Udienza generale del Mercoledì Anno 2023

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Caterina63
00mercoledì 4 gennaio 2023 14:24

ATTENZIONE: RICORDIAMO CHE TUTTE LE UDIENZE DEL 2022 SONO IN QUESTO LINK


UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 4 gennaio 2023

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Catechesi sul Discernimento. 14. L’accompagnamento spirituale

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Prima di iniziare questa catechesi vorrei che ci unissimo a quanti, qui accanto, stanno rendendo omaggio a Benedetto XVI e rivolgere il mio pensiero a lui, che è stato un grande maestro di catechesi. Il suo pensiero acuto e garbato non è stato autoreferenziale, ma ecclesiale, perché sempre ha voluto accompagnarci all’incontro con Gesù. Gesù, il Crocifisso risorto, il Vivente e il Signore, è stata la meta a cui Papa Benedetto ci ha condotto, prendendoci per mano. Ci aiuti a riscoprire in Cristo la gioia di credere e la speranza di vivere.

Con questa catechesi di oggi concludiamo il ciclo dedicato al tema del discernimento, e lo facciamo completando il discorso sugli aiuti che possono e devono sostenerlo: sostenere il processo di discernimento. Uno di questi è l’accompagnamento spirituale, importante anzitutto per la conoscenza di sé, che abbiamo visto essere una condizione indispensabile per il discernimento. Guardarsi allo specchio, da soli, non sempre aiuta, perché uno può alterare l’immagine. Invece, guardarsi allo specchio con l’aiuto di un altro, questo aiuta tanto perché l’altro ti dice la verità – quando è veritiero – e così ti aiuta.

La grazia di Dio in noi lavora sempre sulla nostra natura. Pensando a una parabola evangelica, la grazia possiamo paragonarla al buon seme e la natura al terreno (cfr Mc 4,3-9). È importante anzitutto farsi conoscere, senza timore di condividere gli aspetti più fragili, dove ci scopriamo più sensibili, deboli o timorosi di essere giudicati. Farsi conoscere, manifestare se stesso a una persona che ci accompagni nel cammino della vita. Non che decida per noi, no: ma che ci accompagni. Perché la fragilità è, in realtà, la nostra vera ricchezza: noi siamo ricchi in fragilità, tutti; la vera ricchezza, che dobbiamo imparare a rispettare e ad accogliere, perché, quando viene offerta a Dio, ci rende capaci di tenerezza, di misericordia e di amore. Guai a quelle persone che non si sentono fragili: sono dure, dittatoriali. Invece, le persone che con umiltà riconoscono le proprie fragilità sono più comprensive con gli altri. La fragilità – io posso dire – ci rende umani. Non a caso, la prima delle tre tentazioni di Gesù nel deserto – quella legata alla fame – cerca di rubarci la fragilità, presentandocela come un male di cui sbarazzarsi, un impedimento a essere come Dio. E invece è il nostro tesoro più prezioso: infatti Dio, per renderci simili a Lui, ha voluto condividere fino in fondo la nostra propria fragilità. Guardiamo il crocifisso: Dio che è sceso proprio alla fragilità. Guardiamo il presepio che arriva in una fragilità umana grande. Lui ha condiviso la nostra fragilità.

E l’accompagnamento spirituale, se è docile allo Spirito Santo, aiuta a smascherare equivoci anche gravi nella considerazione di noi stessi e nella relazione con il Signore. Il Vangelo presenta diversi esempi di colloqui chiarificatori e liberanti fatti da Gesù. Pensiamo, ad esempio, a quelli con la Samaritana, che noi lo leggiamo, lo leggiamo, e sempre c’è questa saggezza e tenerezza di Gesù; pensiamo a quello con Zaccheo, pensiamo con la donna peccatrice, pensiamo con Nicodemo e con i discepoli di Emmaus: il modo di avvicinarsi del Signore. Le persone che hanno un incontro vero con Gesù non hanno timore di aprirgli il cuore, di presentare la propria vulnerabilità, la propria inadeguatezza, la propria fragilità. In questo modo, la loro condivisione di sé diventa esperienza di salvezza, di perdono gratuitamente accolto.

Raccontare di fronte a un altro ciò che abbiamo vissuto o che stiamo cercando aiuta a fare chiarezza in noi stessi, portando alla luce i tanti pensieri che ci abitano, e che spesso ci inquietano con i loro ritornelli insistenti. Quante volte, in momenti bui, ci vengono i pensieri così: “Ho sbagliato tutto, non valgo niente, nessuno mi capisce, non ce la farò mai, sono destinato al fallimento”, quante volte è venuto a noi pensare queste cose. Pensieri falsi e velenosi, che il confronto con l’altro aiuta a smascherare, così che possiamo sentirci amati e stimati dal Signore per come siamo, capaci di fare cose buone per Lui. Scopriamo con sorpresa modi differenti di vedere le cose, segnali di bene da sempre presenti in noi. È vero, noi possiamo condividere le nostre fragilità con l’altro, con quello che ci accompagna nella vita, nella vita spirituale, il maestro di vita spirituale, sia un laico, un sacerdote e dire: “Guarda cosa succede a me: sono un disgraziato, mi stanno succedendo queste cose”. E colui che accompagna risponde: “Sì, tutti ne abbiamo di queste cose”. Questo ci aiuta a chiarirle bene e vedere da dove vengono le radici e così superarle.

Colui o colei che accompagna – l’accompagnatore o l’accompagnatrice – non si sostituisce al Signore, non fa il lavoro al posto della persona accompagnata, ma cammina al suo fianco, la incoraggia a leggere ciò che si muove nel suo cuore, il luogo per eccellenza dove il Signore parla. L’accompagnatore spirituale, che noi chiamiamo direttore spirituale – non mi piace questo temine, preferisco accompagnatore spirituale, è meglio – è quello che ti dice: “Va bene, ma guarda qui, guarda qui”, ti attira l’attenzione su cose che forse passano; ti aiuta a capire meglio i segni dei tempi, la voce del Signore, la voce del tentatore, la voce delle difficoltà che non riesci a superare. Per questo è molto importante non camminare da soli. C’è un detto della saggezza africana – perché loro hanno quella mistica della tribù –che dice: “Se tu vuoi arrivare in fretta, vai da solo; se tu vuoi arrivare sicuro, vai con gli altri”, vai accompagnato, vai con il tuo popolo. È importante. Nella vita spirituale è meglio farsi accompagnare da qualcuno che conosca le cose nostre e ci aiuti. E questo è l’accompagnamento spirituale.

Questo ccompagnamento può essere fruttuoso se, da una parte e dall’altra, si è fatta esperienza della figliolanza e della fratellanza spirituale. Scopriamo di essere figli di Dio nel momento in cui ci scopriamo fratelli, figli dello stesso Padre. Per questo è indispensabile essere inseriti in una comunità in cammino. Non siamo soli, siamo gente di un popolo, di una nazione, di una città che cammina, di una Chiesa, di una parrocchia, di questo gruppo … una comunità in cammino. Non si va al Signore da soli: questo non va. Dobbiamo capirlo bene. Come nel racconto evangelico del paralitico, spesso siamo sostenuti e guariti grazie alla fede di qualcun altro (cfr Mc 2,1-5) che ci aiuta ad andare avanti, perché tutti noi alle volte abbiamo delle paralisi interiori e ci vuole qualcuno che ci aiuti a superare quel conflitto con l’aiuto. Non si va al Signore da soli, ricordiamolo bene; altre volte siamo noi ad assumerci tale impegno a favore di un altro fratello o di una sorella, e siamo accompagnatori per aiutare quell’altro. Senza esperienza di figliolanza e di fratellanza l’accompagnamento può dare adito ad attese irreali, a equivoci, a forme di dipendenza che lasciano la persona allo stato infantile. Accompagnamento, ma come figli di Dio e fratelli con noi.

La Vergine Maria è maestra di discernimento: parla poco, ascolta molto e custodisce nel cuore (cfr Lc 2,19). I tre atteggiamenti della Madonna: parlare poco, ascoltare tanto e custodire nel cuore. E le poche volte in cui parla lascia il segno. Per esempio, nel Vangelo di Giovanni c’è una brevissima frase pronunciata da Maria che è una consegna per i cristiani di tutti i tempi: “Fate quello che vi dirà” (cfr 2,5). È curioso: una volta ho sentito una vecchietta molto buona, molto pia, non aveva studiato teologia, era molto semplice. E m’ha detto: “Lei sa qual è il gesto che sempre fa la Madonna?”. Non so: ti coccola, ti chiama … “No: il gesto che fa la Madonna è questo” [indica con l’indice]. Io non capivo, e chiedo: “Cosa vuol dire?”. E la vecchietta mi ha risposto: “Sempre segnala Gesù”. È bello, quello: la Madonna non prende niente per sé, segnala Gesù. Fate quello che Gesù vi dice: così è la Madonna. Maria sa che il Signore parla al cuore di ciascuno, e chiede di tradurre questa parola in azioni e scelte. Lei ha saputo farlo più di ogni altro, e infatti è presente nei momenti fondamentali della vita di Gesù, specialmente nell’ora suprema della morte di croce.

Cari fratelli e sorelle, finiamo questa serie di catechesi sul discernimento: il discernimento è un’arte, un’arte che si può apprendere e che ha le sue regole proprie. Se bene appreso, esso consente di vivere l’esperienza spirituale in maniera sempre più bella e ordinata. Soprattutto il discernimento è un dono di Dio, che va sempre chiesto, senza mai presumere di essere esperti e autosufficienti. Signore, dammi la grazia di discernere nei momenti della vita, cosa devo fare, cosa devo capire. Dammi la grazia di discernere, e dammi la persona che mi aiuti a discernere.

La voce del Signore si può sempre riconoscere, ha uno stile unico, è una voce che pacifica, incoraggia e rassicura nelle difficoltà. Il Vangelo ce lo ricorda continuamente: «Non temere» (Lc 1,30), che bella quella parola dell’angelo a Maria dopo la risurrezione di Gesù; «non temere», «non abbiate paura», è proprio lo stile del Signore: «non temere». «Non temere!», ripete anche a noi il Signore oggi; «non temere»: se ci fidiamo della sua parola, giocheremo bene la partita della vita, e potremo aiutare altri. Come dice il Salmo, la sua Parola è lampada ai nostri passi e luce sul nostro cammino (cfr 119,105).

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Saluti

[Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Cari fratelli e sorelle, all’inizio di questo nuovo anno affidiamoci al Signore. La sua Parola è lampada ai nostri passi e luce sul nostro cammino. Per l’intercessione di Maria, Madre di Dio, chiedo al Signore la grazia per una vita serena e santa, colma di pace per voi e per i vostri cari. Vi benedico di cuore!]

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i partecipanti al Congresso dell’Associazione Maestri Cattolici. Cari fratelli e sorelle, vi incoraggio a dedicarvi con mitezza alla formazione degli alunni, che hanno bisogno di vedere in voi dei testimoni di verità, di speranza, di tenerezza.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli, che sono tanti. Dopo domani celebreremo la solennità dell’Epifania; come i Magi, sappiate cercare con animo aperto Cristo luce del mondo e Salvatore dell’umanità.

Esorto tutti a perseverare nella vicinanza affettuosa e solidale con il martoriato popolo ucraino che tanto soffre e continua a soffrire, invocando per esso il dono della pace. Non stanchiamoci di pregare. Il popolo ucraino soffre, i bambini ucraini soffrono: preghiamo per loro.

E a tutti la mia benedizione.



UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 11 gennaio 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. La chiamata all’apostolato (Mt 9,9-13)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Iniziamo oggi un nuovo ciclo di catechesi, dedicato a un tema urgente e decisivo per la vita cristiana: la passione per l’evangelizzazione, cioè lo zelo apostolico. Si tratta di una dimensione vitale per la Chiesa: la comunità dei discepoli di Gesù nasce infatti apostolica, nasce missionaria, non proselitista e dall’inizio dovevamo distinguere questo: essere missionario, essere apostolico, evangelizzare non è lo stesso di fare proselitismo, niente a che vedere una cosa con l’altra. Si tratta di una dimensione vitale per la Chiesa, la comunità dei discepoli di Gesù nasce apostolica e missionaria. Lo Spirito Santo la plasma in uscita - la Chiesa in uscita, che esce - , perché non sia ripiegata su sé stessa, ma estroversa, testimone contagiosa di Gesù la fede si contagia, pure -, protesa a irradiare la sua luce fino agli estremi confini della terra. Può succedere, però, che l’ardore apostolico, il desiderio di raggiungere gli altri con il buon annuncio del Vangelo, diminuisca, divenga tiepido. A volte sembra eclissarsi, sono cristiani chiusi, non pensano agli altri. Ma quando la vita cristiana perde di vista l’orizzonte dell’evangelizzazione, l’orizzonte dell’annuncio, si ammala: si chiude in sé stessa, diventa autoreferenziale, si atrofizza. Senza zelo apostolico, la fede appassisce. La missione è invece l’ossigeno della vita cristiana: la tonifica e la purifica. Intraprendiamo allora un percorso alla riscoperta della passione evangelizzatrice, iniziando dalle Scritture e dall’insegnamento della Chiesa, per attingere alle fonti lo zelo apostolico. Poi ci accosteremo ad alcune sorgenti vive, ad alcuni testimoni che hanno riacceso nella Chiesa la passione per il Vangelo, perché ci aiutino a ravvivare il fuoco che lo Spirito Santo vuole far ardere sempre in noi.

E oggi vorrei iniziare da un episodio evangelico in qualche modo emblematico lo abbiamo sentito: la chiamata dell’apostolo Matteo, e lui stesso la racconta nel suo Vangelo, nel brano che abbiamo ascoltato (cfr 9,9-13).

Tutto inizia da Gesù, il quale “vede” – dice il testo – «un uomo». In pochi vedevano Matteo così com’era: lo conoscevano come colui che stava «seduto al banco delle imposte» (v. 9). Era infatti esattore delle tasse: uno, cioè, che riscuoteva i tributi per conto dell’impero romano che occupava la Palestina. In altre parole, era un collaborazionista, un traditore del popolo. Possiamo immaginare il disprezzo che la gente provava per lui: era un “pubblicano”, così si chiamava. Ma, agli occhi di Gesù, Matteo è un uomo, con le sue miserie e la sua grandezza. State attenti a questo: Gesù non si ferma agli aggettivi, Gesù sempre cerca il sostantivo. “Questo è un peccatore, questo è un tale per quale…” sono degli aggettivi: Gesù va alla persona, al cuore, questa è una persona, questo è un uomo, questa è una donna, Gesù va alla sostanza, al sostantivo, mai all’aggettivo, lascia perdere gli aggettivi. E mentre tra Matteo e la sua gente c’è distanza - perché loro vedevano l’aggettivo, “pubblicano” - , Gesù si avvicina a lui, perché ogni uomo è amato da Dio; “Anche questo disgraziato?”. Sì, anche questo disgraziato, anzi Lui è venuto per questo disgraziato, lo dice il Vangelo: “Io sono venuto per i peccatori, non per i giusti”. Questo sguardo di Gesù che è bellissimo, che vede l’altro, chiunque sia, come destinatario di amore, è l’inizio della passione evangelizzatrice. Tutto parte da questo sguardo, che impariamo da Gesù.

Possiamo chiederci: com’è il nostro sguardo verso gli altri? Quante volte ne vediamo i difetti e non le necessità; quante volte etichettiamo le persone per ciò che fanno o ciò che pensano! Anche come cristiani ci diciamo: è dei nostri o non è dei nostri? Questo non è lo sguardo di Gesù: Lui guarda sempre ciascuno con misericordia anzi con predilezione. E i cristiani sono chiamati a fare come Cristo, guardando come Lui specialmente i cosiddetti “lontani”. Infatti, il racconto della chiamata di Matteo si conclude con Gesù che dice: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (v. 13). E se ognuno di noi si sente giusto, Gesù è lontano, Lui si avvicina ai nostri limiti e alle nostre miserie, per guarirci.

Dunque, tutto inizia dallo sguardo di Gesù “Vide un uomo”, Matteo. A questo segue – secondo passaggio – un movimento. Prima lo sguardo, Gesù vide, poi il secondo passaggio, il movimento. Matteo era seduto al banco delle imposte; Gesù gli disse: «Seguimi». Ed egli «si alzò e lo seguì» (v. 9). Notiamo che il testo sottolinea che “si alzò”. Perché è tanto importante questo dettaglio? Perché a quei tempi chi era seduto aveva autorità sugli altri, che stavano in piedi davanti a lui per ascoltarlo o, come in quel caso, per pagare il tributo. Chi stava seduto, insomma, aveva potere. La prima cosa che fa Gesù è staccare Matteo dal potere: dallo stare seduto a ricevere gli altri lo pone in movimento verso gli altri, non riceve, no: va agli altri; gli fa lasciare una posizione di supremazia per metterlo alla pari con i fratelli e aprirgli gli orizzonti del servizio. Questo fa e questo è fondamentale per i cristiani: noi discepoli di Gesù, noi Chiesa, stiamo seduti aspettando che la gente venga o sappiamo alzarci, metterci in cammino con gli altri, cercare gli altri? È una posizione non cristiana dire: “Ma che vengano, io sono qui, che vengano.” No, vai tu a cercarli, fai tu il primo passo.

