazione di "fare Chiesa" non è confinata solo alle comunità di base e ai gruppi parrocchiali. Si manifesta anche ai livelli più alti dell’istituzione ecclesiastica, o nelle accademie teologiche»[24].
E così il discorso si conclude riproponendo il tema del “dialogo ecumenico”, al cui successo Kasper pensa di contribuire re-interpretando il rapporto tra l’Eucaristia e la Chiesa con le categorie storicistiche dei suoi maestri della Scuola di Tubinga, eredi della “nouvelle théologie”:
«La riscoperta dei Padri della Chiesa, dovuta anche a Henri de Lubac, ha portato nuovi spunti per cogliere la connessione tra Chiesa ed Eucaristia. La Chiesa celebra l’Eucaristia, ma la Chiesa stessa vive dell’Eucaristia. Tutta l’enciclica è attraversata dal riconoscimento che la Chiesa non si dà la vita da sola, non si edifica da se stessa, non si autoproduce. La Chiesa non è un organo puramente esteriore creato dalla comunità dei credenti, né tanto meno una specie di ipostasi trascendente che quasi preesiste l’opera in atto di Cristo nel mondo. E la comunione non è una aggregazione volontaristica tra i fedeli. Vive della partecipazione a una realtà che la precede, che c’è prima e che ci viene incontro dall’esterno»[25].
Un’ecclesiologia di questo tipo, dove l’Eucaristia è ridotta a un momento celebrativo di una Chiesa che si riconosce soltanto in un’indefinita e indefinibile «opera in atto di Cristo nel mondo», sembra a Kasper la piattaforma ideale per ripristinare l’unità dei cristiani e mettere da parte le “incomprensioni” tra cattolici e luterani, già che essi hanno già in comune la considerazione dell’Eucaristia come “memoria” della Cena e come segno di appartenenza alla comunità. L’aspetto propriamente sacramentale, soprattutto per quanto riguarda la Presenza Reale, è messo da parte per non intralciare l’auspicata intesa con i protestanti. Sono prospettive teologico-pastorali che in quegli stessi anni Kasper espone in altri suoi scritti, che poi vengono raccolti nel 2004 in una pubblicazione dal titolo programmatico Sakrament der Einheit. Eucharistie und Kirche. Ecco che cosa scrive nella Presentazione:
«Il secondo e il terzo capitolo sono meditazioni bibliche su aspetti essenziali dell’eucaristia. Il quarto riprende una conferenza da me tenuta al Katholikentag di Ulm nel 2004 e colloca gli aspetti ecumenici dell’eucaristia nel più vasto orizzonte di un ecumenismo della vita. Dal punto di vista ecumenico ci troviamo in una fase intermedia, in un tempo di transizione. Nel nostro cammino abbiamo felicemente percorso alcune miglia, ma non abbiamo ancora raggiunto la meta. L’ecumenismo è un processo di crescita della vita. Lungo questa strada della crescita e della maturazione sono necessari molti passi intermedi, che dovranno sfociare nella comunione eucaristica, nel sacramento dell’unità. […] L’eucaristia è – come l’enciclica Ecclesia de eucharistia (2003) ha ancora una volta mostrato – fonte, centro e culmine della vita cristiana e della vita della chiesa, quindi anche della sua pastorale. Nel corso della sua missione la chiesa cerca in ogni tempo di diventare in maniera convincente quel che nella sua essenza già da sempre è: in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’unità e della pace del mondo [LG 1]. L’eucaristia è il sacramento di questa unità»[26].
Walter Kasper vede dunque nell’Eucaristia soltanto un rito, che deve esprimere e rafforzare l’unione (affettiva, sentimentale, non ontologica) tra i membri della comunità cristiana, auspicando che questa unità sia ancora più evidente (nell’esteriorità del rito) quando saranno superate le divisioni dottrinali tra cattolici e luterani[27]. Kasper rappresenta così uno dei più espliciti fautori di una falsa teologia che interpreta in termini umanistici (esclusivamente naturali) il genuino senso soprannaturale del dogma cattolico, proprio e soprattutto riguardo all’Eucaristia, creando tra i fedeli una progressiva insensibilità nei confronti del carattere soprannaturale dei sacramenti, con quelle conseguenze pastorali gravissime che già deprecava con giustificato allarme il cardinale Giuseppe Siri[28]. Questa impostazione umanistica si rileva anche in interventi  più recenti, come ad esempio quello del 7 giugno 2014, quando si è recato a Orvieto per la solennità del Corpus Domini e ha concelebrato accanto al vescovo Benedetto Tuzia. In quell’occasione il cardinale Kasper ha reso ancora più esplicita la sua sistematica riduzione dell’Eucaristia a celebrazione liturgica e a simbolo di unità tra gli uomini, lasciando in ombra la comunione eucaristica (che presuppone la fede nella Presenza Reale) per mettere in luce la sola comunione ecclesiale (che può anche essere un risultato meramente umano, al di fuori della vita soprannaturale in Cristo). Ecco alcune sue parole nell’omelia in Duomo:
«L'Eucarestia è il sacramento della conoscenza di un amore che chiede di essere ricambiato con l'amore, con gratitudine e riconoscenza. Dio condivide con noi e noi siamo chiamati a condividere nella comunità della famiglia. Oggi porteremo il Sacramento in processione in questa antica e bellissima città come segno che Gesù vuole essere presente nelle nostre case e nelle nostre famiglie, nessuno è escluso dal suo amore. Non possiamo condividere il pane eucaristico, senza condividere anche il pane quotidiano, con i nostri gesti. Per il bene degli altri. Con noi celebra tutto il mondo, l'intera Chiesa».
Interventi ancora più recenti di Kasper sul tema dell’Eucaristia riguardano la possibilità di concedere l’accesso alla comunione eucaristica ai fedeli che, una volta divorziati, che si sono sposati con un rito civile. Kasper si è fatto promotore di tutta una serie di ipotesi “pastorali” che in pratica disconoscono la dottrina certa sul sacramento della Penitenza e su quello dell’Eucaristia. E pensare che Kasper, a proposito della comunione ai “divorziati risposati” che non possono ricevere l’assoluzione sacramentale in quanto incapaci di uscire da una situazione di peccato grave, nel 2003 aveva detto:
«Già san Paolo nella prima lettera ai Corinzi scrive che uno, quando accede all’Eucaristia, prova se stesso. L’Eucaristia e il sacramento della confessione dei peccati sono necessariamente collegati. Mio papà, molti anni fa, ogni domenica, non faceva la comunione se non si era prima confessato, e forse poteva sembrare un po’ esagerato. Ma adesso mi pare che si stia abbondantemente esagerando in senso opposto. Non si può andare a fare la comunione senza tener conto dello stato della propria coscienza»[29].
Ora invece Kasper ipotizza varie ipotesi di soluzione pastorale del problema, auspicando che vengano adottate dal Sinodo dei vescovi del 2015, strumentalizzando a tal fine il ricorso alla comunione spirituale. Ad esempio, nell’introdurre il concistoro del febbraio 2013, si rifà a quanto aveva detto Benedetto XVI nel 2012, ossia che «i divorziati risposati non possono ricevere la comunione sacramentale ma possono ricevere quella spirituale», e di conseguenza propone di consigliare ufficialmente a tutti quei fedeli che non fossero in condizione di comunicarsi sacramentalmente la pratica della “comunione spirituale”. Ma poi, nello spiegare il senso della sua proposta, Kasper mostra di non saper distinguere la “comunione di desiderio” dalla vera e propria comunione sacramentale, che per lui è un atto meramente “spirituale” e simbolico, senza un reale incontro del fedele con Cristo, Verbo Incarnato. E infatti dice:
«Molti saranno grati per questa apertura. Essa solleva però diverse domande. Infatti, chi riceve la comunione spirituale è una cosa sola con Gesù Cristo. […] Perché, quindi, non può ricevere anche la comunione sacramentale? […] Alcuni sostengono che proprio la non partecipazione alla comunione è un segno della sacralità del sacramento. La domanda che si pone in risposta è: non è forse una strumentalizzazione della persona che soffre e chiede aiuto se ne facciamo un segno e un avvertimento per gli altri? La lasciamo sacramentalmente morire di fame perché altri vivano?»[30].
Si noti l’ambiguità – o, per meglio dire, la vuotezza semantica – di questa frase, tutta retorica e nient’affatto teologica. Che cosa vorrebbe dire, teologicamente parlando, «lasciare sacramentalmente morire di fame» dei fedeli non riconoscendo loro le dovute disposizioni di grazia per ricevere l’Eucaristia? La Scrittura, quando parla di “fame” in senso teologico, intende la «fame e sete di giustizia», non il soddisfacimento di un preteso bisogno affettivo, psicologico, analogo al bisogno di nutrimento per il corpo. Se un fedele è consapevole di essere in stato di peccato mortale, la sua «fame e sete di giustizia» è da intendersi come desiderio di conversone e di riconciliazione, per poter poi ricevere, una volta riconciliato con la valida celebrazione del sacramento della Penitenza, il sacramento dell’Eucaristia, che assicura al fedele un aumento effettivo (sia o non avvertito sentimentalmente dal soggetto) della grazia santificante. Sia nell’uno che nell’altro sacramento opera (misteriosamente ma efficacemente) la grazia di Cristo, nostro divino Redentore, e proprio a Lui, percepito dalla fede attraverso i segni sacramentali, si rivolge l’anima credente che avverta la «fame e sete di giustizia».

