Tributo d'Amore per i Nostri Soldati caduti MA ANCHE VIVI ED IN MISSIONE

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Caterina63
00giovedì 17 settembre 2009 22:05

                           Caduti della Folgore

                                                




bandiera+ tenente Antonio Fortunato, 35 anni, originario di Lagonegro (Potenza);
bandiera+ il primo caporal maggiore
Matteo Mureddu, 26 anni, di Solarussa;
bandiera+ il primo caporal maggiore Davide Ricchiuto, 26 anni, nativo di Glarus (Svizzera);
bandiera+ il sergente maggiore
Roberto Valente, 37 anni di Napoli;
bandiera+ il primo caporal maggiore Gian Domenico Pistonami, 26 anni di Orvieto;
bandiera+ il primo caporal maggiore
Massimiliano Randino, salernitano, 32 anni.






KABUL - E' quasi mezzogiorno a Kabul quando si scatena l'inferno. Sulla strada per l'aeroporto, un'auto con 150 chili di esplosivo si lancia contro due blindati italiani. Lo scoppio si sente a chilometri di distanza. Muoiono sei paracadutisti della Folgore, altri quattro militari (tre paracadutisti e un aviere) restano feriti. Molte sono le vittime anche tra i civili, almeno quindici afgani che affollavano un mercato vicino.

Due soldati appena rientrati dalla licenza. Il convoglio assaltato rientrava al quartier generale del contingente Isaf dopo aver raccolto all'aeroporto un paio di paracadutisti appena sbarcati dall'aereo che li riaccompagnava a Kabul al termine di una licenza in Italia. All'altezza del check point che controlla il traffico verso l'aeroporto, la Toyota bianca carica di esplosivo si è lanciata contro il primo mezzo del convoglio. E' stata una carneficina. Nessun soldato a bordo di quel blindato ha avuto scampo. Le fiamme hanno raggiunto anche il secondo Lince, sul quale è morto un altro soldato e sono rimasti feriti gravemente i quattro commilitoni che erano con lui.

I nomi delle vittime e dei feriti. Appartenevano al
186esimo Reggimento Paracadutisti di stanza a Pisa: quattro caporal maggiore; un sergente maggiore, e il tenente che comandava i due blindati. Con loro, sono 21 i militari morti dall'inizio della missione in Afghanistan dal 2004.


Ricoverati nell'ospedale da campo francese i caporalmaggiore Rocco Leo, 26 anni, brindisino; Sergio Agostinelli, 32 anni, nato in Svizzera e residente nel Salento; Ferdinando Buono, 30 anni, di Napoli; il maresciallo dell'Aeronautica militare Felice Calandriello, 58 anni, di Sassano (Salerno). Sono tutti in stato di shock ma senza altre gravi ferite.

Un cratere sull'asfalto: "Sembrava la fine del mondo". Un'esplosione devastante. Decine di veicoli hanno preso fuoco. Lo scoppio è stato così violento che sull'asfalto ha provocato un cratere profondo quasi un metro. Khuja Hedayatullah si trovava nel bazar a pochi metri di distanza dal luogo dell'attentato: "Sembrava la fine del mondo". In quel momento il mercato vicino era affollato di gente che faceva la spesa per la fine del Ramadan. "Prima c'è stato un fragore enorme - racconta il testimone - e poi piccole esplosioni dall'interno del blindato. Tutto intorno, sulla strada, c'era gente che implorava aiuto, sanguinava e gridava. Molti erano morti. L'aria era piena di fumo e le fiamme erano altissime".

I Taliban rivendicano l'attentato. L'attentato è stato rivendicato dai Taliban. Sul sito ufficiale dei militanti è scritto con tono trionfalistico: "Guidava l'autobomba un eroe dell'emirato islamico, il mujahid Hayatullah". Della strage di civili accusano i militari: "E' colpa della forza di occupazione che, dopo l'esplosione, hanno iniziato a sparare alla cieca colpendo molti tra i presenti sul posto".

La giornalista scampata all'attentato. I due blindati Lince stavano rientrando dall'aeroporto al quartier generale del contingente in compagnia di due commilitoni appena rientrati dall'Italia. Cristina Balotelli, giornalista di Radio24-Il Sole 24 Ore, era arrivata all'aeroporto di Kabul sullo stesso volo sul quale avevano viaggiato i soldati. All'uscita dallo scalo c'erano i paracadutisti. "Ci hanno detto: adesso portiamo i nostri al quartier generale. Poi torniamo indietro e veniamo a riprendervi. Stavamo caricando i bagagli in un container - ricorda la reporter - quando abbiamo sentito il rumore sordo di un'esplosione in lontananza e abbiamo visto alzarsi una colonna di fumo verso il cielo".

L'esperto: "Il Lince non ha rivali". E riesplode la polemica sull'affidabilità dei blindati Lince. Dopo l'attacco di luglio in cui morì
il caporal maggiore Alessandro Di Lisio, l'artificiere della Folgore vittima di un ordigno esploso sotto il blindato vicino a Farah, i gipponi sono stati rinforzati ma non è stato sufficiente. Gli esperti però ripetono che i blindati italiani restano i migliori: "Sostenere che i Lince non sono sicuri - ha detto Andrea Nativi, direttore di Rid, Rivista italiana difesa dal 2000, e dal 2008 di Risk - è una polemica inutile. Se qualcuno mi trova un mezzo del genere che resiste meglio alle bombe, lo premio. A livello mondiale, il Lince non ha rivali".

Karzai. L'attentato suicida è avvenuto pochi minuti dopo che il presidente afgano Hamid Karzai aveva concluso una conferenza stampa dedicata ai
risultati contestati delle elezioni. "E' un attentato barbarico e anti-islamico", ha detto Karzai. "Gli afgani non dimenticheranno mai il servizio che i militari italiani stanno rendendo a favore della pace e della sicurezza nel nostro paese".

Sei anni fa, Nassiriya. Quello a Kabul è il più grave attentato subito dalle truppe italiane dalla
strage di Nassiriya, in Iraq, del 12 novembre 2003. Allora l'esplosione di un camion-cisterna davanti alla base italiana Msu dei Carabinieri provocò 28 morti, 19 italiani (12 carabinieri, cinque militari dell'Esercito, due civili di una troupe che girava un documentario), e nove iracheni.

(17 settembre 2009)


bandiera              preghiera del paracudista


Eterno, Immenso Dio che creasti gli infiniti spazi e ne misurasti le misteriose profondità, guarda benigno a noi, Paracadutisti d'Italia, che nell' adempimento del dovere balzando dai nostri apparecchi, ci lanciamo nelle vastità dei cieli.

Manda l' Arcangelo S.Michele a nostro custode; guida e proteggi l'ardimentoso volo.
Come nebbia al Sole, davanti a noi siano dissipati i nostri nemici.
Candida come la seta del paracadute sia sempre la nostra fede e indomito il coraggio.

La nostra giovane vita è tua o Signore!
Se è scritto che cadiamo, sia!
Ma da ogni goccia del nostro sangue sorgano gagliardi figli e fratelli innumeri, orgogliosi del nostro passato, sempre degni del nostro immancabile avvenire.

Benedici, o Signore, la nostra Patria, le Famiglie, i nostri Cari!
Per loro, nell'alba e nel tramonto, sempre la nostra vita! E per noi, o Signore, il Tuo glorificante sorriso.

Così sia.

Preghiera per i Caduti



Signore Gesù,

ti preghiamo per i nostri Militari,

caduti nell’adempimento del loro dovere

nei cieli, in terra, sui mari.

 

Per il loro supremo sacrificio,

per la fede, la speranza e l’amore,

che li animarono nel servire la Patria,

dona a loro la vita eterna,

a noi il conforto,

all’Italia a al mondo la prosperità e la pace.

 

Fa’, o Signore della vita,

che il nostro Popolo accolga il loro esempio,

e sia sempre degno del loro sacrificio,

nella fedeltà delle nobili tradizioni,

e nell’amore ai valori umani e cristiani

della nostra storia.

 

Amen






GRAZIE RAGAZZI!

GRAZIE FOLGORE!












Caterina63
00venerdì 18 settembre 2009 00:34
DIO, PATRIA, FAMIGLIA









Caterina63
00venerdì 18 settembre 2009 19:27
Vicinanza alle famiglie delle vittime cadute in missione di pace

Il dolore della Chiesa in Italia
per i soldati morti a Kabul


 Roma, 18. I vescovi italiani si stringono nel dolore alle famiglie dei soldati italiani uccisi nell'attentato di ieri in Afghanistan, ricordando il valore delle vittime impegnate in una missione di pace.

ItaliaIn un telegramma inviato all'arcivescovo Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l'Italia, il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco, ha espresso "sentite condoglianze e profonda vicinanza al doloroso lutto per la scomparsa dei connazionali impegnati in missione di pace in Afghanistan", assicurando "il ricordo e la preghiera a conforto delle famiglie e delle comunità locali colpite dal drammatico evento".

Il porporato ha ricordato i militari caduti anche nel corso dell'omelia della messa celebrata questa mattina nella cattedrale di Genova per la festa della Guardia di Finanza:  i militari italiani - ha detto - sono "uomini di pace e di dialogo, la cui benevolenza d'animo e la cui carità fraterna sono ben note a tutte le popolazioni". Ricordando i tre anni passati come ordinario militare per l'Italia, il cardinale ha poi affermato:  "Ho potuto recarmi laddove i nostri militari ed i cappellani svolgevano la loro missione, in zone difficili che hanno visto anche tributo di sangue". In queste occasioni - ha aggiunto - "ho conosciuto il valore della dedizione, della generosità, il senso del dovere, l'attaccamento al proprio dovere ed alla propria missione che caratterizza tutti i militari italiani".

Particolarmente colpite nel dolore sono le diocesi di provenienza dei militari uccisi. Il vescovo di Pozzuoli, Gennaro Pascarella, ha espresso i suoi sentimenti di vicinanza "alla famiglia del sergente maggiore Roberto Valente e alle famiglie degli altri cinque militari italiani vittime dei gravi attentati di Kabul. In particolare, esprimo profondo affetto alla moglie del giovane sergente Valente, Stefania e al piccolo Simone a nome di tutta la comunità diocesana, della parrocchia Buon Pastore e San Francesco di Paola e del nido Centro Arcobaleno di Fuorigrotta, frequentato dal figlio".