Uno sguardo - Gesù vide - , un movimento – si alza – e terzo, una meta. Dopo essersi alzato e aver seguito Gesù, dove andrà Matteo? Potremmo immaginare che, cambiata la vita di quell’uomo, il Maestro lo conduca verso nuovi incontri, nuove esperienze spirituali. No, o almeno non subito. Per prima cosa Gesù va a casa sua; lì Matteo gli prepara «un grande banchetto», a cui «partecipa una folla numerosa di pubblicani» (Lc 5,29) cioè gente come lui. Matteo torna nel suo ambiente, ma ci torna cambiato e con Gesù. Il suo zelo apostolico non comincia in un luogo nuovo, puro, un luogo ideale, lontano, ma lì, comincia dove vive, con la gente che conosce. Ecco il messaggio per noi: non dobbiamo attendere di essere perfetti e di aver fatto un lungo cammino dietro a Gesù per testimoniarlo; il nostro annuncio comincia oggi, lì dove viviamo.
E non comincia cercando di convincere gli altri, convincere no: ma testimoniando ogni giorno la bellezza dell’Amore che ci ha guardati e ci ha rialzati e sarà questa bellezza, comunicare questa bellezza a convincere la gente, non comunicare noi, ma lo stesso Signore. Noi siamo quelli che annunciano il Signore, non annunciamo noi stessi, né annunciamo un partito politico, una ideologia, no: annunciamo Gesù. Bisogna mettere in contatto Gesù con la gente, senza convincerli, ma lasciare che il Signore convinca. Come infatti ci ha insegnato Papa Benedetto, «la Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per attrazione»  (Omelia nella Messa inaugurale della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, Aparecida, 13 maggio 2007). 
Non dimenticare questo: quando voi vedrete dei cristiani che fanno proselitismo, che ti fanno una lista di gente per venire… questi non sono cristiani, sono pagani travestiti da cristiani ma il cuore è pagano. La Chiesa cresce non per proselitismo, cresce per attrazione.
Una volta ricordo che in ospedale a Buenos Aires sono andate via le suore che lavoravano lì perché erano poche e non potevano portare avanti l’ospedale ed è venuta una comunità di suore dalla Corea e sono arrivate, pensiamo lunedì per esempio, non ricordo il giorno. Hanno preso possesso della casa delle suore dell’ospedale e il martedì sono scese a visitare gli ammalati dell’ospedale, ma non parlavano una parola di spagnolo, soltanto parlavano il coreano e gli ammalati erano felici, perché commentavano: “Brave queste suore, brave, brave” - Ma cosa ti ha detto la suora? “Niente, ma con lo sguardo mi ha parlato, hanno comunicato Gesù”. Non comunicare se stessi, ma con lo sguardo, con i gesti, comunicare Gesù. Questa è l’attrazione, il contrario del proselitismo.

Questa testimonianza attraente, questa testimonianza gioiosa è la meta a cui ci porta Gesù con il suo sguardo di amore e con il movimento di uscita che il suo Spirito suscita nel cuore. E noi possiamo pensare se il nostro sguardo assomiglia a quello di Gesù per attrarre la gente, per avvicinare alla Chiesa. Pensiamo questo.

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Saluti

[Saluto cordialmente i Polacchi. Nei giorni scorsi abbiamo reso grazie a Dio per la persona, l'insegnamento e l’esempio del Papa Emerito Benedetto XVI. La sua fede vi stimoli nella crescita spirituale, basata sulla verità del Vangelo e sull'amore fraterno, testimoniati in famiglia, nell'ambiente di lavoro e nella vita sociale. Vi benedico di cuore.]

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Incoraggio tutti a crescere ogni giorno di più nell’amore verso Gesù annunciando il Vangelo soprattutto mediante la testimonianza della comunione nella carità.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Con lo slancio e la generosità di credenti in Cristo, siate sempre costruttori di pace e di armonia, mediante un costante impegno di dialogo con quanti vi stanno accanto.

E non dimentichiamo la martoriata Ucraina, sempre nel nostro cuore; a questo popolo che sta sperimentando crudeli sofferenze esprimiamo il nostro affetto, la nostra vicinanza e la nostra preghiera. E ora sosterrò alcuni istanti in silenzio davanti all’icona conosciuta come Madonna del Popolo, venerata in Belarus, pregando per quel caro Paese e per la pace. Vi invito a unirvi spiritualmente a questa mia preghiera.

A tutti voi la mia benedizione.



UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 18 gennaio 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 2. Gesù modello dell’annuncio

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti tutti!

Mercoledì scorso abbiamo avviato un ciclo di catechesi sulla passione di evangelizzare, cioè sullo zelo apostolico che deve animare la Chiesa e ogni cristiano. Oggi guardiamo al modello insuperabile dell’annuncio: Gesù. Il Vangelo del giorno di Natale lo definiva “Verbo di Dio” (cfr Gv 1,1). Il fatto che egli sia il Verbo, ossia la Parola, ci indica un aspetto essenziale di Gesù: Egli è sempre in relazione, in uscita, mai isolato, sempre in relazione, in uscita; la parola, infatti, esiste per essere trasmessa, comunicata. Così è Gesù, Parola eterna del Padre protesa a noi, comunicata a noi. Cristo non solo ha parole di vita, ma fa della sua vita una Parola, un messaggio: vive, cioè, sempre rivolto verso il Padre e verso di noi. Sempre guardando il Padre che Lo ha inviato e guardando noi a cui Lui è stato inviato.

Se infatti guardiamo alle sue giornate, descritte nei Vangeli, vediamo che al primo posto c’è l’intimità con il Padre, la preghiera, per cui Gesù si alza presto, quand’è ancora buio, e si reca in zone deserte a pregare (cfr Mc 1,35; Lc 4,42) a parlare con il Padre. Tutte le decisioni e le scelte più importanti le prende dopo aver pregato (cfr Lc 6,12; 9,18). Proprio in questa relazione, nella preghiera che lo lega al Padre nello Spirito, Gesù scopre il senso del suo essere uomo, della sua esistenza nel mondo perché Lui è in missione per noi, inviato dal Padre a noi.

A tale proposito è interessante il primo gesto pubblico che Egli compie, dopo gli anni della vita nascosta a Nazaret. Gesù non fa un grande prodigio, non lancia un messaggio ad effetto, ma si mischia con la gente che andava a farsi battezzare da Giovanni. Così ci offre la chiave del suo agire nel mondo: spendersi per i peccatori, facendosi solidale con noi senza distanze, nella condivisione totale della vita. Infatti, parlando della sua missione, dirà di non essere venuto «per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita» (Mc 10,45). Ogni giorno, dopo la preghiera, Gesù dedica tutta la sua giornata all’annuncio del Regno di Dio e la dedica alle persone, soprattutto ai più poveri e deboli, ai peccatori e agli ammalati (cfr Mc 1,32-39). Cioè Gesù è in contatto con il Padre nella preghiera e poi è in contatto con tutta la gente per la missione, per la catechesi, per insegnare la strada del Regno di Dio.

Ora, se vogliamo rappresentare con un’immagine il suo stile di vita, non abbiamo difficoltà a trovarla: Gesù stesso ce la offre, lo abbiamo sentito, parlando di sé come del buon Pastore, colui che – dice – «dà la propria vita per le pecore» (Gv 10,11), questo è Gesù. Infatti, fare il pastore non era solo un lavoro, che richiedeva del tempo e molto impegno; era un vero e proprio modo di vivere: ventiquattrore al giorno, vivendo con il gregge, accompagnandolo al pascolo, dormendo tra le pecore, prendendosi cura di quelle più deboli. Gesù, in altre parole, non fa qualcosa per noi, ma dà tutto, dà la vita per noi. Il suo è un cuore pastorale (cfr Ez 34,15). Fa il pastore con tutti noi.

Infatti, per riassumere in una parola l’azione della Chiesa si usa spesso proprio il termine “pastorale”. E per valutare la nostra pastorale, dobbiamo confrontarci con il modello, confrontarsi con Gesù, Gesù buon Pastore. Anzitutto possiamo chiederci: lo imitiamo abbeverandoci alle fonti della preghiera, perché il nostro cuore sia in sintonia con il suo? L’intimità con Lui è, come suggeriva il bel volume dell’abate Chautard, «l’anima di ogni apostolato». Gesù stesso l’ha detto chiaramente ai suoi discepoli: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5). Se si sta con Gesù si scopre che il suo cuore pastorale palpita sempre per chi è smarrito, perduto, lontano. E il nostro? Quante volte il nostro atteggiamento con gente che è un po’ difficile o che è un po’ difficoltosa si esprime con queste parole: “Ma è un problema suo, che si arrangi…”. Ma Gesù mai ha detto questo, mai, ma è andato sempre incontro a tutti gli emarginati, ai peccatori. Era accusato di questo, di stare con i peccatori, perché portava proprio loro la salvezza di Dio.

Abbiamo ascoltato la parabola della pecora smarrita, contenuta nel capitolo 15 del Vangelo di Luca (cfr vv. 4-7). Gesù parla anche della moneta perduta e del figlio prodigo. Se vogliamo allenare lo zelo apostolico, il capitolo 15 di Luca è da avere sempre sotto gli occhi. Leggetelo spesso, lì possiamo capire cosa sia lo zelo apostolico. Lì scopriamo che Dio non sta a contemplare il recinto delle sue pecore e nemmeno le minaccia perché non se ne vadano. Piuttosto, se una esce e si perde, non la abbandona, ma la cerca. Non dice: “Se n’è andata, colpa sua, affari suoi!”. Il cuore pastorale reagisce in altro modo: il cuore pastorale soffre, il cuore pastorale rischiaSoffre: sì, Dio soffre per chi se ne va e, mentre lo piange, lo ama ancora di più. Il Signore soffre quando ci distanziamo dal suo cuore. Soffre per quanti non conoscono la bellezza del suo amore e il calore del suo abbraccio. Ma, in risposta a questa sofferenza, non si chiude, bensì rischia: lascia le novantanove pecore che sono al sicuro e si avventura per l’unica dispersa, facendo così qualcosa di azzardato e pure di irrazionale, ma consono al suo cuore pastorale, che ha nostalgia di chi se n’è andato. La nostalgia per coloro che se ne sono andati è continua in Gesù. E quando sentiamo che qualcuno ha lasciato la Chiesa cosa ci viene da dire? “Che si arrangi”. No, Gesù ci insegna la nostalgia di coloro che se ne sono andati; Gesù non ha rabbia o risentimento, ma un’irriducibile nostalgia di noi. Gesù ha nostalgia di noi e questo è lo zelo di Dio.

E io mi domando: noi, abbiamo sentimenti simili? Magari vediamo come avversari o nemici quelli che hanno lasciato il gregge. “E questo? – No, se ne è andato da un’altra parte, ha perso la fede, lo aspetta l’inferno…”, e siamo tranquilli. Incontrandoli a scuola, al lavoro, nelle vie della città, perché non pensare invece che abbiamo una bella occasione di testimoniare loro la gioia di un Padre che li ama e che non li ha mai dimenticati? Non per fare proselitismo, no! Ma che gli arrivi la Parola del Padre, per camminare insieme. Evangelizzare non è fare proselitismo: fare proselitismo è una cosa pagana non è religiosa né evangelica. C’è una parola buona per quelli che hanno lasciato il gregge e a portarla abbiamo l’onore e l’onere di essere noi a dire quella parola. Perché la Parola, Gesù, ci chiede questo, di avvicinarsi sempre, con il cuore aperto, a tutti, perché Lui è così. Magari seguiamo e amiamo Gesù da tanto tempo e non ci siamo mai chiesti se ne condividiamo i sentimenti, se soffriamo e rischiamo in sintonia con il cuore di Gesù, con questo cuore pastorale, vicino al cuore pastorale di Gesù! Non si tratta di fare proselitismo, l’ho detto, perché gli altri siano “dei nostri”, no, questo non è cristiano: si tratta di amare perché siano figli felici di Dio. Chiediamo nella preghiera la grazia di un cuore pastorale, aperto, che si pone vicino a tutti, per portare il messaggio del Signore e anche sentire per ognuno la nostalgia di Cristo. Perché, la nostra vita senza questo amore che soffre e rischia, non va: se noi cristiani non abbiamo questo amore che soffre e rischia, rischiamo di pascere solo noi stessi. I pastori che sono pastori di se stessi, invece di essere pastori del gregge, sono pettinatori delle pecore. Non bisogna essere pastori di se stessi, ma pastori di tutti.

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Saluti

Je salue cordialement les pèlerins de langue française présents aujourd’hui, en particulier le groupe de fidèles, venu de la République Démocratique du Congo, un pays que j’irai visiter à la fin du mois et que je recommande à votre prière ! Prions Dieu de nous faire un cœur pastoral qui souffre et qui risque pour témoigner. Non seulement c’est un honneur, mais c’est aussi un devoir d’apporter la Parole de Dieu à ceux qui nous sont confiés comme à ceux que nous rencontrons dans la vie de tous les jours. Dieu vous bénisse, vous et tous ceux qui vous sont proches !

[Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare il gruppo di fedeli proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo, paese che andrò a visitare alla fine di questo mese e che raccomando alle vostre preghiere! Preghiamo Dio affinché ci renda un cuore pastorale che soffre e rischia per dare testimonianza. Non è solo un onore, ma anche un dovere portare la Parola di Dio a coloro che ci sono stati affidati e a coloro che incontriamo nella vita quotidiana. Dio benedica voi e quanti vi sono vicini!]

I offer a warm welcome to the English-speaking pilgrims taking part in today’s Audience, especially the groups from the Democratic Republic of the Congo, Australia and the United States of America. I offer a special greeting to the many student groups present.  I ask all of you to join me in praying for Father Isaac Achi, of the Diocese of Minna in northern Nigeria, who was killed last Sunday in an attack on his rectory. So many Christians continue to be the target of violence: let us remember them in our prayers! Upon all of you, and upon your families, I invoke the joy and peace of our Lord Jesus Christ. God bless you!

[Do il benvenuto a tutti i pellegrini di lingua inglese, specialmente a quelli provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo, dall’Australia e dagli Stati Uniti d’America. Rivolgo un saluto particolare ai numerosi gruppi di studenti presenti. Chiedo a tutti voi di pregare con me per Padre Isaac Achi, della Diocesi di Minna, nel nord della Nigeria, ucciso domenica scorsa nella casa parrochiale. Quanti cristiani soffrono sulla propria pelle la violenza: preghiamo per loro! Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la pace del Signore Gesù. Dio vi benedica!]

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Suore della Compagnia di Maria che celebrano il loro Capitolo generale, le figlie di Maria Ausiliatrice, gli studenti della scuola Deledda-San Giovanni Bosco di Ginosa, e quelli dell’Istituto Caetani di Cisterna di Latina.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. All’inizio della “Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani”, invito ciascuno di voi a pregare e ad operare affinché fra tutti i credenti in Cristo si affermi sempre più il cammino verso la piena comunione, e nello stesso tempo vi incoraggio a impegnarvi, con dedizione ed in ogni ambiente di vita, per essere costruttori di riconciliazione e di pace.

E non dimentichiamo di pregare per la martoriata Ucraina, tanto bisognosa di vicinanza, di conforto e soprattutto di pace. Sabato scorso un nuovo attacco missilistico ha causato molte vittime civili, tra cui bambini. Faccio mio il dolore straziante dei familiari. Le immagini e le testimonianze di questo tragico episodio sono un forte appello a tutte le coscienze. Non si può rimanere indifferenti!

A tutti la mia benedizione.

 
 

Caterina63
00mercoledì 25 gennaio 2023 13:16


UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 25 gennaio 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 3. Gesù maestro dell’annuncio

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Mercoledì scorso abbiamo riflettuto su Gesù modello dell’annuncio, sul suo cuore pastorale sempre proteso agli altri. Oggi guardiamo a Lui come maestro dell’annuncio. Lasciamoci guidare dall’episodio in cui Lui predica nella sinagoga del suo villaggio, Nazaret. Gesù legge un passo del profeta Isaia (cfr 61,1-2) e poi sorprende tutti con una “predica” brevissima, di una sola frase, una sola frase. E dice così: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21). Questa è stata la predica di Gesù: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Ciò significa che per Gesù quel passo profetico contiene l’essenziale di quanto Egli vuole dire di sé. Dunque, ogni volta che noi parliamo di Gesù, dovremmo ricalcare quel suo primo annuncio. Vediamo allora in che cosa consiste questo primo annuncio. Si possono identificare cinque elementi essenziali.

Il primo elemento è la gioia. Gesù proclama: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; […] mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (v. 18), cioè un annuncio di letizia, di gioia. Lieto annuncio: non si può parlare di Gesù senza gioia, perché la fede è una stupenda storia d’amore da condividere. Testimoniare Gesù, fare qualcosa per gli altri nel suo nome, è dire tra le righe della vita di aver ricevuto un dono così bello che nessuna parola basta a esprimerlo. Invece, quando manca la gioia, il Vangelo non passa, perché esso – lo dice la parola stessa – è buon annuncio, e Vangelo vuol dire buon annuncio, annuncio di gioia. Un cristiano triste può parlare di cose bellissime ma è tutto vano se l’annuncio che trasmette non è lieto. Diceva un pensatore: “un cristiano triste è un triste cristiano”: non dimenticare questo.