Comunque, la relazione di Kasper è stata contestata da numerosi cardinali, sia durante il concistoro che dopo. Ma questa sua equiparazione tra comunione spirituale e sacramentale è stata poco toccata dalle critiche, che si sono concentrate su altri punti della relazione. Ma è proprio questa equiparazione che viene criticata come “fallace” da Alessandro Martinetti in un testo pubblicato da Sandro Magister[31].


   continua.....





Caterina63
00venerdì 28 agosto 2015 23:44


È l’immanentismo storicistico ciò che porta Kasper a privare di ogni contenuto veritativo il dogma della Presenza Reale di Cristo nell’Eucaristia.

Da quanto finora visto, è chiaro che è l’ecclesiologia storicistica ereditata dai suoi maestri Rahner e Küng ciò che rende Kasper incapace di comprendere il mistero eucaristico nei sui termini essenziali, che sono metafisici e realistici. I discorsi di Kasper sulla Chiesa, ridotta a mera comunità dei credenti in Cristo, - che lo Spirito  guiderebbe non tanto a una “statica” fedeltà alla Tradizione quanto a una “dinamica creatività” che renda possibile il “dialogo con gli uomini del proprio tempo” -, se hanno qualche plausibilità dal punto di vista sociologico, non ne ha alcuna dal punto di vista teologico. Nulla giustifica la concezione esclusivamente “pneumatica” della Chiesa, presentata dal teologo tedesco come «sacramento dello Spirito», definizione che per lui dovrebbe sostituire la definizione “giuridica” tradizionale, quale ad esempio si ritrova nell’enciclica Mystici Corporis di papa Pio XII[32]. Il campo di azione dello Spirito Santo non coincide infatti, come vuole la Tradizione, con quello della Chiesa cattolica romana, ma si estende ad una più vasta realtà ecumenica, la “Chiesa di Cristo” di cui la Chiesa cattolica è parte.

