UNZIONE DEGLI INFERMI il Sacramento dimenticato.....

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Caterina63
00mercoledì 10 agosto 2011 14:42
Sacramento degli Infermi


Il sacramento riservato ai malati veniva chiamato "estrema unzione".


Ma in che senso? Il catechismo del Concilio di Trento ci fornisce una spiegazione che non ha nulla di conturbante, anzi, molto chiara: "Questa unzione viene chiamata "estrema" perché è amministrata per ultima, dopo le altre unzioni affidate da Cristo alla sua Chiesa" come segni sacramentali."

 Pertanto "estrema unzione" vuole significare quella che si riceve normalmente dopo le unzioni del battesimo, della confermazione o cresima, ed eventualmente dell’ordinazione sacerdotale, se uno è sacerdote. Nulla dunque di tragico in tale termine.


Ma il popolo cristiano non ha inteso in tale senso la spiegazione del catechismo e si è fermato al terribile significato di "estrema unzione" come di unzione definitiva dalla quale non esiste via di ritorno. Per moltissimi l’estrema unzione è l’unzione al termine della vita, il sacramento di quelli che stanno per morire.
Ma non è questo il significato cristiano che la Chiesa ha sempre dato a questo sacramento anche se, è del tutto naturale, che la Chiesa abbia usato ed usa questo Sacramento anche per coloro che sono in "fin di vita", e proprio perchè si tratta di un Sacramento di Amore; il Signore che è il Medico, si prende cura del malato in ogni situazione, sia esso un malato che potrebbe guarire, sia esso in uno stato terminale da questo mondo per entrare con il Sacramento nella Vita eterna. Per questo tale Sacramento è chiamato anche "IL CONFORTO" e che accompagnato dall'Eucarestia detta "DOLCE VIATICO", aiuta il moribondo a superare questo passaggio da questa vita all'altra.

Il Concilio Vaticano II riprende, così, l’antica denominazione "unzione degli infermi" o "unzione dei malati" per ritornare alla tradizione e orientarci verso un uso più giusto di questo sacramento.
Ritorniamo brevemente indietro nei secoli, al tempo e nei luoghi dove furono istituiti i sacramenti.
Il grano, la vite e l’ulivo erano i pilastri dell’economia antica, essenzialmente agricola. Il pane per la vita, il vino per la gioia e i canti, l’olio per il sapore, l’illuminazione, la medicina, i profumi, l’atletica, lo splendore del corpo.
Nella nostra civiltà dell’illuminazione elettrica e delle medicine chimiche, l’olio è scaduto dal suo prestigio di un tempo. Tuttavia noi continuiamo a chiamarci cristiani, nome che significa: coloro che hanno ricevuto l’unzione d’olio. Vediamo così, immediatamente, l’importanza che i riti d’unzione hanno per il cristiano: si tratta di manifestare la nostra partecipazione al Cristo (l’Unto) proprio in ciò che lo definisce.
L’olio, dunque, sulla base dei suoi usi nella cultura semitica, resterà per noi cristiani innanzitutto il segno della guarigione e della luce.
Per le sue proprietà che lo rendono inafferrabile, penetrante e corroborante, resterà inoltre il simbolo dello Spirito Santo.
L’olio presso il popolo d’Israele ha avuto la funzione di consacrare persone e cose. Ricordiamo un solo esempio: la consacrazione del re Davide. "Samuele prese il corno dell’olio e lo consacrò con l’unzione in mezzo ai suoi fratelli e lo Spirito del Signore si posò su Davide da quel giorno in poi" (1Sam 16,13).
Infine, al culmine di tutto vediamo l’uomo Gesù, penetrato completamente dallo Spirito Santo (At 10,38) per impregnare il mondo di Dio e salvarlo. Attraverso Gesù i santi olii comunicano ai cristiani la multiforme grazia dello Spirito Santo.

L’unzione degli infermi non è un rito di consacrazione, come quello del battesimo e della confermazione, ma un gesto di guarigione spirituale e corporale da parte di Cristo attraverso la sua Chiesa.

Nel mondo antico, l’olio era la medicina che normalmente veniva applicata sulle ferite. Così, ricorderete il buon samaritano della parabola evangelica che versa sulle ferite di colui che era stato aggredito dai briganti del vino per disinfettarle e dell’olio per lenirne i dolori. Ancora una volta il Signore prende un gesto della vita quotidiana e concreta (l’uso medicamentoso dell’olio) per assumerlo come funzione rituale ordinata alla guarigione dei malati e al perdono dei peccati. In questo sacramento, guarigione e perdono dei peccati sono associati. Questo, forse, vuol indicare che il peccato e la malattia sono legati tra loro, hanno una relazione tra loro? La Scrittura ci presenta la morte come legata alla condizione di peccato della specie umana. Nel libro della Genesi, Dio dice all’uomo: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti" (Gen 2,16-17). Ciò significa che l’uomo, per sua natura sottoposto al ciclo nascita - crescita - morte come tutti gli altri viventi, avrebbe avuto il privilegio di sottrarvisi mediante la sua fedeltà alla propria vocazione divina. S. Paolo è esplicito: questa coppia infernale, il peccato e la morte, è entrata di pari passo nel mondo degli uomini: "Come a causa d’un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato" (Rm 5,12).

Ora, la malattia è il preludio, vicino o lontano, della marcia funebre della morte. La malattia, come la morte, fa parte del giro di satana. Come la morte, anche la malattia ha un grado di parentela con il peccato. Con questo non intendiamo dire che uno si ammala perché ha offeso personalmente Dio. Gesù stesso corregge questa idea. Leggiamo nel vangelo di Giovanni: "(Gesù) passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: "Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?". Rispose Gesù: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio"" (Gv 9,1-3).

Dunque, ripetiamo: uno non si ammala perché ha offeso personalmente Dio (diversamente non si spiegherebbero le malattie e la morte dei bambini innocenti), ma vogliamo affermare che la malattia come la morte raggiunge e colpisce l’uomo solo perché l’umanità è in condizione di peccato, è in uno stato di peccato.
I quattro vangeli ci presentano Gesù che guarisce in massa i malati. Assieme all’annuncio della parola, è questa la sua attività. La liberazione dal male di tanti infelici è un annuncio straordinario della buona novella. Gesù li guarisce per amore e compassione, ma anche, e soprattutto, per offrire dei segni della venuta del regno di Dio.

Con l’entrata in scena di Gesù, satana constata che è arrivato uno più forte di lui (Lc 11,22). Egli è venuto "per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo" (Eb 2,14).
Prima ancora della sua morte e della sua risurrezione, Gesù allenta la morsa della morte, guarendo i malati: nei salti degli zoppi e dei paralitici guariti ha inizio la danza gioiosa dei risorti.
Il vangelo, con acutezza, usa il verbo risorgere per indicare tali guarigioni che sono il preludio della risurrezione di Cristo.

Dunque, peccato, malattia e morte sono tutta farina del sacco del diavolo.
S. Pietro, nel suo discorso in casa di Cornelio, sottolinea la verità di queste interferenze: "Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e sanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui... Poi essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio l’ha risuscitato il terzo giorno... Chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome" (At 10,38-43).
Nella sua azione e nella sua morte onnipotente, Cristo getta fuori dal mondo il principe di questo mondo (Gv 12,31). In questa ottica possiamo comprendere il senso vero e profondo di tutti i miracoli di Cristo e dei suoi discepoli e il senso del sacramento dell’unzione degli infermi che non è altro che la presenza di Cristo che continua la sua opera di perdono e di guarigione attraverso la sua Chiesa. La guarigione del paralitico di Cafarnao è un esempio tipico che mette in luce questa verità. Leggiamo il vangelo di Marco al capitolo secondo (Mc 2,1-12).

La guarigione di questo infelice mette in risalto tre meraviglie di Dio:

1 - esiste uno stretto rapporto fra il peccato e la malattia. Viene portato a Gesù un malato e Gesù diagnostica ancora più in profondità: è un peccatore. E scioglie questo nodo di male e di peccato non con il potere dell’arte medica, ma con la sua parola onnipotente che distrugge in quell’uomo lo stato di peccato. La malattia è entrata nel mondo a causa del peccato: malattia e peccato scompaiono insieme per la potenza di Cristo;

2 - la guarigione del paralitico è offerta da Gesù come la prova che egli ha il potere di rimettere i peccati, ossia di guarire l’uomo anche spiritualmente: è lui che vivifica tutto l’uomo;

3 - questo miracolo annuncia anche una grande realtà futura: il salvatore apporterà a tutti gli uomini la guarigione definitiva da ogni male fisico e morale.

Gesù non è dunque un "guaritore", ma il salvatore, Colui che Salva.