Dolore e vicinanza sono stati espressi anche dal vescovo di Nocera Inferiore-Sarno, Gioacchino Illiano, in particolare ai familiari di Massimiliano Randino, i cui funerali si terranno nella parrocchia di San Giovanni Battista a Nocera Superiore. Sarà l'arcivescovo di Oristano, Ignazio Sanna, a officiare la prossima settimana a Solarussa le esequie del caporalmaggiore Matteo Mureddu. Il presule ieri pomeriggio ha portato il cordoglio della Chiesa oristanese ai familiari del militare. I giovani dal paese stanno cercando di organizzare una fiaccolata da tenere nei prossimi giorni.
 
Cordoglio per quanto è accaduto ieri mattina a Kabul, è stato poi espresso dall'arcivescovo di Siena-Colle di Val d'Elsa-Montalcino, Antonio Buoncristiani:  "La notizia terribile, ma ormai non insolita, della strage in Afghanistan ha colpito particolarmente la nostra città, che ha profondi legami con i paracadutisti della Folgore. Il ricordo per me - ha detto - è andato immediatamente alla primavera scorsa quando, in occasione della Pasqua, ebbi modo di salutare i militari prima della partenza per la loro missione, che affrontavano con coraggio ma anche coscienti dei rischi che li attendevano.

Pur sottolineando il legame tra la morte e risurrezione di Cristo e paventando il pericolo, evidenziai la forza della speranza che i cristiani debbono nutrire in ogni circostanza della vita". Buoncristiani ha aggiunto che "dinanzi al dramma del male e della morte innocente di civili e militari, inviati come strumenti di pace, è proprio la speranza che ci deve sostenere a convincerci che la loro fine è un rinnovato appello alla ragione di resistere alla violenza per il bene dei più deboli ed indifesi. In tal senso la morte dei giusti viene ad identificarsi con la passione del Giusto.

È con questi sentimenti - ha concluso - che nella preghiera partecipiamo al loro sacrificio, all'angosciante sofferenza delle famiglie e a quella di tutti i loro commilitoni, ricordando la beatitudine espressa da Gesù per gli operatori di pace".


(©L'Osservatore Romano - 19 settembre 2009)
Caterina63
00venerdì 18 settembre 2009 19:33
A colloquio con l'arcivescovo Pelvi, ordinario militare per l'Italia

Il terrorismo si nutre di morte
perché ha paura della solidarietà


di Nicola Gori

"Il terrorismo ha paura della solidarietà, per questo si nutre del disprezzo per la vita umana". C'è amarezza ma anche lucida consapevolezza nelle parole dell'arcivescovo Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l'Italia, all'indomani del tragico attentato a Kabul costato la vita a sei militari italiani. Il presule sa che non è facile dare una risposta ai tanti che in queste ore si domandano se il prezzo da pagare per ristabilire pace e democrazia in Afghanistan non stia diventando troppo alto. "Ci sono momenti - confessa - in cui il bene e il male si confondono, in cui la rabbia prevarica, momenti in cui è naturale chiedersi:  perché? Essere in un Paese ostile per il bene dello stesso sembra un paradosso". Tuttavia - afferma - "bisogna ricordare che non è il Paese a essere ostile, ma solo una minoranza di chi lo popola".
 
FolgoreProprio qualche giorno fa monsignor Pelvi aveva inviato a ciascun militare impegnato in Afghanistan una lettera in cui esprimeva stima e incoraggiamento per la missione svolta. Parole che rilette oggi suonano quasi profetiche. "La tua - scriveva - è una chiara lezione di pace evangelica nella insanguinata storia dei nostri giorni. Il Vangelo della pace non si dimostra, si mostra pagando di persona". In questa intervista al nostro giornale l'arcivescovo ribadisce il valore del compito che i militari svolgono al servizio della pace e spiega in particolare il ruolo dei cappellani delle forze armate, anche alla luce dell'Anno sacerdotale che la Chiesa sta vivendo.

Di fronte a eventi tragici come questo viene da chiedersi se ha ancora un senso una missione militare in uno scenario così instabile e difficile.

I nostri militari sono in Afghanistan per proteggere e incoraggiare chi vuole vivere in pace e migliorare le proprie drammatiche condizioni di vita. A nessuno può sfuggire la loro generosità che, oltre a garantire la sicurezza del territorio, sta aiutando a ricostruire le istituzioni e le infrastrutture di quel Paese. In questo periodo così delicato, dunque, sento anzitutto il dovere di ringraziare i giovani militari, sia come uomo che come fratello e padre nel Signore.

In situazioni così drammatiche, quale può essere il ruolo di un cappellano militare?

In una situazione resa drammatica dalla sempre più incombente minaccia del terrorismo il primo pensiero è rivolgere a Dio la nostra supplica intensa e fiduciosa. Quanto più insormontabili sembrano le difficoltà e oscure le prospettive, tanto più insistente deve farsi la preghiera per implorare da Dio il dono della comprensione reciproca, della concordia e della pace.

Quali sono gli attuali orientamenti pastorali della Chiesa castrense?

Il nostro è un programma quinquennale, iniziato nel 2007 con una esplicita priorità:  costruire il presbiterio, aiutando i cappellani a risvegliare la loro identità sacerdotale. Al riguardo, abbiamo vissuto due significativi convegni, le cui conclusioni sono sintetizzate nella lettera pastorale Splendete come astri di speranza. Ne è seguita la consapevolezza, da parte dei cappellani, di crescere nella fede assieme alla comunità militare. Da qui il convegno di Assisi del 2008 su "Annuncio del Vangelo e mondo militare", che ha offerto percorsi di accompagnamento spirituale per coloro che desiderano rendere più solida la fede, certa la speranza e operosa la carità. L'anno pastorale 2009-2010, perciò, con la riflessione su Parola di Dio e accompagnamento spirituale, intende concretizzare la guida spirituale delle famiglie e dei giovani, privilegiando la formazione cristiana del militare nel percorso dell'iniziazione cristiana, del cammino vocazionale e della testimonianza.

Come si colloca l'Anno sacerdotale in questo cammino pastorale?

È una provvidenziale coincidenza vivere la grazia dell'Anno sacerdotale, mentre come Chiesa siamo impegnati nell'incoraggiare fedeli, consacrati e presbiteri a celebrare la Penitenza sacramentale, come pure ad accostarsi periodicamente alla direzione e vivere gli annuali esercizi spirituali. L'Anno sacerdotale, infatti, vuole essere un tuffo nella spiritualità, sperimentando, alla scuola di san Giovanni Maria Vianney, una inesauribile fiducia nel sacramento della Confessione, dove viene offerto l'infinito amore di Dio per l'uomo.

Perché insistete proprio su questo sacramento?

Perché consideriamo il senso più genuino della Confessione:  eravamo morti, e, attraverso la morte di Cristo, siamo rigenerati a vita nuova; la buona notizia che Dio ci ama come e più di un padre, desidera il nostro bene, la felicità. In Cristo c'è un bene più grande, un orizzonte di vita infinito; il Vangelo di Gesù Cristo è il trionfo della vita sulla morte, della luce sulla disperazione delle tenebre. Ci saranno, allora iniziative pastorali, perché la caserma, la nave, l'aeroporto diventino come la parrocchia del curato d'Ars.

Oltre alla riscoperta della Confessione, lei sottolinea anche la necessità di una maggiore valorizzazione della direzione e degli esercizi spirituali. Perché?

Perché i cappellani non sono militari, ma sacerdoti tra i militari, che vogliono essere sostenuti nel loro cammino verso la santità, imparando a discernere la volontà di Dio nel concreto quotidiano. In quest'Anno sacerdotale ai cappellani si chiede di risvegliare il gusto e la frequenza periodica della direzione spirituale; ma anche, di essere consapevoli del loro ruolo di educatori nella fede e quindi di formatori, mettendosi nell'ottica della persona a cui si dà la direzione:  in altre parole, avere tempo ogni giorno per incontrare giovani e adulti. Nell'esistenza cristiana, illuminata dalla prospettiva della fede e dalla certezza della verità della presenza del Signore, l'amore stesso di Dio ci tiene uniti a sé e fra di noi più fortemente di quanto possono le promesse umane. Nel Dio della vita continuano a esistere i vincoli dell'amore e della comunione. La pratica della direzione richiamerà tra le forze armate il gesto del samaritano che si carica sulle spalle il viandante percosso dai banditi, lo porta alla locanda, ci rimette del suo. L'offerta della propria disponibilità, della propria casa, della propria vita.

I cappellani riescono a creare un clima di dialogo e di familiarità con i militari?

ItaliaAccade non di rado che di fronte al cappellano vengano poste delle domande, ci si apra a delle confidenze personali, ci si dichiari disponibili a un confronto, o a uno scambio anche di riflessioni più approfondite. È il momento dell'accoglienza rispettosa, del dialogo, della possibilità di una rivelazione più esplicita delle realtà e dei significati appena intravisti. Tutto questo predispone al momento della richiesta esplicita di essere aiutati a credere, di poter stabilire quello stesso rapporto sereno, di fiducia, di grazia con il Signore, riprendendo un incontro interrotto per vari motivi e per un tempo più o meno lungo. La direzione spirituale manifesta una sensibilità diffusa nella comunità cristiana, una enorme disponibilità presente nel vissuto di donne e uomini con le stellette. 

I cappellani partecipano annualmente agli esercizi spirituali?

Sono solito predicare tre corsi di esercizi, rispettivamente per i cappellani del nord, del centro e sud Italia, essendo il presbiterio presente su tutto il territorio nazionale. Ciò permette di sperimentare uno stile di serena appartenenza e dare vigore all'aspetto contemplativo che illumina e sostiene l'assistenza spirituale dei militari. Noi sacerdoti siamo ministri del Signore. È importante spogliarci delle preoccupazioni del ministero e pensare al ministro.

C'è una specifica spiritualità del cappellano militare?

La spiritualità del cappellano militare è quella di santificarsi personalmente attraverso il ministero e quindi santificare la sua opera personale con la sua santità personale, ma di far servire anche la sua opera pastorale alla santificazione propria. Come ricorda il Papa, in Gesù, Persona e missione tendono a coincidere:  tutta la sua azione salvifica era ed è espressione del suo "Io filiale" che, da tutta l'eternità, sta davanti al Padre in atteggiamento di amorosa sottomissione alla sua volontà. Con umile ma vera analogia anche il sacerdote deve aspirare a questa identificazione, avendo come modello il Curato d'Ars, che desiderò sempre quest'umile e paziente lavoro di armonizzazione tra la sua vita di ministro e la santità del ministero a lui affidato. Ritornare agli esercizi annuali e ai ritiri mensili con i nostri giovani oppure all'esperienza dei fine settimana di spiritualità familiare significa interrogarsi se Dio sta al cuore di ogni giornata. La fede non può essere un fatto scontato, un dato ovvio; e non è che la fede - nelle sue esigenze di radicalità e totalità di risposta e del dono di tutta la vita - faccia sconto ai presbiteri. Più che di atto di fede, una volta per sempre, dobbiamo parlare di continua e permanente adesione credente, perché chiamati a diventare adulti, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo.