Per Kasper il decreto Unitatis redintegratio del Vaticano II ha superato l’ecclesiologia tradizionale, insegnando che l’unica Chiesa di Cristo va individuata ma in tante comunità ecclesiali separate: la vera Chiesa cattolica si trova lì «dove non c’è alcun vangelo selettivo» ma tutto si dilata in maniera inclusiva, nel tempo e nello spazio[33]. La missione attuale della Chiesa cattolica, pertanto, è di “uscire da sé stessa” per riacquistare una dimensione che la renda veramente universale[34]. In questa linea si collocano le tante proposte di riforma della Chiesa formulate da Kasper in vista delle molteplici iniziative ecclesiastiche per l’intensificazione del dialogo ecumenico, e più recentemente in vista del Sinodo per la famiglia[35].
 
Questa eliminazione radicale dalla teologia di un “discorso serio” su Dio come realtà personale etrascendente non è un aspetto marginale della riformulazione che della cristologia ha proposto Walter Kasper, il quale riconosce la sua dipendenza dall’interpretazione immanentistica dell’Incarnazione avevano già fornito altri due influenti teologi cattolici, il tedesco Karl Rahner[36] e lo svizzero Hans Küng[37], entrambi convinti che la ripresa del pensiero religioso di Hegel e di Schelling avrebbe favorito il rinnovamento della teologia  cristiana. A riprova di tutto ciò, appare assai significativo un suo scritto del 1970, che fa parte di Die Frage nach Gott, opera collettanea alla quale hanno collaborato i teologi tedeschi all’epoca più attivi[38].

Nell’edizione italiana[39] il contributo di Kasper è intitolato La questione di Dio come problema della predicazione e riprende le tesi agnostiche e storicistiche esposte pochi mesi prima nella sua opera Glaube und Geschichte[40]. L’autore, a pochi anni dalla conclusione del Vaticano II, non ritiene sufficiente quanto la Chiesa stessa ha solennemente insegnato con la costituzione pastorale Gaudium et spesma sostiene che il compito dei teologi sia di rimettere radicalmente in discussione la possibilità di parlare di Dio agli uomini del nostro tempo[41]. La prima cosa da fare, a questo proposito, è demolire con la critica razionalistica la tradizione dogmatica e pastorale della Chiesa, una tradizione che si è svolta in assoluta coerenza dall’epoca apostolica all’epoca contemporanea ma che – a detta di Kasper – non è mai stata capace di suscitare una fede autentica :
«Solo la fede nel Dio presente nella storia è in grado di offrire un ubi consistam nella storia. Il pensiero storico contemporaneo non rappresenta perciò soltanto una messa in questione dei modi di parlare di Dio finora in voga; esso dischiude anche alla predicazione cristiana un kairos unico, in quanto oggi storicamente per la prima volta può svilupparsi in condizioni ch’essa stessa ha concorso a produrre. Per poter cogliere questo kairos la teologia e la predicazione devono certamente liberarsi dalle forme e formule tradizionali, senza però smarrire la sostanza in esse contenuta. In effetti, già nel quadro della dottrina tradizionale di Dio, improntata alle categorie della metafisica greca, si era giunti con difficoltà a esprimere in maniera adeguata il Dio vivente nella storia»[42].
Non si può non rilevare come, al di sotto dell’evidente retorica storicistica, non ci sia in questo discorso un pensiero che abbia una qualche consistenza, né dal punto di vista teologico né da quello filosofico. Le contraddizioni si accavallano a ogni passo, e ci si può domandare con quale criterio Kasper pretende di «esprimere in maniera adeguata il Dio vivente nella storia», partendo dal presupposto che la «dottrina tradizionale di Dio, improntata alle categorie della metafisica greca» è stata totalmente inadeguata. Che cosa rende adeguata alle esigenze pastorali di oggi la dottrina nuova (immanentistica, storicistica, trascendentale, fenomenologica) già proposta da Rahner e riproposta ora da Kasper? La risposta a una domanda del genere non la si può naturalmente trovare negli scritti di Kasper: egli non fa che ripetere a ogni piè sospinto la necessità di eliminare tutta la teologia precedente, il che costituisce la pars destruens della sua dialettica storicistica, senza curarsi di illustrare quale dovrebbe essere una plausibile pars construens.

