Stupenda catechesi sulla Pentecoste dell'Abate dom Gerard Calvet, benedettino

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Caterina63
00venerdì 9 ottobre 2009 12:12

venerdì 9 ottobre 2009

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Commorantem.

Dall'ottimo e recentissimo sito Romualdica tenuto da un nostro amico oblato benedettino, e in commosso ricordo del carissimo dom Gerard Calvet OSB (1927-2008), cui RS è particolarmente legato per motivi personali, pubblichiamo l'omelia della Pentecoste che l'Abate di Le Barroux tenne a Chartres nel 1985 e quella che l'attuale Abate del Monastero, dom Louis-Marie Geyer, ha tenuto quest'anno nell'anniversario di morte di dom Gerard.



Nel nome del Padre + e del Figlio, e dello Spirito Santo. Amen.

Cari pellegrini di Notre-Dame,

Eccovi infine riuniti in compagnia dei vostri angeli custodi, presenti anch’essi a migliaia, che salutiamo con affetto e riconoscenza, al termine di questo ardente pellegrinaggio pieno di preghiere, di canti e di sacrifici, e già parecchi tra di voi hanno ritrovato la veste bianca dell’innocenza battesimale. Quale felicità!

Eccovi riuniti per grazia di Dio nella navata di questa cattedrale benedetta, sotto lo sguardo di Notre Dame de la Belle Verrière, una delle più belle immagini della Santissima Vergine. Immagine davanti alla quale sappiamo che san Luigi è venuto a inginocchiarsi dopo un pellegrinaggio compiuto a piedi nudi.

E questo non ci basta a ridarci il gusto delle nostre radici cristiane e francesi? Vi ringraziamo, cari pellegrini, perché in onore di questa Vergine santa voi vi siate messi in marcia a migliaia, e sono migliaia di voci che escono da migliaia di petti, di tutte le età e di tutte le condizioni, che ci danno questa sera l’immagine la più bella e la più viva della cristianità.

Vi ringraziamo di presentarvi ogni anno come una parabola vivente, perché quando nel corso di questi tre giorni di marcia verso il santuario di Maria voi avanzate pregando e cantando, esprimete la condizione stessa della vita cristiana, che è di essere un lungo pellegrinaggio e una lunga marcia verso il paradiso. E questa marcia finisce nella chiesa, che è l’immagine del santuario celeste.

La vita cristiana è una marcia, spesso dolorosa, che passa per il Golgota, ma rischiarata dagli splendori dello Spirito. E che sfocia nella gloria. Ah, possono perseguitarci, ma non permetto che ci si compatisca. Perché noi apparteniamo a una razza d’esiliati e di viandanti, dotati di un prodigioso potere d’invenzione, ma che rifiuta - è la sua religione - di lasciarsi distogliere lo sguardo dalle cose del Cielo.
Non è forse quello che canteremo tra poco alla fine del Credo?: Et exspecto - e attendo - Vitam venturi saeculi - la vita del secolo futuro. Oh, non un’età dell’oro terrestre, frutto di una supposta evoluzione, ma il vero paradiso di Dio, di cui Gesù parlava quando disse al buon ladrone: “Oggi sarai con me in paradiso”.

Se noi cerchiamo di pacificare la terra, di abbellire la terra, non è per sostituire il Cielo, ma per servigli da scala.

E se un giorno, di fronte alla barbarie montante, dovremo prendere le armi in difesa delle nostre città carnali, è perché esse sono, come diceva il nostro caro Péguy, “l’immagine e l’inizio e il corpo e l’assaggio della casa di Dio”.

Ma anche prima che suoni l’ora di una riconquista militare, non è forse permesso parlare di crociata, almeno quando una comunità si trova minacciata nelle sue famiglie, nelle sue scuole, nei suoi santuari, nell’anima dei suoi bambini?

E parimenti, cari amici, noi non abbiamo paura della rivoluzione: temiamo piuttosto l’eventualità di una controrivoluzione senza Dio.

Questo significherebbe rimanere chiusi nel ciclo infernale del laicismo e della desacralizzazione. Non ci sono parole per significare l’orrore che deve ispirarci l’assenza di Dio nelle istituzioni del mondo moderno. Guardate l’ONU: architettura curata, aula gigantesca, bandiere delle nazioni che sventolano nel cielo. Niente crocifisso!