Come si fa a diventare modelli di fede per i giovani militari?

Come cappellani non possiamo considerarci modelli di fede per i nostri militari solo perché affermiamo senza incertezze alcune verità e sappiamo esporle in modo teologicamente corretto. La fede non è una scelta nostra. Chi è credente sa che risponde di una scelta fatta dal Signore a una chiamata. Gli esercizi spirituali e ogni momento di sosta nello spirito è riflettere sul cammino personale, percorso incontro a Cristo, sulla strada lungo la quale il Signore benevolmente ci è venuto incontro. È importante verificare se il Signore è un interlocutore reale, il vero fondamento dell'esistenza:  più siamo attaccati a lui, più il nostro cuore è pieno di lui e di desiderio che tutti lo conoscano e lo amino, più diventiamo - senza nemmeno rendercene conto - suo segno trasparente; più si affina la nostra capacità di attrarre verso di lui, più contiamo su di lui e meno sulle nostre capacità e più il Vangelo si fa strada nel cuore dei nostri militari.

Cosa si aspetta per l'Ordinariato militare in questo Anno sacerdotale?

Mi auguro che aiuti i cappellani e i fedeli militari a crescere nella spiritualità. C'è uno stretto rapporto tra il sacerdozio battesimale e quello ministeriale, anche se sono di natura diversa. Ogni fedele con la sua vita santa deve essere opera lucis, ma di questa luminosità cristiana il sacerdote deve essere come una sorgente. L'augurio che si fa preghiera costante è che la nostra comunità ecclesiale abbia una claritas occupans ac dirigens. La chiarezza non è solo quella che illumina la vita personale del sacerdote, ma anche l'intero popolo di Dio; l'occuparsi e il dirigere non è solo riferito alla condotta privata del presbitero, ma anche a quell'orientamento soprannaturale che deve dare ai fedeli perché camminino, nella Chiesa, sulla via della salvezza. Tutto il popolo di Dio è sacerdotale. In questo dono del sacerdozio di Cristo, sia pure in forma e misura diversa, sta il grande fermento di spiritualità da seminare nel mondo militare.


(©L'Osservatore Romano - 19 settembre 2009)
Cattolico_Romano
00domenica 20 settembre 2009 07:01
Le bare dei parà in viaggio per Roma

In Afghanistan le lacrime dei colleghi

A Kabul la cerimonia con le salme
KABUL

Un grande commovente abbraccio cameratesco. È risultato sostanzialmente questo il senso della cerimonia religiosa con cui nella zona militare dell’aeroporto di Kabul decine e decine di soldati e ufficiali della Folgore e dell’Aeronautica hanno dato oggi l’ultimo saluto ai sei compagni che hanno sacrificato la vita per un Afghanistan più democratico e giusto.

Le semplici bare in cui erano stati composti i resti di Matteo Mureddu, Antonio Fortunato, Massimiliano Randino, Giandomenico Pistonami, Davide Ricchiuto e Roberto Valente, uccisi giovedì nella capitale afghana dallo scoppio di un’autobomba guidata da un kamikaze, sono state portate a spalla da sei commilitoni fino ad una zona della pista dove erano schierati un centinaio di militari fra ufficiali, truppa multinazionale e autorità diplomatiche, italiane e straniere.

Allineati ed avvolti in una bandiera tricolore ad un centinaio di metri dal C-130 che li avrebbe riportati in Italia, i feretri sono stati benedetti da un cappellano militare che in una breve orazione funebre ha detto di «non poter immaginare il dolore che questa tragedia ha provocato a parenti, fidanzate, mogli, figli e genitori». Ma il sacrificio, ha aggiunto, conferma che «il vangelo della pace non si dimostra, si mostra». Sul minuscolo podio è salito quindi il generale Tommaso Ferro, vicecapo del Coi, il Comando operativo interforze, in un clima di raccoglimento segnato solo dal decollo di elicotteri e aerei militari in missione, a testimonianza di un impegno a sostegno dell’Afghanistan che non prevede pause. «Il loro esempio - ha detto - rappresenta da oggi una luce nel fondo dei cuori che ci ricorda il nostro dovere ed il senso della nostra missione».

Nè lui, nè il generale Marco Bertolini, capo di stato maggiore di Isaf, la forza della Nato in Afghanistan, e tantomeno il colonnello Aldo Zizzo, comandante del contingente di cui i caduti facevano parte, hanno distolto neppure per un attimo gli occhi dai feretri: sei bare allineate, la peggiore tragedia militare dopo il massacro di Nassiriya. Dopo l’ambasciatore d’Italia Claudio Glentzer che ha sottolineato come l’attentato sia stato un dramma italiano ma anche afghano con «la morte di 20 civili e anche di bambini», l’ultimo a parlare è stato il decano della Folgore in Afghanistan, il primo maresciallo Franco Provenzale, che è tornato sul dolore di chi è restato e il vuoto provocato dai sei «come mariti, fidanzati, padri e, soprattutto, figli». Provenzale ha quindi chiamato uno per uno, per nome e cognome, con la voce rotta dall’emozione, i compagni caduti, invitando tutti a recitare la Preghiera del Paracadutista e ad unirsi infine al grido: «186! Folgore!».

Le bare sono quindi state trasferite, sempre a spalla, a bordo del C-130, con un’ultima camminata accompagnata dalle note della Canzone del Piave. Domani mattina, dopo 18 ore di volo e due scali, l’arrivo a Ciampino, dove ad accogliere le salme dei sei parà della Folgore, insieme ai parenti, ci sarà anche il presidente Giorgio Napolitano. Dopo la mezzanotte di oggi, inoltre, sono attesi, a Fiumicino, i quattro militari rimasti feriti. Nel pomeriggio di domani, dopo lo svolgimento delle autopsie, sarà allestita, all’ospedale militare del "Celio", la camera ardente aperta all’omaggio di tutti. Il sindaco della capitale Gianni Alemanno ha invitato i romani ad esporre il tricolore alle finestre nel giorno dei funerali. Palazzo Chigi ha proclamato due giorni di lutto nazionale, domani e lunedì, giorno dei funerali solenni nella basilica di San Paolo fuori le mura. Dopo le esequie di Roma, i feretri partiranno per i paesi d’origine dove, dopo una funzione più privata e raccolta, saranno tumulati.

 















www.lastampa.it
Caterina63
00lunedì 21 settembre 2009 10:44

In diretta i funerali dei sei parà della Folgore assassinati a Kabul


Su molte reti televisive (da Raiuno a Canale 5) e' iniziata la diretta dei funerali dei sei militari italiani uccisi a Kabul.
Uniamoci nella preghiera alle famiglie
.

LA PREGHIERA DEL PARACADUTISTA

Eterno, Immenso Dio che creasti gli infiniti spazi e ne misurasti le misteriose profondità, guarda benigno a noi, Paracadutisti d'Italia, che nell' adempimento del dovere balzando dai nostri apparecchi, ci lanciamo nelle vastità dei cieli.

Manda l' Arcangelo S.Michele a nostro custode; guida e proteggi l'ardimentoso volo. Come nebbia al Sole, davanti a noi siano dissipati i nostri nemici. Candida come la seta del paracadute sia sempre la nostra fede e indomito il coraggio.

La nostra giovane vita è tua o Signore! Se è scritto che cadiamo, sia! Ma da ogni goccia del nostro sangue sorgano gagliardi figli e fratelli innumeri, orgogliosi del nostro passato, sempre degni del nostro immancabile avvenire.

Benedici, o Signore, la nostra Patria, le Famiglie, i nostri Cari! Per loro, nell'alba e nel tramonto, sempre la nostra vita! E per noi, o Signore, il Tuo glorificante sorriso.

Così sia.
Cattolico_Romano
00lunedì 21 settembre 2009 11:10
Atterrato a Ciampino l'aereo con le bare. Aperta la camera ardente, domani previsti i funerali di Stato
ROMA
E' atterrato questa mattina alle 9.30 all’aeroporto romano di Ciampino l'aereo con le salme dei sei parà uccisi nell'attentato di tre giorni fa a Kabul. Ad attendere le bare avvolte nel tricolore le massime autorità istituzionali e i familiari delle vittime, oltre a quelli degli altri soldati rimasti feriti che non vogliono far mancare la loro vicinanza a chi è stato più sfortunato.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha accolto le sei bare avvolte dal tricolore. Oltre al capo dello Stato c’era il presidente del Senato Renato Schifani, quello della Camera Gianfranco Fini, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, quello dell’Applicazione del programma di governo Roberto Calderoli, il leader dell’Udc Pierferdinando Casini, il sindaco di Roma Gianni Alemmano, i vertici militari. Un picchetto d’onore interforce ha reso omaggio alle bare .

Evidente la commozione generale, resa ancor più profonda da una immagine: il figlio piccolo del sergente Valente, in braccio alla madre, con in testa il basco amaranto dei paracadutisti. Un mesto corteo ha chiuso la breve cerimonia che si è tenuta a Ciampino. Dopo il saluto del Capo dello Stato, che si è inchinato davanti a tutte le bare, poggiando su ciascuna la mano destra, e gli onori da parte del picchetto della Folgore schierato sulla pista, le sei bare sono state trasportate a spalla a bordo dei carri funebri con cui hanno raggiunto l’istituto di medicina legale, dove è stata predisposta l’autopsia. In testa al corteo, affranti, i parenti delle vittime: abbracciati tra loro, sostenuti da militari dell’esercito, hanno seguito le bare con i loro cari in silenzio, con dolore e grande compostezza.