Veniamo al secondo aspetto: la liberazione. Gesù dice di essere stato mandato «a proclamare ai prigionieri la liberazione» (ibid.). Ciò significa che chi annuncia Dio non può fare proselitismo, no, non può far pressione sugli altri, ma alleggerirli: non imporre pesi, ma sollevare da essi; portare pace, non portare sensi di colpa. Certo, seguire Gesù comporta un’ascesi, comporta dei sacrifici; d’altronde, se ogni cosa bella ne richiede, quanto più la realtà decisiva della vita! Però chi testimonia Cristo mostra la bellezza della meta, più che la fatica del cammino. Ci sarà capitato di raccontare a qualcuno un bel viaggio che abbiamo fatto. Per esempio, avremo parlato della bellezza dei luoghi, di quanto visto e vissuto, non del tempo per arrivarci e delle code in aeroporto, no! Così ogni annuncio degno del Redentore deve comunicare liberazione. Come quello di Gesù. Oggi c’è la gioia, perché sono venuto a liberare.

Terzo aspetto: la luce. Gesù dice di essere venuto a portare «ai ciechi la vista» (ibid.). Colpisce che in tutta la Bibbia, prima di Cristo, non compaia mai la guarigione di un cieco, mai. Era infatti un segno promesso che sarebbe giunto con il Messia. Ma qui non si tratta solo della vista fisica, bensì di una luce che fa vedere la vita in modo nuovo. C’è un “venire alla luce”, una rinascita che avviene solo con Gesù. Se ci pensiamo, così è iniziata per noi la vita cristiana: con il Battesimo, che anticamente era chiamato proprio “illuminazione”. E quale luce ci dona Gesù? Ci porta la luce della figliolanza: Lui è il Figlio amato del Padre, vivente per sempre; e con Lui anche noi siamo figli di Dio amati per sempre, nonostante i nostri sbagli e difetti. Allora la vita non è più un cieco avanzare verso il nulla, no: non è questione di sorte o fortuna. Non è qualcosa che dipende dal caso o dagli astri, e nemmeno dalla salute o dalle finanze, no. La vita dipende dall’amore, dall’amore del Padre, che si prende cura di noi, suoi figli amati. Che bello condividere con gli altri questa luce! Avete pensato voi che la vita di ognuno di noi – la mia vita, la tua vita, la nostra vita – è un gesto di amore? È un invito all’amore? Questo è meraviglioso! Ma tante volte dimentichiamo questo, davanti alle difficoltà, davanti alle brutte notizie, anche davanti – e questo è brutto – alla mondanità, al modo di vivere mondano.

Quarto aspetto dell’annuncio: la guarigione. Gesù dice di essere venuto «a rimettere in libertà gli oppressi» (ibid.)Oppresso è chi nella vita si sente schiacciato da qualcosa che succede: malattie, fatiche, pesi sul cuore, sensi di colpa, sbagli, vizi, peccati… Oppressi da questo: pensiamo per esempio ai sensi di colpa. Quanti di noi hanno sofferto questo? Pensiamo un po’ a un senso di colpa di quello, dell’altro… A opprimerci, soprattutto, è proprio quel male che nessuna medicina o rimedio umano possono risanare: il peccato. E se uno ha senso di colpa di qualcosa che ha fatto, e questo si sente male… Ma la buona notizia è che con Gesù questo male antico, il peccato, che sembra invincibile, non ha più l’ultima parola. Io posso peccare perché sono debole. Ognuno di noi può farlo, ma questa non è l’ultima parola. L’ultima parola è la mano tesa di Gesù che ti rialza dal peccato. E padre, questo quando lo fa? Una volta? No. Due? No. Tre? No. Sempre. Ogni volta che tu stai male, il Signore sempre ha la mano tesa. Soltanto bisogna aggrapparsi e lasciarsi portare. La buona notizia è che con Gesù questo male antico non ha più l’ultima parola: l’ultima parola è la mano tesa di Gesù che ti porta avanti.  Dal peccato Gesù ci guarisce sempre. E quanto devo pagare per la guarigione? Niente. Ci guarisce sempre e gratuitamente. Egli invita quanti sono «stanchi e oppressi» – lo dice nel Vangelo – invita ad andare a Lui (cfr Mt 11,28). E allora accompagnare qualcuno all’incontro con Gesù è portare dal medico del cuore, che risolleva la vita. È dire: “Fratello, sorella, io non ho risposte a tanti tuoi problemi, ma Gesù ti conosce, Gesù ti ama, ti può guarire e rasserenare il cuore”. Chi porta dei pesi ha bisogno di una carezza sul passato. Tante volte sentiamo: “Ma io avrei bisogno di guarire il mio passato… ho bisogno di una carezza su quel passato che mi pesa tanto…” Ha bisogno di perdono. E chi crede in Gesù ha proprio questo da donare agli altri: la forza del perdono, che libera l’anima da ogni debito. Fratelli, sorelle, non dimenticare: Dio dimentica tutto. Come mai? Sì, dimentica tutti i nostri peccati, di essi non ha memoria. Dio perdona tutto perché dimentica i nostri peccati. Soltanto bisogna avvicinarsi al Signore e Lui ci perdona tutto. Pensate a qualcosa del Vangelo, di quello che ha incominciato a parlare: “Signore ho peccato!” Quel figlio… E il papà gli mette la mano in bocca. “No, va bene, niente…” Non gli lascia finire… E questo è bello. Gesù ci aspetta per perdonarci, per risanarci. E quanto? Una volta? Due volte? No. Sempre. “Ma padre, io faccio le stesse cose sempre…” E anche lui farà le sue stesse cose sempre: perdonarti, abbracciarti. Per favore, non abbiamo sfiducia in questo. Così si ama il Signore. Chi porta dei pesi e ha bisogno di una carezza sul passato, ha bisogno di perdono, sappia che Gesù lo fa. Ed è questo che dà Gesù: liberare l’anima da ogni debito. Nella Bibbia si parla di un anno in cui si era liberati dal peso dei debiti: il Giubileo, l’anno di grazia. Come fosse l’ultimo punto dell’annuncio.

Gesù dice infatti di essere venuto «a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,19). Non era un giubileo programmato, come quelli che stiamo facendo adesso, che tutto è programmato e si pensa a come fare come non fare… No. Ma con Cristo la grazia che fa nuova la vita arriva e stupisce sempre. Cristo è il Giubileo di ogni giorno, di ogni ora, che ti avvicina, per accarezzarti, per perdonarti. E l’annuncio di Gesù deve portare sempre lo stupore della grazia. Questo stupore… “Non posso credere, sono stato perdonato, sono stata perdonata” Ma così grande è il nostro Dio! Perché non siamo noi a fare grandi cose, ma è la grazia del Signore che, anche attraverso di noi, compie cose imprevedibili. E queste sono le sorprese di Dio. Dio è un maestro delle sorprese. Sempre ci sorprende, sempre ci aspetta. Noi arriviamo, e Lui sta aspettando. Sempre. Il Vangelo si accompagna ad un senso di meraviglia e di novità che ha un nome: Gesù.

Lui ci aiuti ad annunciarlo come desidera, comunicando gioia, liberazione, luce, guarigione e stupore. Così si comunica Gesù.

Un’ultima cosa: questo lieto annuncio, che dice il Vangelo, è rivolto «ai poveri» (v. 18). Spesso ci dimentichiamo di loro, eppure sono i destinatari esplicitamente menzionati, perché sono i prediletti di Dio. Ricordiamoci di loro e ricordiamoci che, per accogliere il Signore, ciascuno di noi deve farsi “povero dentro”. Con quella povertà che fa dire…“Signore ho bisogno di perdono, ho bisogno di aiuto, ho bisogno di forza”. Questa povertà che tutti noi abbiamo: farsi povero da dentro. Si tratta di vincere ogni pretesa di autosufficienza per comprendersi bisognoso di grazia, e sempre bisognoso di Lui. Se qualcuno mi dice: Padre, ma quale è la via più breve per incontrare Gesù? Fatti bisognoso. Fatti bisognoso di grazia, bisognoso di perdono, bisognoso di gioia. E Lui si avvicinerà a te.

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Saluti

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APPELLO

Dopodomani, 27 gennaio, si celebra la Giornata internazionale di commemorazione delle vittime dell’Olocausto. Il ricordo di quello sterminio di milioni di persone ebree e di altre fedi non può essere né dimenticato né negato. Non può esserci un impegno costante nel costruire insieme la fraternità senza aver prima dissipato le radici di odio e di violenza che hanno alimentato l’orrore dell’Olocausto.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto e ringrazio i partecipanti al simposio promosso dal Dicastero dello Sviluppo Umano Integrale, sul morbo di Hansen (la lebbra), dal titolo “Non lasciare indietro nessuno”.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Oggi si conclude la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Incoraggio a vivere, ognuno nel proprio stato di vita, le esigenze dell’unità cristiana che ci provengono dal battesimo. Consapevoli del dono di questo sacramento, operiamo, preghiamo e offriamo i nostri sacrifici ogni giorno per l’unità di tutti i credenti in Cristo.

Nei nostri pensieri e nelle nostre preghiere non manchi la martoriata Ucraina, così tanto afflitta. Questa mattina ho avuto un incontro con i Capi delle diverse Confessioni di fede che sono in Ucraina – tutti uniti – e mi hanno raccontato il dolore di quel popolo. Non dimentichiamo mai, ogni giorno, di pregare per la pace definitiva in Ucraina.

A tutti la mia benedizione.

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UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 15 febbraio 2023

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Catechesi. 4. Il primo apostolato

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Proseguiamo le nostre catechesi; il tema che abbiamo scelto è: “La passione di evangelizzare, lo zelo apostolico”. Perché evangelizzare non è dire: “Guarda, blablabla” e niente di più; c’è una passione che ti coinvolge tutto: la mente, il cuore, le mani, andare … tutto, tutta la persona è coinvolta con questo di proclamare il Vangelo, e per questo parliamo di passione di evangelizzare. Dopo aver visto in Gesù il modello e il maestro dell’annuncio, passiamo oggi ai primi discepoli, quello che hanno fatto i discepoli. Il Vangelo dice che Gesù «ne costituì Dodici – che chiamò apostoli –, perché stessero con Lui e per mandarli a predicare» (Mc 3,14), due cose: perché stessero con Lu e mandarli a predicare. C’è un aspetto che sembra contraddittorio: li chiama perché stiano con Lui e perché vadano a predicare. Verrebbe da dire: o l’una o l’altra cosa, o stare o andare. Invece no: per Gesù non c’è andare senza stare e non c’è stare senza andare. Non è facile capire questo, ma è così. Cerchiamo di capire un po’ qual è il senso con cui Gesù dice queste cose.

Anzitutto non c’è andare senza stare: prima di inviare i discepoli in missione, Cristo – dice il Vangelo – li “chiama a sé” (cfr Mt 10,1). L’annuncio nasce dall’incontro con il Signore; ogni attività cristiana, soprattutto la missione, comincia da lì. Non si impara in un’accademia: no! Incomincia dall’incontro con il Signore. Testimoniarlo, infatti, significa irradiarlo; ma, se non riceviamo la sua luce, saremo spenti; se non lo frequentiamo, porteremo noi stessi anziché Lui – mi porto io e non Lui –, e sarà tutto vano. Dunque, può portare il Vangelo di Gesù solo la persona che sta con Lui. Uno che non sta con Lui non può portare il Vangelo. Porterà idee, ma non il Vangelo. Ugualmente, però, non c’è stare senza andare. Infatti seguire Cristo non è un fatto intimistico: senza annuncio, senza servizio, senza missione la relazione con Gesù non cresce. Notiamo che nel Vangelo il Signore invia i discepoli prima di aver completato la loro preparazione: poco dopo averli chiamati, già li invia! Questo significa che l’esperienza della missione fa parte della formazione cristiana. Ricordiamo allora questi due momenti costitutivi per ogni discepolo: stare con Gesù e andare, inviati da Gesù.

Chiamati a sé i discepoli e prima di inviarli, Cristo rivolge loro un discorso, noto come “discorso missionario” – così si chiama nel Vangelo. Si trova al capitolo 10 del Vangelo di Matteo ed è come la “costituzione” dell’annuncio. Da quel discorso, che vi consiglio di leggere oggi – è una paginetta soltanto del Vangelo –, traggo tre aspetti: perché annunciare, che cosa annunciare e come annunciare.

Perché annunciare. La motivazione sta in cinque parole di Gesù, che ci farà bene ricordare: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (v. 8). Sono cinque parole. Ma perché annunciare? Perché gratuitamente io ho ricevuto e devo dare gratuitamente. L’annuncio non parte da noi, ma dalla bellezza di quanto abbiamo ricevuto gratis, senza merito: incontrare Gesù, conoscerlo, scoprire di essere amati e salvati. È un dono così grande che non possiamo tenerlo per noi, sentiamo il bisogno di diffonderlo; però nello stesso stile, cioè nella gratuità. In altre parole: abbiamo un dono, perciò siamo chiamati a farci dono; abbiamo ricevuto un dono e la nostra vocazione è noi farci dono per gli altri; c’è in noi la gioia di essere figli di Dio, va condivisa con i fratelli e le sorelle che ancora non lo sanno! Questo è il perché dell’annuncio. Andare e portare la gioia di quello che noi abbiamo ricevuto.

Secondo: che cosa, dunque, annunciare? Gesù dice: «Predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino» (v. 7). Ecco che cosa va detto, prima di tutto e in tutto: Dio è vicino. Ma, non dimenticatevi mai di questo: Dio sempre è stato vicino al popolo, Lui stesso lo disse al popolo. Disse così: “Guardate, quale Dio è vicino alle Nazioni come io sono vicino a voi?”. La vicinanza è una delle cose più importanti di Dio. Sono tre cose importanti: vicinanza, misericordia e tenerezza. Non dimenticare quello. Chi è Dio? Il Vicino, il Tenero, il Misericordioso. Questa è la realtà di Dio. Noi, predicando, spesso invitiamo la gente a fare qualcosa, e questo va bene; ma non scordiamoci che il messaggio principale è che Lui è vicino: vicinanza, misericordia e tenerezza. Accogliere l’amore di Dio è più difficile perché noi vogliamo essere sempre al centro, noi vogliamo essere protagonisti, siamo più portati a fare che a lasciarci plasmare, a parlare più che ad ascoltare. Ma, se al primo posto sta quello che facciamo, i protagonisti saremo ancora noi. Invece l’annuncio deve dare il primato a Dio: dare il primato a Dio, al primo posto Dio, e dare agli altri l’opportunità di accoglierlo, di accorgersi che Lui è vicino. E io, dietro.

Terzo punto: come annunciare. È l’aspetto sul quale Gesù si dilunga maggiormente: come annunciare, qual è il metodo, quale dev’essere il linguaggio per annunciare; è significativo: ci dice che il modo, lo stile è essenziale nella testimonianza. La testimonianza non coinvolge soltanto la mente e dire qualche cosa, i concetti: no. Coinvolge tutto, mente, cuore, mani, tutto, i tre linguaggi della persona: il linguaggio del pensiero, il linguaggio dell’affetto e il linguaggio dell’opera. I tre linguaggi. Non si può evangelizzare soltanto con la mente o soltanto con il cuore o soltanto con le mani. Tutto coinvolge. E, nello stile, l’importante è la testimonianza, come ci vuole Gesù. Dice così: «Io vi mando come pecore in mezzo a lupi» (v. 16). Non ci chiede di saper affrontare i lupi, cioè di essere capaci di argomentare, controbattere e difenderci: no. Noi penseremmo così: diventiamo rilevanti, numerosi, prestigiosi e il mondo ci ascolterà e ci rispetterà e vinceremo i lupi: no, non è così. No, vi mando come pecore, come agnelli – questo è l’importante. Se tu non vuoi essere pecora, non ti difenderà il Signore dai lupi. Arrangiati come puoi. Ma se tu sei pecora, stai sicuro che il Signore ti difenderà dai lupi. Essere umili. Ci chiede di essere così, di essere miti e con la voglia di essere innocenti, essere disposti al sacrificio; questo infatti rappresenta l’agnello: mitezza, innocenza, dedizione, tenerezza. E Lui, il Pastore, riconoscerà i suoi agnelli e li proteggerà dai lupi. Invece, gli agnelli travestiti da lupi vengono smascherati e sbranati. Un Padre della Chiesa scriveva: «Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi saremo sconfitti, perché saremo privi dell'aiuto del pastore. Egli non pasce lupi, ma agnelli» (S. Giovanni Crisostomo, Omelia 33 sul Vangelo di Matteo). Se io voglio essere del Signore, devo lasciare che Lui sia il mio pastore e Lui non è pastore di lupi, è pastore di agnelli, miti, umili, carini con il Signore.

Sempre sul come annunciare, colpisce che Gesù, anziché prescrivere cosa portare in missione, dice cosa non portare. Alle volte, uno vede qualche apostolo, qualche persona che trasloca, qualche cristiano che dice che è apostolo e ha dato la vita al Signore, e si porta tanti bagagli: ma questo non è del Signore, il Signore ti fa leggero di equipaggio e dice cosa non portare: «Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone» (vv. 9-10). Non portare niente. Dice di non appoggiarsi sulle certezze materiali, di andare nel mondo senza mondanità. Questo è quello da dire: io vado al mondo non con lo stile del mondo, non con i valori del mondo, non con la mondanità – che per la Chiesa, cadere nella mondanità è il peggio che possa accadere. Vado con semplicità. Ecco come si annuncia: mostrando Gesù più che parlando di Gesù. E come mostriamo Gesù? Con la nostra testimonianza. E, infine, andando insieme, in comunità: il Signore invia tutti i discepoli, ma nessuno va da solo. La Chiesa apostolica è tutta missionaria e nella missione ritrova la sua unità. Dunque: andare miti e buoni come agnelli, senza mondanità, e andare insieme. Qui sta la chiave dell’annuncio, questa è la chiave del successo dell’evangelizzazione. Accogliamo questi inviti di Gesù: le sue parole siano il nostro punto di riferimento.