A Kasper, in realtà, interessa soltanto mettere da parte il Dio che la ragione umana (dal senso comune alla metafisica come scienza dell’essere) riconosce come trascendente, in quanto creatore (anche se la Scrittura inizia proprio con la rivelazione di questa verità: «Nel principio Dio creò il cielo e la terra»: Libro della Genesi, 1, 1); il Dio che si rivela come l’Essere di per sé sussistente (è la “metafisica dell’Esodo” illustrata da Étienne Gilson); il Dio eterno e immutabile che ha creato liberamente, per amore, e destina gli uomini alla comunione con  Sé nella vita eterna. Mettere da parte questo Dio, ritenuto “impresentabile” di fronte alla cultura secolarizzata di oggi, è per Kasper il principale dovere della teologia, che si deve oggi occupare soltanto dell’uomo nella storia: Dio può restare, nel discorso teologico, solo come esperienza interiore dell’uomo (Gotteserfahrung), come vissuto religioso esistenziale (religioser Erlebnis). Ecco allora che scrive:
«Sulla base di un concetto statico dell’eternità, si è spesso quasi reso Dio prigioniero del proprio essere e del proprio sistema. Le aporie che di qui derivano alla cristologia là dove si tratta di pensare il divenire-uomo (Menschen-Werdung) di Dio, recentemente, a seguito di K. Rahner, sono state rilevate energicamente ancora una volta da H. Küng. Le conseguenze di tale concezione certamente potrebbero essere ancora più funeste per la predicazione della fede. Un Dio che non abbia la possibilità di essere continuamente un nuovo inizio, secondo Schelling è “un Dio alla fine”»[43].
Basta questa breve citazione (che però è assolutamente omogenea allo stile e al contenuto di tutto lo scritto) per comprendere come il discorso di Kasper su Dio non abbia nulla di propriamente scientifico, ma vada affastellando i più triti luoghi comuni della pubblicistica religiosa cattolica del Novecento, tributaria della teologia (o meglio, della filosofia religiosa) luterana, rappresentata da Hegel e Schelling nell’Ottocento, cui si riconnettono in vario modo Oscar Cullmann e Karl Barth nel Novecento. Si noti in particolare l’assurdità di parlare di un «concetto statico dell’eternità» che andrebbe sostituito con un «concetto dinamico dell’eternità» capace di includere in sé il divenire: si tratta di un’assurdità, ho detto, perché la nozione metafisica di Dio creatore come “atto puro” non implica affatto la staticità, mentre  esclude il divenire, che è caratteristica delle creature; e anche perché questi teologi, che mettono da parte il Magistero per restare con la sola Scrittura, contraddicono proprio ciò che nella Scrittura stessa è più insistentemente enunciato, ossia la trascendenza di Dio rispetto al divenire del mondo[44].

Ancora più assurdo è ricamare argomenti insensati sulla falsa nozione di un «divenire-uomo (Menschen-Werdung) di Dio», quando il dogma cattolico e il suo riferimento biblico dicono ben altro, parlano cioè dell’Incarnazione come assunzione nel tempo della natura umana da parte del Verbo eterno («Ho logos sarx egeneto»). Con l’Incarnazione Dio resta nella sua eterna perfezione e trascendenza: non cambia, non sparisce e non si annulla nell’uomo; solo la natura umana, assunta dalla Persona del Verbo, cambia e viene elevata grazie all’unione ipostatica. Ma non vale la pena sottoporre ad analisi critica queste sconclusionate elucubrazioni dialettiche, visto che esse hanno in Kasper solo una funzione pragmatica, performativa: servono a concludere che Cristo è uomo (anzi, simbolo o metafora dell’uomo) e che Dio può essere lasciato stare da una teologia che voglia parlare all’uomo di oggi. Questa intenzionale de-costruzione del dogma cristologico – dal quale dipende la retta comprensione del mistero della Chiesa – è il presupposto dottrinale di tutte le ambiguità o degli evidenti errori teologici dei riferimenti che Kasper fa all’Eucaristia nelle sue opere.

In effetti, la dogmatica cattolica, come risulta dalle formule adottate dal concili ecumenici dei primi cinque secoli, esprime il mistero di Cristo in termini la cui semantica è sempre materialmente (e talvolta anche formalmente) metafisica, in quanto basata sulla nozione di “persona” (e quindi di sostanza) in rapporto dialettico con la nozione di “natura” (o “essenza”); di conseguenza, anche il dogma eucaristico, come ebbe a ricordare Paolo VI alla conclusione del Vaticano II[45], è parimenti espresso in termini la cui semantica è sempre metafisica, in quanto basata sulla nozione di “sostanza”, solo con la quale è possibile comprendere il significato del termine “transustanziazione” e il suo effetto sacramentale, la “presenza reale” di Cristo in Persona (metafisicamente, la persona èrationalis naturae individua substantia), ossia il fatto che Egli, dopo la consacrazione, sia presente «vere, realiter et substantialiter» sotto le specie del pane e del vino.

Un teologo che abbia scelto come metodo teologico “più adeguato ai tempi” l’eliminazione della semantica metafisica dalla comprensione e dall’approfondimento del dogma eucaristico, non può che parlare dell’Eucaristia in termini retorici, inconcludenti, in definitiva irrispettosi di questo grande mistero dell’Amore che ci è rivelato da Dio e che la Chiesa proclama infallibilmente con le sue definizioni dogmatiche, la cui eco fedele si trova nella tradizione liturgica[46]: ed è proprio quello che si rileva nelle opere teologiche di Kasper, come più sopra ho sufficientemente documentato.