Palazzo Chigi ha proclamato due giorni di lutto nazionale. Domani si svolgeranno i funerali solenni nella basilica di San Paolo fuori le mura per i sei caduti: il tenente Antonio Fortunato, originario di Lagonegro (Potenza); il primo caporal maggiore Matteo Mureddu, di Oristano; il primo caporal maggiore Davide Ricchiuto, nativo di Glarus (Svizzera); il sergente maggiore Roberto Valente, di Napoli, e il primo caporal maggiore Gian Domenico Pistonami, di Orvieto (Terni). Nel pomeriggio di oggi, dopo lo svolgimento delle autopsie, è stata allestita, all’ospedale militare del "Celio", la camera ardente aperta all’omaggio di tutti. A presidiare l’entrata dell’ospedale sono stati schierati dei militari. Il sindaco della capitale Gianni Alemanno ha invitato i romani ad esporre il tricolore alle finestre nel giorno dei funerali. Il percorso che dal Celio conduce a San Paolo (lo stesso dei caduti di Nassirya) - ha deciso il Campidgolio - sarà punteggiato da 2.500 bandiere. Domani, dopo le esequie di Roma, i feretri partiranno per i paesi d’origine dove, dopo una funzione più privata e raccolta, saranno tumulati.

Intanto nella notte sono rientrati in Italia anche i quattro militari rimasti feriti nell’attentato. L’aereo che li trasportava - via Abu Dhabi e Larnaca - un volo Alitalia utilizzato per le esigenze della Difesa, è atterrato all’aeroporto romano di Fiumicino alle 1.32. I quattro militari feriti, il primo Maresciallo dell’Aeronautica Felice Calandriello e i primi caporalmaggiori della Folgore, Rocco Leo, Sergio Agostinelli e Ferdinando Buono, sono scesi da soli, senza aiuto, dalle scalette dell’Airbus 321 dell’Alitalia. Sotto bordo ad attenderli due ambulanze dell’Esercito. Nel viaggio sono stati accompagnati da sei colleghi che, una volta saliti a bordo delle due ambulanze, li hanno aiutati a portare i loro zaini. Le due ambulanze, precedute da due pulmini dell’Esercito e scortate da polizia e carabinieri, hanno quindi lasciato l’aeroporto di Fiumicino poco prima delle 2, dirette all’ospedale militare del Celio.





















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Caterina63
00lunedì 21 settembre 2009 13:34


Dopo la lettura del Vangelo, incentrata sulla conversione dell'apostolo Matteo, di cui oggi la Chiesa celebra la festa liturgica, mons. Vincenzo Pelvi, Ordinario militare, ha tenuto una significativa omelia, in cui, secondo lo stile dell'orazione funebre, ha principalmente ricordato le virtù dei sei parà caduti a Kabul.

Dopo averli singolarmente chiamati per nome, il presule si è loro rivolto dicendo: "La tua vita a servizio della pace é motivo di consolazione e di gioia per il nostro paese che vive un grande dolore per la tua tragica scomparsa". Ha quindi esaltato il contributo del mondo militare “alla cultura della solidarietà, che trova il suo ultimo fondamento nell'unità del genere umano”.

In particolare l’arcivescovo castrense ha rilevato che “le missioni di pace ci stanno aiutando a valutare da protagonisti il fenomeno della globalizzazione, da non intendere solo come processo socio-economico, ma criterio etico di razionalità, comunione e condivisione tra popoli e persone”.

Ne insorge, dunque, “l'esigenza di una concreta e rinnovata attenzione a quella responsabilità di proteggere, un principio divenuto ragione delle missioni di pace. Se uno stato non é in grado di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, la comunità internazionale è chiamata a intervenire, esplorando ogni possibile via diplomatica e prestando attenzione e incoraggiamento anche ai più flebili segni di democrazia o di desiderio di riconciliazione". Nella chiusa mons. Pelvi ha invocato l’intercessione della Vergine Maria a conforto dei familiari.










www.corriere.it/cronache/09_settembre_21/funerali-paracadutisti-folgore_e9e5f862-a680-11de-8d5f-00144f02aa...




Caterina63
00lunedì 21 settembre 2009 18:41
Pubblichiamo di seguito il telegramma di cordoglio del Santo Padre Benedetto XVI per i militari italiani vittime dell’attentato terroristico a Kabul (Afghanistan), inviato a firma del Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, all’Ordinario Militare per l’Italia, S.E. Mons. Vincenzo Pelvi, e di cui è stata data lettura questa mattina all’inizio della Celebrazione Esequiale nella Basilica di San Paolo fuori le mura:


TELEGRAMMA DEL SANTO PADRE

S.E.R. MONS. VINCENZO PELVI ORDINARIO MILITARE PER L’ITALIA

SALITA DEL GRILLO, 37 – 00184 ROMA

PROFONDAMENTE ADDOLORATO PER TRAGICO ATTENTATO TERRORISTICO AT KABUL IN CUI HANNO PERSO LA VITA INSIEME CON NUMEROSI CIVILI SEI MILITARI ITALIANI SOMMO PONTEFICE ESPRIME SENTITE CONDOGLIANZE AT VOSTRA ECCELLENZA FAMILIARI ET RISPETTIVE COMUNITÀ COME PURE AT CHIESA CASTRENSE ET INTERA NAZIONE ITALIANA (.) MENTRE SI UNISCE SPIRITUALMENTE AT CELEBRAZIONE ESEQUIALE SUA SANTITÀ INVOCA MATERNA INTERCESSIONE MARIA SANTISSIMA REGINA PACIS AFFINCHÉ IDDIO SORGENTE INESAURIBILE DI SPERANZA ET FORZA NEL BENE SOSTENGA QUANTI SI IMPEGNANO OGNI GIORNO AT COSTRUIRE NEL MONDO SOLIDARIETÀ RICONCILIAZIONE ET PACE ET INVIA DI CUORE AT PARTECIPANTI TUTTI SACRA LITURGIA CONFORTATRICE BENEDIZIONE APOSTOLICA CON PARTICOLARE PENSIERO PER MILITARI FERITI

CARDINALE TARCISIO BERTONE SEGRETARIO DI STATO
Caterina63
00lunedì 5 ottobre 2009 07:41

Siena: requiem straordinario per i caduti di Kabul.

.

Con il consenso di S.E. Rev.ma Mons. Arcivescovo,
in accordo con il Comando del 186° Reggimento Paracadutisti “Folgore”,
che invierà una rappresentanza ufficiale,

la Milizia del Tempio – Ordine dei poveri Cavalieri di Cristo,
il Gruppo Scout Valdelsa “Alberto d’Albertis”
i Fedeli di Siena legati all’antica liturgia latina

comunicano che

Giovedì 15 Ottobre alle ore 18,30
Chiesa di San Donato
piazza dell’Abbadia
Siena

SANTA MESSA PRO DEFUNCTIS NELLA FORMA STRAORDINARIA

in suffragio dei Paracadutisti della Folgore caduti a Kabul
nel trigesimo del loro sacrificio

con l’invito ad unirsi alla preghiera di suffragio.

+

R.I.P


Caterina63
00giovedì 28 gennaio 2010 01:06

Da Oltretevere solidarietà e vicinanza ai soldati italiani

CITTA’ DEL VATICANO - Il Papa manifesta la sua vicinanza alle Forze Armate italiane in una lettera di risposta a quella fattagli pervenire dal caporal maggiore capo Girolamo Foti, delegato nazionale del Cocer Esercito, organo centrale della rappresentanza militare.

Il 12 dicembre scorso, Foti ha scritto a Benedetto XVI chiedendo "una parola di conforto a favore dei professionisti dell'Esercito", soldati che "per la propria Patria sacrificano la vita, nel mantenimento della pace e della democrazia nel mondo".

E concludeva: "Siamo angeli che nessuno considera e protegge; possa questo gregge di Dio essere tutelato e salvato dal proprio Pastore".

Nei giorni scorsi e' pervenuta la risposta del Papa, a firma dell'assessore, Monsignor Peter B. Wells. "Il Sommo Pontefice, grato per il gesto di filiale devozione, mentre esorta a vivere e a testimoniare i valori evangelici dell'amore e della pace, l'affida alla materna protezione della Madre di Dio e di cuore invia l'implorata Benedizione apostolica, pegno di ogni desiderato bene, volentieri estendendola ai colleghi e alle persone care".

                                       


Caterina63
00giovedì 20 maggio 2010 19:13
Dal Vaticano una delegazione di guardie svizzere

Il pellegrinaggio militare
internazionale a Lourdes


Lourdes, 20. Quasi dodicimila persone, tra militari e civili dei ministeri della Difesa e loro familiari, provenienti da trentasette Paesi, sono attese a Lourdes dove, da domani a domenica, si svolgerà il cinquantaduesimo pellegrinaggio militare internazionale.

Un avvenimento - spiega il vescovo Luc Ravel, ordinario militare per la Francia e presidente dell'organismo che sovrintende l'evento - "che ogni anno segna in maniera fortissima la vita delle cappellanie militari di numerosi Paesi" e "che reca con sé la volontà di ogni militare del mondo di operare insieme per la pace, il bene ultimo che noi ricerchiamo".
 
Arriveranno delegazioni da numerosi Paesi europei, compresa naturalmente l'Italia (con l'ordinario militare, arcivescovo Vincenzo Pelvi), e da Australia, Canada, Stati Uniti, Camerun, Costa d'Avorio, Kenya, Madagascar, Senegal, Repubblica del Congo e Corea del Sud. Dallo Stato della Città del Vaticano partiranno quindici guardie svizzere guidate dal capitano Christoph Graf e dal cappellano, monsignor Alain de Raemy. Rappresentata anche la Kfor, la forza internazionale sotto comando Nato dispiegata in Kosovo su mandato dell'Onu.

"Anche per un soldato - sottolinea monsignor Ravel - l'uso delle armi non è il solo mezzo per promuovere la pace fra le nazioni o all'interno di un popolo. È la coniugazione della forza delle armi e del sostegno della preghiera che dà al militare il dinamismo e l'apertura per mirare un giorno a raggiungere il bene della pace, senza il quale gli altri beni si riducono e finiscono per scomparire".

Tra i momenti comuni del cinquantaduesimo pellegrinaggio figurano la sfilata, venerdì, delle varie delegazioni per le strade di Lourdes in direzione della basilica di san Pio x, l'adorazione, sabato, del santo Sacramento nella basilica di Nostra Signora del rosario e la messa internazionale, domenica, in san Pio x che precederà la tradizionale cerimonia dell'Au-Revoir nella spianata del rosario. La direzione del pellegrinaggio è sotto la responsabilità della cappellania militare cattolica francese che ne assicura la logistica. Le cerimonie sono coordinate di volta in volta dalle differenti delegazioni che si riuniscono mesi prima in una conferenza internazionale preparatoria.