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Saluti

[Saluto cordialmente i Polacchi. Di fronte al disinteresse spirituale e alla mancanza di fede, vi invito a proclamare con coraggio Gesù e a condividerlo con le persone che non hanno alcuna esperienza di incontro con il Dio vivente. Non abbiate paura dei vostri limiti in questo cammino, perché l'esempio degli Apostoli ci insegna che l'esperienza della missione fa parte della formazione cristiana. Vi benedico di cuore!]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Sono tanti! In particolare, saluto i Padri Stimmatini e le Piccole Suore della Divina che celebrano i rispettivi Capitoli Generali: vi incoraggio ad essere ovunque missionari di unità, fondando la vita e l’apostolato sulla Parola di Dio. Accolgo con gioia voi, diaconi dell’Arcidiocesi di Milano, che sarete ordinati sacerdoti tra qualche mese, ed auguro che la visita a Roma rinnovi in l’entusiasmo di una generosa risposta alla chiamata del Signore. Saluto, inoltre, l’Orchestra giovanile di Carpi - vogliamo sentirla! - e l’Aeronautica Militare di Grazzanise e Licola.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Ispirandomi ai Santi Cirillo e Metodio, apostoli degli slavi e compatroni d’Europa, dei quali ieri abbiamo celebrato la festa liturgica, vi invito a testimoniare ogni giorno il Vangelo, diffondendo attorno a voi il profumo della carità di Cristo, che conquista i cuori al bene.

E, fratelli e sorelle, non dimentichiamo la cara e martoriata popolazione Ucraina, pregando affinché possano finire presto le sue crudeli sofferenze. A tutti la mia benedizione.

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì delle Ceneri, 22 febbraio 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 5. Il protagonista dell’annuncio: lo Spirito Santo

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!

Nel nostro itinerario di catechesi sulla passione di evangelizzare, oggi ripartiamo dalle parole di Gesù che abbiamo ascoltato: «Andate e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19). Andate – dice il Risorto –, non a indottrinare non a fare proseliti, no, ma a fare discepoli, cioè a dare ad ognuno la possibilità di entrare in contatto con Gesù, di conoscerlo e amarlo liberamente. Andate battezzando: battezzare significa immergere e dunque, prima di indicare un’azione liturgica, esprime un’azione vitale: immergere la propria vita nel Padre, nel Figlio, nello Spirito Santo; provare ogni giorno la gioia della presenza di Dio che ci è vicino come Padre, come Fratello, come Spirito che agisce in noi, nel nostro stesso spirito. Battezzare è immergersi nella Trinità.

Quando Gesù dice ai suoi discepoli – e anche a noi –: “Andate!”, non comunica solo una parola. No. Comunica insieme lo Spirito Santo, perché è solo grazie a Lui, allo Spirito Santo, che si può ricevere la missione di Cristo e portarla avanti (cfr Gv 20,21-22). Gli Apostoli, infatti, restano chiusi nel Cenacolo per timore finché giunge il giorno di Pentecoste e scende su di loro lo Spirito Santo (cfr At 2,1-13). E in quel momento se ne va il timore e con la sua forza quei pescatori, per lo più illetterati, cambieranno il mondo. “Ma se non sanno parlare…”. Ma è parola dello Spirito, la forza dello Spirito che li porta avanti per cambiare il mondo. L’annuncio del Vangelo, dunque, si realizza solo nella forza dello Spirito, che precede i missionari e prepara i cuori: è Lui “il motore dell’evangelizzazione”.

Lo scopriamo negli Atti degli Apostoli, dove ad ogni pagina si vede che il protagonista dell’annuncio non è Pietro, Paolo, Stefano o Filippo, ma è lo Spirito Santo. Sempre negli Atti si racconta un momento nevralgico degli inizi della Chiesa, che può dire molto anche a noi. Allora, come oggi, insieme a consolazioni non mancavano tribolazioni – momenti belli e momenti non tanto belli -, le gioie si accompagnavano alle preoccupazioni, ambedue le cose. Una in particolare: come comportarsi con i pagani che venivano alla fede, con quanti non appartenevano al popolo ebraico, per esempio. Erano tenuti o no a osservare le prescrizioni della Legge mosaica? Non era una questione da poco per quella gente. Si formano così due gruppi, tra chi riteneva l’osservanza della Legge irrinunciabile e chi no. Per discernere, gli Apostoli si riuniscono, in quello che viene chiamato il “concilio di Gerusalemme”, il primo della storia. Come sciogliere il dilemma? Si sarebbe potuto cercare un buon compromesso tra tradizione e innovazione: alcune norme si osservano, e altre si tralasciano. Eppure gli Apostoli non seguono questa sapienza umana per cercare un equilibrio diplomatico fra una e l’altra, non seguono questo, ma si adeguano all’opera dello Spirito, che li aveva anticipati, discendendo sui pagani come su di loro.

E dunque, togliendo quasi ogni obbligo legato alla Legge, comunicano le decisioni finali, prese e scrivono così: “dallo Spirito Santo e da noi” (cfr At 15,28) è uscita questa, lo Spirito Santo con noi, così agiscono sempre gli Apostoli. Insieme, senza dividersi, nonostante avessero sensibilità e pareri diversi, si pongono in ascolto dello Spirito. Ed Egli insegna una cosa, valida anche oggi: ogni tradizione religiosa è utile se agevola l’incontro con Gesù, ogni tradizione religiosa è utile se agevola l’incontro con Gesù. Potremmo dire che la storica decisione del primo Concilio, di cui beneficiamo anche noi, fu mossa da un principio, il principio dell’annuncio: nella Chiesa tutto va conformato alle esigenze dell’annuncio del Vangelo; non alle opinioni dei conservatori o dei progressisti, ma al fatto che Gesù raggiunga la vita della gente. Perciò ogni scelta, ogni uso, ogni struttura ogni tradizione sono da valutare nella misura in cui favoriscono l’annuncio di Cristo. Quando si trovano decisioni nella Chiesa, per esempio divisioni ideologiche: “Io sono conservatore perché… io sono progressista perché…”. Ma dove c’è lo Spirito Santo? State attenti che il Vangelo non è un’idea, il Vangelo non è una ideologia: il Vangelo è un annuncio che tocca il cuore e ti fa cambiare il cuore, ma se tu ti rifugi in un’idea, in un’ideologia sia di destra sia di sinistra sia di centro, tu stai facendo del Vangelo un partito politico, una ideologia, un club di gente. Il Vangelo sempre ti dà questa libertà dello Spirito che agisce in te e ti porta avanti. E quanto è necessario oggi prendere in mano la libertà del Vangelo e lasciarci portare avanti dallo Spirito.

Così lo Spirito fa luce sul cammino della Chiesa, sempre. Egli non è infatti solo la luce dei cuori, è la luce che orienta la Chiesa: fa chiarezza, aiuta a distinguere, aiuta a discernere. Per questo occorre invocarlo spesso; facciamolo anche oggi, all’inizio della Quaresima. Perché, come Chiesa, possiamo avere tempi e spazi ben definiti, comunità, istituti e movimenti ben organizzati ma, senza lo Spirito, tutto resta senz’anima. L’organizzazione non basta: è lo Spirito che dà vita alla Chiesa. La Chiesa, se non lo prega e non lo invoca, si chiude in sé stessa, in dibattiti sterili ed estenuanti, in polarizzazioni logoranti, mentre la fiamma della missione si spegne. È molto triste vedere la Chiesa come se fosse un parlamento; no, la Chiesa è un’altra cosa. La Chiesa è la comunità di uomini e donne che credono e annunciano Gesù Cristo ma mossi dallo Spirito Santo, non dalle proprie ragioni. Sì, si usa la ragione ma viene lo Spirito a illuminare e a muoverla, Lo Spirito ci fa uscire, ci spinge ad annunciare la fede per confermarci nella fede, ci spinge ad andare in missione per ritrovare chi siamo. Perciò l’Apostolo Paolo raccomanda così: «Non spegnete lo Spirito» (1 Ts 5,19), non spegnete lo Spirito. Preghiamo spesso lo Spirito, invochiamolo, chiediamogli ogni giorno di accendere in noi la sua luce. Facciamolo prima di ogni incontro, per diventare apostoli di Gesù con le persone che troveremo. Non spegnere lo Spirito nelle comunità cristiane e anche dentro ognuno di noi.

Cari fratelli e sorelle, partiamo e ripartiamo, come Chiesa, dallo Spirito Santo. «È indubbiamente importante che nelle nostreprogrammazioni pastorali si parta dalle inchieste sociologiche, dalle analisi, dalla lista delle difficoltà, dall’elenco delle attese e delle lamentele. Tuttavia è assai più importante partire dalle esperienze dello Spirito: è questa la vera partenza. E occorre quindi cercarle, elencarle, studiarle, interpretarle. È un principio fondamentale che, nella vita spirituale, è chiamato primato della consolazione sulla desolazione. Prima c’è lo Spirito che consola, rianima, illumina, muove; poi verrà anche la desolazione, la sofferenza, il buio, ma il principio per regolarsi nel buio è la luce dello Spirito» (C.M. Martini, Evangelizzare nella consolazione dello Spirito, 25 settembre 1997). Questo è il principio per regolarsi nelle cose che non si capiscono, nelle confusioni, anche in tanti bui, è importante. Proviamo a chiederci se ci apriamo a questa luce, se le diamo spazio: io invoco lo Spirito? Ognuno si risponda dentro. Quanti di noi preghiamo lo Spirito? “No, padre, io prego la Madonna, prego i Santi, prego Gesù, ma delle volte, prego il Padre Nostro, prego il Padre” – “E lo Spirito? Tu non preghi lo Spirito, che è quello che ti fa muovere il cuore, che ti porta avanti, ti porta la consolazione, ti porta avanti la voglia di evangelizzare e di fare missione?”. Vi lascio questa domanda: Io prego lo Spirito Santo? Mi lascio orientare da Lui, che mi invita a non chiudermi ma a portare Gesù, a testimoniare il primato della consolazione di Dio sulla desolazione del mondo? La Madonna che ha capito questo bene ci faccia capire questo.

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Saluti

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APPELLO

Cari fratelli e sorelle,

dopodomani, 24 febbraio, si compirà un anno dall’invasione dell’Ucraina, dall’inizio di questa guerra assurda e crudele. Un triste anniversario! Il bilancio di morti, feriti, profughi e sfollati, distruzioni, danni economici e sociali parla da sé. Potrà il Signore perdonare tanti crimini e tanta violenza? Egli è il Dio della pace. Restiamo vicini al martoriato popolo ucraino, che continua a soffrire. E chiediamoci: è stato fatto tutto il possibile per fermare la guerra? Faccio appello a quanti hanno autorità sulle nazioni, perché si impegnino concretamente per la fine del conflitto, per raggiungere il cessate-il-fuoco e avviare negoziati di pace. Quella costruita sulle macerie non sarà mai una vera vittoria!

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto gli alunni delle scuole di Legnano e Cislago, come pure quelli di Comiso e Bagnara Calabra. Saluto i bambini dell’Asilo nido di Ferentino e i cittadini dello Sri Lanka che vivono a Napoli.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Oggi inizia la Quaresima, tempo privilegiato di conversione e di penitenza per il nostro spirito. Vorrei chiedere a tutti voi di intensificare durante questo periodo la preghiera, la meditazione della parola di Dio e il servizio ai fratelli.

A tutti la mia benedizione.


Caterina63
00mercoledì 8 marzo 2023 11:58


UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 8 marzo 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 6. Il Concilio Vaticano II. 1. L’evangelizzazione come servizio ecclesiale

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nella scorsa catechesi abbiamo visto che il primo “concilio” nella storia della Chiesa - concilio, come quello del Vaticano II -, il primo concilio, fu convocato a Gerusalemme per una questione legata all’evangelizzazione, cioè l’annuncio della Buona Notizia ai non ebrei – si pensava che soltanto agli ebrei si doveva portare l’annuncio del Vangelo. Nel XX secolo, il Concilio Ecumenico Vaticano II ha presentato la Chiesa come Popolo di Dio pellegrino nel tempo e per sua natura missionario (cfr Decr. Ad gentes, 2). Cosa significa questo? C’è come un ponte tra il primo e l’ultimo Concilio, nel segno dell’evangelizzazione, un ponte il cui architetto è lo Spirito Santo. Oggi ci mettiamo in ascolto del Concilio Vaticano II, per scoprire che evangelizzare è sempre un servizio ecclesiale, mai solitario, mai isolato, mai individualistico. L’evangelizzazione si fa sempre in ecclesia, cioè in comunità e senza fare proselitismo perché quello non è evangelizzazione.

L’evangelizzatore, infatti, trasmette sempre ciò che lui stesso o lei stessa ha ricevuto. Lo scriveva per primo San Paolo: il vangelo che lui annunciava e che le comunità ricevevano e nel quale rimanevano salde è quello stesso che l’Apostolo aveva a sua volta ricevuto (cfr 1 Cor 15,1-3). Si riceve la fede e si trasmette la fede. Questo dinamismo ecclesiale di trasmissione del Messaggio è vincolante e garantisce l’autenticità dell’annuncio cristiano. Lo stesso Paolo scrive ai Galati: «Se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema» (1,8). È bello questo e questo viene bene a tante visioni che sono alla moda…

La dimensione ecclesiale dell’evangelizzazione costituisce perciò un criterio di verifica dello zelo apostolico. Una verifica necessaria, perché la tentazione di procedere “in solitaria” è sempre in agguato, specialmente quando il cammino si fa impervio e sentiamo il peso dell’impegno. Altrettanto pericolosa è la tentazione di seguire più facili vie pseudo-ecclesiali, di adottare la logica mondana dei numeri e dei sondaggi, di contare sulla forza delle nostre idee, dei programmi, delle strutture, delle “relazioni che contano”. Questo non va, questo deve aiutare un po’ ma fondamentale è la forza che lo Spirito ti dà per annunciare la verità di Gesù Cristo, per annunciare il Vangelo. Le altre cose sono secondarie.

Ora, fratelli e sorelle, ci poniamo più direttamente alla scuola del Concilio Vaticano II, rileggendo alcuni numeri del Decreto Ad gentes (AG), il documento sull’attività missionaria della Chiesa. Questi testi del Vaticano II mantengono pienamente il loro valore anche nel nostro contesto complesso e plurale.

Prima di tutto, questo documento, AG, invita a considerare l’amore di Dio Padre, come una sorgente, che «per la sua immensa e misericordiosa benevolenza liberatrice ci crea e, inoltre, per grazia ci chiama a partecipare alla sua vita e alla sua gloria. Questa è la nostra vocazione. Egli per pura generosità ha effuso e continua a effondere la sua divina bontà, in modo che, come di tutti è il creatore, così possa essere anche “tutto in tutti” (1 Cor 15,28), procurando insieme la sua gloria e la nostra felicità» (n. 2). Questo brano è fondamentale, perché dice che l’amore del Padre ha per destinatario ogni essere umano. L’amore di Dio non è per un gruppetto soltanto, no… per tutti. Quella parola mettetela bene nella testa e nel cuore: tutti, tutti, nessuno escluso, così dice il Signore. E questo amore per ogni essere umano è un amore che raggiunge ogni uomo e donna attraverso la missione di Gesù, mediatore della salvezza e nostro redentore (cfr AG, 3), e mediante la missione dello Spirito Santo (cfr AG, 4), il quale, Spirito Santo, opera in ciascuno, sia nei battezzati sia nei non battezzati. Lo Spirito Santo opera!

Il Concilio, inoltre, ricorda che è compito della Chiesa proseguire la missione di Cristo, il quale è stato «inviato a portare la buona novella ai poveri; per questo – prosegue il documento Ad gentes – è necessario che la Chiesa, sempre sotto l’influsso dello Spirito Santo, lo Spirito di Cristo, segua la stessa strada seguita da questi, la strada cioè della povertà, dell’obbedienza, del servizio e del sacrificio di se stesso fino alla morte, da cui poi, risorgendo, Egli uscì vincitore» (AG, 5). Se rimane fedele a questa “strada”, la missione della Chiesa è «la manifestazione, cioè l’epifania e la realizzazione, del piano divino nel mondo e nella storia» (AG, 9).

Fratelli e sorelle, questi brevi cenni ci aiutano a comprendere anche il senso ecclesiale dello zelo apostolico di ciascun discepolo-missionario. Lo zelo apostolico non è un entusiasmo, è un’altra cosa, è una grazia di Dio, che dobbiamo custodire. Dobbiamo capire il senso perché nel Popolo di Dio pellegrino ed evangelizzatore non ci sono soggetti attivi e soggetti passivi. Non ci sono quelli che predicano, quelli che annunciano il Vangelo in un modo o nell’altro, e quelli che stanno zitti. No. «Ciascun battezzato – dice Evangelii Gaudium - qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 120).