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[1] Vol.  1: Die Lehre von der Tradition in der Römischen Schule; vol.  2: Das Absolute in der Geschichte; Vol.  3: Jesus der Christus; vol.  4: Der Gott Jesu Christi; vol.  5: Das Evangelium Jesu Christi; vol.  6: Theologie und Wissenschaft; vol.  7: Grundlagen der Dogmatik; vol.  8: Gott, der Schöpfer und Vollender; vol.  9: Jesus Christus, das Heil der Welt; vol.  10: Die Liturgie der Kirche; vol.  11: Die Kirche Jesu Christi; vol.  12: Die Kirche und ihre Ämter; vol.  13: Katholische Kirche; vol.  14: Wege zur Einheit der Christen; vol.  15: Einheit in Jesus Christus: vol.  16: Kirche und Gesellschaft; vol.  17: Pastoral; vol.  18: Predigten.
[2] Vedi Antonio Livi, Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”, Leonardo da Vinci, Roma 2012.
[3] Walter Kasper, Das Absolute in der Geschichte. Philosophie und Theologie der Geschichte in der Spätphilosophie Schellings, Matthias-Grünewald-Verlag, Mainz 1965; trad. it.: L’assoluto nella storia nell’ultima filosofia di Schelling, Jaca Book, Milano 1986, p. 53.
[4] Walter Kasper, Das Absolute, trad. it. cit., p. 90.
[5] La metafisica storicistica di Friedrich Schelling (1775-1854), eliminata la trascendenza di un Dio creatore e provvidente, elabora alla fine una nozione di Storia (Geschichte) che figura come unico agente universale di ogni evento, con le caratteristiche dell’«anima mundi» degli Stoici e del «Deus sive natura» di Spinoza. Nella sua ultima opera, Philosophie der Offenbarung (1858), Schelling contrappone al cristianesimo “dogmatico” il cristianesimo “della storia”, e riduce la nozione realistica di “rivelazione” a quella immanentistica di autocoscienza (Selbsbewußtsein) dello Spirito nel suo sviluppo storico.
[6]  Vedi Antonio Livi, Vera e falsa teologia, cit., pp. 246-255. Dello stesso avviso è un storico della Chiesa, il quale ha parlato di «quei teologi - ed oggi son i più - che si son formati non sulla Summa di san Tommaso d'Aquino e nemmeno su quei "loci" che Melchior Cano individuò soprattutto nella Rivelazione, nella Chiesa e nella Tradizione, ma sui testi di rinomati maîtres-à-penser, preferibilmente postconciliari, quasi tutti sensibili alla suggestione d'un hegelismo vagamente cristianizzato, che ciò nonostante imprigiona il messaggio evangelico nelle maglie del divenire, lo spoglia d'ogni sua componente soprannaturale e lo riduce ad un dato sempre cangiante dell'immanenza» (Roberto de Mattei, “Pasticcio Kasper”, in Il foglio, 1° ottobre 2014, pp. 1-3).
[7] Walter Kasper, Das Absolute, trad. it. cit., p. 206.
[8] Cfr Charles Journet, L’Église du Verbe Incarné. Essai de théologie speculative, tomo I:  La hiérarchie apostolique, Téqui, Paris 1941; tomo II: Sa structure interne et son unité catholique, Desclée de Brouwer, Paris 1952.  Nuova edizione riveduta: Charles Journet, L’Église du Verbe Incarné, 5 voll., Editions Saint-Augustin, Saint-Maurice 1998-2005. Vedi Antonio Livi, “Presentazione”, in Charles Journet, Maria corredentrice, Edizioni Ares, Milano 1989, pp. 6-10; Idem, Marian Coredemption in the Ecclesiology of Cardinal Charles Journet, in Mary at the Foot of the Cross, VII: Corredemptrix, therefore Mediatrix of All Graces, a cura di Alessandro Apolloni, Academy of the Immaculate, New Bedford, Massachusetts 2008, pp. 355-366.
[9] Cfr Concilio Vaticano II, cost. dogm. Lumen gentium, §§ 52-69.
[10] Vedi Concilio Vaticano II, cost. dogm. Lumen gentium, § 53: «La beata Vergine, predestinata fino dall'eternità, all'interno del disegno d'incarnazione del Verbo, per essere la madre di Dio, per disposizione della divina Provvidenza fu su questa terra l'alma madre del divino Redentore, generosamente associata alla sua opera a un titolo assolutamente unico, e umile ancella del Signore, concependo Cristo, generandolo, nutrendolo, presentandolo al Padre nel tempio, soffrendo col Figlio suo morente in croce, ella cooperò in modo tutto speciale all'opera del Salvatore, coll'obbedienza, la fede, la speranza e l'ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo ella è diventata per noi madre nell'ordine della grazia». Si noti in particolare l’espressione «vita soprannaturale delle anime», che costituisce la più formale smentita delle pretese di certa esegesi dei testi conciliari (penso a Yves-Marie Congar, a Henri de Lubac, e infine a Karl Rahner, maestro di Kasper) nei quali non si troverebbero più né il sostantivo “anima” né l’aggettivo “soprannaturale”, considerati residui della teologia scolastica.
[11]  Cfr  Walter Kasper, Jesus der Christus, Matthias-Grünewald-Verlag, Mainz 1974;  trad. it.: Gesù il Cristo, Editrice Queriniana, Brescia 1974.
[12]  Cfr Prima Lettera a Timoteo,  2, 5: «C’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo».
[13]  Per una sintesi aggiornata delle diverse interpretazioni teologiche delle relazioni  intra-trinitarie e del rapporto della Trinità con il mondo (creazione, missione del Figlio e dello Spirito Santo), vedi Antonio Livi, I presupposti logico-aletici delle diverse ipotesi teologiche sulle relazioni intratrinitarie, in Il “Filioque”. A mille anni dal suo inserimento nel Credo a Roma (1014-2014), a cura di Mauro Gagliardi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015, pp. 325-342.
[14] Vedi Josef Kreiml, Die Selbstoffenbarung Gottes und der Glaube des Menschen: Eine Studie zum Werk Romano Guardinis, EOS Verlag, Sankt Ottilien 2002.
[15]  Vedi Brunero Gherardini, “Il Dio di Gesù Cristo”, in Divinitas, 2004.
[16]  Vedi Cornelio Fabro,  La svolta antropologica di Karl Rahner, Editore Rusconi, Milano 1970; Antonio Livi, “Il metodo teologico di Karl Rahner. Una critica del punto di vista epistemologico”, in Fides catholica, n. 2, II, 2007, pp. 269-276; Idem, Il metodo teologico di Karl Rahner. Una critica del punto di vista epistemologico, in Karl Rahner. Un’analisi critica, a cura di Serafino M. Lanzetta, Edizoni Cantagalli, Siena 2009, pp. 13-27; Idem, Vera e falsa teologia, cit., pp. 222-227.
[18] San Giovanni Paolo II, enciclica Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile 2003.
[19] Cfr Gianni Valente, “La Chiesa non si dà la vita da sola. Il presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani interviene sull’ultima enciclica del papa”, intervista al cardinale Walter Kasper, in Trentagiorni, maggio 2003. Nell’intervista, che pure riguarda direttamente ed esclusivamente il mistero eucaristico in rapporto con la vita soprannaturale della Chiesa, il giornalista presentava Kasper avvertendo i lettori che il teologo tedesco «non ha un profilo da nostalgico tradizionalista. Il cardinale Walter Kasper viene spesso annoverato nell’ala "progressista" da chi ama dividere anche il Sacro Collegio secondo le categorie ingessate del bipolarismo politico. Dal marzo 2001 è presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. È quindi ex officio l’esponente di spicco della Curia romana più coinvolto nei rapporti con i capi delle altre Chiese e comunità ecclesiali cristiane. […] Le sue lucide e pacate considerazioni acquistano valore anche in virtù del ruolo affidatogli, visto che le critiche più forti finora espresse all’Ecclesia de Eucharistia hanno preso di mira soprattutto il presunto passatismo antiecumenico che serpeggerebbe nell’enciclica»
[20] Walter Kasper, in Trentagiorni, cit.
[21] Walter Kasper, in Trentagiorni, cit.
[22] Walter Kasper, in Trentagiorni, cit.