In origine regionale e poi nazionale (dal 1947), il pellegrinaggio militare è divenuto internazionale nel 1958, nel centesimo anniversario delle apparizioni di Lourdes. La volontà di fare un unico, grande raduno annuale nacque soprattutto dall'amicizia tra due sacerdoti, uno francese, padre André Besombes, cappellano dei prigionieri di guerra e incaricato di organizzare il pellegrinaggio militare nazionale, e l'altro tedesco, padre Ludwig Steger, della diocesi di Rottenburg, soldato e prigioniero di guerra, che nel '47 aveva preso parte in maniera riservata al raduno francese, conoscendo appunto Besombes.


(©L'Osservatore Romano - 21 maggio 2010)

                                                  funerali

ROMA (Reuters) - Si sono svolti oggi a Roma i funerali dei due soldati uccisi lunedì scorso in Afghanistan, in quello che il sacerdote che officiava la messa ha definito un sacrificio "non vano".

Alle esequie del sergente Massimiliano Ramadù e del caporal maggiore Luigi Pascazio, che si sono svolte nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, hanno partecipato, oltre a centinaia di persone, anche il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, i presidenti di Camera e Senato, membri della maggioranza e dell'opposizione .

"Il sacrificio dei nostri militari non è vano, non solo per l'Afghanistan ma anche per l'Italia e il mondo intero", ha detto nell'omelia monsignor Vincenzo Pelvi, arcivescovo ordinario militare per l'Italia.

"Luigi e Massimiliano hanno vissuto per gli altri e sono morti per gli altri, sono morti come hanno vissuto, offrendo la loro giovane vita per gli altri".

"Per i nostri giovani militari le missioni di pace sono una questione d'amore per dare dignità e democrazia a chi piange e soffre nelle terre più dimenticate", ha detto ancora il prelato.

Ramadù e Pascazio hanno perso la vita lunedì scorso, quando il blindato Lince su cui viaggiavano assieme a due commilitoni della Taurinense - il primo caporalmaggiore Gianfranco Sciré, 27 anni, e il caporale Cristina Buonacucina, 26, rimasti feriti - è stato investito dall'esplosione di un ordigno al passaggio di un convoglio multinazionale diretto a una base avanzata nella zona di Bala Murghab, nella Regione Ovest sotto responsabilità italiana.

Con i due soldati morti lunedì, è salito a 24 il numero di militari italiani che hanno perso la vita dal 2004 in Afghanistan, 16 dei quali in attentati o scontri a fuoco. Lo scorso febbraio era inoltre rimasto ucciso in un attacco dei talebani a Kabul un funzionario dell'Aise, il servizio segreto per l'estero.

I militari italiani attualmente impegnati in Afghanistan nell'ambito della missione Isaf della Nato sono circa 3.300, per lo più nella Regione Ovest.



http://video.sky.it/videoportale/index.shtml?videoID=86828756001

Caterina63
00giovedì 20 maggio 2010 19:14
Roma, dolore e commozione ai funerali dei due alpini
Si sono svolte nella basilica di Santa Maria degli Angeli le esequie solenni di Luigi Pascazio e Massimiliano Ramadù, i due militari italiani uccisi lunedì dallo scoppio di un ordigno. Presenti le più alte cariche dello Stato





[SM=g1740720]

Caterina63
00mercoledì 2 giugno 2010 16:46
2.6.2010 Festa della Repubblica....
le Frecce Tricolore salutano il Papa mentre è in udienza a san Pietro,
il Papa ha sorriso e benedetto il loro passaggio!



The Italian Air Force aerobatic unit Frecce Tricolori (Tricolor Arrows) spread green, white and red smoke to recall the colours of the Italian flag over St. Peters's square during Pope Benedict XVI weekly general audience at the Vatican on June 2, 2010. Italy celebrates the 64th anniversary of Republic Day.

The Italian Air Force aerobatic team "Frecce Tricolori" performs during Pope Benedict XVI's weekly Wednesday general audience in St. Peter's Square at the Vatican June 2, 2010.

Pope Benedict XVI waves from the popemobile after his weekly general audience in St.Peter's square at the Vatican on June 2, 2010.


Caterina63
00lunedì 20 settembre 2010 14:24

ONORE E AFFETTO
AL MILITARE ALESSANDRO ROMANI,
PARACADUTISTA DELLA FOLGORE,
UCCISO DAI TALEBANI,
DEL QUALE STANNO PER COMINCIARE
I FUNERALI DI STATO:
san Michele Arcangelo, del quale stiamo pregando Novene e Tridui per la sua prossima festività,
protegga i nostri Militari impegnati per la Pace....

Afghanistan: e' morto il tenente Alessandro Romani

Alessandro Romani




Faceva parte del nono Reggimento d'assalto Col Moschin

Herat - Non ce l'ha fatta uno dei due operatori delle forze speciali italiane rimasti feriti oggi da colpi di arma da fuoco, durante un'operazione per la cattura delle persone che avevano piazzato un ordigno esplosivo lungo una strada. E' il tenente Alessandro Romani, nono Reggimento d'assalto Col Moschin: celibe, nato a Roma il 18 luglio 1974, aveva alle spalle numerose missioni internazionali.

Il tutto ha avuto inizio quando un aereo senza pilota 'Predator'  italiano, sorvegliando dall'alto l'area est di Farah, ha avvistato lungo la strada per Delaram alcune persone che stavano posizionando un ordigno sotto il manto stradale. Il 'Predator' ha seguito gli attentatori, segnalando il luogo del loro
rifugio.

E' scattata così l'operazione per la loro cattura, alla quale ha preso parte la task force 45, ovvero gli uomini delle forze speciali italiane che, a bordo di un
elicottero Ch 47 - scortato da due 'Mangusta' - sono arrivati sul posto. Proprio in questa fase (da chiarire se in fase di atterraggio dell'elicottero o prima che atterrasse), due militari sono stati raggiunti da colpi di arma da fuoco, presumibilmente Kalashnikov.

I soccorsi sono arrivati immediatamente e i due, un ufficiale e un militare di truppa, sono stati ricoverati all'ospedale militare da campo di Farah. Secondo quanto si è appreso, il ferimento dei due militari è avvenuto a terra, mentre si procedeva all'attacco del rifugio degli insorti. Il 'Predator' ha avvistato quattro terroristi, intenti a piazzare l'ordigno.

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha appreso con profonda commozione la notizia dello scontro a fuoco in cui ha perso la vita il Tenente Romani, morto assolvendo il proprio compito nella missione Isaf in
Afghanistan. Napolitano ha espresso alla famiglia (interpretando il cordoglio del Paese) sentimenti di affettuosa vicinanza e sincera partecipazione al loro grande dolore.

Il Capo dello Stato ha inoltre espresso il suo incoraggiamento e un affettuoso augurio al primo Caporal maggiore Elio Domenico Rapisarda, ferito nello scontro a fuoco. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha rilasciato la seguente dichiarazione: "Ho appreso con dolore la notizia della morte del Tenente Alessandro Romani, colpito in uno scontro a fuoco in Afghanistan. A lui va il mio profondo ringraziamento e alla sua famiglia il mio più sentito cordoglio".

Dichiarazioni di cordoglio anche da parte del Presidente del Senato, Renato Schifani, personale e a nome dell'intera Assemblea di Palazzo Madama, del Presidente della Camera Gianfranco Fini, del Ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che "profondamente colpito" dalla notizia della morte del militare italiano in Afghanistan, ha inviato un telegramma ai genitori del militare morto e al capo di Stato Maggiore dell'Esercito, generale Giuseppe Vallotto. Anche il Ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha inviato a La Russa un telegramma (secondo quanto riferito da una nota del ministero) in cui esprime cordoglio alla famiglia del Tenente Alessandro Romani.



Caterina63
00sabato 9 ottobre 2010 18:48
Quattro militari uccisi dall'esplosione di un ordigno nel sud

Ancora sangue italiano in Afghanistan


Kabul, 9. Ancora sangue italiano in Afghanistan. Questa mattina quattro soldati sono morti, e un altro è rimasto gravemente ferito, in seguito all'esplosione di un ordigno che ha investito il blindato sul quale erano a bordo.

L'attacco è avvenuto nel distretto di Gulistan, circa duecento chilometri a est di Farah, al confine con la turbolenta provincia di Helmand, nel sud dell'Afghanistan. All'esplosione dell'ordigno è seguito uno scontro a fuoco che ha visto i militari italiani mettere in fuga i miliziani.

I cinque soldati si trovavano a bordo di un veicolo blindato Lince, che faceva parte del dispositivo di scorta a un convoglio di settanta camion di civili che stavano rientrando verso ovest dopo aver trasportato materiali per l'allestimento della base operativa avanzata di Gulistan. Il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, ha espresso le proprie condoglianze ai familiari delle vittime.

Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha affermato:  "L'attentato rappresenta un altro esempio dell'altissimo costo umano che siamo costretti a pagare per una missione fondamentale per la nostra sicurezza nazionale". In un comunicato la Conferenza episcopale ialiana afferma che la tragica scomparsa dei quattro militari mentre compivano con dedizione e professionalità il loro quotidiano lavoro al servizio della pace in Afghanistan "suscita profondo dolore e ci invita alla preghiera".

Ancora violenze, dunque, in Afghanistan mentre si attendono possibili sviluppi legati alla disponibilità dei talebani a eventuali negoziati. Secondo rivelazioni del "Washington Post", infatti, anche il mullah Omar potrebber dire sì a trattative nell'ambito del difficile processo di riconciliazione nazionale.


(©L'Osservatore Romano - 10 ottobre 2010)


Caterina63
00lunedì 15 novembre 2010 12:45

Un cimitero di guerra sa unire i popoli


di padre Renato Zilio*

LONDRA, lunedì, 15 novembre 2010 (ZENIT.org).- 324. Sono i nostri italiani, che questa terra inglese di Brookwood conserva sepolti come in uno scrigno. Domenica 14 novembre è stata l’occasione di visitarli in maniera ufficiale, come tutti gli anni, in una commossa cerimonia civile e religiosa. La data - normalmente la prima domenica di novembre - era stata posticipata per ritrovarsi insieme, in questo rito, alle celebrazioni della comunità inglese. Ammirevole coincidenza. È questo un gesto di memoria e di pietà, a cui la comunità italiana è ormai affezionata da sempre. Anche quest’anno, sotto una pioggia battente.