Il mondo si organizza senza Dio, senza riferimento al suo Creatore. Immensa bestemmia! Entrate in una scuola di Stato: i fanciulli vi sono istruiti su tutto. Silenzio su Dio! Scandalo atroce! Mutilazione dell’intelligenza, atrofia dell’anima - senza parlare delle leggi che permettono il crimine abominevole dell’aborto.

Ciò che è più triste, cari fratelli, e più vergognoso, è che la massa dei cristiani finisce per abituarsi a questo stato di cose. Non protestano, non reagiscono. Oppure, per darsi una scusante, invocano l’evoluzione dei costumi e delle società. Che vergogna!

Vi è qualche cosa di peggio del rinnegamento dichiarato, diceva uno dei nostri, è l’abbandono dei princìpi col sorriso sulle labbra, scivolare lentamente dandosi arie di fedeltà. Non è un odore putrido quello che esala dalla civiltà moderna?

Ebbene, contro questa apostasia della civiltà e dello Stato, che distrugge le nostre famiglie e le nostre città, noi proponiamo un grande rimedio, esteso all’intero corpo, proponiamo l’idea-forza di ogni civiltà degna di questo nome: la cristianità.

Che cos’è una cristianità? Cari pellegrini, voi lo sapete e ne avete appena fatto l’esperienza: la cristianità è un’alleanza del sole e del cielo, un patto sigillato col sangue dei martiri fra la terra degli uomini e il paradiso di Dio, un gioco candido e serio, un umile inizio della vita eterna. La cristianità, cari fratelli, è la luce del Vangelo proiettata sulle nostre patrie, le nostre famiglie, sui nostri costumi e i nostri mestieri. La cristianità è il corpo carnale della Chiesa, il suo baluardo, la sua iscrizione temporale.

Le cristianità per noi francesi è la Francia gallo-romana, figlia dei suoi vescovi e dei suoi monaci. È la Francia di Clodoveo convertito da santa Clotilde e battezzato da san Remigio. È il Paese di Carlo Magno consigliato dal monaco Alcuino, entrambi organizzatori delle scuole cristiane, riformatori del clero, protettori del monasteri.

La cristianità per noi è la Francia del XII secolo, coperta da un bianco mantello di monasteri, ove Cluny e Cîteuax gareggiavano in santità, ove migliaia di mani giunte, consacrate alla preghiera intercedevano notte e giorno per le città temporali.
È la Francia del XIII secolo, governata da un santo re, figlio di Bianca di Castiglia, che invitava alla sua mensa san Tommaso d’Aquino, mentre i figli di san Domenico e di san Francesco si lanciavano sulle strade e nelle città a predicare il Vangelo del Regno.

La cristianità in Spagna è san Ferdinando, il re cattolico; è Isabella di Francia, sorella di san Luigi, che rivaleggiava col fratello in pietà, in coraggio e in intelligente bontà.

La cristianità, cari pellegrini, è il mestiere delle armi, temperato e consacrato dalla cavalleria, la più alta incarnazione dell’idea militare; è la crociata ove l’epopea è messa al servizio della fede, ove la carità si esprime con il coraggio e il sacrificio.

La cristianità è lo spirito laborioso, il gusto del lavoro ben fatto, il nascondersi dell’artista dietro la sua opera. Conoscete il nome degli autori di questi capitelli e di queste vetrate? La cristianità è l’energia intelligente e inventiva, la preghiera tradotta in azione, l’utilizzazione di tecniche nuove e ardite. È la cattedrale, slancio vertiginoso, immagine del cielo, immenso vascello ove il canto gregoriano si eleva unanime per ridiscendere in nappe silenziose nei cuori pacificati.

La cristianità, fratelli miei - siamo sinceri -, è anche un mondo minacciato dalle forze del male, un mondo crudele dove si affrontano le passioni, un paese in preda all’anarchia, il reame dei gigli saccheggiato dalla guerra, gli incendi, la carestia, la peste che semina la morte nelle campagne e nelle città.

Una Francia infelice, privata del suo re, in piena decadenza, votata all’anarchia e al sacco. Ed è in questo universo di fango e di sangue che l’humus della nostra umanità peccatrice, arrossata dalle lacrime della preghiera e della penitenza, fa germogliare il più bel fiore della nostra civiltà, la figura la più pura e la più nobile, lo stelo più diritto che sia nato sul nostro suolo di Francia: Giovanna di Domrémy.