[23]  Cfr Karl Rahner - Herbert Vorgrimler, Kleines theologishces Worterbuc, Verlag Herder, Freiburg 1968; trad. it.: Dizionario di teologia, a cura di Giuseppe Ghiberti e di Giovanni Ferretti, Editori Associati, Milano  1994, pp. 243-244: «Tale trasformazione si realizza per offrire la possibilità al credente di mangiare il corpo e il sangue di Cristo al momento della comunione e per rendere presente attraverso ad essa il sacrificio della croce in quest’ora concreta della storia (ad opera della Chiesa). Tuttavia l’avvenimento che in essa si attua è permanente: fintantoché le specie del “cibo” (per essere mangiate) rimangono presenti, è presente anche Cristo (perché venga adorato). Tale presenza durevole e reale di Cristo (“presenza reale”) resta però necessariamente rapportata all’atto con il quale la Chiesa la pone e alla sua finalità che è appunto la sua recezione (“mangiare”) da parte del credente».
[24] Walter Kasper, in Trentagiorni, cit.
[25] Walter Kasper, in Trentagiorni, cit.
[26] Walter Kasper, Sakrament der Einheit. Eucharistie und Kirche  [2004]; trad. it.: Sacramento dell'unità. Eucaristia e Chiesa, trad. it.,  Queriniana, Brescia   2004, p.7.
[27] Kasper rifà poi a una celebre frase di padre Paul Couturier (Lione, 29 luglio 1881 – 24 marzo 1953), ideatore di un «ecumenismo spirituale», il quale auspicava che nella Chiesa si formasse «un monastero invisibile in cui si prega incessantemente per l’avvento dello Spirito» (cfr Walter Kasper,Sakrament der Einheit , trad.it., cit., p. 75).
[28] Cfr Giuseppe Siri, Dogma e liturgia, a cura di Antonio Livi, Leonardo da Vinci, Roma 2014.
[29] Walter Kasper,  in Trentagiorni, cit.
[30] Il testo della Relazione introduttiva al dibattito concistoriale, munita di una Premessa e di due Appendici, è pubblicato in Walter Kasper, Das Evangelium von der Familie. Die Rede vor dem Konsistorium, Verlag Herder, Feiburg 2014; trad. it.: Il Vangelo della famiglia, Editrice Queriniana, Brescia 2014; il volume comprende anche le sue Considerazioni finali riguardo al dibattito svoltosi all’interno dell’assemblea dei cardinali e un Epilogo intitolato «Che cosa possiamo fare?».
[31] «Occorre badare a non favorire che prenda piede nella coscienza del fedele la convinzione fallace secondo cui la comunione sacramentale dell’eucaristia e la comunione spirituale siano sostanzialmente la stessa cosa. La convinzione della sostanziale identità tra comunione eucaristica e comunione spirituale condurrebbe infatti il fedele ad assuefarsi alla condizione di peccato grave abituale che gli impedisce la ricezione della comunione eucaristica, mettendo a repentaglio la salvezza della sua anima. Da una catechesi e da una pastorale che non siano limpide al riguardo il fedele potrebbe essere infatti indotto ad avvalorare il ragionamento seguente: la comunione spirituale produce i medesimi effetti della comunione eucaristica, non c’è differenza tra l’una e l’altra nel grado di unione a Cristo che realizzano, quindi il peccato grave che mi impedisce di ricevere la comunione eucaristica non è tale da interdirmi la medesima unione con Cristo che conseguirei con la recezione dell’Eucaristia. Conclusione: questo peccato grave (se ha ancora senso chiamarlo tale) non produce effetti così gravi da giustificare che io mi adoperi per emendarmene. Non mi pare inutile pertanto rimarcare che la comunione spirituale con Cristo da parte di chi, versando in situazione di peccato grave abituale, non può accostarsi alla comunione eucaristica, è dono largito dall’amore misericordioso di Cristo, che non vuole la morte del peccatore, ma incessantemente opera perché si converta e giunga a una perfetta comunione con Lui. La comunione spirituale deve pertanto essere vissuta (e i pastori debbono curare che sia intesa e praticata correttamente così) non come esauriente surrogato della comunione eucaristica ma come dono con il quale Cristo si unisce spiritualmente al fedele per infiammarlo di sempre più fervente desiderio di unirsi perfettamente a Lui, purificandosi dal peccato per poter accedere all’assoluzione sacramentale e alla comunione eucaristica» (Alessandro Martinetti, citato da Sandro Magister, “Settimo cielo”, in L’Espresso, 22 maggio 2014).
[32] Cfr Walter Kasper, Gerhart Sauter, Kirche - Ort des Geistes [1980]; trad. it.: La Chiesa luogo dello spirito. Linee di ecclesiologia pneumatologica , trad. it., Queriniana, Brescia 1980, p.  91.
[33] Walter Kasper,  Das Absolute, trad. it. cit., p. 94. Come è noto, questa teoria (e la relative falsa interpretazione del dettato conciliare) è stata ufficialmente smentita dall’istruzione Dominus Iesus.
[34] Walter Kasper, Das Absolute, trad. it. cit., p. 206. La medesima tesi si ritrova, molti anni dopo, in Walter Kasper, Katholische Kirche. Wesen – Wirklichkeit – Sendung,  Verlag Herder, Freiburg im Breisgau/Basel/Wien 2011 (cfr trad. it.: Chiesa cattolica. Essenza, realtà, missione, Editrice Queriniana, Brescia 2012, p. 289).
[35] Vedi Dogma e pastorale. L’ermeneutica del Magistero, dal Vaticano II al Sinodo sulla famiglia, a cura di Antonio Livi, Leonardo da Vinci, Roma 2015.
[36] Cfr Karl Rahner, Zur Theologie der Menschenwerdung, in Schriften zur Theologie, vol. IV, Einsiedeln 1960, pp. 145 ss.
[37] Cfr Hans Küng, Menschenwerdung Gottes. Eine Einfürung in Hegels theologische Denken als Prolegomena zu einer künftigen Christologie, Verlag Herder, Freiburg im Breisgau 1970, pp. 522-557; 637-646.
[38] Die Frage nach Gott, herausgegeben von Joseph Ratzinger, Verlag Herder, Freiburg im Breisgau 1971.
[39] Saggi sul problema di Dio, a cura di Joseph Ratzinger, Editrice Morcelliana, Brescia 1975.
[40] Cfr Walter Kasper, Unsere Gottesbeziehung angesichts der sich wandelden Gottesvorstellung, in Idem,  Glaube und Geschichte, Matthias-Grünewald-Verlag, Mainz 1970, pp. 101-119; Idem, Möglickheiten der Gotteserfahrung heute, in Idem,  Glaube und Geschichte, pp. 120.143.
[41] «In Rahner e nella vasta scuola (non si sbaglierebbe troppo se si dicesse che oggi è, forse, la dominante, almeno in sede accademica) a lui ispirata o prossima il mondo (de facto il mondo moderno, ovvero la modernità assiologica) diviene, in forza d’una ridefinizione del rapporto tra Dio e la Storia, della nozione di Rivelazione e del concetto stesso d’Incarnazione e di molto altro, luogo teologico, anzi “il” luogo teologico» (Samuele Ceccotti, “La sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti e la non negoziabilità dei principi contrari all’ordine naturale”, in Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan,  23 luglio 2015)
[42] Walter Kasper, La questione di Dio come problema della predicazione, in Saggi sul problema di Dio, cit., p. 182.
[43] Walter Kasper, La questione di Dio come problema della predicazione, in Saggi sul problema di Dio, cit., p. 183.
[44] Vedi, ad esempio, quanto si legge nella Lettera di Giacomo, 16-18: «Non lasciatevi ingannare, fratelli miei carissimi; ogni buona donazione e ogni dono perfetto vengono dall'alto e discendono dal Padre dei lumi, presso il quale non vi è mutamento né ombra di rivolgimento. Egli ci ha generati di sua volontà mediante la parola di verità, affinché siamo in certo modo le primizie delle sue creature».
[45] Cfr Paolo VI, enciclica Mysterium fidei, 3 settembre 1965.
[46] Vedi Giuseppe Siri, Dogma e liturgia, a cura di Antonio Livi, Leonardo da Vinci, Roma 2014.
 