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Certamente egli si è presentato come il medico venuto per i malati (Mc 2,17), ma non dissocia malattie corporali da infermità spirituali.  Cristo non è il medico dei corpi, ma delle persone.
E le persone sono, innanzitutto e spesso (ma non sempre, come abbiamo già detto!), malate per i loro peccati: come la ruggine della spada che corrode la guaina.
Non vogliamo fare d’ogni erba un fascio e quindi ricordiamo nuovamente che ognuno, oltre alle eventuali responsabilità personali, è solidale con i peccati dell’umanità.
I vangeli non dissociano le forze demoniache dalle malattie corporali: le une e le altre portano l’impronta del maligno. Gesù, ripetiamo, non è un guaritore, ma il salvatore che è venuto ad affrontarle, non separatamente, ma in blocco. Dice il vangelo: "Venuta la sera gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: "Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie"" (Mt 8,16-17).
Ecco qui l’ultima parola del mistero e la sua pesante contropartita: Gesù, guarendo, manifesta d’aver preso su di sé tutto il male, inseparabilmente fisico e spirituale, dell’umanità e d’essere lui stesso pronto a soffrirne nella sua carne e nel suo spirito fino alla morte.
Troviamo qui la fonte dell’unzione degli infermi come, d’altra parte, di tutti i sacramenti: appunto nel mistero pasquale di Cristo morto e risorto. Gesù annuncia questo sacramento fin dalla costituzione del gruppo dei dodici, quando li invia in missione: "Strada facendo, predicate che il regno di Dio è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, scacciate i demoni" (Mt 10,7-8). E Marco racconta: "E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano" (Mc 6,12-13).
Qui le unzioni fatte dagli apostoli non hanno più il carattere medicamentoso allora usuale: diventano un segno rituale; sono fatte non in virtù del potere curativo proprio dell’olio, ma in nome e per la potenza del Signore Gesù. L’unzione di quei malati manifesta la fede degli apostoli e fa appello alla forza di Cristo contro il male e a favore della vita. "Convertirsi" spiritualmente ed "essere guariti" corporalmente: questo significa concretamente espellere le potenze demoniache e aprirsi al regno di Dio che viene. Il sacramento dell’unzione degli infermi realizza tutto questo.
Infatti i discepoli dopo la risurrezione di Gesù continueranno in suo nome l’amore del salvatore per gli infermi, mediante la preghiera su di loro e il gesto d’unzione che Gesù ha insegnato e comandato loro. La lettera di Giacomo ne è la testimonianza ispirata.

Possediamo il documento divino dell’unzione degli infermi, promulgato appunto nella lettera di san Giacomo. Nel capitolo quinto leggiamo: "Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con l’olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati. Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti" (Gc 5,14-16).
Facciamo tre brevi osservazioni. Il testo dice: chi è malato non chi è agonizzante. Il termine greco asthenès indica un infermo che non ha più la forza per muoversi, chiuso in camera, se non proprio inchiodato a letto, per un male serio o per la vecchiaia. Ebbene, se lui non può muoversi, sarà la comunità a spostarsi: la Chiesa, nella persona dei suoi presbiteri, verrà a lui. È Cristo stesso che viene a lui nella persona dei suoi ministri.

"Il Signore lo rialzerà": lo risusciterà, lo rimetterà in piedi, come fece alzare il paralitico di Cafarnao, quello della porta di Betzaetà, la suocera di Simon Pietro (Mc 1,31), la figlia di Giairo (Mt 9,25), il figlio della vedova di Nain (Lc 7,14) e molti altri.
I testi ispirati usano lo stesso verbo greco "eghèiro" che significa alzarsi, risuscitare, che useranno per indicare la risurrezione di Cristo. Questa continuità nel vocabolario sottolinea la portata messianica delle guarigioni operate da Gesù: proprio perché Cristo doveva "rialzarsi" vivo dalla morte ha potuto "rialzare" i malati e i morti come segno e annuncio della sua risurrezione e della guarigione e risurrezione generale di tutti gli uomini.
"Se ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati". Guarigione e remissione dei peccati sono legate, come sono legati malattia e peccato. La preghiera e l’unzione, dunque, portano la salvezza in profondità: per il corpo e per lo spirito, per il tempo e per l’eternità.
Se la malattia è il male di tutto l’uomo (corpo e spirito) e la manifestazione del suo male spirituale (il peccato), il rimedio dell’unzione si rivolge a questa totalità umana allo scopo d’apportarle la salvezza, una salvezza di grazia, che si realizzerà secondo il segno ancora provvisorio della guarigione, o la salvezza nella gloria mediante l’entrata nell’universo della risurrezione.
I vescovi e i sacerdoti devono continuare il Cristo non solo proclamandone la buona novella, ma anche imponendo le mani ai malati, pregando per essi e confortandoli: ciò che hanno fatto fedelmente lungo tutto il corso dei secoli.
Come potete constatare, gli effetti dell’unzione sono la salute del corpo e la remissione dei peccati: cioè la salute totale dell’uomo.


Il sacramento dell’unzione è sempre stato considerato il sacramento degli infermi anche se spesso è stato celebrato su dei mezzi-morti.

Il rituale romano di Paolo V, pubblicato nel 1614, in applicazione al Concilio di Trento e in uso fino al Concilio Vaticano II, aveva questa bellissima preghiera:

 "Guarisci, o nostro redentore, per la grazia dello Spirito Santo, le infermità di questo malato. Medica le sue ferite, perdona i suoi peccati, allontana tutto quanto lo fa soffrire nell’anima e nel corpo. Per la tua misericordia rendigli la piena salute spirituale e corporale perché, guarito per opera della tua bontà, sia capace di riprendere i suoi abituali impegni... Ti supplichiamo, Signore, guarda con bontà il tuo servo il cui corpo è prostrato dalla malattia, e rendi la forza a questa creatura che tu hai creato. Che la prova lo purifichi e possa ritornare in salute per opera tua... Signore... libera il tuo servo dalla malattia e rendigli la salute; la tua mano lo rialzi, la tua forza lo consolidi, la tua potenza lo protegga e, con tutta la prosperità che si possa desiderare, rendilo alla tua santa assemblea..."

Chi ha seguito fin qui con attenzione queste invocazioni e questi formulari di preghiera avrà sicuramente capito una cosa: questo sacramento è per la salute dei malati e non per accompagnare alla tomba i morti.


Ecco allora che cosa dice la costituzione sulla liturgia "Sacrosantum Concilium" del Concilio Vaticano II: "L’estrema unzione, che può essere chiamata anche, e meglio, unzione degli infermi, non è il sacramento di coloro soltanto che sono in fin di vita. Perciò il tempo opportuno per riceverla si ha certamente già quanto il fedele, per malattia o per vecchiaia, comincia ad essere in pericolo di morte" (SC 73).

Ora, ogni malattia seria mette in pericolo di morte, almeno lontanamente. L’unzione è opportuna fin dal momento in cui il paziente comincia ad essere in pericolo.
Dobbiamo ammettere che il pensiero della morte possibile è presente in ogni malattia, e, a più forte ragione, quando si è anziani.
Questa età è già in se stessa una seria infermità e la sua fragilità è piena di rischi.
Il nuovo rituale, quello attualmente in uso, nella sua introduzione pastorale, precisa:
- prima di un’operazione chirurgica si può dare all’infermo la sacra unzione, quando, motivo dell’operazione è un male pericoloso;
- ai vecchi, per l’indebolimento accentuato delle loro forze, si può dare la sacra unzione, anche se non risultano affetti da alcuna grave malattia;
- anche ai bambini si può dare la sacra unzione, purché abbiamo raggiunto un uso di ragione sufficiente a far loro sentire il conforto di questo sacramento;
- quanto ai malati che abbiamo eventualmente perduto l’uso di ragione o si trovino in stato d’incoscienza, se c’è motivo di ritenere che nel possesso delle facoltà essi stessi, come credenti, avrebbero chiesto l’unzione, si può senza difficoltà conferire loro il sacramento;
- se il sacerdote viene chiamato quando l’infermo è già morto, raccomandi il defunto al Signore, perché gli conceda il perdono e lo accolga nel suo regno, ma non gli dia l’unzione.

"Il sacramento si può ripetere qualora il malato guarisca dalla malattia nella quale ha ricevuto l’unzione, o se nel corso della medesima malattia subisce un aggravamento".

Nel nuovo rituale sono state soppresse le unzioni sugli occhi, le orecchie, le narici, le labbra, e sui piedi, e sono state sostituite da un’unzione sulla fronte e da un’altra sulle palme delle mani. La fronte e le mani aperte rappresentano tutto l’uomo: il pensiero e l’azione.

Questa è la formula recitata durante la santa unzione: "N., per questa santa unzione e la sua piissima misericordia, ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo. R. Amen - E, liberandoti dai peccati, ti salvi nella sua bontà e ti sollevi. - R. Amen".