Tu sei cristiano? “Sì, ho ricevuto il Battesimo…” E tu evangelizzi? “Ma cosa significa questo…?” Se tu non evangelizzi, se tu non dai testimonianza, se tu non dai quella testimonianza del Battesimo che hai ricevuto, della fede che il Signore ti ha dato, tu non sei un buon cristiano. In virtù del Battesimo ricevuto e della conseguente incorporazione nella Chiesa, ogni battezzato partecipa alla missione della Chiesa e, in essa, alla missione di Cristo Re, Sacerdote e Profeta. Fratelli e sorelle, questo compito «è uno e immutabile in ogni luogo e in ogni situazione, anche se in base al variare delle circostanze non si esplica allo stesso modo» (AG, 6). Questo ci invita a non sclerotizzarci o fossilizzarci; ci riscatta da questa inquietudine che non è di Dio. Lo zelo missionario del credente si esprime anche come ricerca creativa di nuovi modi di annunciare e testimoniare, di nuovi modi per incontrare l’umanità ferita di cui Cristo si è fatto carico. Insomma, di nuovi modi per rendere servizio al Vangelo e rendere servizio all’umanità. L’evangelizzazione è un servizio. Se una persona si dice evangelizzatore e non ha quell’atteggiamento, quel cuore di servitore, e si crede padrone, non è un evangelizzatore, no… è un poveraccio.

Risalire all’amore fontale del Padre e alle missioni del Figlio e dello Spirito Santo non ci chiude in spazi di statica tranquillità personale. Al contrario, ci porta a riconoscere la gratuità del dono della pienezza di vita alla quale siamo chiamati, questo dono per il quale lodiamo e ringraziamo Dio. Questo dono non è soltanto per noi, ma è per darlo agli altri. E ci porta anche a vivere sempre più pienamente quanto ricevuto condividendolo con gli altri, con senso di responsabilità e percorrendo insieme le strade, tante volte tortuose e difficili della storia, in attesa vigilante e operosa del suo compimento. Chiediamo al Signore questa grazia, di prendere in mano questa vocazione cristiana e rendere grazie al Signore per quello che ci ha dato, questo tesoro. E cercare di comunicarlo agli altri.

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Saluti

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i sacerdoti di Amalfi-Cava dei Tirreni e quelli della Basilicata, esortandoli a essere pastori secondo il Cuore di Gesù. Saluto e ringrazio le parrocchie qui presenti, specialmente quelle di Maria Santissima Immacolata in San Giorgio Jonico e San Giovanni Bosco in Potenza. Accolgo con gioia i ragazzi della Cresima della parrocchia Maria Assunta ad Nives in Isola di Capo Rizzuto, incoraggiandoli nel loro percorso di formazione cristiana. Saluto altresì i Militari dell’Aeronautica di Brindisi. Nella Giornata Internazionale della donna, penso a tutte le donne: le ringrazio per l’impegno a costruire una società più umana, mediante la loro capacità di cogliere la realtà con sguardo creativo e cuore tenero. Questo è un privilegio solo delle donne! Una benedizione particolare per tutte le donne presenti in piazza. E un applauso alle donne! Se lo meritano!

Il mio pensiero va infine, come di consueto ai malati, agli anziani, agli sposi novelli e ai giovani, in particolare agli studenti del Liceo di Paola e agli scolari di Monte Romano. In questi giorni di Quaresima, camminate ancor più coraggiosamente sulle orme di Cristo, cercando di imitarne l’umiltà e la fedeltà alla volontà divina. E, per favore, cari fratelli e sorelle, non dimentichiamo il dolore del martoriato popolo ucraino, soffre tanto… abbiamolo sempre presente nei nostri cuori e nelle nostre preghiere.

A tutti la mia benedizione.



UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 15 marzo 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 7. Il Concilio Vaticano II. 2. Essere apostoli in una Chiesa apostolica

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Proseguiamo le catechesi sulla passione di evangelizzare: non solo su “evangelizzare” ma la passione di evangelizzare e, alla scuola del Concilio Vaticano II, cerchiamo di capire meglio che cosa significa essere “apostoli” oggi. La parola “apostolo” ci riporta alla mente il gruppo dei Dodici discepoli scelti da Gesù. A volte chiamiamo “apostolo” qualche santo, o più generalmente i Vescovi: sono apostoli, perché vanno in nome di Gesù. Ma siamo consapevoli che l’essere apostoli riguarda ogni cristiano? Siamo consapevoli che riguarda ognuno di noi? In effetti, siamo chiamati ad essere apostoli – cioè inviati – in una Chiesa che nel Credo professiamo come apostolica.

Dunque, cosa significa essere apostoli? Significa essere inviato per una missione. Esemplare e fondativo è l’avvenimento in cui Cristo Risorto manda i suoi apostoli nel mondo, trasmettendo loro il potere che Egli stesso ha ricevuto dal Padre e donando loro il suo Spirito. Leggiamo nel Vangelo di Giovanni: «Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo”» (20,21-22).

Un altro aspetto fondamentale dell’essere apostolo è la vocazione, cioè la chiamata. È stato così fin dall’inizio, quando il Signore Gesù «chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui» (Mc 3,13). Li costituì come gruppo, attribuendo loro il titolo di “apostoli”, perché stessero con Lui e per inviarli in missione (cfr Mc 3,14; Mt 10,1-42).  San Paolo nelle sue lettere si presenta così: «Paolo, chiamato a essere apostolo», cioè inviato, (1 Cor 1,1) e ancora: «Paolo, servo di Gesù Cristo, apostolo inviato per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio» (Rm 1,1). E insiste sul fatto di essere «apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti» (Gal 1,1); Dio lo ha chiamato fin dal seno di sua madre per annunciare il vangelo in mezzo alle genti (cfr Gal 1,15-16).

L’esperienza dei Dodici apostoli e la testimonianza di Paolo interpellano anche noi oggi. Ci invitano a verificare i nostri atteggiamenti, a verificare le nostre scelte, le nostre decisioni, sulla base di questi punti fermi: tutto dipende da una chiamata gratuita di Dio; Dio ci sceglie anche per servizi che a volte sembrano sovrastare le nostre capacità o non corrispondere alle nostre aspettative; alla chiamata ricevuta come dono gratuito bisogna rispondere gratuitamente.

Dice il Concilio: «La vocazione cristiana […] è per sua natura anche vocazione all’apostolato» (Decr. Apostolicam actuositatem [AA], 2). Si tratta di una chiamata che è comune, «come comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia di adozione filiale, comune la vocazione alla perfezione; non c’è che una sola salvezza, una sola speranza e una carità senza divisioni» (LG, 32).

È una chiamata che riguarda sia coloro che hanno ricevuto il sacramento dell’Ordine, sia le persone consacrate, sia ciascun fedele laico, uomo o donna, è una chiamata a tutti. Tu, il tesoro che hai ricevuto con la tua vocazione cristiana, sei costretto a darlo: è la dinamicità della vocazione, è la dinamicità della vita. È una chiamata che abilita a svolgere in modo attivo e creativo il proprio compito apostolico, in seno a una Chiesa in cui «c’è diversità di ministero ma unità di missione. Gli apostoli e i loro successori hanno avuto da Cristo l’ufficio di insegnare, reggere e santificare in suo nome e con la sua autorità. Ma anche i laici: tutti voi; la maggioranza di voi siete laici. Anche i laici, essendo partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, all’interno della missione di tutto il popolo di Dio hanno il proprio compito nella Chiesa e nel mondo» (AA, 2).

In questo quadro, come il Concilio intende la collaborazione del laicato con la gerarchia? Come lo intende? Si tratta di un mero adattamento strategico alle nuove situazioni che vengono? Niente affatto, niente: c’è qualcosa di più, che supera le contingenze del momento e che mantiene un suo proprio valore anche per noi. La Chiesa è così, è apostolica.

Nel quadro dell’unità della missione, la diversità di carismi e di ministeri non deve dar luogo, all’interno del corpo ecclesiale, a categorie privilegiate: qui non c’è una promozione, e quando tu concepisci la vita cristiana come una promozione, che quello che è di sopra comanda gli altri perché è riuscito ad arrampicarsi, questo non è cristianesimo. Questo è paganesimo puro. La vocazione cristiana non è una promozione per andare in su, no! È un’altra cosa. E c’è una cosa grande perché, sebbene «alcuni per volontà di Cristo stesso siano costituiti in un posto forse più importante, dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo» (LG, 32). Chi ha più dignità, nella Chiesa: il vescovo, il sacerdote? No … tutti siamo cristiani al servizio degli altri. Chi è più importante, nella Chiesa: la suora o la persona comune, battezzata, il bambino, il vescovo …? Tutti sono uguali, siamo uguali e quando una delle parti si crede più importante degli altri e un po’ alza il naso, sbaglia. Quella non è la vocazione di Gesù. La vocazione che Gesù dà, a tutti - ma anche a coloro che sembrano essere in posti più alti - è il servizio, servire gli altri, umiliarti. Se tu trovi una persona che nella Chiesa ha una vocazione più alta e tu la vedi vanitosa, tu dirai: “Poveretto”; prega per lui perché non ha capito cosa è la vocazione di Dio. La vocazione di Dio è adorazione al Padre, amore alla comunità e servizio. Questo è essere apostoli, questa è la testimonianza degli apostoli.

La questione dell’uguaglianza in dignità ci chiede di ripensare tanti aspetti delle nostre relazioni, che sono decisive per l’evangelizzazione. Ad esempio, siamo consapevoli del fatto che con le nostre parole possiamo ledere la dignità delle persone, rovinando così le relazioni dentro la Chiesa? Mentre cerchiamo di dialogare con il mondo, sappiamo anche dialogare tra noi credenti? O nella parrocchia uno va contro l’altro, uno sparla dell’altro per arrampicarsi di più? Sappiamo ascoltare per comprendere le ragioni dell’altro, oppure ci imponiamo, magari anche con parole felpate? Ascoltare, umiliarsi, essere al servizio degli altri: questo è servire, questo è essere cristiano, questo è essere apostolo.

Cari fratelli e sorelle, non temiamo di porci queste domande. Fuggiamo dalla vanità, dalla vanità dei posti. Queste parole ci possono aiutare a verificare il modo in cui viviamo la nostra vocazione battesimale, come viviamo il nostro modo di essere apostoli in una Chiesa apostolica, che è al servizio degli altri.

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Saluti

[Saluto cordialmente tutti i polacchi. Il Concilio Vaticano II ci ricorda che tutti i battezzati sono chiamati ad essere apostoli. Questo richiede una reale collaborazione tra la gerarchia e i fedeli laici, perché nella Chiesa c'è diversità di ministeri ma unità di missione. Vi invito a ripensare questi rapporti e a impegnarvi insieme per la nuova evangelizzazione della vostra Patria. Vi benedico di cuore.]

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Sono vicino alle popolazioni del Malawi, colpite nei giorni scorsi da un fortissimo ciclone. Prego per i defunti, i feriti, gli sfollati. Il Signore sostenga le famiglie e le comunità più provate da questa calamità.

E penso alle suore ortodosse della Lavra di Kiev: chiedo alle parti in guerra di rispettare i luoghi religiosi. Le suore consacrate, le persone consacrate alla preghiera – siano di qualsiasi confessione – sono a sostegno del popolo di Dio.

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto il Gruppo Unitalsi di Prato, con il Vescovo Mons. Nerbini, le comunità parrocchiali di San Giovanni Incarico, Casal di Principe e Magenta, gli Scout di Latina, l’Istituto Paola Di Rosa di Lonato del Garda, l’Istituto Corrado Melone di Ladispoli, la Guardia di Finanza di L’Aquila.

Il mio pensiero va infine, come di consueto ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Tutti esorto a proseguire con impegno nell’itinerario quaresimale, affidandovi alla costante protezione di Maria. A Lei, Consolatrice degli afflitti e Regina della pace, affidiamo anche il martoriato popolo ucraino.

A tutti la mia benedizione.

 


UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 22 marzo 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 8. La prima via di evangelizzazione: la testimonianza (cfr Evangelii nuntiandi)

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi ci mettiamo in ascolto della “magna carta” dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo: l’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di San Paolo VI (EN, 8 dicembre 1975). È attuale, è stata scritta nel 1975, ma è come se fosse scritta ieri. L’evangelizzazione è più che una semplice trasmissione dottrinale e morale. È prima di tutto testimonianza: non si può evangelizzare senza testimonianza; testimonianza dell’incontro personale con Gesù Cristo, Verbo Incarnato nel quale la salvezza si è compiuta. Una testimonianza indispensabile perché, anzitutto, il mondo ha bisogno di «evangelizzatori che gli parlino di un Dio che essi conoscano e che sia loro familiare» (EN, 76). Non è trasmettere un’ideologia o una “dottrina” su Dio, no. È trasmettere Dio che si fa vita in me: questo è testimonianza; e inoltre perché «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, […] o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (ibid., 41). La testimonianza di Cristo, dunque, è al tempo stesso il primo mezzo dell’evangelizzazione (cfr ibid.) e condizione essenziale per la sua efficacia (cfr ibid., 76), perché sia fruttuoso l’annuncio del Vangelo. Essere testimoni.

Occorre ricordare che la testimonianza comprende anche la fede professata, cioè l’adesione convinta e manifesta a Dio Padre e Figlio e Spirito Santo, che per amore ci ha creati, ci ha redenti. Una fede che ci trasforma, che trasforma le nostre relazioni, i criteri e i valori che determinano le nostre scelte. La testimonianza, pertanto, non può prescindere dalla coerenza tra ciò che si crede e ciò che si annuncia e ciò che si vive. Non si è credibili soltanto dicendo una dottrina o un’ideologia, no. Una persona è credibile se ha armonia tra quello che crede e quello che vive. Tanti cristiani soltanto dicono di credere, ma vivono di un’altra cosa, come se non lo fossero. E questa è ipocrisia. Il contrario della testimonianza è l’ipocrisia. Quante volte abbiamo sentito “ah, questo che va a Messa tutte le domeniche, e poi vive così, così, così, così”: è vero, è la contro-testimonianza.

Ognuno di noi è chiamato a rispondere a tre domande fondamentali, così formulate da Paolo VI: “Credi a quello che annunci? Vivi quello che credi? Annunci quello che vivi?” (cfr ibid.). C’è un’armonia: credi a quello che annunci? Tu vivi quello che credi? Tu annunci quello che vivi? Non ci possiamo accontentare di risposte facili, preconfezionate. Siamo chiamati ad accettare il rischio anche destabilizzante della ricerca, confidando pienamente nell’azione dello Spirito Santo che opera in ciascuno di noi, spingendoci ad andare sempre oltre: oltre i nostri confini, oltre le nostre barriere, oltre i nostri limiti, di qualsiasi genere.

In questo senso, la testimonianza di una vita cristiana comporta un cammino di santità, basato sul Battesimo, che ci rende «partecipi della natura divina, e perciò realmente santi» (Cost. dogm. Lumen gentium, 40). Una santità che non è riservata a pochi; che è dono di Dio e richiede di essere accolto e fatto fruttificare per noi e per gli altri. Noi scelti e amati da Dio, dobbiamo portare questo amore agli altri. Paolo VI insegna che lo zelo per l’evangelizzazione scaturisce dalla santità, scaturisce dal cuore che è pieno di Dio. Alimentata dalla preghiera e soprattutto dall’amore per l’Eucaristia, l’evangelizzazione a sua volta fa crescere in santità la gente che la compie (cfr EN, 76). Al contempo, senza la santità la parola dell’evangelizzatore «difficilmente si aprirà la strada nel cuore dell’uomo del nostro tempo», ma «rischia di essere vana e infeconda» (ibid.).

Allora, dobbiamo essere consapevoli che destinatari dell’evangelizzazione non sono soltanto gli altri, coloro che professano altre fedi o che non ne professano, ma anche noi stessi, credenti in Cristo e membra attive del Popolo di Dio. E dobbiamo convertirci ogni giorno, accogliere la parola di Dio e cambiare vita: ogni giorno. E così si fa l’evangelizzazione del cuore. Per dare questa testimonianza, anche la Chiesa in quanto tale deve cominciare con l’evangelizzare sé stessa. Se la Chiesa non evangelizza sé stessa rimane un pezzo da museo. Invece, quello che la aggiorna continuamente è l’evangelizzazione di sé stessa. Ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell’amore. La Chiesa, che è un Popolo di Dio immerso nel mondo, e spesso tentato dagli idoli – tanti –, ha sempre bisogno di sentir proclamare le opere di Dio. Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, ha bisogno di prendere il Vangelo, pregare e sentire la forza dello Spirito che va cambiando il cuore (Cfr EN, 15).

Una Chiesa che si evangelizza per evangelizzare è una Chiesa che, guidata dallo Spirito Santo, è chiamata a percorrere un cammino esigente, un cammino di conversione, di rinnovamento. Ciò comporta anche la capacità di cambiare i modi di comprendere e vivere la sua presenza evangelizzatrice nella storia, evitando di rifugiarsi nelle zone protette dalla logica del “si è sempre fatto così”. Sono dei rifugi che ammalano la Chiesa. La Chiesa deve andare avanti, deve crescere continuamente, così rimarrà giovane. Questa Chiesa è interamente rivolta a Dio, quindi partecipe del suo progetto di salvezza per l’umanità, e, nello stesso tempo, interamente rivolta verso l’umanità. La Chiesa dev’essere una Chiesa che incontra dialogicamente il mondo contemporaneo, che tesse relazioni fraterne, che genera spazi di incontro, mettendo in atto buone pratiche di ospitalità, di accoglienza, di riconoscimento e integrazione dell’altro e dell’alterità, e che si prende cura della casa comune che è il creato. Cioè, una Chiesa che incontra dialogicamente il mondo contemporaneo, dialoga con il mondo contemporaneo, ma che incontra ogni giorno il Signore e dialoga con il Signore, e lascia entrare lo Spirito Santo che è il protagonista dell’evangelizzazione. Senza lo Spirito Santo noi potremmo soltanto fare pubblicità della Chiesa, non evangelizzare. È lo Spirito Santo in noi, quello che ci spinge verso l’evangelizzazione e questa è la vera libertà dei figli di Dio.