Come in un silenzioso e grandioso pellegrinaggio - condotto quest’anno dall’Ambasciatore Alain Giorgio Maria Economides, dal Console Generale Uberto Vanni d'Archirafi insieme ad Autorità militari, Associazioni e Organismi vari - tutti ritrovavano una coralità importante, in questo alto momento simbolico. È il riunirsi della comunità italiana di Inghilterra e del Galles attorno alle sue tombe, in un immenso cimitero militare inglese. Ed è ricordare insieme il duplice dolore di una Patria: perdere i suoi figli in terra straniera, lontano dai suoi confini. Il dolore sa riunire insieme, si sa, quanto una grande gioia o una festa. Ma forse ancora di più, perché attraversa i confini dell’invisibile per la scomparsa di qualcuno. Così, è stato bello veder ognuno deporre una corona di fiori e segretamente, allo stesso tempo, un grazie. Un fiore è sempre “your best way to say thank you!” ripetono gli inglesi nel loro remembrance day.

Il cimitero militare di Brookwood, infatti, è occasione speciale per ricordare chi ha vissuto un pezzo di vita come un’opera incompiuta. E ha affrontato il sacrificio più grande che si possa richiedere a un uomo, offrendosi a un ideale come una vittima su un’altare. Ricorda a noi che continuiamo a vivere quanto sia importante essere animati da un ideale e saper superare i conflitti con la forza del dialogo e della pace. Un ideale, questo, per eccellenza.

Sottolineava, infine, padre Pietro Celotto: “Con le massime autorità, passando a benedire tomba per tomba i nostri caduti, viviamo un atto di cristiana pietà e di merito al valore del loro sacrificio per la Patria lontana. La morte di questi eroi non sia avvenuta invano. Il loro esempio resti un monito a tutti specialmente ai giovani. La pace, è vero, è un’aspirazione fondamentale degli uomini. Spesso degenera in forme di egoismo e di odio: la nostra storia, allora, si fa tormentata storia di incomprensioni e di morte. Beati, invece, i costruttori di pace, perché di essi è il Regno dei cieli!”.

“La pace dovrà restare una preziosa eredità per chi viene dopo di noi...”. Sembrava questo, andandosene, il pensiero di ognuno: lo portava dentro di sè come un augurio. O, forse, come una preghiera.

-------------

*Padre Renato Zilio è un missionario scalabriniano. Ha compiuto gli studi letterari presso l'Università di Padova, e gli studi teologici a Parigi, conseguendo un master in teologia delle religioni. Ha fondato e diretto il Centro interculturale di Ecoublay nella regione parigina e diretto a Ginevra la rivista "Presenza italiana". Dopo l'esperienza al Centro Studi Migrazioni Internazionali (Ciemi) di Parigi e quella missionaria a Gibuti (Corno d'Africa), vive attualmente a Londra al Centro interculturale Scalabrini di Brixton Road. Ha scritto “Vangelo dei migranti” (Emi Edizioni, Bologna 2010) con prefazione del Card. Roger Etchegaray.



       [SM=g1740720]

Caterina63
00mercoledì 19 gennaio 2011 20:45
www.labussolaquotidiana.it
La Bussola Quotidiana notiziario cattolico di opinione online: «Noi in Afghanistan a morire per la pace»


«Noi, in Afghanistan a morire per la pace»

di Giorgio Gibertini
19-01-2011


La notizia della morte del Caporal maggiore Sanna lo ha raggiunto qui in Italia, nella sua casa di Follonica, dove sta trascorrendo un breve periodo di riposo (“Finalmente un po’ di spazio anche per me e per la mia famiglia”, ci ha sussurrato), ma presto ripartirà per Herat, in Afghanistan. Le prime parole sono dedicate alla famiglia del commilitone ucciso, poi il Caporal Maggiore Capo scelto della Folgore Gianfranco Calipari accetta di rispondere a qualche nostra domanda sul senso della presenza italiana in Afghanistan.

Che cosa vuol dire missione di pace in una situazione di guerra come quella afghana?
Missione di pace significa, prima di tutto, "guadagnarsi" la fiducia della popolazione cercando di trasmetterle sicurezza e serenità attraverso un atteggiamento che porti rispetto a leggi e tradizioni, poiché non si è invasori ma risorsa fondamentale per dare, da un lato, un appoggio alle forze di polizia e governative del paese ospitante, e dall'altro, aiuti umanitari alla popolazione nel pieno rispetto della dignità umana. Le missioni di pace vengono così definite poiché non si è invasori ma tutori dei diritti umani. Ciò viene dimostrato dal fatto che le regole di ingaggio delle missioni di pace del contingente italiano, sono sempre fondate sul divieto di ricorrere all'utilizzo della forza, ad esclusione dei casi in cui è necessario difendere e tutelare l'incolumità del contingente stesso, della popolazione e dell'ambiente in cui vive.

Che cosa fate concretamente?
In concreto il contingente si occupa di: pattugliare e controllare le vie di comunicazione , se necessario,anche attraverso l'utilizzo di check -point; di sorvegliare l'incolumità dei beni culturali e religiosi spesso distrutti durante le guerre tra etnie diverse; costruire e ricostruire, scuole, ospedali, sistemi d'irrigazione e quant'altro è necessario per garantire il benessere della popolazione; interventi medici di primo soccorso, effettuati all'interno delle varie basi militari; distribuzione di viveri e di materiale scolastico nei villaggi e centri urbani; impiego di personale civile locale, all'interno delle basi militari, per dare un'opportunità lavorativa ed economica alla popolazione locale, oltre al fatto che è segno di fiducia ed amicizia verso il paese ospitante.

Quanto pesa il sacrificio della famiglia? (E qui risponde anche la moglie Federica Vinciarelli)
Gianfranco: Quando un ragazzo svolge i primi anni di servizio militare, le missioni rappresentano un momento di crescita lavorativa e formativa ricche di esperienze che contribuiscono ad accrescere e rafforzare le motivazioni che sostengono questo tipo di vita non solo da un punto di vista lavorativo, ma anche da un punto di vista personale, poiché ti offrono la possibilità di vedere oltre. Quando, accanto a questo tipo di bagaglio personale, si affianca la scelta di costruire una famiglia, la missione non si svolge più singolarmente, ma la si vive e condivide con essa. Mi chiedo: vale solo 25.000 euro annue la vita di ognuno di noi? Vale per questa o per ogni altra cifra, lasciare crescere i propri figli senza la presenza del papà? La vita militare è una vocazione perché non è da tutti trascorrere più giornate con i propri colleghi che con la propria famiglia e rischiare quotidianamente la vita se non si crede veramente in qualcosa. Vale la pena vivere e morire per la pace, l'amore e la solidarietà verso il prossimo, e credere nelle nostre istituzioni e per la nostra bandiera, portatrice di pace e democrazia.

Federica: Quando mi sono innamorata di Gianfranco, mi sono innamorata anche del suo lavoro, perché era ed è parte di lui. Tante volte mi sono trovata a non comprendere il sacrificio e l'impegno che metteva in tutto ciò che faceva, credevo che a volte non ne valesse la pena...ma lui mi diceva sempre con gli occhi che gli brillavano davvero, che ogni sua azione ed impegno aveva un significato ed un alto valore, non solo per se, ma per tutti noi. E' dura crescere un figlio, trovandosi spesso da sola, dovendo scegliere e decidere da sola.....e accontentarsi di averlo vicino solo telefonicamente o grazie alla web, sperando che l'appuntamento virtuale non salti per un chissà quale motivo.....Poi purtroppo lo sconforto che a volte ti prende ha un grosso scossone che ti riporta al valore importante delle cose:"morti sei paracadutisti in un attentato..."il cuore in gola e le lacrime che ti riempiono gli occhi, ti ricordano che tuo marito è la per un qualcosa che è al di sopra di tutto e tutti: la pace e la democrazia. Tutti utilizzano questa parola senza ricordare che se non fosse stata garantita da coloro che hanno sacrificato la propria vita per essa, saremmo anche noi schiavi di qualcosa, o qualcuno....Sono orgogliosa di avere un uomo che vive e lavora per costruire un mondo di pace, un uomo ed un padre che ha scelto di mettere la vita a servizio di tutti noi e che quotidianamente ci insegna a vivere nel rispetto di tutti.


Caterina63
00martedì 25 gennaio 2011 10:46

Il vescovo di Padova oltraggia i caduti per la Patria


Per esprimere le giuste rimostranze potete scrivere una bella mail a Sua Eccellenza Reverendissima il Vescovo di Padova Mons. Mattiazzo (vedi qui). Facciamoci sentire!



di Andrea Tornielli su La Bussola (vedi qui)
24-01-2011

Quando si dice una parola di troppo. Una parola che può anche ferire, non soltanto essere fuori luogo. Rispondendo alle domande dei giornalisti l’arcivescovo-vescovo di Padova, Antonio Mattiazzo, ha spiegato perché non ha preso parte alle cerimonia funebre privata per Matteo Miotto, l’alpino di Thiene (provincia di Vicenza ma nel territorio della diocesi patavina) morto in Afghanistan l’ultimo giorno del 2010.

La sua non è stata purtroppo l’ultima morte, dato che il 18 gennaio un altro alpino, il caporalmaggiore Luca Sanna, è stato ucciso in quel Paese, portando a trentasei le vittime italiane dall’inizio della missione. «La diocesi era rappresentata», ha spiegato monsignor Mattiazzo. E ha aggiunto: «Certo sono dispiaciuto che il giovane sia morto. Ma andiamoci piano con l’esaltazione retorica. Non facciamone degli eroi. Quelle non sono missioni di pace. Vanno lì con le armi, dunque il significato è un altro, non dobbiamo dimenticarlo...».

Il richiamo a non cedere alla tronfia retorica, alle frasi roboanti di circostanza, all’esaltazione militaresca è sacrosanto e siamo certi che l’autorevole prelato non mancherà di sottolinearlo anche nel corso delle diverse celebrazioni per l’unità d’Italia previste quest’anno. Però non si può nascondere il disagio nel sentire un vescovo, un pastore, parlare così di un alpino italiano morto in una missione di pace.

È ovvio che Mattiazzo – il quale, pur essendo alla guida di una diocesi ormai da moltissimi anni, non dovrebbe aver dimenticato la sua provenienza dalla diplomazia pontificia – considera quella dell’esercito italiano una missione di guerra, non di pace. Ed è un suo diritto farlo. Appare però un po’ curioso che il fatto di poter essere missioni di pace sia definito – per il presule ex diplomatico – dal non avere armi.