Anche questo sacramento, come tutti gli altri, è una celebrazione comunitaria. Deve essere celebrato in una riunione fraterna della famiglia umana e cristiana attorno a questo suo membro sofferente. Questa celebrazione non si può improvvisare in qualche modo. È necessario scegliere il giorno e l’ora adatti per parenti, amici, medici, infermieri, vicini. Meglio ancora se si organizzano celebrazioni collettive dell’unzione degli infermi, quando li si può riunire in una sala o in chiesa, circondati da affetto fraterno e sorretti dalla fede e dalla preghiera della comunità cristiana.

Dice il Concilio Vaticano II: "Con la sacra unzione degli infermi e la preghiera dei presbiteri, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché alleggerisca le loro pene e li salvi, anzi li esorta a unirsi spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo, per contribuire così al bene del popolo di Dio" (LG 11).

Tutta la Chiesa per gli ammalati, gli ammalati per tutta la chiesa, nel Cristo sofferente e glorioso.
Concludiamo. L’unzione degli infermi non è un rito funebre, ma un aiuto per vivere cristianamente la malattia. Vivere la malattia può includere anche l’atto supremo della vita: il morire. L’accoglienza serena della morte realizza nel modo più autentico la nostra vita cristiana: vita di fede, di speranza e di carità. Anche per il cristiano, come per Cristo, giungerà prima o poi l’ora di passare da questo mondo al Padre (Gv 13,1). Anche il cristiano, come Cristo, darà la risposta che esprime il totale abbandono fiducioso: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23,46).


P. Lino Pedrono scj

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Io ho ricevuto il Sacramento degli infermi per due volte: i due parti cesarei.... ^__^
l'ho chiesto per avere proprio la Grazia che tutto finisse bene giacchè si paventava qualche problema... idem per il secondo figlio...
E' stata una grandissima opportunità ed una benedizione l'aver avuto per amico di famiglia un frate domenicano, sacerdote, che ha potuto soddisfare il mio desiderio, di entrare in sala operatoria con il Sacramento degli infermi...
Non avevo paura di morire, ma temevo di trovarmi impreparata davanti all'imprevedibile, questo si che mi metteva angoscia ^__^ e ben conoscendo il BATTESIMO DI DESIDERIO, volevo che anche la creatura che stava per nascere, se avesse subito il dramma di una morte improvvisa, il Sacramento ricevuto per me e il desiderio di vederla Battezzata, sarebbero stati benedetti dal Signore...

Consiglio a tutti di fare ricorso a questo Sacramento un pò dimenticato... vi posso testimoniare che infonde una Grazia immensa, una fiducia grande, una grande forza d'animo....
e soprattutto serenità...
^__^


Caterina63
00mercoledì 10 agosto 2011 14:53
[SM=g1740733]Nel Catechismo della Chiesa Cattolica troviamo:

CAPITOLO SECONDO
I sacramenti di guarigione


Articolo 4: Il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione

    I. Come viene chiamato questo sacramento? (1423-1424)
    II. Perché un sacramento della Riconciliazione dopo il Battesimo? (1425-1426)
    III. La conversione dei battezzati (1427-1429)
    IV. La penitenza interiore (1430-1433)
    V. Le molteplici forme della penitenza nella vita cristiana (1434-1439)
    VI. Il sacramento della Penitenza e della Riconciliazione (1440-1449)
    Dio solo perdona il peccato – Riconciliazione con la Chiesa – Il sacramento del perdono
    VII. Gli atti del penitente (1450-1460)
    La contrizione – La confessione dei peccati – La soddisfazione
    VIII. Il ministro di questo sacramento (1461-1467)
    IX. Gli effetti di questo sacramento (1468-1470)
    X. Le indulgenze (1471-1479)
    Che cos’è l’indulgenza? – Le pene del peccato – Nella comunione dei santi – Ottenere l’indulgenza di Dio mediante la Chiesa
    XI. La celebrazione del sacramento della Penitenza 1480-1484)
    In sintesi (1485-1498)

Articolo 5: L’Unzione degli infermi

    I. Suoi fondamenti nell’Economia della salvezza (1500-1513)
    La malattia nella vita umana – Il malato di fronte a Dio – Cristo-medico – « Guarite gli infermi... » – Un sacramento degli infermi
    II. Chi riceve e chi amministra questo sacramento? (1514-1516)
    In caso di malattia grave... – « ...chiami a sé i presbiteri della Chiesa »
    III. Come si celebra questo sacramento? (1517-1519)
    IV. Gli effetti della celebrazione di questo sacramento (1520-1523)
    V. Il viatico, ultimo sacramento del cristiano (1524-1525)
    In sintesi (1526-1532)


ARTICOLO 5

L'UNZIONE DEGLI INFERMI

1499 « Con la sacra Unzione degli infermi e la preghiera dei presbiteri, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché alleggerisca le loro pene e li salvi, anzi li esorta a unirsi spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo, per contribuire così al bene del popolo di Dio ». (96)

I. Suoi fondamenti nell'Economia della salvezza

La malattia nella vita umana

1500 La malattia e la sofferenza sono sempre state tra i problemi più gravi che mettono alla prova la vita umana. Nella malattia l'uomo fa l'esperienza della propria impotenza, dei propri limiti e della propria finitezza. Ogni malattia può farci intravvedere la morte.

1501 La malattia può condurre all'angoscia, al ripiegamento su di sé, talvolta persino alla disperazione e alla ribellione contro Dio. Ma essa può anche rendere la persona più matura, aiutarla a discernere nella propria vita ciò che non è essenziale per volgersi verso ciò che lo è. Molto spesso la malattia provoca una ricerca di Dio, un ritorno a lui.

Il malato di fronte a Dio

1502 L'uomo dell'Antico Testamento vive la malattia di fronte a Dio. È davanti a Dio che egli versa le sue lacrime sulla propria malattia; (97) è da lui, il Signore della vita e della morte, che egli implora la guarigione. (98) La malattia diventa cammino di conversione (99) e il perdono di Dio dà inizio alla guarigione. (100) Israele sperimenta che la malattia è legata, in un modo misterioso, al peccato e al male, e che la fedeltà a Dio, secondo la sua Legge, ridona la vita: « Perché io sono il Signore, colui che ti guarisce! » (Es 15,26). Il profeta intuisce che la sofferenza può anche avere un valore redentivo per i peccati altrui. (101) Infine Isaia annuncia che Dio farà sorgere per Sion un tempo in cui perdonerà ogni colpa e guarirà ogni malattia. (102)

Cristo-medico

1503 La compassione di Cristo verso i malati e le sue numerose guarigioni di infermi di ogni genere (103) sono un chiaro segno del fatto che Dio ha visitato il suo popolo (104) e che il regno di Dio è vicino. Gesù non ha soltanto il potere di guarire, ma anche di perdonare i peccati: (105) è venuto a guarire l'uomo tutto intero, anima e corpo; è il medico di cui i malati hanno bisogno. (106) La sua compassione verso tutti coloro che soffrono si spinge così lontano che egli si identifica con loro: « Ero malato e mi avete visitato » (Mt 25,36). Il suo amore di predilezione per gli infermi non ha cessato, lungo i secoli, di rendere i cristiani particolarmente premurosi verso tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito. Esso sta all'origine degli instancabili sforzi per alleviare le loro pene.

1504 Spesso Gesù chiede ai malati di credere. (107) Si serve di segni per guarire: saliva e imposizione delle mani, (108) fango e abluzione. (109) I malati cercano di toccarlo (110) « perché da lui usciva una forza che sanava tutti » (Lc 6,19). Così, nei sacramenti, Cristo continua a « toccarci » per guarirci.

1505 Commosso da tante sofferenze, Cristo non soltanto si lascia toccare dai malati, ma fa sue le loro miserie: « Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie » (Mt 8,17). (111) Non ha guarito però tutti i malati. Le sue guarigioni erano segni della venuta del regno di Dio. Annunciavano una guarigione più radicale: la vittoria sul peccato e sulla morte attraverso la sua pasqua. Sulla croce, Cristo ha preso su di sé tutto il peso del male (112) e ha tolto il « peccato del mondo » (Gv 1,29), di cui la malattia non è che una conseguenza. Con la sua passione e la sua morte sulla croce, Cristo ha dato un senso nuovo alla sofferenza: essa può ormai configurarci a lui e unirci alla sua passione redentrice.

«Guarite gli infermi...»

1506 Cristo invita i suoi discepoli a seguirlo prendendo anch'essi la loro croce. (113) Seguendolo, assumono un nuovo modo di vedere la malattia e i malati. Gesù li associa alla sua vita di povertà e di servizio. Li rende partecipi del suo ministero di compassione e di guarigione: « E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano » (Mc 6,12-13).