 

Caterina63
00mercoledì 9 settembre 2015 14:27
EDITORIALE Tutti gli editoriali

 




 

“Permanere nella verità di Cristo” è il titolo del convegno internazionale che si svolgerà a Roma il 30 settembre, in preparazione del Sinodo ordinario sulla famiglia.
A promuoverlo sono La Nuova Bussola Quotidiana, il mensile Il Timone, la rivista francese l’Homme Nouveau, la testata online spagnola Infovaticana e il centro di riflessione antropologica Dignitatis Humanae Institute



Invito convegno



È il contributo che intendiamo portare in preparazione del Sinodo ordinario (che si aprirà quattro giorni dopo), con la riproposizione chiara e integrale della tradizione cattolica sui problemi della vita, della famiglia e dell’educazione. Per questo sul palco dei relatori vi saranno il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, il cardinale Raymond Leo Burke, patrono del Sovrano Ordine di Malta, monsignor Cyril Vasil’, segretario della Congregazione per le Chiese orientali, il professor Stephan Kampowski, docente all’Istituto Giovanni Paolo II per la famiglia presso l’Università Lateranense. Il convegno si svolgerà nel pomeriggio presso l’Istituto Angelicum di Roma, il cui rettore padre Miroslav Adam farà gli onori di casa aprendo il convegno.

Nell’occasione sarà presentato anche un appello ai padri sinodali, per il quale stanno arrivando in questi giorni le adesioni di cardinali, vescovi, sacerdoti e laici. Inutile dire che si tratta di un appuntamento importante, per affrontare da un punto di vista della continuità con l’insegnamento della Chiesa i principali punti controversi in discussione. Ulteriori dettagli seguiranno nei prossimi giorni.