Quando nel gennaio 1999 l’allora Segretario di Stato Angelo Sodano, chiese alla comunità internazionale di intervenire con una forza d’interposizione in Kosovo, non immaginava certo che i soldati, i caschi blu, le forze della Nato, si presentassero con la bandiera arcobaleno, qualche sfollagente e qualche lacrimogeno. Così come non si può non ricordare che, a differenza della guerra in Iraq, la missione in Afghanistan non suscitò appelli e forti perplessità da parte di un Papa come Giovanni Paolo II, ormai quasi beato, e grande costruttore di pace nel mondo.

Al vescovo Mattiazzo verrebbe da rispondere con le parole semplici del caporalmaggiore della Folgore Gianfranco Calipari, pubblicate in un’intervista su La Bussola: «Missione di pace significa, prima di tutto, “guadagnarsi” la fiducia della popolazione cercando di trasmetterle sicurezza e serenità attraverso un atteggiamento che porti rispetto a leggi e tradizioni, poiché non si è invasori ma risorsa fondamentale per dare, da un lato, un appoggio alle forze di polizia e governative del paese ospitante, e dall’altro, aiuti umanitari alla popolazione nel pieno rispetto della dignità umana. Le missioni di pace vengono così definite poiché non si è invasori ma tutori dei diritti umani. Ciò viene dimostrato dal fatto che le regole di ingaggio delle missioni di pace del contingente italiano, sono sempre fondate sul divieto di ricorrere all’utilizzo della forza, ad esclusione dei casi in cui è necessario difendere e tutelare l’incolumità del contingente stesso, della popolazione e dell’ambiente in cui vive».

Ma le parole del vescovo di Padova appaiono fuori luogo non per le disquisizioni sulle missioni di pace. Appaiono fuori luogo per la mancanza di sensibilità nei confronti di una famiglia colpita dal dolore della perdita di un figlio, che non sarà un eroe, come ricorda Mattiazzo, ma che era in Afghanistan a servire il suo Paese. Da un pastore non ci si attende retorica, né una lezione di geopolitica. Ci si attende, innanzitutto, uno sguardo umano e cristiano sulla realtà di una morte. La reazione composta dei genitori di Miotto, che non si sono fatti attirare nella polemica massmediatica sulle parole del vescovo, rappresentano una grande lezione per tutti. Ci sono casi in cui lo sguardo cristiano lo si impara più dall’atteggiamento dei semplici fedeli che da quello dei loro vescovi.


*****************************************

Risposta a Lettera aperta:

Potrei fare mille citazioni di Giovanni Paolo II a favore di queste MISSIONI DI PACE portate avanti dalla nostra Nazione.... potremmo sottolineare, Eccellenza reverendissima, come Giovanni Paolo II, futuro beato e strumentalizzato da certo cattolicesimo modernista, appoggiò e sostenne la guerra "lampo" - così avrebbe dovuto essere - degli anni '90 in favore della liberazione della ex Jugoslavia e a sostegno della Croazia, di altri Stati oggi indipendenti che languivano sotto il giogo comunista....  
Tuttavia avendo rispetto del suo ruolo nella Chiesa le rammento solo che come me, molte altre Donne servono la Nazione e il processo di democratizzazione di alcune aeree della terra (giusto o sbagliato che sia ), attraverso il sostegno ai propri MARITI impegnati in questi settori....  
Io sono sposata, con il SACRAMENTO DEL MATRIMONIO ad un militare da 27 anni... e nostro figlio, quasi diociottenne, è dall'età di 16 anni alla Scuola Militare Teuliè dopo aver prestato giuramento e fedeltà secondo i più nobili sentimenti DA SECOLI DIFESI DALLA CHIESA E DAL SUO MAGISTERO... ogni anno essi onorano e commemorano la Bandiera storica con su scritto: W DIO, LA PATRIA E PIO IX (beatificato da Giovanni Paolo II )  
in questo giuramento: http://www.youtube.com/watch?v=fVDAcVGFW_A  non mi pare che si addestrino i giovani ad essere mercenari... al contrario, già a sedici anni, invece di stare nei pub, nelle discoteche o a fare i perditempi con i telefonini per le scuole e per le strade... si SFORZANO DI RENDERE VIVI i nobili sentimenti che portano alla più autentica forma di democrazia  a se stessi prima di tutto, imparando SACRIFICANDO SE STESSI cosa significa LA DISCIPLINA.... e in futuro chissà.... non crediamo forse anche ai progetti di Dio?  
E da quando in qua Gesù si sarebbe permesso di giudicare l'impero romano dei suoi tempi? Gesù, intervenendo anche con il centurione e il soldato romano, non li ammonisce che il loro ruolo è sbagliato.... e sul gioco della moneta stabilisce il diritto di Cesare che non si contrappone a Dio quando, appunto, non si mette contro Dio....  
 
Trovo davvero triste dover spiegare a mio figlio e a mio marito che oggi un Vescovo di santa Romana Chiesa li ha condannati.....  
mi trovo in imbarazzo a dover stare davanti alle vedove e dire che i loro cari, secondo la voce di un vescovo, sono morti per nulla, anzi, "ben gli sta" !!!! perchè è così che suonano le sue parole Eccellenza, come una atroce condanna....oltre al danno le vedove e gli orfani subiscono anche la beffa di sentirsi condannati da un vescovo della santa Chiesa....  
 
Perchè non va Lei in Afganistan e a mani nude prova a far stanare i terroristi dalle loro dune rocciose?  
Non abbiamo forse bisogno di testimonianza?  
Ci dia prova di come si possa aiutare questi Paesi ad uscire dall'isolamento che certa politica fondamentalista li ha costretti.... sono queste popolazione a chiedere questi aiuti!  
Non entro in merito alla politica, di primo approccio sono contraria anch'io a certe politiche, ma allora non denunci l'inutile morte di questi VALOROSI SOLDATI, ma piuttosto abbia il coraggio di dire come stanno le cose, denunci la politica mondiale e il ricatto politico sotto il quale una Nazione come l'Italia non può sottrarsi altrimenti non avrebbe più fondi e lei dovrebbe fare a meno dell'8xmille... cosa c'entra? e si, c'entra anche questo, perchè il giro di risorse economiche che abbiamo lo dobbiamo in parte anche a questi accordi unilaterali con le "super-potenze"....  
 
E allora, Eccellenza, se vogliamo parlare di politica è un conto.... se invece la politica "corretta" la si vuole fare denigrando chi valorosamente da la propria vita, è meglio contare fino a dieci prima di predicare certi veleni....  
Lei non ha predicato LA VERITA', perchè la verità politica, in questo caso, è tutt'altra faccenda che lei stesso non direbbe mai apertamente.... se avesse predicato invece la verità sulla sorte di questi soldati, avrebbe certamente benedetto quelle vite donate...  
 
Mi benedica Eccellenza!

P.S.  
Eccellenza.... con le armi la sua persona viene difesa dalla polizia, dai carabinieri, dalla finanza.... dai militari....  
Il Giudice Borsellino aveva una scorta armata.... idem il giudice Dalla Chiesa.... uomini pronti a fare fuoco per difendere L'AUTORITA'....  
se lei crede davvero che si possa fare una "missione di pace" mandando uomini senza armi, lei vive di utopia!  
O si cambiano le politiche a livello mondiale, o ci teniamo per ora questa politica e quando qualcuno muore per difendere LEI e l'autorità legittima di Cesare, allora è anche necessario SOTTOLINEARE L'EROISMO di chi sa di dare la propria vita perchè IL DOMANI sia più radioso...  
TUTTO COSTA, la libertà costa....e sempre di sangue versato si tratta da parte di chi CREDE CHE IL DOMANI POSSA ESSERE MIGLIORE....







Caterina63
00venerdì 2 novembre 2012 19:12
La storia di questa canzone e della musica

Se qualcuno di voi ha mai visto un onore dei morti per la Patria, persona famosa, o funerale militare, hanno sentito ciò che è noto come "Taps" o semplicemente "The Silence".

Questo "Taps" per ascoltare, si ottiene un nodo alla gola e le lacrime agli occhi.

Qual è la storia di questa canzone?

Sai la sua origine umile.
Come la storia tutto ha avuto inizio nel 1862, durante la guerra civile negli Stati Uniti, tra l'esercito confederato e l'Unione.
Quando Army Cap. Robert Elly dell'Unione, era a capo dei suoi uomini vicino alla città di Landing Harrison in Virginia.
Esercito confederato era sul lato del lotto stretto.

Durante la notte il capitano Elly sentito i lamenti di un soldato che è stato gravemente ferito sul campo di battaglia.
Tuttavia, non sapendo se fosse un soldato dell'Unione o confederato, ha deciso di rischiare la vita e portare il ferito alle cure mediche.
Strisciando attraverso il fuoco, il capitano ha raggiunto il soldato ferito e cominciò a tirarlo verso il suo accampamento.

Quando il capitano è venuto a sue stesse fila, ha scoperto che in realtà era un soldato confederato, ma il soldato era morto.
Il capitano accese una lampada e improvvisamente rimase a bocca aperta e congelato in stato di shock. Nell'oscurità vide il volto del soldato. E 'stato suo figlio.

Suo figlio è stato lo studio della musica del Sud, quando scoppiò la guerra. Senza dirlo a suo padre si arruolò nell'esercito confederato.

Il giorno dopo e il cuore spezzato, il padre chiese il permesso dei suoi superiori per dare al figlio una sepoltura con gli onori militari, pur appartenendo al nemico.

La sua richiesta è stata parzialmente approvata. Il capitano ha chiesto se poteva avere alcuni membri della Banda di toccare durante il funerale di suo figlio.

La domanda è stata respinta con la motivazione che il soldato morto apparteneva all'esercito della Confederazione, ma, per rispetto per suo padre, gli fu detto che poteva avere solo un musicista.

Il capitano ha scelto uno che suonava la tromba per giocare una serie di note musicali ha trovato nella tasca della divisa del figlio morto.

Tale richiesta è stata accolta e così è nato questo angoscioso melodia che oggi conosciamo come "Taps".

Il testo di questa canzone è il seguente:
Il giorno è finito.
E 'stato il sole di laghi, colline, dai cieli.
Va tutto bene.