1507 Il Signore risorto rinnova questo invio (« Nel mio nome [...] imporranno le mani ai malati e questi guariranno »: Mc 16,17-18) e lo conferma per mezzo dei segni che la Chiesa compie invocando il suo nome. (114) Questi segni manifestano in modo speciale che Gesù è veramente « Dio che salva ». (115)

1508 Lo Spirito Santo dona ad alcuni un carisma speciale di guarigione (116) per manifestare la forza della grazia del Risorto. Tuttavia, neppure le preghiere più intense ottengono la guarigione di tutte le malattie. Così san Paolo deve imparare dal Signore: « Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza » (2 Cor 12,9), e che le sofferenze da sopportare possono avere questo significato: « Io completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa » (Col 1,24).

1509 « Guarite gli infermi! » (Mt 10,8). La Chiesa ha ricevuto questo compito dal Signore e cerca di attuarlo sia attraverso le cure che presta ai malati sia mediante la preghiera di intercessione con la quale li accompagna. Essa crede nella presenza vivificante di Cristo, medico delle anime e dei corpi. Questa presenza è particolarmente operante nei sacramenti e in modo tutto speciale nell'Eucaristia, pane che dà la vita eterna (117) e al cui legame con la salute del corpo san Paolo allude. (118)

1510 La Chiesa apostolica conosce tuttavia un rito specifico in favore degli infermi, attestato da san Giacomo: « Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati » (Gc 5,14-15). La Tradizione ha riconosciuto in questo rito uno dei sette sacramenti della Chiesa. (119)

Un sacramento degli infermi

1511 La Chiesa crede e professa che esiste, tra i sette sacramenti, un sacramento destinato in modo speciale a confortare coloro che sono provati dalla malattia: l'Unzione degli infermi:

    « Questa Unzione sacra dei malati è stata istituita come vero e proprio sacramento del Nuovo Testamento dal Signore nostro Gesù Cristo. Accennato da Marco, (120) è stato raccomandato ai fedeli e promulgato da Giacomo, apostolo e fratello del Signore ». (121)

1512 Nella tradizione liturgica, tanto in Oriente quanto in Occidente, si hanno fin dall'antichità testimonianze di unzioni di infermi praticate con olio benedetto. Nel corso dei secoli, l'Unzione degli infermi è stata conferita sempre più esclusivamente a coloro che erano in punto di morte. Per questo motivo aveva ricevuto il nome di « Estrema Unzione ». Malgrado questa evoluzione, la liturgia non ha mai tralasciato di pregare il Signore affinché il malato riacquisti la salute, se ciò può giovare alla sua salvezza. (122)

1513 La Costituzione apostolica « Sacram Unctionem infirmorum » (30 novembre 1972), in linea con il Concilio Vaticano II (123) ha stabilito che, per l'avvenire, sia osservato nel rito romano quanto segue:

    « Il sacramento dell'Unzione degli infermi viene conferito ai malati in grave pericolo, ungendoli sulla fronte e sulle mani con olio debitamente benedetto – olio di oliva o altro olio vegetale – dicendo una sola volta: "Per questa santa Unzione e per la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo e, liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi" ». (124)

II. Chi riceve e chi amministra questo sacramento?

In caso di malattia grave...

1514 L'Unzione degli infermi « non è il sacramento soltanto di coloro che sono in fin di vita. Perciò il tempo opportuno per riceverla si ha certamente già quando il fedele, per malattia o per vecchiaia, incomincia ad essere in pericolo di morte ». (125)

1515 Se un malato che ha ricevuto l'Unzione riacquista la salute, può, in caso di un'altra grave malattia, ricevere nuovamente questo sacramento. Nel corso della stessa malattia il sacramento può essere ripetuto se si verifica un peggioramento. È opportuno ricevere l'Unzione degli infermi prima di un intervento chirurgico rischioso. Lo stesso vale per le persone anziane la cui debolezza si accentua.

«...chiami a sé i presbiteri della Chiesa»

1516 Soltanto i sacerdoti (Vescovi e presbiteri) sono i ministri dell'Unzione degli infermi. (126) È dovere dei Pastori istruire i fedeli sui benefici di questo sacramento. I fedeli incoraggino i malati a ricorrere al sacerdote per ricevere tale sacramento. I malati si preparino a riceverlo con buone disposizioni, aiutati dal loro Pastore e da tutta la comunità ecclesiale, che è invitata a circondare in modo tutto speciale i malati con le sue preghiere e le sue attenzioni fraterne.

III. Come si celebra questo sacramento?

1517 Come tutti i sacramenti, l'Unzione degli infermi è una celebrazione liturgica e comunitaria, (127) sia che abbia luogo in famiglia, all'ospedale o in chiesa, per un solo malato o per un gruppo di infermi. È molto opportuno che sia celebrata durante l'Eucaristia, memoriale della pasqua del Signore. Se le circostanze lo consigliano, la celebrazione del sacramento può essere preceduta dal sacramento della Penitenza e seguita da quello dell'Eucaristia. In quanto sacramento della pasqua di Cristo, l'Eucaristia dovrebbe sempre essere l'ultimo sacramento del pellegrinaggio terreno, il « viatico » per il « passaggio » alla vita eterna.

1518 Parola e sacramento costituiscono un tutto inseparabile. La liturgia della Parola, preceduta da un atto penitenziale, apre la celebrazione. Le parole di Cristo, la testimonianza degli Apostoli ravvivano la fede del malato e della comunità per chiedere al Signore la forza del suo Spirito.

1519 La celebrazione del sacramento comprende principalmente i seguenti elementi: « i presbiteri della Chiesa » (128) impongono – in silenzio – le mani ai malati; pregano sui malati nella fede della Chiesa: (129) è l'epiclesi propria di questo sacramento; quindi fanno l'unzione con l'olio, benedetto, possibilmente, dal Vescovo. Queste azioni liturgiche indicano quale grazia tale sacramento conferisce ai malati.

IV. Gli effetti della celebrazione di questo sacramento

1520 Un dono particolare dello Spirito Santo. La grazia fondamentale di questo sacramento è una grazia di conforto, di pace e di coraggio per superare le difficoltà proprie dello stato di malattia grave o della fragilità della vecchiaia. Questa grazia è un dono dello Spirito Santo che rinnova la fiducia e la fede in Dio e fortifica contro le tentazioni del maligno, cioè contro la tentazione di scoraggiamento e di angoscia di fronte alla morte. (130) Questa assistenza del Signore attraverso la forza del suo Spirito vuole portare il malato alla guarigione dell'anima, ma anche a quella del corpo, se tale è la volontà di Dio. (131) Inoltre, « se ha commesso peccati, gli saranno perdonati » (Gc 5,15). (132)

1521 L'unione alla passione di Cristo. Per la grazia di questo sacramento il malato riceve la forza e il dono di unirsi più intimamente alla passione di Cristo: egli viene in certo qual modo consacrato per portare frutto mediante la configurazione alla passione redentrice del Salvatore. La sofferenza, conseguenza del peccato originale, riceve un senso nuovo: diviene partecipazione all'opera salvifica di Gesù.

1522 Una grazia ecclesiale. I malati che ricevono questo sacramento, unendosi « spontaneamente alla passione e alla morte di Cristo », contribuiscono « al bene del popolo di Dio ». (133) Celebrando questo sacramento, la Chiesa, nella comunione dei santi, intercede per il bene del malato. E l'infermo, a sua volta, per la grazia di questo sacramento, contribuisce alla santificazione della Chiesa e al bene di tutti gli uomini per i quali la Chiesa soffre e si offre, per mezzo di Cristo, a Dio Padre.

1523 Una preparazione all'ultimo passaggio. Se il sacramento dell'Unzione degli infermi è conferito a tutti coloro che soffrono di malattie e di infermità gravi, a maggior ragione è dato a coloro che stanno per uscire da questa vita (« in exitu vitae constituti »), (134) per cui lo si è anche chiamato « sacramentum exeuntium ». (135) L'Unzione degli infermi porta a compimento la nostra conformazione alla morte e alla risurrezione di Cristo, iniziata dal Battesimo. Essa completa le sante unzioni che segnano tutta la vita cristiana; quella del Battesimo aveva suggellato in noi la vita nuova; quella della Confermazione ci aveva fortificati per il combattimento di questa vita. Quest'ultima unzione munisce la fine della nostra esistenza terrena come di un solido baluardo in vista delle ultime lotte prima dell'ingresso nella Casa del Padre. (136)

V. Il viatico, ultimo sacramento del cristiano

1524 A coloro che stanno per lasciare questa vita, la Chiesa offre, oltre all'Unzione degli infermi, l'Eucaristia come viatico. Ricevuta in questo momento di passaggio al Padre, la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo ha un significato e un'importanza particolari. È seme di vita eterna e potenza di risurrezione, secondo le parole del Signore: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno » (Gv 6,54). Sacramento di Cristo morto e risorto, l'Eucaristia è, qui, sacramento del passaggio dalla morte alla vita, da questo mondo al Padre. (137)

1525 Come i sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell'Eucaristia costituiscono una unità chiamata « i sacramenti dell'iniziazione cristiana », così si può dire che la Penitenza, la santa Unzione e l'Eucaristia, in quanto viatico, costituiscono, al termine della vita cristiana, « i sacramenti che preparano alla Patria » o i sacramenti che concludono il pellegrinaggio terreno.