Cari fratelli e sorelle, vi rinnovo l’invito a leggere e rileggere l’Evangelii nuntiandi: io vi dico la verità, io la leggo spesso, perché quello è il capolavoro di San Paolo VI, è l’eredità che ha lasciato a noi per evangelizzare.

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Saluti

[Saluto cordialmente tutti i polacchi, in particolare i dipendenti, i volontari e gli amici di Radio Maria di Toruń. Questo sabato celebreremo la solennità dell’Annunciazione del Signore. Nella vostra patria è anche la Giornata della Santità della Vita. Come segno della necessità di proteggere la vita umana dal concepimento alla morte naturale, la Fondazione “Sì alla vita” destina allo Zambia la campana “La voce dei non nati” che ho benedetto. Il suo suono porti il messaggio che ogni vita è sacra e inviolabile. Vi benedico di cuore.]

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APPELLI
 

Oggi si celebra la Giornata Mondiale dell’Acqua. Tornano alla mente le parole di San Francesco d’Assisi: «Laudato si’ mi’ Signore per sora acqua, la quale è molto utile et umile et pretiosa et casta». In queste parole semplici sentiamo la bellezza del creato e la consapevolezza delle sfide che implica il prendersene cura. In questi giorni si svolge a New York la seconda Conferenza dell’Acqua dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Prego per il buon esito dei lavori ed auspico che l’importante evento possa accelerare le iniziative in favore di quanti soffrono la scarsità di acqua, questo bene primario. L’acqua non può essere oggetto di sprechi e di abusi o motivo di guerre, ma va preservata a beneficio nostro e delle generazioni future.

Sabato si celebrerà la Solennità dell’Annunciazione del Signore e il pensiero va al 25 marzo dello scorso anno, quando, in unione con tutti i Vescovi del mondo, si sono consacrate la Chiesa e l’umanità, in particolare la Russia e l’Ucraina, al Cuore Immacolato di Maria. Non stanchiamoci di affidare la causa della pace alla Regina della pace. Desidero perciò invitare ciascun credente e comunità, specialmente i gruppi di preghiera, a rinnovare ogni 25 marzo l’atto di consacrazione alla Madonna, perché lei, che è Madre, possa custodirci tutti nell’unità e nella pace.

E non dimentichiamo, in questi giorni, la martoriata Ucraina, che soffre tanto.

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto gli aderenti al Movimento dei Focolari, l’Associazione Francescani nel mondo e l’Associazione Internazionale delle Carità. Saluto il personale sanitario dell’Ospedale di Asiago, gli alunni dell’Istituto Pentasuglia di Matera, quelli dell’Istituto Deledda-San Giovanni Bosco di Ginosa e gli Sbandieratori dei Borghi e Sestrieri Fiorentini: grazie!

Il mio pensiero va infine, come di consueto ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Il tempo di Quaresima che stiamo vivendo vi aiuti a riscoprire il grande dono di essere discepoli di Gesù: seguitelo senza riserve, imitate la sua dedizione alla volontà del Padre ed il suo amore per i fratelli.

A tutti voi la mia benedizione.




Caterina63
00mercoledì 29 marzo 2023 18:46


UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 29 marzo 2023

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CatechesiLa passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente9. Testimoni: San Paolo. 1

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel cammino di catechesi sullo zelo apostolico, cominciamo oggi a guardare ad alcune figure che, in modi e tempi diversi, hanno dato testimonianza esemplare di che cosa vuol dire passione per il Vangelo. E il primo testimone è naturalmente l’Apostolo Paolo. A lui vorrei dedicare due catechesi.

La storia di Paolo di Tarso è emblematica su questo argomento. Nel primo capitolo della Lettera ai Galati, così come nella narrazione degli Atti degli Apostoli, possiamo rilevare che il suo zelo per il Vangelo appare dopo la sua conversione, e prende il posto del suo precedente zelo per il giudaismo. Era un uomo zelante per la legge di Mosè per il giudaismo e dopo la conversione questo zelo continua ma per proclamare, per predicare Gesù Cristo. Paolo era un innamorato di Gesù. Saulo – il primo nome di Paolo – era già zelante, ma Cristo converte il suo zelo: dalla Legge al Vangelo. Il suo slancio prima voleva distruggere la Chiesa, dopo invece la costruisce. Ci possiamo domandare: che cosa è successo, che succede dalla distruzione alla costruzione? Che cosa è cambiato in Paolo? In che senso il suo zelo, il suo slancio per la gloria di Dio è stato trasformato?

San Tommaso d’Aquino insegna che la passione, dal punto di vista morale, non è né buona né cattiva: il suo uso virtuoso la rende moralmente buona, il peccato la rende cattiva. [1] Nel caso di Paolo, ciò che lo ha cambiato non è una semplice idea o una convinzione: è stato l’incontro con il Signore risorto – non dimenticate questo, quello che cambia una vita è l’incontro con il Signore – è stato per Saulo l’incontro con il Signore risorto che ha trasformato tutto il suo essere. L’umanità di Paolo, la sua passione per Dio e la sua gloria non viene annientata, ma trasformata, “convertita” dallo Spirito Santo. L’unico che può cambiare i nostri cuori è lo Spirito Santo. E così per ogni aspetto della sua vita. Proprio come succede nell’Eucaristia: il pane e il vino non scompaiono, ma diventano il Corpo e il Sangue di Cristo. Lo zelo di Paolo rimane, ma diventa lo zelo di Cristo. Cambia il senso ma lo zelo è lo stesso. Il Signore lo si serve con la nostra umanità, con le nostre prerogative e le nostre caratteristiche, ma ciò che cambia tutto non è un’idea bensì la vita vera e propria, come dice lo stesso Paolo: «Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove» ( 2 Cor 5,17). L’incontro con Gesù Cristo ti cambia da dentro, ti fa un’altra persona. Se uno è in Cristo è una nuova creatura, questo è il senso di essere una nuova creatura. Diventare cristiano non è un maquillage che ti cambia la faccia, no! Se tu sei cristiano ti cambia il cuore ma se tu sei cristiano di apparenza, questo non va… cristiani di maquillage non vanno. Il vero cambiamento è del cuore. E questo è successo a Paolo. 

La passione per il Vangelo non è una questione di comprensione o di studi, che pure servono ma non la generano; significa piuttosto ripercorrere quella stessa esperienza di “caduta e risurrezione” che Saulo/Paolo visse e che è all’origine della trasfigurazione del suo slancio apostolico. Tu puoi studiare tutta la teologia che vuoi, tu puoi studiare la Bibbia e tutto quello e diventare ateo o mondano, non è una questione di studi; nella storia ci sono stati tanti teologi atei! Studiare serve ma non genera la nuova vita di grazia. Infatti, come dice S. Ignazio di Loyola: «Non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e il gustare le cose internamente». [2] Si tratta delle cose che ti cambiano dentro, che ti fanno sapere un’altra cosa, gustare un’altra cosa.
Ognuno di noi pensi a questo: “Io sono un religioso?” – “Va bene” – “Io prego?” – “Sì” - “Io cerco di osservare i comandamenti?” – “Sì” – “Ma dov’è Gesù nella tua vita?” – “Ah, no io faccio le cose che comanda la Chiesa”. Ma Gesù dov’è? Hai incontrato Gesù, hai parlato con Gesù? Tu prendi il Vangelo o parli con Gesù, ti ricordi chi è Gesù? E questa è una cosa che ci manca tante volte. Quando entra Gesù nella tua vita, come è entrato nella vita di Paolo, Gesù entra cambia tutto. Tante volte abbiamo sentito commenti sulla gente: “Ma guarda quell’altro, che era un disgraziato e adesso è un uomo buono, una donna buona… Chi lo ha cambiato? Gesù, ha trovato Gesù. La tua vita che è cristiana è cambiata? “E no, più o meno, sì…”. Se non è entrato Gesù nella tua vita non è cambiata. Tu puoi essere cristiano di fuori soltanto. No, deve entrare Gesù e questo ti cambia e questo è successo a Paolo. Bisogna trovare Gesù e per questo Paolo diceva l’amore di Cristo ci spinge, quello che ti porta avanti. Lo stesso cambiamento è capitato a tutti i Santi, che quando hanno trovato Gesù sono andati avanti.

Possiamo fare una ulteriore riflessione sul cambiamento che avviene in Paolo, il quale da persecutore diventò apostolo di Cristo. Notiamo che in lui si verifica una specie di paradosso: infatti, finché lui si ritiene giusto davanti a Dio, allora si sente autorizzato a perseguitare, ad arrestare, anche ad uccidere, come nel caso di Stefano; ma quando, illuminato dal Signore Risorto, scopre di essere stato “un bestemmiatore e un violento” (cfr 1 Tm 1,13), - così dice di sé stesso: “io sono stato un bestemmiatore e un violento” - allora incomincia a essere davvero capace di amare. E questa è la strada. Se uno di noi dice: “Ah grazie Signore, perché io sono una persona buona, io faccio le cose buone, non faccio peccati grossi…”: Non è una buona strada questa, questa è una strada di autosufficienza, è una strada che non ti giustifica, ti fa un cattolico elegante, ma un cattolico elegante non è un cattolico santo, è elegante.
Il vero cattolico, il vero cristiano è quello che riceve Gesù dentro, che cambia il cuore. Questa è la domanda che faccio a tutti voi oggi: cosa significa Gesù per me? L’ho lasciato entrare nel cuore o soltanto lo tengo a portata di mano ma che non venga tanto dentro? Mi sono lasciato cambiare da Lui? O soltanto Gesù è un’idea, una teologia che va avanti… E questo è lo zelo, quando uno trova Gesù sente il fuoco e come Paolo deve predicare Gesù, deve parlare di Gesù, deve aiutare la gente, deve fare cose buone. Quando uno trova l’idea di Gesù rimane un ideologo del cristianesimo e questo non salva, soltanto Gesù ci salva, se tu lo hai incontrato e gli hai aperto la porta del tuo cuore. L’idea di Gesù non ti salva! Il Signore ci aiuti a trovare Gesù, a incontrare Gesù, e che questo Gesù da dentro ci cambi la vita e ci aiuti ad aiutare gli altri.

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[1] Cfr Quaestio “De veritate” 24, 7.

[2] Esercizi spirituali, Annotazioni, 2, 4.

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Saluti 

[Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Tra pochi giorni ascolteremo una commovente descrizione della Passione di Cristo. Questo racconto risvegli nei vostri cuori il pentimento e l'apertura all'amore di Cristo, che ci ha amato fino alla fine. Abbandonando l'uomo vecchio, potete portare il Signore con rinnovato zelo a coloro che vivono in mezzo a voi. In particolare, continuate a sostenere i vostri fratelli e sorelle sofferenti nell'Ucraina, nella martoriata Ucraina. Vi benedico di cuore.]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Vescovi e i sacerdoti che ricordano il 50° anniversario di Ordinazione presbiterale, l’Unità pastorale di Gioia Sannitica, La Croce Gialla di Montegranaro, la Cooperativa Emmanuel di Cavarzere. Un saluto speciale ai tanti studenti qui presenti, che rendono vivace questa Udienza.

Il mio pensiero va infine, come di consueto ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. In questo tempo di Quaresima, auguro a ciascuno di voi di riscoprire e di testimoniare con gioia il dono della fede cristiana.

Perseveriamo nella preghiera e nella vicinanza alla martoriata Ucraina.

A tutti la mia benedizione.



UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 5 aprile 2023

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Catechesi. “Il Crocifisso, sorgente di speranza”

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Domenica scorsa la Liturgia ci ha fatto ascoltare la Passione del Signore. Essa termina con queste parole: «Sigillarono la pietra» (Mt 27,66): tutto sembra finito. Per i discepoli di Gesù quel macigno segna il capolinea della speranza. Il Maestro è stato crocifisso, ucciso nel modo più crudele e umiliante, appeso a un patibolo infame fuori dalla città: un fallimento pubblico, il peggior finale possibile – a quell’epoca era il peggiore. Ora, quello sconforto che opprimeva i discepoli non è del tutto estraneo a noi oggi. Anche in noi si addensano pensieri cupi e sentimenti di frustrazione: perché tanta indifferenza verso Dio? È curioso, questo: perché tanta indifferenza verso Dio? Perché tanto male nel mondo? Ma guardate, che c’è male nel mondo! Perché le disuguaglianze continuano a crescere e la sospirata pace non arriva? Perché siamo attaccati così alla guerra, al farsi del male l’uno all’altro? E nei cuori di ognuno, quante attese svanite, quante delusioni! E ancora, quella sensazione che i tempi passati fossero migliori e che nel mondo, magari pure nella Chiesa, le cose non vadano come una volta… Insomma, anche oggi la speranza sembra a volte sigillata sotto la pietra della sfiducia. E invito ognuno di voi a pensare a questo: dov’è la tua speranza? Tu, hai una speranza viva o l’hai sigillata lì, o l’hai nel cassetto come un ricordo? Ma la tua speranza ti spinge a camminare o è un ricordo romantico come se fosse una cosa che non esiste? Dov’è la tua speranza, oggi?

Nella mente dei discepoli rimaneva fissa un’immagine: la croce. E lì è finito tutto. Lì si concentrava la fine di tutto. Ma di lì a poco avrebbero scoperto proprio nella croce un nuovo inizio. Cari fratelli e sorelle, la speranza di Dio germoglia così, nasce e rinasce nei buchi neri delle nostre attese deluse; ed essa, la speranza vera, invece, non delude mai. Pensiamo proprio alla croce: dal più terribile strumento di tortura Dio ha ricavato il segno più grande dell’amore. Quel legno di morte, diventato albero di vita, ci ricorda che gli inizi di Dio cominciano spesso dalle nostre fini. Così Egli ama operare meraviglie. Oggi, allora, guardiamo l’albero della croce perché germogli in noi la speranza: quella virtù quotidiana, quella virtù silenziosa, umile, ma quella virtù che ci mantiene in piedi, che ci aiuta ad andare avanti. Senza speranza non si può vivere. Pensiamo: dov’è la mia speranza? Oggi, guardiamo l’albero della croce perché germogli in noi la speranza: per essere guariti dalla tristezza – ma, quanta gente triste … A me, quando potevo andare per le strade, adesso non posso perché non mi lasciano, ma quando potevo andare per le strade nell’altra Diocesi, piaceva guardare lo sguardo della gente. Quanti sguardi tristi! Gente triste, gente che parlava con sé stessa, gente che camminava soltanto con il telefonino, ma senza pace, senza speranza. E dov’è la tua speranza, oggi? Ci vuole un po’ di speranza per essere guariti dalla tristezza di cui siamo malati, per essere guariti dall’amarezza con cui inquiniamo la Chiesa e il mondo. Fratelli e sorelle, guardiamo il Crocifisso. E che cosa vediamo? Vediamo Gesù nudo, Gesù spogliato, Gesù ferito, Gesù tormentato. È la fine di tutto? Lì c’è la nostra speranza.

Cogliamo allora come in questi due aspetti la speranza, che sembra morire, rinasce. Anzitutto, vediamo Gesù spogliato: infatti, «dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte» (v. 35). Dio spogliato: Lui che ha tutto si lascia privare di tutto. Ma quella umiliazione è la via della redenzione. Dio vince così sulle nostre apparenze. Noi, infatti, facciamo fatica a metterci a nudo, a fare la verità: sempre cerchiamo di coprire le verità perché non ci piace; ci rivestiamo di esteriorità che ricerchiamo e curiamo, di maschere per camuffarci e mostrarci migliori di come siamo. È un po’ l’abitudine del maquillage: maquillage interiore, sembrare migliore degli altri … Pensiamo che l’importante sia ostentare, apparire, così che gli altri dicano bene di noi. E ci addobbiamo di apparenze, ci addobbiamo di apparenze, di cose superflue; ma così non troviamo pace. Poi il maquillage se ne va e tu ti guardi allo specchio con la faccia brutta che hai, ma vera, quella che Dio ama, non quella “maquillata. E Gesù spogliato di tutto ci ricorda che la speranza rinasce col fare verità su di noi – dire la verità a se stesso – col lasciar cadere le doppiezze, col liberarci dalla pacifica convivenza con le nostre falsità. Alle volte, noi siamo tanto abituati a dirci delle falsità che conviviamo con le falsità come se fossero verità e noi finiamo avvelenati dalle nostre falsità.

Questo serve: tornare al cuore, all’essenziale, a una vita semplice, spoglia di tante cose inutili, che sono surrogati di speranza. Oggi, quando tutto è complesso e si rischia di perdere il filo, abbiamo bisogno di semplicità, di riscoprire il valore della sobrietà, il valore della rinuncia, di fare pulizia di ciò che inquina il cuore e rende tristi. Ciascuno di noi può pensare a una cosa inutile di cui può liberarsi per ritrovarsi. Pensa tu, quante cose inutili. Qui, quindici giorni fa, a Santa Marta, dove io abito – che è un albergo per tanta gente – si è sparsa la voce che per questa Settimana Santa sarebbe stato bello guardare il guardaroba e spogliare, mandare via le cose che abbiamo, che non usiamo … voi non immaginate la quantità di cose! È bello spogliarsi delle cose inutili. E questo è andato ai poveri, alla gente che ha bisogno. Anche noi, abbiamo tante cose inutili dentro il cuore – e fuori pure. Guardate il vostro guardaroba: guardatelo. Questo è utile, questo e inutile … e fate pulizia. Guardate il guardaroba dell’anima: quante cose inutili hai, quante illusioni stupide. Torniamo alla semplicità, alle cose vere, che non hanno bisogno di truccarsi. Ecco un bell’esercizio!