Santa Giovanna d’Arco finirà di dirci che cos’è una cristianità. Non è soltanto la cattedrale, la crociata e la cavalleria; non è solo l’arte, la filosofia, la cultura e i mestieri degli uomini, che salgono verso il trono di Dio come una santa liturgia. È anche e soprattutto la proclamazione della regalità di Gesù Cristo sulle anime, le istituzioni e i costumi. È l’ordine temporale dell’intelligenza e dell’amore sottomesso alla altissima e santissima regalità del Signore Gesù.

È l’affermazione che i sovrani della terra non sono che i luogotenenti del re del Cielo.“Il regno non è a voi, dice Giovanna d’Arco al delfino. È a Messere. - E qual è il vostro Sire? viene chiesto a Giovanna. - È il re del Cielo, risponde la giovane, ed egli ve lo affida affinché lo governiate in suo nome”.
Quale allargamento delle nostre prospettive! Quale visione grandiosa della dignità dell’ordine temporale. In un brano che colpisce, la pastorella di Domrémy ci consegna il pensiero di Dio sul regno interiore delle nazioni.

Perché le nazioni - e la nostra in particolare - sono famiglie amate da Dio, amate a tal punto che Gesù Cristo, dopo averle raccolte e lavate col suo sangue, vuole ancora regnare su di esse con un regno tutto di pace, di giustizia e d’amore che prefigura il Cielo.

Francia, sei fedele alle promesse del tuo battesimo?” chiedeva il Papa cinque anni orsono. Santissima Vergine Maria, Nostra Signora di Francia, Nostra Signora di Chartres, noi vi chiediamo di guarire questo popolo infermo, di rendergli la sua purezza di infante, il suo onore di figlio. Noi vi chiediamo di rendergli la sua vocazione terriera, la sua vocazione rurale, le sue famiglie numerose che si curvano con rispetto e amore sulla terra che le nutre. Questa terra che ha saputo produrre, nel corso dei secoli, un pane onesto e frutti di santità.

Santissima Vergine, rendete a questo popolo la sua vocazione di soldato, di lavoratore, di poeta, di eroe e di santo. Ridateci l’anima della Francia!

Liberateci da questo flagello ideologico che violenta l’anima di questo popolo. Hanno cacciato il crocifisso dalle scuole, dai tribunali e dagli ospedali. Fanno in modo che l’uomo sia educato senza Dio, giudicato senza Dio e che muoia senza Dio.

È dunque a una crociata e a una riconquista che noi siamo chiamati. Riconquistare le nostre scuole, le nostre chiese, le nostre famiglie.

Allora, un giorno, se Dio ce ne fa la grazia, noi vedremo, al termine dei nostri sforzi, venire a noi il volto radioso e tanto amato di quella che i nostri avi chiamavano la dolce Francia. La dolce Francia, immagine della dolcezza di Dio.

Ci sarà consentito, questa sera, davanti a migliaia di pellegrini, di parlare della dolcezza di Dio?
È un monaco che vi parla. E la dolcezza di Dio, voi lo sapete, ricompensa al di là di ogni previsione le battaglie che i suoi servitori combattono per il Regno.

Dolcezza paterna di Dio. Dolcezza del crocifisso. O dolce Vergine Maria, avvolgete in un manto di dolcezza e di pace le nostre anime che affrontano dure battaglie.

L’anno prossimo è a tutta la cristianità che noi diamo appuntamento ai piedi di Nostra Signora di Chartres, che sarà ormai la nostra Czestochowa nazionale.

Lo Spirito Santo vi illumini, la santissima Vergine vi protegga e l’esercito degli angeli vi protegga. Amen.

dom Gerard Calvet
Abbas

***

I monaci hanno fatto l'Europa,
ma non l'hanno fatta consapevolmente.
La loro avventura è anzitutto, se non esclusivamente,
un'avventura interiore,
il cui unico movente è la sete.
La sete d'assoluto.
La sete di un altro mondo,
di verità e di bellezza,
che la liturgia alimenta,
al punto da orientare lo sguardo
verso le cose eterne;
al punto da fare del monaco
un uomo teso con tutto il suo essere
verso la realtà che non passa.
Prima di essere delle accademie di scienza
e dei crocevia della civiltà,
i monasteri sono delle dita silenziose
puntate verso il cielo,
il richiamo ostinato, non negoziabile,
che esiste un altro mondo,
di cui questo non è che l'immagine,
che lo annuncia e lo prefigura.

dom Gerard Calvet

***


Cari fratelli, cari amici,

la liturgia ci fa pregare per dom Gérard, un anno dopo il suo dies natalis, il giorno della sua nascita al cielo.