In sintesi

1526 « Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati » (Gc 5,14-15).

1527 Il sacramento dell'Unzione degli infermi ha lo scopo di conferire una grazia speciale al cristiano che sperimenta le difficoltà inerenti allo stato di malattia grave o alla vecchiaia.

1528 Il momento opportuno per ricevere la santa Unzione è certamente quello in cui il fedele comincia a trovarsi in pericolo di morte per malattia o vecchiaia.

1529 Ogni volta che un cristiano cade gravemente malato, può ricevere la santa Unzione, come pure quando, dopo averla già ricevuta, si verifica un aggravarsi della malattia.

1530 Soltanto i sacerdoti (presbiteri e Vescovi) possono amministrare il sacramento dell'Unzione degli infermi; per conferirlo usano olio benedetto dal Vescovo o, all'occorrenza, dallo stesso presbitero celebrante.

1531 L'essenziale della celebrazione di questo sacramento consiste nell'unzione sulla fronte e sulle mani del malato (nel rito romano) o su altre parti del corpo (in Oriente), unzione accompagnata dalla preghiera liturgica del sacerdote celebrante che implora la grazia speciale di questo sacramento.

1532 La grazia speciale del sacramento dell'Unzione degli infermi ha come effetti:

    * l'unione del malato alla passione di Cristo, per il suo bene e per quello di tutta la Chiesa;
    * il conforto, la pace e il coraggio per sopportare cristianamente le sofferenze della malattia o della vecchiaia;
    * il perdono dei peccati, se il malato non ha potuto ottenerlo con il sacramento della Penitenza;
    * il recupero della salute, se ciò giova alla salvezza spirituale;
    * la preparazione al passaggio alla vita eterna.

(96) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 11: AAS 57 (1965) 15.

(97) Cf Sal 38.

(98) Cf Sal 6,3; Is 38.

(99) Cf Sal 38,5; 39,9.12.

(100) Cf Sal 32,5; 107,20; Mc 2,5-12.

(101) Cf Is 53,11.

(102) Cf Is 33,24.

(103) Cf Mt 4,24.

(104) Cf Lc 7,16.

(105) Cf Mc 2,5-12.

(106) Cf Mc 2,17.

(107) Cf Mc 5,34.36; 9,23.

(108) Cf Mc 7,32-36; 8,22-25.

(109) Cf Gv 9,6-15.

(110) Cf Mc 3,10; 6,56.

(111) Cf Is 53,4.

(112) Cf Is 53,4-6.

(113) Cf Mt 10,38.

(114) Cf At 9,34; 14,3.

(115) Cf Mt 1,21; At 4,12.

(116) Cf 1 Cor 12,9.28.30.

(117) Cf Gv 6,54.58.

(118) Cf 1 Cor 11,30.

(119) Cf Sant'Innocenzo I, Lettera Si instituta ecclesiastica: DS 216; Concilio di Firenze, Decretum pro Armenis: DS 1324-1325; Concilio di Trento, Sess. 14a, Doctrina de sacramento extremae Unctionis, c. 1-2: DS 1695-1696; Id., Sess. 14a, Canones de extrema Unctione, canoni 1-2: DS 1716-1717.

(120) Cf Mc 6,13.

(121) Concilio di Trento, Sess. 14a, Doctrina de sacramento extremae Unctionis, c. 1: DS 1695. Cf Gc 5,14-15.

(122) Cf Concilio di Trento, Sess. 14a, Doctrina de sacramento extremae Unctionis, c. 2: DS 1696.

(123) Cf Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 73: AAS 54 (1964) 118-119.

(124) Paolo VI, Cost. ap. Sacram Unctionem infirmorum: AAS 65 (1973) 8. Cf CIC 847, § 1.

(125) Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 73: AAS 56 (1964) 118-119; cf CIC canoni 1004, § 1. 1005. 1007; CCEO canone 738.

(126) Cf Concilio di Trento, Sess. 14a, Doctrina de sacramento extremae Unctionis, c. 3: DS 1697; Id., Sess. 14a, Canones de extrema Unctione, canone 4: DS 1719; CIC canone 1003; CCEO canone 739, § 1.

(127) Concilio Vaticano II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 27: AAS 56 (1964) 107.

(128) Cf Gc 5,14.

(129) Cf Gc 5,15.

(130) Cf Eb 2,15.

(131) Concilio di Firenze, Decretum pro Armenis: DS 1325.

(132) Cf Concilio di Trento, Sess. 14a, Canones de extrema Unctione, canone 2: DS 1717.

(133) Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, 11: AAS 57 (1965) 15.

(134) Concilio di Trento, Sess. 14a, Doctrina de sacramento extremae Unctionis, c. 3: DS 1698.

(135) Ibid.

(136) Cf Concilio di Trento, Sess. 14a, Doctrina de sacramento extremae Unctionis, Prooemium: DS 1694.

(137) Cf Gv 13,1.

Caterina63
00mercoledì 10 agosto 2011 15:11
  INTRODUZIONE 

  INDICE GENERALE   

  PREMESSE  

  SACRAMENTO DELL'UNZIONE
     E CURA PASTORALE DEGLI INFERMI
  

  LEZIONARIO   

  APPENDICE

(cliccare sugli asterischi)
un grazie al sito Maranathà


Caterina63
00martedì 3 gennaio 2012 22:53
Nel messaggio per la Giornata mondiale il Papa raccomanda ai sacerdoti i sacramenti di guarigione

Accanto a ogni vita debole e malata

 

L'invito ai sacerdoti "all'accoglienza generosa e amorevole di ogni vita umana, soprattutto di quella debole e malata" e l'accento posto sul valore dei "sacramenti di guarigione" quali la penitenza, la riconciliazione e l'unzione degli infermi: sono i contenuti principali del messaggio di Benedetto XVI in occasione della ventesima Giornata mondiale del malato, che si celebra l'11 febbraio prossimo.

"Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!" (Lc 17, 19)

Cari fratelli e sorelle!
In occasione della Giornata Mondiale del Malato, che celebreremo il prossimo 11 febbraio 2012, memoria della Beata Vergine di Lourdes, desidero rinnovare la mia spirituale vicinanza a tutti i malati che si trovano nei luoghi di cura o sono accuditi nelle famiglie, esprimendo a ciascuno la sollecitudine e l'affetto di tutta la Chiesa. Nell'accoglienza generosa e amorevole di ogni vita umana, soprattutto di quella debole e malata, il cristiano esprime un aspetto importante della propria testimonianza evangelica, sull'esempio di Cristo, che si è chinato sulle sofferenze materiali e spirituali dell'uomo per guarirle.