Riposo, protetto, Dio è vicino.
La luce fioca offusca la vista, e la stella adorna il cielo.
Brillante luce dal cielo, si avvicina il tramonto.
Grazie e lode per i nostri giorni sotto il sole,
delle stelle, sotto il cielo.
Quindi andiamo, questo lo sappiamo, Dio è vicino

it.gloria.tv/?media=353175




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Caterina63
00martedì 11 giugno 2013 18:58

CARLOTTA RICCI: Il copione è sempre lo stesso: lo sconcerto quando irrompe la breaking news, il rincorrersi dei dettagli, dinamica, nome, provenienza. L’aeroporto militare di Ciampino, la bara avvolta nel tricolore che scende dal C-130, la sfilata delle autorità, lo strazio dei familiari, gli occhi velati dei colleghi. I funerali solenni, le note del silenzio.
Poi cala il sipario. Durata totale: ...3 giorni circa. Accompagnati, immancabilmente, da stucchevole retorica e sterili polemiche.

Dieci anni e 53 bare non ci hanno insegnato proprio nulla. Siamo ancora impantanati nei luoghi comuni: i mercenari, gli occupanti, ma anche gli eroi, i miti. Gli attacchi ciechi e la pomposità lacrimevole.
Quand’è che l’Italia inizierà a vedere i suoi militari per quello che realmente, e molto semplicemente, sono: donne e uomini che scelgono di intraprendere una professione impegnativa, estrema, perché estreme possono essere le conseguenze, ma pur sempre una professione. Una scelta totalizzante, che ti richiede di credere in quello che fai. Perché non potrai facilmente dire di no, perché dovrai eseguire, perché dovrai ingoiare qualcuna delle domande che ti verranno in mente quando ti verrà richiesto di fare qualcosa.
I soldi, sì i soldi, la crisi, la disoccupazione, i militari del sud che si arruolano perché nel disgraziato meridione non c’è lavoro.
Va bene, c’è anche questo.
E vorrei vedere che se ti spediscono in un posto come l’Afghanistan, dove ogni giorno esci dalla base senza sapere se e come ci rientrerai; dove le docce sono magari a cento metri dal tuo alloggio, e non puoi non farla, perché la polvere, durante la giornata, ti è entrata dappertutto; dove non esiste la domenica, non c’è Natale, Capodanno né Pasqua, ma non c’è neppure orario di lavoro, perché in Afghanistan non si timbra il cartellino; dove non c’è luogo sicuro, perché può sempre piovere un razzo dal cielo e colpire la base, magari proprio il tuo alloggio; dove non c’è svago, e non solo perché, se c’è, nell’unica pizzeria incontri sempre i soliti colleghi, finisci a parlare sempre di lavoro e mangi sempre la solita pizza, ma perché col cervello, lì dentro, non stacchi mai.

Ebbene, vorrei vedere che non ci fosse una contropartita economica: la professionalità, il sacrificio si pagano. Come si pagano in altri mestieri e in altre professioni. Né più né meno.

Le esequie solenni quando rientrano in Italia avvolti nel tricolore? Perché a loro sì e ai morti sul lavoro no? Semplice, perché lì, a fare quello che stanno facendo, ce li ha mandati lo Stato. Quindi noi. Per i nostri interessi. Per la nostra stessa sopravvivenza. Piaccia o no. E chi ha autorizzato tutto questo è un Parlamento eletto democraticamente. Se poi non si crede nello Stato, non si scarichi la frustrazione sui militari. Quello è un altro discorso.
Lo Stato, la Costituzione e quell’inflazionato articolo 11 che recita “L’Italia ripudia la guerra”? Vero. Quello stesso articolo, tuttavia, prosegue. E recita che l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Cos’è che spinge a leggere solo fino a metà un articolo della Costituzione, se non un bieco tentativo di strumentalizzarlo?

Le polemiche, gli attacchi di parte e il pacifismo peloso sono tutti figli di una stessa malattia endemica. Finora nessuno (e dico NESSUNO) ha mai avuto il coraggio di dirci come stanno le cose: che le Forze Armate sono, come in tutte le Democrazie Occidentali, uno strumento di Politica Estera. Ecco perché ci ritroviamo ancora la partigianeria, i pout-pourri di argomentazioni pretestuose, gli impianti che si fondano sul nulla se non sull’ignoranza, che toccano a volo radente e fanno un unico, insensato minestrone di argomenti delicati e molto, molto complicati, quali l’Afghanistan, la sua situazione e la sua storia, il narcotraffico, le lobby delle armi, le politiche energetiche, il terrorismo, l’economia e la finanza, la disoccupazione nel nostro Paese, gli stipendi di chi va in missione, le famiglie che restano a casa, l’ansia del telefono che non squilla.

Smettiamola di mascherare le nostre Forze Armate con i vestiti di scena che al momento fanno più comodo, perché alla fine resta solo l’allegoria. Finiamola con i portatori di pace, i dispensatori di zainetti e caramelle, i “core de mamma” e i capitani Corelli. I nostri militari sono professionisti. Niente altro che questo.
Quando avremo interiorizzato questo, per magia, anche la retorica, da qualunque lato provenga, scomparirà.
L’Italia forse si ritroverà a essere un Paese un po’ più maturo. E, soprattutto, si restituirà agli uomini e alle donne in uniforme una dignità.
Perché, come loro stessi dicono: “queste rappresentazioni distorte ci hanno snaturato”

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Caterina63
00martedì 12 novembre 2013 12:56

  10 anni fa il sanguinoso attentato di Nassiriya, costato la vita a 19 italiani




Sono trascorsi 10 anni dall’attentato di Nassiriya, in Iraq. Era il 12 novembre 2003: un camion sfondò la recinzione della sede della missione Msu (Multinational Specialized Unit) dei carabinieri, aprendo un varco ad un'autobomba che esplose subito dopo. Morirono 12 militari dell'Arma, cinque militari dell'Esercito, due civili italiani e 7 iracheni. E’ stato l'attacco più sanguinoso nella lunga catena di lutti che caratterizzò l'operazione “Antica Babilonia”, in Iraq. Per un ricordo su quell’atto barbaro, Salvatore Sabatino ha intervistato padre Mariano Asunis, cappellano militare della Brigata Sassari:RealAudioMP3 

R. - Ricordo molto bene l’accaduto. Ricordo anche il suono particolare di questa esplosione che era diverso dalle altre esplosioni perché eravamo lì e spesso e volentieri si facevano esplodere le armi che venivano prese dalle case dei vari ribelli. Questa esplosione aveva un rumore particolare, poi quel fumo rivelava che era successo qualcosa di straordinario, di grave. Ma nonostante tutto credo che bisogna ricordare questo avvenimento particolare che nessuno mai avrebbe sospettato che potesse accadere, soprattutto agli italiani che sono stati accolti con il cuore grande, con le braccia aperte per il bene che compivano come il buon samaritano. E lì c’è stato un gruppetto composto di persone che veniva da fuori che ha causato questo dramma. Allora lì devi dare una risposta; e la risposta è quella della fede.

D. - Lei dice: “Noi siamo andati in Iraq per dare una speranza alla popolazione civile -che stava attraversando un momento difficilissimo ovviamente - per dare la vita, invece c’è piombato addosso la morte”. Che tipo di risposte ha dato poi ai militari che si sono trovati in questa situazione?

R. - Credo che la risposta l’abbiamo presa soprattutto dalla Bibbia. Non abbiamo usato i classici libri liturgici, ma abbiamo dato risposte per quello che ci hanno insegnato; “Abramo, vai ed esci dalla tua terra, e va' dove io ti indicherò”. Nassiriya è Ur dei Caldei, è la terra di Abramo e perciò noi siamo andati nella terra di Abramo con lui che poi ci unisce nelle tre religioni. Noi siamo stati mandati - via Ur dei Caldei - a Nassiriya per portare la pace. Poi naturalmente, con le bandiere, abbiamo dovuto riportare i nostri cari in Italia. Ma è stato un abbraccio forte da parte dell’Italia e lasciatemelo dire - visto che siamo a Radio Vaticana - anche della Chiesa, la Chiesa Ordinariato militare, questa Chiesa particolare nelle Chiesa universale è stata una luce di speranza! Voglio ricordare a tutti che sono stati offerti 50 mila rosari da parte dell’Ordinariato militare quando sono arrivate le salme, e che in quella notte non si faceva altro che pregare a Maria, la Madre per eccellenza.

D. - La Vergine Maria, cui lei si è rivolto durante la benedizione di quelle bare in partenza per l’Italia, lo ricordiamo tutti. Lei chiese che fosse la voce di una mamma a rispondere a quell’appello. La figura della mamma è ovviamente anche la figura della Madonna …

R. - Penso che sia comune a tutti conoscere quel passo del Vangelo, quando Gesù, al termine della sua vita, dalla Croce vede la mamma e la chiama “Donna”, e presenta Giovanni come suo figlio; tutti noi siamo Giovanni. Ed è per questo che ho voluto fosse una donna a rispondere al proprio nome, così come ognuno ha lasciato la propria mamma, la propria sposa, la propria figlia, così fosse Maria donna per eccellenza, madre di tutti. Abbiamo la certezza che quello che è stato distrutto dagli uomini è accolto da Dio.

R. - Le tante mamme i tanti figli, le mogli di quei caduti le avranno sicuramente chiesto un aiuto di fede per poter comprendere e gestire un dolore così forte. Lei cosa ha risposto a chi le ha chiesto: ” Perché è accaduto, Dio dov’era in quel momento?”.

R. - Io ho risposto, perché anche io vivo nella fede, dicendo: “Anche io sono un uomo prima di essere un religioso, un frate, un sacerdote. Anche io ho avuto dei momenti di dubbio, così come li ha avuti Gesù: “Padre se possibile allontana da me questo calice!”. Ma ho insegnato quello che io ho dentro; per me l’insegnamento più bello è quello delle due sorelle: le due donne che incontrano Gesù dove è morto Lazzaro e dicono: ”Io so che mio fratello risorgerà nell’ultimo giorno”. Ecco allora cosa insegni? Che la vita non termina, la vita viene donata. Il sangue irrorato dei martiri, porta altra vita. E allora voglio concludere con questo esempio. Non sono stato io forse a portare fede in queste famiglie, ma sono stati loro, con il loro esempio e con la donazione dei loro cari che hanno aumentato la fede in me.



Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/11/11/10_anni_fa_il_sanguinoso_attentato_di_nassiriya,_costato_la_vita_a_19/it1-745617 
del sito Radio Vaticana 

 
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