Rivolgiamo un secondo sguardo al Crocifisso e vediamo Gesù ferito. La croce mostra i chiodi che gli forano le mani e i piedi, il costato aperto. Ma alle ferite del corpo si aggiungono quelle dell’anima: ma quanta angoscia! Gesù è solo: tradito, consegnato e rinnegato dai suoi, dai suoi amici, anche dai suoi discepoli, condannato dal potere religioso e civile, scomunicato, Gesù prova persino l’abbandono di Dio (cfr v. 46). Sulla croce compare inoltre il motivo della condanna, «Costui è Gesù: il re dei Giudei» (v. 37). È un dileggio: Lui, che era fuggito quando cercavano di farlo re (cfr Gv 6,15), viene condannato per essersi fatto re; pur non avendo commesso reati, è messo in mezzo a due malfattori e gli viene preferito il violento Barabba (cfr Mt 27,15-21). Gesù insomma è ferito nel corpo e nell’anima. Mi domando: in che modo ciò aiuta la nostra speranza? Così, Gesù nudo, privo di tutto, di tutto: questo, cosa dice alla mia speranza, come mi aiuta?

Anche noi siamo feriti: chi non lo è nella vita? E tante volte, con ferite nascoste che nascondiamo per la vergogna. Chi non porta le cicatrici di scelte passate, di incomprensioni, di dolori che restano dentro e si fatica a superare? Ma anche di torti subiti, di parole taglienti, di giudizi inclementi? Dio non nasconde ai nostri occhi le ferite che gli hanno trapassato il corpo e l’anima. Le mostra per farci vedere che a Pasqua si può aprire un passaggio nuovo: fare delle proprie ferite dei fori di luce. “Ma, Santità, non esageri”, qualcuno può dirmi. No, è vero: prova; prova. Prova a farlo. Pensa alle tue ferite, quelle che tu solo sai, che ognuno ha nascoste nel cuore. E guarda il Signore. E vedrai, vedrai come da quelle ferite escono fori di luce. Gesù in croce non recrimina, ama. Ama e perdona chi lo ferisce (cfr Lc 23,34). Così converte il male in bene, così converte e trasforma il dolore in amore.

Fratelli e sorelle, il punto non è essere feriti poco o tanto dalla vita, il punto è cosa fare delle mie ferite. Le piccoline, le grandi, quelle che lasceranno un segno nel mio corpo, nella mia anima sempre. Cosa faccio io, con le mie ferite? Cosa fai tu e tu con le tue ferite? “No, Padre, io non ne ho, ferite” – “Stai attento, pensa due volte prima di dire questo”.
E ti domando: cosa fai con le tue ferite, quelle che soltanto tu sai? Tu puoi lasciarle infettare nel rancore, nella tristezza oppure posso unirle a quelle di Gesù, perché anche le mie piaghe diventino luminose. Pensate a quanti giovani non tollerano le proprie ferite e cercano nel suicidio una via di salvezza: oggi, nelle nostre città, tanti, tanti giovani che non vedono via di uscita, che non hanno speranza e preferiscono andare oltre con la droga, con la dimenticanza … poveretti.

Pensate a questi. E tu, qual è la tua droga, per coprire le ferite? Le nostre ferite possono diventare fonti di speranza quando, anziché piangerci addosso o nasconderle, asciughiamo le lacrime altrui; quando, anziché covare risentimento per quanto ci è tolto, ci prendiamo cura di ciò che manca agli altri; quando, anziché rimuginare in noi stessi, ci chiniamo su chi soffre; quando, anziché essere assetati d’amore per noi, dissetiamo chi ha bisogno di noi. Perché soltanto se smettiamo di pensare a noi stessi, ci ritroviamo. Ma se continuiamo a pensare a noi stessi non ci ritroveremo più. Ed è facendo così che – dice la Scrittura – la nostra ferita si rimargina presto (cfr Is 58,8), e la speranza rifiorisce. Pensate: cosa posso fare per gli altri? Sono ferito, sono ferito di peccato, sono ferito di storia, ognuno ha la propria ferita. Cosa faccio: lecco le mie ferite così, tutta la vita? O guardo le ferite altrui e vado con l’esperienza ferita della mia vita, a guarire, ad aiutare gli altri? Questa è la sfida di oggi, per tutti voi, per ognuno di voi, per ognuno di noi. Che il Signore ci aiuti ad andare avanti.

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Saluti

[Saluto cordialmente tutti i polacchi. Nell'imminenza del Triduo Pasquale, il mio invito è rivolto anche a voi: guardate l'albero della Croce, perché germogli in voi la speranza, e il Signore crocifisso vi guarisca dalle vostre tristezze e amarezze. Come ricorda San Pietro, infatti, dalle piaghe di Cristo siamo stati guariti. Vi benedico di cuore.]

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APPELLI
      

Domani si celebra la Giornata Mondiale dello Sport per la Pace e lo Sviluppo, indetta dalle Nazioni Unite. Auspico che essa contribuisca ad intensificare propositi di solidarietà e atteggiamenti di amicizia e condivisione fraterna.

In questa Santa Settimana della passione di Cristo, commemorando la sua morte ingiusta, ricordo in modo particolare tutte le vittime dei crimini di guerra e, mentre invito a pregare per loro, eleviamo una supplica a Dio affinché i cuori di tutti si convertano. E guardando Maria, la Madonna, davanti alla Croce il mio pensiero va alle mamme: alle mamme dei soldati ucraini e russi che sono caduti nella guerra. Sono mamme di figli morti. Preghiamo per queste mamme.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto gli sportivi di Guidonia Montecelio e l’Istituto Savini-San Giuseppe di Teramo.

Il mio pensiero va infine, come di consueto ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Nell’intenso clima spirituale della Settimana Santa, invito ciascuno a contemplare il mistero della passione, morte e risurrezione del Signore per attingere da esso la forza di tradurre nella vita le esigenze del Vangelo.

E non dimentichiamo di pregare per la martoriata Ucraina.

A tutti la mia benedizione.


UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 12 aprile 2023

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CatechesiLa passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 10. Testimoni: San Paolo. 2

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Dopo aver visto, due settimane fa, lo slancio personale di San Paolo per il Vangelo, possiamo oggi riflettere più approfonditamente sullo zelo evangelico così come lui stesso ne parla e lo descrive in alcune sue lettere.

In forza della sua stessa esperienza, Paolo non ignora il pericolo di uno zelo distorto, orientato in una direzione sbagliata; in questo pericolo era caduto lui stesso prima della caduta provvidenziale sulla via di Damasco. Talvolta abbiamo a che fare con una premura mal orientata, accanita nell’osservanza di norme puramente umane e obsolete per la comunità cristiana. «Costoro – scrive l’Apostolo – sono premurosi verso di voi, ma non onestamente» (Gal 4,17).

Non possiamo ignorare la sollecitudine con cui alcuni si dedicano a occupazioni sbagliate anche nella stessa comunità cristiana; si può millantare un falso slancio evangelico mentre si sta inseguendo in realtà la vanagloria o le proprie convinzioni o un po’ l’amore di sé stesso.

Per questo ci domandiamo: quali sono le caratteristiche dello zelo evangelico vero secondo Paolo? Mi sembra utile per questo il testo che abbiamo ascoltato in apertura, un elenco di “armi” che l’Apostolo indica per la battaglia spirituale. Fra queste c’è la prontezza a propagare il Vangelo, tradotta da alcuni come “zelo” – questa persona è uno zelante nel portare avanti queste idee, queste cose –, e indicata come una “calzatura”. Perché? Come mai lo slancio per il Vangelo è collegato a ciò che si mette ai piedi? Questa metafora riprende un testo del profeta Isaia, che dice così: «Come sono belli sui monti / i piedi del messaggero che annuncia la pace, / del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, / che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”» (52,7).

Anche qui troviamo il riferimento ai piedi di un annunciatore di buone notizie. Perché? Perché chi va ad annunciare si deve muovere, deve camminare! Ma notiamo anche che Paolo, in quel testo, parla della calzatura come parte di un’armatura, secondo l’analogia dell’equipaggiamento di un soldato che va in battaglia: nei combattimenti era fondamentale avere stabilità di appoggio, per evitare le insidie del terreno, perché spesso l’avversario disseminava di trappole il campo di battaglia, e per avere la forza necessaria per correre e muoversi nella direzione giusta. Per questo, la calzatura è per correre ed evitare tutte queste cose dell’avversario.

Lo zelo evangelico è l’appoggio su cui si basa l’annuncio, e gli annunciatori sono un po’ come i piedi del corpo di Cristo che è la Chiesa. Non c’è annuncio senza movimento, senza “uscita”, senza iniziativa. Questo vuol dire che non c’è cristiano se non in cammino, non è un cristiano se il cristiano non esce da sé stesso per mettersi in cammino e portare un annuncio. Non c’è annuncio senza movimento, senza cammino. Non si annuncia il Vangelo da fermi, chiusi in un ufficio, alla scrivania o al computer facendo polemiche come “leoni da tastiera” e surrogando la creatività dell’annuncio con il copia-e-incolla di idee prese qua e là. Il Vangelo si annuncia muovendosi, camminando, andando.

Il termine usato da Paolo, per indicare la calzatura di chi porta il Vangelo, è una parola greca che denota prontezza, preparazione, alacrità. È il contrario della trasandatezza, incompatibile con l’amore. Infatti altrove Paolo dice: «Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore» (Rm 12,11). Questo atteggiamento era quello richiesto nel Libro dell’Esodo per celebrare il sacrificio della liberazione pasquale: «Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore! In quella notte io passerò» (12,11-12a).

Un annunciatore è pronto a partire, e sa che il Signore passa in modo sorprendente; deve quindi essere libero da schemi e predisposto ad un’azione inaspettata e nuova: preparato per le sorprese. Chi annuncia il Vangelo non può essere fossilizzato in gabbie di plausibilità o nel “si è sempre fatto così”, ma è pronto a seguire una sapienza che non è di questo mondo, come Paolo dice parlando di sé stesso: «La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio» (1 Cor 2,4-5).

Ecco, fratelli e sorelle: è importante avere questa prontezza alla novità del Vangelo, questo atteggiamento che è uno slancio, un prendere l’iniziativa, un andare per primo. È un non lasciarsi sfuggire le occasioni per promulgare l’annuncio del Vangelo di pace, quella pace che Cristo sa dare più e meglio di come la dà il mondo. E per questo vi esorto a essere evangelizzatori che si muovono, senza paura, che vanno avanti, per portare la bellezza di Gesù, per portare la novità di Gesù che cambia tutto. “Sì, Padre, cambia il calendario, perché adesso noi contiamo gli anni prima di Gesù …” – “Ma anche, cambia il cuore: e tu sei disposto a lasciare che Gesù ti cambi il cuore? O tu sei un cristiano tiepido, che non si muove? Pensa un po’: tu sei un entusiasta di Gesù, vai avanti? Pensa un po’…

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Saluti

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APPELLO

Ieri ricorreva il 60° anniversario dell’Enciclica Pacem in terris, che San Giovanni XXIII indirizzò alla Chiesa e al mondo nel pieno della tensione tra i due blocchi contrapposti nella cosiddetta guerra fredda. Il Papa aprì davanti a tutti l’orizzonte ampio in cui poter parlare di pace e costruire la pace: il disegno di Dio sul mondo e sulla famiglia umana. Quell’Enciclica fu una vera benedizione, come uno squarcio di sereno in mezzo a nubi scure. Il suo messaggio è attualissimo. Basti ad esempio questo passo: «I rapporti tra le comunità politiche, come quelli tra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della ragione, e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante» (n. 62). Invito i fedeli e gli uomini e le donne di buona volontà a leggere la Pacem in terris, e prego perché i Capi delle Nazioni se ne lascino ispirare nei progetti e nelle decisioni.

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i nuovi diaconi della Compagnia di Gesù, esortando ciascuno a seguire con fedeltà il divino Maestro. Saluto i ragazzi della Valcamonica, i Decanati di Lecco, Bollate e Villoresi, le comunità parrocchiali di Pontoglio e di Contrada, i liceali di Napoli e gli studenti di Marcianise. Accolgo con gioia il pellegrinaggio dei preadolescenti dell’Arcidiocesi di Milano: cari ragazzi, vi auguro di vivere in pienezza il messaggio pasquale, sempre fedeli al vostro Battesimo e testimoni gioiosi di Cristo morto e risorto per noi.

La prossima domenica celebriamo la Misericordia di Dio, è la Domenica della Misericordia. Il Signore mai smette di essere misericordioso: pensiamo alla Misericordia di Dio che sempre ci accoglie, sempre ci accompagna, mai ci lascia da soli.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Vi invito a vivere questo tempo pasquale con lo sguardo rivolto al Cristo Risorto, che si è immolato per noi e per la nostra salvezza.

E perseveriamo nella preghiera per la martoriata Ucraina. Preghiamo per quanto soffre l’Ucraina.

A tutti la mia benedizione.



Caterina63
00mercoledì 19 aprile 2023 17:12

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 19 aprile 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente11. Testimoni: i martiri

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Parlando dell’evangelizzazione e parlando dello zelo apostolico, dopo aver considerato la testimonianza di San Paolo, vero “campione” di zelo apostolico, oggi il nostro sguardo si rivolge non a una figura singola, ma alla schiera dei martiri, uomini e donne di ogni età, lingua e nazione che hanno dato la vita per Cristo, che hanno versato il sangue per confessare Cristo. Dopo la generazione degli Apostoli, sono stati loro, per eccellenza, i “testimoni” del Vangelo. I martiri: il primo fu il diacono Santo Stefano, lapidato fuori dalle mura di Gerusalemme. La parola “martirio” deriva dal greco martyria, che significa proprio testimonianza. Un martire è un testimone, uno che dà testimonianza fino a versare il sangue. Tuttavia, ben presto nella Chiesa si è usata la parola martire per indicare chi dava testimonianza fino all’effusione del sangue [1]. Cioè, dapprima la parola martira indicava la testimonianza resa tutti i giorni, in seguito si è usata per indicare colui che dà la vita con l’effusione.

I martiri, però, non vanno visti come “eroi” che hanno agito individualmente, come fiori spuntati in un deserto, ma come frutti maturi ed eccellenti della vigna del Signore, che è la Chiesa. In particolare, i cristiani, partecipando assiduamente alla celebrazione dell’Eucaristia, erano condotti dallo Spirito a impostare la loro vita sulla base di quel mistero d’amore: cioè sul fatto che il Signore Gesù aveva dato la sua vita per loro, e dunque anche loro potevano e dovevano dare la vita per Lui e per i fratelli. Una grande generosità, il cammino di testimonianza cristiana. Sant’Agostino sottolinea spesso questa dinamica di gratitudine e di gratuito contraccambio del dono. Ecco ad esempio ciò che egli predicava in occasione della festa di San Lorenzo: «San Lorenzo era diacono della Chiesa di Roma. Ivi era ministro del sangue di Cristo e là, per il nome di Cristo, versò il suo sangue. Il beato apostolo Giovanni espose chiaramente il mistero della Cena del Signore, dicendo: “Come Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1 Gv 3,16). Lorenzo, fratelli, ha compreso tutto questo. L’ha compreso e messo in pratica. E davvero contraccambiò quanto aveva ricevuto in tale mensa. Amò Cristo nella sua vita, lo imitò nella sua morte» (Disc. 304, 14; PL 38, 1395-1397). Così Sant’Agostino spiegava il dinamismo spirituale che animava i martiri. Con queste parole: i martiri amano Cristo nella sua vita e lo imitano nella sua morte.

Oggi, cari fratelli e sorelle, ricordiamo tutti i martiri che hanno accompagnato la vita della Chiesa. Essi, come ho già detto tante volte, sono più numerosi nel nostro tempo che nei primi secoli. Oggi ci sono tanti martiri nella Chiesa, tanti, perché per confessare la fede cristiana sono cacciati via dalla società o vanno in carcere … Sono tanti. Il Concilio Vaticano II ci ricorda che «il martirio, col quale il discepolo è reso simile al suo maestro che liberamente accetta la morte per la salute del mondo, e col quale diventa simile a lui nella effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come dono insigne e suprema prova di carità» (Cost. Lumen gentium, 42). I martiri, a imitazione di Gesù e con la sua grazia, fanno diventare la violenza di chi rifiuta l’annuncio una occasione suprema di amore, che arriva fino al perdono dei propri aguzzini. Interessante, questo: i martiri perdonano sempre gli aguzzini. Stefano, il primo martire, morì pregando: “Signore, perdona loro, non sanno cosa fanno”. I martiri pregano per gli aguzzini.

Sebbene siano solo alcuni quelli a cui viene chiesto il martirio, «tutti però devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa» (ibid., 42). Ma, questa delle persecuzioni è cosa di allora? No, no: oggi. Oggi ci sono delle persecuzioni per i cristiani nel mondo, tanti, tanti. Sono più i martiri di oggi che quelli dei primi tempi. I martiri ci mostrano che ogni cristiano è chiamato alla testimonianza della vita, anche quando non arriva all’effusione del sangue, facendo di sé stesso un dono a Dio e ai fratelli, ad imitazione di Gesù.