1. In quest'anno, che costituisce la preparazione più prossima alla Solenne Giornata Mondiale del Malato che si celebrerà in Germania l'11 febbraio 2013 e che si soffermerà sull'emblematica figura evangelica del samaritano (cfr. Lc 10, 29-37), vorrei porre l'accento sui "Sacramenti di guarigione", cioè sul Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione, e su quello dell'Unzione degli Infermi, che hanno il loro naturale compimento nella Comunione Eucaristica.
L'incontro di Gesù con i dieci lebbrosi, narrato nel Vangelo di san Luca (cfr. Lc 17, 11-19), in particolare le parole che il Signore rivolge ad uno di questi: "Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!" (v. 19), aiutano a prendere coscienza dell'importanza della fede per coloro che, gravati dalla sofferenza e dalla malattia, si avvicinano al Signore. Nell'incontro con Lui possono sperimentare realmente che chi crede non è mai solo! Dio, infatti, nel suo Figlio, non ci abbandona alle nostre angosce e sofferenze, ma ci è vicino, ci aiuta a portarle e desidera guarire nel profondo il nostro cuore (cfr. Mc 2, 1-12).
La fede di quell'unico lebbroso che, vedendosi sanato, pieno di stupore e di gioia, a differenza degli altri, ritorna subito da Gesù per manifestare la propria riconoscenza, lascia intravedere che la salute riacquistata è segno di qualcosa di più prezioso della semplice guarigione fisica, è segno della salvezza che Dio ci dona attraverso Cristo; essa trova espressione nelle parole di Gesù: la tua fede ti ha salvato. Chi, nella propria sofferenza e malattia, invoca il Signore è certo che il Suo amore non lo abbandona mai, e che anche l'amore della Chiesa, prolungamento nel tempo della sua opera salvifica, non viene mai meno. La guarigione fisica, espressione della salvezza più profonda, rivela così l'importanza che l'uomo, nella sua interezza di anima e di corpo, riveste per il Signore. Ogni Sacramento, del resto, esprime e attua la prossimità di Dio stesso, il Quale, in modo assolutamente gratuito, "ci tocca per mezzo di realtà materiali ..., che Egli assume al suo servizio, facendone strumenti dell'incontro tra noi e Lui stesso" (Omelia, S. Messa del Crisma, 1 aprile 2010). "L'unità tra creazione e redenzione si rende visibile. I Sacramenti sono espressione della corporeità della nostra fede che abbraccia corpo e anima, l'uomo intero" (Omelia, S. Messa del Crisma, 21 aprile 2011).
Il compito principale della Chiesa è certamente l'annuncio del Regno di Dio, "ma proprio questo stesso annuncio deve essere un processo di guarigione: "... fasciare le piaghe dei cuori spezzati" (Is 61, 1)" (ibid.), secondo l'incarico affidato da Gesù ai suoi discepoli (cfr. Lc 9, 1-2; Mt 10, 1.5-14; Mc 6, 7-13). Il binomio tra salute fisica e rinnovamento dalle lacerazioni dell'anima ci aiuta quindi a comprendere meglio i "Sacramenti di guarigione".

2. Il Sacramento della Penitenza è stato spesso al centro della riflessione dei Pastori della Chiesa, proprio a motivo della grande importanza nel cammino della vita cristiana, dal momento che "tutto il valore della Penitenza consiste nel restituirci alla grazia di Dio stringendoci a lui in intima e grande amicizia" (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1468). La Chiesa, continuando l'annuncio di perdono e di riconciliazione fatto risuonare da Gesù, non cessa di invitare l'umanità intera a convertirsi e a credere al Vangelo. Essa fa proprio l'appello dell'apostolo Paolo: "In nome di Cristo ... siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2 Cor 5, 20).  

Gesù, nella sua vita, annuncia e rende presente la misericordia del Padre. Egli è venuto non per condannare, ma per perdonare e salvare, per dare speranza anche nel buio più profondo della sofferenza e del peccato, per donare la vita eterna; così nel Sacramento della Penitenza, nella "medicina della confessione", l'esperienza del peccato non degenera in disperazione, ma incontra l'Amore che perdona e trasforma (cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsin. Reconciliatio et Paenitentia, 31).
Dio, "ricco di misericordia" (Ef 2, 4), come il padre della parabola evangelica (cfr. Lc 15, 11-32), non chiude il cuore a nessuno dei suoi figli, ma li attende, li cerca, li raggiunge là dove il rifiuto della comunione imprigiona nell'isolamento e nella divisione, li chiama a raccogliersi intorno alla sua mensa, nella gioia della festa del perdono e della riconciliazione. Il momento della sofferenza, nel quale potrebbe sorgere la tentazione di abbandonarsi allo scoraggiamento e alla disperazione, può trasformarsi così in tempo di grazia per rientrare in se stessi e, come il figliol prodigo della parabola, ripensare alla propria vita, riconoscendone errori e fallimenti, sentire la nostalgia dell'abbraccio del Padre e ripercorrere il cammino verso la sua Casa. Egli, nel suo grande amore, sempre e comunque veglia sulla nostra esistenza e ci attende per offrire ad ogni figlio che torna da Lui, il dono della piena riconciliazione e della gioia.

3. Dalla lettura dei Vangeli, emerge chiaramente come Gesù abbia sempre mostrato una particolare attenzione verso gli infermi. Egli non solo ha inviato i suoi discepoli a curarne le ferite (cfr. Mt 10, 8; Lc 9, 2; 10, 9), ma ha anche istituito per loro un Sacramento specifico: l'Unzione degli Infermi. La Lettera di Giacomo attesta la presenza di questo gesto sacramentale già nella prima comunità cristiana (cfr. 5, 14-16): con l'Unzione degli Infermi, accompagnata dalla preghiera dei presbiteri, tutta la Chiesa raccomanda gli ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché allevi le loro pene e li salvi, anzi li esorta a unirsi spiritualmente alla passione e alla morte di Cristo, per contribuire così al bene del Popolo di Dio. Tale Sacramento ci porta a contemplare il duplice mistero del Monte degli Ulivi, dove Gesù si è trovato drammaticamente davanti alla via indicatagli dal Padre, quella della Passione, del supremo atto di amore, e l'ha accolta. In quell'ora di prova, Egli è il mediatore, "trasportando in sé, assumendo in sé la sofferenza e la passione del mondo, trasformandola in grido verso Dio, portandola davanti agli occhi e nelle mani di Dio, e così portandola realmente al momento della Redenzione" (Lectio divina, Incontro con il Clero di Roma, 18 febbraio 2010). Ma "l'Orto degli Ulivi è ... anche il luogo dal quale Egli è asceso al Padre, è quindi il luogo della Redenzione ... Questo duplice mistero del Monte degli Ulivi è anche sempre "attivo" nell'olio sacramentale della Chiesa ... segno della bontà di Dio che ci tocca" (Omelia, S. Messa del Crisma, 1 aprile 2010). Nell'Unzione degli Infermi, la materia sacramentale dell'olio ci viene offerta, per così dire, "quale medicina di Dio ... che ora ci rende certi della sua bontà, ci deve rafforzare e consolare, ma che, allo stesso tempo, al di là del momento della malattia, rimanda alla guarigione definitiva, alla risurrezione (cfr. Gc 5, 14)" (ibid.).
Questo Sacramento merita oggi una maggiore considerazione, sia nella riflessione teologica, sia nell'azione pastorale presso i malati. Valorizzando i contenuti della preghiera liturgica che si adattano alle diverse situazioni umane legate alla malattia e non solo quando si è alla fine della vita (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1514), l'Unzione degli Infermi non deve essere ritenuta quasi "un sacramento minore" rispetto agli altri. L'attenzione e la cura pastorale verso gli infermi, se da un lato è segno della tenerezza di Dio per chi è nella sofferenza, dall'altro arreca vantaggio spirituale anche ai sacerdoti e a tutta la comunità cristiana, nella consapevolezza che quanto è fatto al più piccolo, è fatto a Gesù stesso (cfr. Mt 25, 40).

4. A proposito dei "Sacramenti di guarigione" S. Agostino afferma: "Dio guarisce tutte le tue infermità. Non temere dunque: tutte le tue infermità saranno guarite... Tu devi solo permettere che egli ti curi e non devi respingere le sue mani" (Esposizione sul Salmo 102, 5: PL 36, 1319-1320). Si tratta di mezzi preziosi della Grazia di Dio, che aiutano il malato a conformarsi sempre più pienamente al Mistero della Morte e Risurrezione di Cristo. Assieme a questi due Sacramenti, vorrei sottolineare anche l'importanza dell'Eucaristia. Ricevuta nel momento della malattia contribuisce, in maniera singolare, ad operare tale trasformazione, associando colui che si nutre del Corpo e del Sangue di Gesù all'offerta che Egli ha fatto di Se stesso al Padre per la salvezza di tutti. L'intera comunità ecclesiale, e le comunità parrocchiali in particolare, prestino attenzione nell'assicurare la possibilità di accostarsi con frequenza alla Comunione sacramentale a coloro che, per motivi di salute o di età, non possono recarsi nei luoghi di culto. In tal modo, a questi fratelli e sorelle viene offerta la possibilità di rafforzare il rapporto con Cristo crocifisso e risorto, partecipando, con la loro vita offerta per amore di Cristo, alla missione stessa della Chiesa. In questa prospettiva, è importante che i sacerdoti che prestano la loro delicata opera negli ospedali, nelle case di cura e presso le abitazioni dei malati si sentano veri ""ministri degli infermi", segno e strumento della compassione di Cristo, che deve giungere ad ogni uomo segnato dalla sofferenza" (Messaggio per la XVIII Giornata Mondiale del Malato, 22 novembre 2009).
La conformazione al Mistero Pasquale di Cristo, realizzata anche mediante la pratica della Comunione spirituale, assume un significato del tutto particolare quando l'Eucaristia è amministrata e accolta come viatico. In quel momento dell'esistenza risuonano in modo ancora più incisivo le parole del Signore: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno" (Gv 6, 54). L'Eucaristia, infatti, soprattutto come viatico è - secondo la definizione di sant'Ignazio d'Antiochia - "farmaco di immortalità, antidoto contro la morte" (Lettera agli Efesini, 20: PG 5, 661), sacramento del passaggio dalla morte alla vita, da questo mondo al Padre, che tutti attende nella Gerusalemme celeste.