Caterina63
00martedì 15 settembre 2015 14:03


  Sinodo dei vescovi sulla famiglia. Elenco dei partecipanti

 - L'Osservatore Romano

- L'Osservatore Romano

15/09/2015 10:45
 

Reso noto l'elenco dei partecipanti alla XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, che si terra in Vaticano dal 4 al 25 ottobre, sul tema "La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo",






FOCUSdi Lorenzo Bertocchi
Papa Francesco
 

Saranno circa 270 i padri sinodali che dal prossimo 4 ottobre fino al 25 daranno vita alla XIV assemblea generale del Sinodo dei vescovi dal titolo “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo”.
A questi vanno aggiunti i collaboratori del segretario speciale, uditori e uditrici. L’elenco dei partecipanti è stato diffuso ieri dalla Sala stampa vaticana. L’attesa era per la lista di nomine pontificie: ci sono anche due parroci.


L’attesa era soprattutto per la lista di nomine pontificie, mentre per quanto riguarda i padri nominati dalla varie Conferenze episcopali del mondo i nomi erano già stati precedentemente ratificati dal Papa. Un primo dato è che la lista di nomine pontificie, rispetto a quella del Sinodo 2014, aumenta, passando da 26 a 45, ma vediamo nel dettaglio la “geografia” del sinodo.

La cabina di regia è rappresentata dal Segretario Generale, cardinale Lorenzo Baldisseri, che proprioieri al quotidiano Avvenire sottolineava l’importanza del “metodo di svolgimento” per la buona riuscita dell’assemblea. A questo proposito sappiamo che dovrebbero esserci delle novità, annunciate a suo tempo dallo stesso Baldisseri, ma che ancora non sono state specificate. Nel Sinodo 2014 ci fu, ad esempio, la scelta di non rendere pubblici i singoli interventi dei padri, pubblicando, invece, il documento di metà lavori. Rispetto ai temi di dibattito, al Sinodo 2015, dichiara il Segretario Generale, “certamente (…) si considereranno i cammini di fede di quelle situazioni che devono essere accompagnate in una pastorale d’integrazione.”

I presidente delegati sono quelli già a suo tempo stabiliti: i cardinali André Vingt-Trois (Parigi),AntonioTagle (Manila), Damasceno Assis (Aparecida) e Wilfrid Napier (Sud Africa). Relatore generale è sempre il cardinale ungherese Péter Erdo, segretario speciale mons. Bruno Forte e sottosegretario del sinodo mons. Fabio Fabene. La commissione che redigerà il messaggio finale, invece, è ancora da decidere. Ma veniamo alla lista dei padri di nomina pontificia. Dicevamo che sono ben 46 e vedono alcuni nomi di primissimo piano impegnati nel dibattito sinodale sui temi più delicati. Oltre al cardinale Walter Kasper, troviamo i cardinali Cristhoph Schonborn (Vienna), Godfried Daneels (emerito Bruxelles), Oscar Maradiaga (Tegucicalpa), la novità Dionigi Tettamanzi (emerito Milano), Carlo Caffarra (Bologna),  gli statunitensi Timothy Dolan (New Yotk),  Donald Wuerl (Washington) e mons. Blase Cupich (Chicago). Nutrita la pattuglia di italiani tra cui troviamo i cardinali Menichelli (Ancona), Bassetti (Perugia) e Montenegro (Agrigento), oltre al presidente del Governatorato dello Stato Pontificio, Giuseppe Bertello. 

La novità sono due parroci convocati da papa Francesco: monsignor Saulo Scarabattoli, parroco Perugia, e monsignor Roberto Rosa, parroco a Trieste. Il primo, oltre ad essere parroco nella centralissima Santo Spirito, è cappellano del carcere femminile e presidente dell’associazione caritativa “Amici del Malawi”. Il secondo, don Rosa, oltre a fare il parroco si occupa di coordinamento pastorale per la sua diocesi. Infine, sempre fra gli italiani, confermatissimo il direttore della Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro SJ.

Tra le nomine di papa Bergoglio dobbiamo evidenziare quella di monsignor Victor Manuel Fernandez, rettore della Pontificia Università Cattolica Argentina, nonché, si dice, teologo di fiducia del Papa. In molti sostengono che dietro all’enciclica “Laudato sì” ci sia la mano di Fernandez, un autore capace di affrontare molti temi; di lui si ama ricordare un titolo interessante che risale al 1995, e mostra la sua versatilità: “Saname con tu boca. El arte de besar”.

In complesso si può dire che le nomine del Papa siano, per così dire, bipartisan. Anche se, forse, la bilancia pende un po’ verso quei padri più favorevoli ad aperture sui temi delicati del Sinodo. Quest’ultima considerazione, per quanto può valere, può essere buona anche leggendo i nomi dei collaboratori del segretario speciale, vale a dire i docenti presso le varie facoltà teologiche e altri professori. In complesso, al Sinodo avremo 44 padri africani, 37 sudamericani, 8 nordamericani, 25 asiatici, 47 europei, 5 dall’Oceania. A questi vanno aggiunti i padri di nomina pontificia, i 10 eletti dall’Unione Superiori Generali e tutti i capi dicastero della Curia Romana. 

Il cardinale Baldisserri ad Avvenire dichiara che occorre “comprendere che la parresia, il confronto non è conflitto. Non è mettersi in condizione di combattere l’avversario. Il confronto è mettersi sul piano del dialogo e confrontarsi nel rispetto con lealtà e umiltà”. Speriamo che l’evangelico parlar chiaro sia davvero il leit motiv del Sinodo ormai alle porte.









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