Dom Gérard amava che le omelie fossero assai brevi e che il predicatore si sforzasse d’indirizzare le anime alla vita interiore e insegnasse ai fedeli a gustare gli splendori della vita liturgica.
Oggi, giustamente, la santa liturgia ci fa pregare per dom Gérard con un’orazione che si adatta alla sua anima. Ci fa dire (vi offro una mia traduzione): “Fate Signore che l’anima del vostro servitore dom Gérard, che durante il suo soggiorno sulla terra avete arricchito di qualità sacre, possa esultare per l’eternità nella gloriosa dimora celeste”.
Questa preghiera ci ricorda varie cose.

Anzitutto il primato della grazia. Se non è il Signore che edifica la città invano vi faticano i costruttori. Dom Gérard ci ha sempre insegnato a contare sulla grazia, in maniera audace. I tre monasteri, le due abbazie e il priorato di Sainte-Marie, sono i frutti della grazia e non hanno avvenire se non si poggeranno sempre sulla grazia, in maniera audace.

Secondariamente, quest’orazione ci ricorda che la nostra esistenza sulla terra non è che un semplice soggiorno. Commorantem, è colui che rimane sulla terra, “senza fretta di partire ma con la fretta di arrivare” in cielo, diceva dom Gérard. Questo passaggio sulla terra, se è temporaneo, è nondimeno decisivo, poiché tutto ciò che facciamo risuona nell’eternità. Ecco perché Dio colma le nostre anime di beni sacri e perché ne ha colmato l’anima di dom Gérard. L’anima di dom Gérard era ricca come la tunica della sposa del Salmo 44.

Un’anima appassionata, un’anima piena di libertà, un’anima sempre alla ricerca. Un’anima che cercava Dio e che viveva per trasmetterlo. Un’anima che viveva nel soprannaturale. Era sufficiente vederlo rientrare dal Mattutino con il suo rosario e le sue stampelle per farsi venire voglia di pregare, non come un’osservanza pesante, ma come un riposo nella preghiera.

L’anima di dom Gérard ha ricevuto molto dai suoi maestri. Penso in particolare ad André Charlier, senza dimenticare il nostro fratello oblato Jean-Baptiste Madiran. In una delle sue ultime Lettere agli amici egli svelava ciò che fu la chiave di volta della sua vita soprannatrurale, o piuttosto, ciò che fu la sua grazia propria. Oggi si direbbe il suo carisma. Si tratta della pietà filiale. La lettera era intitolata “Lo choc di un libro”. Un libro richiesto a Jean Madiran, che definisce la pietà filiale come “il riconoscimento di un debito enorme che fa dell’uomo un debitore insolvibile e di ogni civiltà una serie di azioni di grazia e di gratitudine verso quanti ci hanno preceduti”. Mi sembra che i sacris muneris, tutta la ricchezza della sua anima, la sua cultura, il suo coraggio, la sua fede, la sua devozione per la liturgia tradizionale, per le osservanze monastiche, e anche il suo attaccamento alla filosofia dell’essere, tutte le sue ricchezze erano come legate nella sua anima dalla pietà filiale.

E l’orazione continua e ci fa pregare per dom Gérard, affinché esulti per sempre nella dimora celeste. Non ci è difficile immaginare la sua esultanza, anche se la realtà supera quanto possiamo immaginare. Ma noi l’abbiamo visto in questa abbaziale, l’abbiamo visto nel corso delle sacre cerimonie, nei canti intercalati dal silenzio, nella coreografia dell’incensazione attorno all’altare, e si poteva vedere in lui come l’irruzione del cielo sulla terra e rese indistinte le frontiere del mondo visibile e di quello invisibile. Sì, Signore, fate – perché anche questo è un frutto della grazia – che egli esulti per sempre nella dimora celeste.
Amen.

dom Louis-Marie Geyer
Abbas

[Omelia pronunciata da dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate di Le Barroux, il 28 febbraio 2009, in occasione del primo anniversario della morte di dom Gérard Calvet, fondatore e primo abate dell’abbazia Sainte-Madeleine, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]

Fonte Romualdica



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