5. Il tema di questo Messaggio per la XX Giornata Mondiale del Malato, "Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!", guarda anche al prossimo "Anno della fede", che inizierà l'11 ottobre 2012 , occasione propizia e preziosa per riscoprire la forza e la bellezza della fede, per approfondirne i contenuti e per testimoniarla nella vita di ogni giorno (cfr. Lett. ap. Porta fidei, 11 ottobre 2011). Desidero incoraggiare i malati e i sofferenti a trovare sempre un'ancora sicura nella fede, alimentata dall'ascolto della Parola di Dio, dalla preghiera personale e dai Sacramenti, mentre invito i Pastori ad essere sempre più disponibili alla loro celebrazione per gli infermi. Sull'esempio del Buon Pastore e come guide del gregge loro affidato, i sacerdoti siano pieni di gioia, premurosi verso i più deboli, i semplici, i peccatori, manifestando l'infinita misericordia di Dio con le parole rassicuranti della speranza (cfr. S. AGOSTINO, Lettera 95, 1: PL 33, 351-352).
A quanti operano nel mondo della salute, come pure alle famiglie che nei propri congiunti vedono il Volto sofferente del Signore Gesù, rinnovo il ringraziamento mio e della Chiesa, perché, nella competenza professionale e nel silenzio, spesso anche senza nominare il nome di Cristo, Lo manifestano concretamente (cfr. Omelia, S. Messa del Crisma, 21 aprile 2011).

A Maria, Madre di Misericordia e Salute degli Infermi, eleviamo il nostro sguardo fiducioso e la nostra orazione; la sua materna compassione, vissuta accanto al Figlio morente sulla Croce, accompagni e sostenga la fede e la speranza di ogni persona ammalata e sofferente nel cammino di guarigione dalle ferite del corpo e dello spirito.
A tutti assicuro il mio ricordo nella preghiera, mentre imparto a ciascuno una speciale Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 20 novembre 2011, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell'Universo.



(©L'Osservatore Romano 4 gennaio 2012)
Caterina63
00giovedì 17 maggio 2012 17:17

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

 

Nota circa il Ministro del Sacramento
dell'Unzione degli Infermi

 

Nota

Il Codice di Diritto Canonico nel can. 1003 1 (cfr anche can. 739 1 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali) riprende esattamente la dottrina espressa dal Concilio Tridentino (Sessio XIV, can. 4: DS 1719; cfr anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1516), secondo la quale soltanto i sacerdoti (Vescovi e presbiteri)  sono  Ministri  del  Sacramento  dell'Unzione degli Infermi.

Questa dottrina è definitive tenenda. Né diaconi né laici perciò possono esercitare detto ministero e qualsiasi azione in questo senso costituisce simulazione del sacramento.

Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, l'11 febbraio 2005, nella memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes.

JOSEPH Card. RATZINGER
Prefetto

ANGELO AMATO, S.D.B.
Arcivescovo titolare di Sila
Segretario


Lettera accompagnatoria

Agli Em.mi ed Ecc.mi
Presidenti delle Conferenze Episcopali,

in questi ultimi anni sono pervenute alla Congregazione per la Dottrina della Fede varie domande circa il Ministro del Sacramento dell'Unzione degli Infermi.

Al riguardo questo Dicastero ritiene opportuno inviare a tutti i Pastori della Chiesa Cattolica l'acclusa Nota circa il Ministro del Sacramento dell'Unzione degli Infermi (cfr Allegato 1).

Per Sua utilità si trasmette anche un appunto sintetico sulla storia della dottrina al riguardo, preparato da un Esperto in materia (cfr Allegato 2).

Nel comunicarLe quanto sopra, profitto della circostanza per porgerLe distinti ossequi e confermarmi

dev.mo

JOSEPH Card. RATZINGER
Prefetto

 


 

Commento

In questi ultimi decenni si sono manifestate delle tendenze teologiche che mettono in dubbio la dottrina della Chiesa secondo cui il Ministro del Sacramento dell'Unzione degli Infermi "est omnis et solus sacerdos". Il tema viene affrontato in prevalenza dal punto di vista pastorale, specialmente tenendo conto di quelle regioni in cui la scarsità di sacerdoti rende difficile l'amministrazione tempestiva del Sacramento, mentre tale difficoltà potrebbe essere risolta se i diaconi permanenti e anche laici qualificati potessero essere deputati Ministri del Sacramento.

La Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede intende richiamare l'attenzione su queste tendenze, per prevenire il pericolo che ci siano dei tentativi di metterle in pratica, in detrimento della fede e con grave danno spirituale degli infermi che si vogliono aiutare.

La teologia cattolica ha visto nella Lettera di Giacomo (vv. 5, 14-15) il fondamento biblico per il Sacramento dell'Unzione degli Infermi. L'Autore della lettera dopo aver dato vari consigli riguardanti la vita cristiana, offre anche una norma per gli ammalati: "Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato:  il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati". In questo testo, la Chiesa, sotto l'azione dello Spirito Santo, ha individuato nel corso dei secoli gli elementi essenziali del Sacramento dell'Unzione degli Infermi, che il Concilio di Trento (Sess. XIV, capp. 1-3, cann. 1-4:  DS 1695-1700, 1716-1719) propone in forma sistematica: a) soggetto:  il fedele gravemente ammalato; b) ministro: "omnis et solus sacerdos"; c) materia: l'unzione con l'olio benedetto; d) forma:  la preghiera del ministro; e) effetti:  grazia salvifica, perdono dei peccati, sollievo dell'infermo.

Prescindendo ora dagli altri aspetti, interessa qui sottolineare il dato dottrinale relativo al Ministro del Sacramento, al quale esclusivamente si riferisce la Nota della Congregazione.

Le parole greche della Lettera di Giacomo (5, 14), che la Vulgata traduce "presbyteros Ecclesiae", in consonanza con la tradizione, non possono riferirsi agli anziani per etàdella comunità, ma a quella categoria particolare di fedeli che, per l'imposizione delle mani, lo Spirito Santo aveva posto a pascere la Chiesa di Dio.

Il primo documento del Magistero che parla in modo esplicito dell'Unzione degli Infermi è una lettera di Papa Innocenzo I a Decenzio, Vescovo di Gubbio (19 marzo 416). Il Papa, commentando le parole della Lettera di Giacomo, in reazione all'interpretazione, secondo cui solo i presbiteri sarebbero Ministri del Sacramento ad esclusione dei Vescovi, respinge questa limitazione, affermando che Ministri del Sacramento sono i presbiteri, ma anche il Vescovo (cfr DS 216). La lettera di Papa Innocenzo I, come anche le altre testimonianze del primo millennio (Cesario di Arles, Beda il Venerabile), non forniscono comunque alcuna prova della possibilità di introdurre Ministri non sacerdoti per il Sacramento dell'Unzione degli Infermi.

Nel Magistero e nella legislazione posteriori fino al Concilio di Trento si trovano i seguenti dati:  Graziano nel suo Decretum (circa anno 1140) raccoglie quasi letteralmente la parte dispositiva della summenzionata lettera di Innocenzo I (parte 1, dist. 95, can. 3). Poi nelle Decretali di Gregorio IX viene inserita una Decretale di Alessandro III (1159-1164) nella quale risponde affermativamente alla domanda se il sacerdote può amministrare il Sacramento dell'Unzione degli Infermi stando del tutto solo, senza la presenza di un altro chierico o di un laico (X. 5, 40, 14). Infine il Concilio di Firenze nella Bolla Exsultate Deo (22 novembre 1439) afferma come verità del tutto pacifica che "il Ministro di questo Sacramento è il sacerdote" (DS 1325).

L'insegnamento del Concilio di Trento prende posizione in relazione alla contestazione dei Riformatori, secondo i quali l'Unzione degli Infermi non sarebbe un sacramento ma una invenzione umana e i "presbiteri" di cui si parla nella Lettera di Giacomo non sarebbero i sacerdoti ordinati ma gli anziani della comunità. Il Concilio espone ampiamente la dottrina cattolica al riguardo (Sess. XIV, cap. 3:  DS 1697-1700) e anatematizza coloro che negano che l'Unzione degli Infermi sia uno dei sette Sacramenti (ibid., can. 1: DS 1716) e che il Ministro di questo Sacramento sia solo il sacerdote (ibid., can. 4:  DS 1719).

Dal Concilio di Trento alla codificazione del 1917 ci sono soltanto due interventi del Magistero che riguardano in qualche modo il presente argomento. Si tratta della Costituzione Apostolica Etsi pastoralis (26 maggio 1742, cfr 5, n. 3: DS 2524) e della Enciclica Ex quo primum (1 marzo 1756) di Benedetto XIV. Nel primo documento si danno norme in materia liturgica sui rapporti fra i latini e i cattolici orientali giunti nel Sud d'Italia, fuggendo dalle persecuzioni; mentre nel secondo si approva e commenta l'Eucologio (Rituale) degli orientali rientrati nella piena comunione con la Sede Apostolica (1). Quanto al Sacramento dell'Unzione degli Infermi si suppone come verità pacificamente acquisita che il ministro del sacramento sia "omnis et solus sacerdos".

La dottrina tradizionale, espressa dal Concilio di Trento sul Ministro del Sacramento dell'Unzione degli Infermi, venne codificata nel Codice di Diritto Canonico promulgato nell'anno 1917 (can. 938 1) e ripetuta quasi con le stesse parole nel Codice di Diritto Canonico promulgato nel 1983 (can. 1003 1) e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali del 1990 (can. 739 1).

Tutti i Rituali del sacramento dell'Unzione degli Infermi d'altra parte hanno sempre presupposto che il Ministro del Sacramento sia un Vescovo o un sacerdote (cfr Ordo Unctionis Infirmorum eorumque pastoralis curae, Editio typica, Typis Polyglottis Vaticanis 1972, Praenotanda, nn. 5. 16-19). Perciò non hanno mai contemplato la possibilità che il ministro sia un diacono oppure un laico.

La dottrina secondo cui il ministro del sacramento dell'Unzione degli Infermi "est omnis et solus sacerdos" gode di tale grado di certezza teologica che deve essere qualificata come dottrina "definitive tenenda". Il Sacramento è invalido se un diacono o un laico tenta di amministrarlo. Tale azione costituirebbe un delitto di simulazione nell'amministrazione del Sacramento, punibile a norma del can. 1379 CIC (cfr can. 1443 CCEO).

In conclusione sarà infatti opportuno ricordare che il sacerdote, per il Sacramento che ha ricevuto, rende presente in un modo tutto particolare il Signore Gesù Cristo, Capo della Chiesa.

Nell'amministrazione dei sacramenti egli agisce in persona Christi Capitis e in persona Ecclesiae. Colui che opera in questo Sacramento è Gesù Cristo, il sacerdote è lo strumento vivo e visibile. Egli rappresenta e rende presente Cristo in modo speciale, per cui questo Sacramento ha una particolare dignità ed efficacia rispetto ad un sacramentale:  cosicché, come dice la Parola ispirata circa l'Unzione degli Infermi, "il Signore lo rialzerà" (Gc 5, 15). Il sacerdote agisce inoltre in persona Ecclesiae. I "presbiteri della Chiesa" raccolgono nella loro preghiera (Gc 5, 14) la preghiera di tutta quanta la Chiesa; come dice Tommaso d'Aquino a questo proposito: "oratio illa non fit a sacerdote in persona sua [...], sed fit in persona totius Ecclesiae" (Summa Theologiae, Supplementum, q. 31, a. 1, ad 1).  Una  tale preghiera trova esaudimento.
 


1) Si nota che anche gli Ortodossi ritengono che Ministro dell'Unzione sia solamente il Vescovo o il presbitero.

Caterina63
00giovedì 21 gennaio 2016 19:50
L’ultimo Sacramento
dal Numero 5 del 1 febbraio 2015
di Don Leonardo M. Pompei

Detta “estrema”, l’Unzione cristiana è un sacramento importantissimo che va amministrato solo in serio pericolo di vita, per proteggere l’anima dalle insidie del nemico e riconciliarla con quel Dio che a breve vedrà senza veli. Un’errata comprensione di tale Sacramento ha favorito il diffondersi di alcuni abusi...

La dottrina sul sacramento dell’Unzione del Concilio di Trento è, come sempre, quanto mai chiara, precisa e dettagliata. Nell’analisi procederemo, come di consueto, ad una breve sintesi dottrinale del decreto (Denz. 1694-1700) e, in un secondo momento, all’esposizione e al commento dei canoni sull’Unzione (Denz. 1716-1719).

L’estrema Unzione è anzitutto presentata come “perfezionamento” non soltanto del sacramento della Penitenza, ma di tutta la vita cristiana che «deve essere una perpetua penitenza». Già quest’affermazione sarebbe alquanto da meditare, in un tempo – come quello in cui stiamo vivendo – che non solo sembra aver quasi totalmente smarrito il senso della penitenza cristiana, ma, attraverso la voce di più di qualcuno, giunge a negarne la necessità e perfino, nei casi più estremi, l’utilità per la vita cristiana.

Appoggiare simili posizioni significa alienarsi dal genuino pensiero autentico della Chiesa, trasmesso dal Magistero e dai santi.

Il senso dell’istituzione di questo Sacramento da parte di Nostro Signore è quello di «proteggere la fine della vita con una fortissima difesa», sulla base della convinzione di Fede che se è vero che «il nostro avversario, per tutta la vita cerca e coglie ogni occasione per divorare», moltiplica e concentra i suoi sforzi proprio nel momento della morte, per portarsi un’anima all’inferno. Anche questa seconda considerazione, ahimè, potrebbe addirittura suscitare l’ironia di qualcuno, dal momento che non sono rimasti in molti a credere nell’esistenza e nell’azione del demonio, nell’esistenza e reale possibilità dell’inferno e di un’eterna dannazione e soprattutto nel fatto che il nemico della nostra salvezza lavora incessantemente, giorno e notte, come «leone ruggente» (cf. 1Pt 5,8) per la nostra perdizione.

La stragrande maggioranza dei fedeli – parlo con esperienza di parroco in cura di anime – muore senza il conforto e l’aiuto dei Sacramenti, perché l’unica preoccupazione dei familiari sembra essere quella di illudere il moribondo che vada tutto bene e che la morte sia ancora lontana, cosa che crollerebbe “se vedesse arrivare il prete”. Dopo “morti di tal fatta” – in gran parte di persone certamente brave ma completamente estranee ad una vita di fede e alla pratica dei Sacramenti – tocca sentire in molte omelie funebri una sorta di panegirico o addirittura “canonizzazione anticipata”, pronunciata tranquillamente sulla base della solita nefasta dottrina della falsa misericordia che dà più clienti all’inferno di quanti non gliene procuri il dilagare impressionante del peccato.

Anche qui, il sentire comune attuale stride pesantemente con l’autentico e vero “sensus Ecclesiae”, che era informato da ben altri parametri, da altre convinzioni e altri modi di agire.

Il fondamento di questo Sacramento è individuato in forma adombrata nel gesto di ungere i malati che Gesù ordinò di compiere agli Apostoli mandati in missione (cf. Mc 6,13) ed è invece chiaramente esplicitato nelle raccomandazioni di san Giacomo apostolo che invita i malati a chiamare i presbiteri della Chiesa per farsi ungere con olio e ricevere la loro preghiera (cf. Gc 5,14ss).

Molto interessante è la descrizione degli effetti che produce questo Sacramento: la remissione dei peccati e dei residui di peccati da espiare; la trasmissione della forza e della fiducia nella divi­na misericordia all’anima del malato; la trasmissione di un grande sollievo per sopportare più facilmente e serenamente le pene e le sofferenze della malattia ed offrirle in espiazione; la grazia di saper resistere alle ultime e terribili tentazioni del demonio. Effetto accidentale, ma in alcuni casi reale, è il riacquisto della salute del corpo, se ciò giovasse alla salvezza dell’anima secondo il vo­lere dell’Altissimo.

Le ultime considerazioni riguardano il mini­stro di questo Sacramento, che deve essere solo e soltanto il sacerdote validamente ordinato e il tempo di amministrazione di questo Sacramento, che deve essere conferito solo in presenza di una malattia grave che renda possibile o imminente il pericolo della morte, motivo per cui era tradizionalmente chiamato “Sacramento dei moribondi”. L’attuale disciplina consente qualche margine un po’ più ampio (per esempio amministrare il Sacramento prima di un intervento chirurgico che potrebbe essere molto pericoloso), ma è comunque sommamente da biasimare come grave abuso la prassi (invalsa – a quanto pare – in più di qualche Parrocchia) di amministrare collettivamente questo Sacramento durante la Messa facendo portare in Chiesa i malati (soprattutto in occasione della Giornata mondiale del malato) e dando a ciascuno di essi singolarmente l’Unzione.

Questo Sacramento va amministrato solo ai malati gravi in possibile pericolo di vita, non ai malati lievi oppure alle persone colpite in forma cronica da qualche invalidità, malattia o infermità. Auspi­chiamo che le competenti autorità ecclesiastiche, che già da qualche parte hanno opportunamente denunciato tale prassi come abuso, si affrettino ad eliminarlo del tutto, per la gloria di Dio e l’autentico bene delle anime.  





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