E vorrei concludere ricordando la testimonianza cristiana presente in ogni angolo del mondo. Penso, ad esempio, allo Yemen, una terra da molti anni ferita da una guerra terribile, dimenticata, che ha fatto tanti morti e che ancora oggi fa soffrire tanta gente, specialmente i bambini. Proprio in questa terra ci sono state luminose testimonianze di fede, come quella delle suore Missionarie della Carità, che hanno dato la vita lì. Ancora oggi esse sono presenti nello Yemen, dove offrono assistenza ad anziani ammalati e a persone con disabilità. Alcune di loro hanno sofferto il martirio, ma le altre continuano, rischiano la vita ma vanno avanti. Accolgono tutti, di qualsiasi religione, perché la carità e la fraternità non hanno confini. Nel luglio 1998 Suor Aletta, Suor Zelia e Suor Michael, mentre tornavano a casa dopo la Messa sono state uccise da un fanatico, perché erano cristiane. Più recentemente, poco dopo l’inizio del conflitto ancora in corso, nel marzo 2016, Suor Anselm, Suor Marguerite, Suor Reginette e Suor Judith sono state uccise insieme ad alcuni laici che le aiutavano nell’opera della carità tra gli ultimi. Sono i martiri del nostro tempo. Tra questi laici uccisi, oltre ai cristiani c’erano fedeli musulmani che lavoravano con le suore. Ci commuove vedere come la testimonianza del sangue possa accomunare persone di religioni diverse. Non si deve mai uccidere in nome di Dio, perché per Lui siamo tutti fratelli e sorelle. Ma insieme si può dare la vita per gli altri.

Preghiamo dunque, perché non ci stanchiamo di dare testimonianza al Vangelo anche in tempo di tribolazione. Tutti i santi e le sante martiri siano semi di pace e di riconciliazione tra i popoli per un mondo più umano e fraterno, nell’attesa che si manifesti in pienezza il Regno dei cieli, quando Dio sarà tutto in tutti (cfr 1 Cor 15,28).

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[1] Origene, In Johannem, II, 210: «Chiunque rende testimonianza alla verità, sia a parole, sia con i fatti o adoperandosi in qualsiasi modo a favore di essa, si può chiamare a buon diritto testimone. Ma il nome di testimone ( martyres) in senso proprio, la comunità dei fratelli, colpiti dalla forza d’animo di coloro che lottarono per la verità o la virtù fino alla morte, ha preso la consuetudine di riservarlo a quelli che hanno reso testimonianza al mistero della vera religione con l’effusione del sangue».

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Saluti

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli delle parrocchie di Perugia, di San Ferdinando in Bari e di San Gaspare del Bufalo in Roma. Saluto la Scuola Sottufficiali della Marina Militare di Taranto, gli alunni dell’Istituto Giovanni Paolo II di Maratea e quelli dell’Istituto Miraglia di Lauria.

Il mio pensiero va infine, come di consueto, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. A tutti rivolgo il mio augurio perché, partendo dalla Città Eterna e tornando nei rispettivi ambienti di vita, portiate la testimonianza di un impegno rinnovato di fede operosa, contribuendo così a far risplendere nel mondo la luce di Cristo risorto.

E perseveriamo nella vicinanza e nella preghiera per la cara e martoriata Ucraina, che continua a sopportare terribili sofferenze.

A tutti la mia benedizione.




UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 26 aprile 2023

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La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 12. Testimoni: il monachesimo e la forza dell’intercessione. Gregorio di Narek

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Proseguiamo le catechesi sui testimoni dello zelo apostolico. Siamo partiti da San Paolo e la volta scorsa abbiamo guardato i martiri, che annunciano Gesù con la vita, fino a donarla per Lui e per il Vangelo. Ma c’è un’altra grande testimonianza che attraversa la storia della fede: quella delle monache e dei monaci, sorelle e fratelli che rinunciano a sé, rinunciano al mondo per imitare Gesù sulla via della povertà, della castità e dell’obbedienza e per intercedere a favore di tutti. Le loro vite parlano da sé, ma noi potremmo chiederci: come può della gente che vive in monastero aiutare l’annuncio del Vangelo? Non farebbero meglio a impiegare le loro energie nella missione? Uscendo dal monastero e predicando il Vangelo fuori dal monastero? In realtà, i monaci sono il cuore pulsante dell’annuncio, la loro preghiera è ossigeno per tutte le membra del Corpo di Cristo, la preghiera loro è la forza invisibile che sostiene la missione. Non a caso la patrona delle missioni è una monaca, Santa Teresa di Gesù Bambino. Ascoltiamo come scoprì la sua vocazione, scrisse così: «Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore bruciato dall’amore. Capii che solo l’amore spinge all’azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunciato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Compresi e conobbi che l’amore abbraccia in sé tutte le vocazioni […]. Allora con somma gioia ed estasi dell’animo gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione è l’amore. […] Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore» (Manoscritto autobiografico “B”, 8 settembre 1896). I contemplativi, i monaci, le monache: gente che prega, lavora, prega in silenzio, per tutta la Chiesa. E questo è l’amore: è l’amore che si esprime pregando per la Chiesa, lavorando per la Chiesa, nei monasteri.

Questo amore per tutti anima la vita dei monaci e si traduce nella loro preghiera di intercessione. A questo proposito vorrei portarvi come esempio San Gregorio di Narek, Dottore della Chiesa. È un monaco armeno, vissuto attorno all’anno Mille, che ci ha lasciato un libro di preghiere, nel quale si è riversata la fede del popolo armeno, il primo ad abbracciare il cristianesimo; un popolo che, stretto alla croce di Cristo, ha tanto sofferto lungo la storia. E San Gregorio trascorse nel monastero di Narek quasi tutta la vita. Lì imparò a scrutare le profondità dell’animo umano e, fondendo insieme poesia e preghiera, segnò il vertice sia della letteratura sia della spiritualità armena. L’aspetto che in lui più colpisce è proprio la solidarietà universale di cui è interprete. E fra i monaci e le monache c’è una solidarietà universale: qualsiasi cosa succede nel mondo, trova posto nel loro cuore e pregano. Il cuore dei monaci e delle monache è un cuore che prende come un’antenna, prende cosa succede nel mondo e prega e intercede per questo. E così vivono in unione con il Signore e con tutti. E San Gregorio di Narek scrive: «Io mi sono volontariamente caricato di tutte le colpe, da quelle del primo padre fino a quello dell’ultimo dei suoi discendenti». (Libro delle Lamentazioni, 72). E come ha fatto Gesù i monaci prendono su di loro i problemi del mondo, le difficolta, le malattie, tante cose e pregano per gli altri. E questi sono i grandi evangelizzatori. I monasteri come mai vivono chiusi ed evangelizzano? Perché con la parola, l’esempio, l’intercessione e il lavoro quotidiano, i monaci sono un ponte di intercessione per tutte le persone e per i peccati. Loro piangono anche con le lacrime, piangono per i loro peccati – tutti siamo peccatori – e anche piangono per i peccati del mondo, e pregano e intercedono con le mani e il cuore in alto. Pensiamo un po' a questa – mi permetto la parola – “riserva” che noi abbiamo nella Chiesa: sono la vera forza, la vera forza che porta avanti il popolo di Dio e da qui viene l’abitudine che ha la gente – il popolo di Dio – quando incontra un consacrato, una consacrata di dire: “Prega per me, prega per me”, perché sai che c’è una preghiera d’intercessione. Ci farà bene - nella misura che noi possiamo - visitare qualche monastero, perché lì si prega e si lavora. Ognuno ha la propria regola, ma lì hanno le mani sempre occupate: occupate con il lavoro, occupate con la preghiera. Che il Signore ci dia nuovi monasteri, ci dia monaci e monache che portino avanti la Chiesa con la loro intercessione. Grazie.

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Saluti

[Sono lieto di salutare i pellegrini croati, in particolare i membri dell’Accademia Militare Croata di Zagabria, come pure gli ufficiali dell’Ordinariato Militare accompagnati dal loro Vescovo. Cari amici, il tempo pasquale che stiamo percorrendo è il momento proficuo della speranza cristiana; vi incoraggio a portarla a tutti perché possano vedere in voi i veri testimoni del Cristo Risorto, che vince sempre ogni male e dona la Sua pace a coloro che la cercano con cuore sincero. Imparto a tutti voi e alle vostre famiglie la mia Benedizione. Siano lodati Gesù e Maria!]

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Suore Oblate Ospitaliere Francescane che celebrano il Capitolo Generale; il Movimento Shalom della Diocesi di San Miniato; l’Associazione “Pietro Rossano”, con il Vescovo di Alba; i cresimati della Diocesi di Treviso, accompagnati dal loro Vescovo, incoraggiando ciascuno ad essere gioioso testimone di Cristo tra i coetanei. Capito? Gioiosi testimoni di Cristo tra i coetanei.

Saluto con affetto i militari della Brigata Pozzuolo del Friuli e li ringrazio per il loro generoso servizio nei dintorni della Città del Vaticano, come pure per il dono dell’artistico mosaico. Sono lieto di accogliere i partecipanti al pellegrinaggio promosso dalle Suore Salesiane dei Sacri Cuori nel ricordo del Centenario della morte di San Filippo Smaldone. L’incisiva azione pastorale in campo ecclesiale e civile di questo Santo, vi aiuti a perseverare nella testimonianza di fede e di adesione ai valori del Vangelo.

Infine un pensiero, ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli, ispirato all’apparizione di Cristo ai due “discepoli di Emmaus” (cfr Lc 24, 13-35). Sappiate incontrare Gesù nella preghiera e nella riflessione, e il vostro cuore, come avvenne per i viandanti di Emmaus, arderà per i desideri, gli entusiasmi e le certezze che solo il divino Maestro sa suggerire.

E fratelli e sorelle, non dimentichiamo di pregare per la martoriata Ucraina.

A tutti la mia benedizione.



UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 3 maggio 2023

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CatechesiIl Viaggio in Ungheria

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Tre giorni fa sono rientrato dal viaggio in Ungheria. Desidero ringraziare tutti coloro che hanno preparato e accompagnato questa visita con la preghiera, e rinnovare la mia riconoscenza alle Autorità, alla Chiesa locale e al popolo ungherese, un popolo coraggioso e ricco di memoria. Durante la mia permanenza a Budapest ho potuto avvertire l’affetto di tutti gli ungheresi. Oggi vorrei parlarvi di questa visita attraverso due immagini: le radici e i ponti.

Le radici. Mi sono recato pellegrino presso un popolo la cui storia – come disse San Giovanni Paolo II – è stata segnata da «molti santi ed eroi, attorniati da schiere di gente umile e laboriosa» (Discorso in occasione della cerimonia di benvenuto, Budapest, 6 settembre 1996). È proprio vero: ho visto tanta gente semplice e laboriosa custodire con fierezza il legame con le proprie radici. E tra queste radici, come hanno evidenziato le testimonianze durante gli incontri con la Chiesa locale e con i giovani, ci sono anzitutto i santi: santi che hanno dato la vita per il popolo, santi che hanno testimoniato il Vangelo dell’amore e che sono stati luci nei momenti di buio; tanti santi del passato che oggi esortano a superare il rischio del disfattismo e la paura del domani, ricordando che Cristo è il nostro futuro. I santi ci ricordano questo: Cristo è il nostro futuro.

Le solide radici cristiane del popolo ungherese sono state però messe alla prova. La loro fede è stata provata al fuoco. Durante la persecuzione ateista del ‘900, infatti, i cristiani sono stati colpiti violentemente, con Vescovi, preti, religiosi e laici uccisi o privati della libertà. E mentre si tentava di tagliare l’albero della fede, le radici sono rimaste intatte: è restata una Chiesa nascosta, ma viva, forte, con la forza del Vangelo. E in Ungheria questa ultima persecuzione, oppressione comunista era stata preceduta da quella nazista, con la tragica deportazione di tanta popolazione ebraica. Ma in quell’atroce genocidio tanti si distinsero per la resistenza e la capacità di proteggere le vittime, e questo fu possibile perché le radici del vivere insieme erano salde. Noi a Roma abbiamo una brava poetessa ungherese che ha passato tutte queste prove e racconta ai giovani il bisogno di lottare per un ideale, per non essere vinti dalle persecuzioni, dallo scoramento. Questa poetessa oggi fa 92 anni: tanti auguri, Edith Bruck!

Ma anche oggi, come emerso negli incontri con i giovani e con il mondo della cultura, la libertà è minacciata. Come? Soprattutto con i guanti bianchi, da un consumismo che anestetizza, per cui ci si accontenta di un po’ di benessere materiale e, dimentichi del passato, si “galleggia” in un presente fatto a misura d’individuo. Questa è la persecuzione pericolosa della mondanità, portata avanti dal consumismo. Ma quando l’unica cosa che conta è pensare a sé e fare quel che pare e piace, le radici soffocano. È un problema che riguarda l’Europa intera, dove il dedicarsi agli altri, il sentirsi comunità, sentire la bellezza di sognare insieme e di creare famiglie numerose sono in crisi. L’Europa intera è in crisi. Riflettiamo allora sull’importanza di custodire le radici, perché solo andando in profondità i rami cresceranno verso l’alto e produrranno frutti. Ognuno di noi può chiedersi, anche come popolo, ognuno di noi: quali sono le radici più importanti della mia vita? Dove sono radicato? Ne faccio memoria, me ne prendo cura?

Dopo le radici ecco la seconda immagine: i ponti. Budapest, nata 150 anni fa dall’unione di tre città, è celebre per i ponti che la attraversano e ne uniscono le parti. Ciò ha richiamato, specialmente negli incontri con le Autorità, l’importanza di costruire ponti di pace tra popoli diversi. È, in particolare, la vocazione dell’Europa, chiamata, quale “pontiere di pace”, a includere le differenze e ad accogliere chi bussa alle sue porte. Bello, in questo senso, il ponte umanitario creato per tanti rifugiati dalla vicina Ucraina, che ho potuto incontrare, ammirando anche la grande rete di carità della Chiesa ungherese.

Il Paese è poi molto impegnato nel costruire “ponti per il domani”: è grande la sua attenzione per la cura ecologica – e questa è una cosa molto, molto bella dell’Ungheria – la cura ecologica e per un futuro sostenibile, e si lavora per edificare ponti tra le generazioni, tra gli anziani e i giovani, sfida oggi irrinunciabile per tutti. Ci sono inoltre ponti che la Chiesa, come emerso nell’apposito incontro, è chiamata a tendere verso l’uomo d’oggi, perché l’annuncio di Cristo non può consistere solo nella ripetizione del passato, ma ha sempre bisogno di essere aggiornato, così da aiutare le donne e gli uomini del nostro tempo a riscoprire Gesù. E, infine, ricordando con gratitudine i bei momenti liturgici, la preghiera con la comunità greco-cattolica e la solenne Celebrazione eucaristica tanto partecipata, penso alla bellezza di creare ponti tra i credenti: domenica a Messa erano presenti cristiani di vari riti e Paesi, e di diverse confessioni, che in Ungheria lavorano bene insieme. Costruire ponti, ponti di armonia e ponti di unità.

Mi ha colpito, in questa visita, l’importanza della musica, che è un tratto caratteristico della cultura ungherese.

Mi piace infine ricordare, all’inizio del mese di maggio, che gli Ungheresi sono molto devoti alla Santa Madre di Dio. Consacrati a lei dal primo re, santo Stefano, per rispetto erano soliti rivolgersi a lei senza pronunciarne il nome, chiamandola solo con i titoli della regina. Alla Regina d’Ungheria affidiamo dunque quel caro Paese, alla Regina della pace affidiamo la costruzione di ponti nel mondo, alla Regina del cielo, che acclamiamo in questo tempo pasquale, affidiamo i nostri cuori perché siano radicati nell’amore di Dio.

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Saluti

[Saluto cordialmente tutti i polacchi e in modo particolare i superiori e gli alunni del Seminario Maggiore della Diocesi di Tarnów, venuti in pellegrinaggio con loro Vescovo. Oggi, nella solennità di Maria Regina di Polonia, ricordo il mio viaggio apostolico e gli indimenticabili incontri con gli ungheresi, con i quali avete legami così stretti da chiamarli popolarmente cugini. È significativo che entrambi i Paesi abbiano proclamato Maria la loro Regina. Invocate la sua intercessione per i vostri Paesi e per l'intera Europa, chiedendo la perseveranza nella fede, l'unità e la cooperazione armoniosa, ma prima di tutto la pace, specialmente nella vicina Ucraina. Vi benedico di cuore.]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i partecipanti al Seminario promosso dall’Università della Santa Croce, la Confraternita del Beato Angelo da Furci, le parrocchie di Carditello, San Severino Lucano e Teverola. Saluto poi le religiose e i religiosi presenti, incoraggiandoli a vivere con gioia la loro consacrazione al Signore e il servizio ai fratelli.

Infine, come di consueto, mi rivolgo ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. In questo mese di maggio da poco iniziato, vi invito a rinnovare la devozione alla Madonna. Vi incoraggio a conoscere più profondamente Maria, a entrare in intimità con lei, per accoglierla come Madre spirituale e modello di fedeltà a Cristo.

A Lei, Madre di consolazione e Regina della pace, affido la martoriata popolazione ucraina.

A tutti voi la mia benedizione.


Caterina63
00mercoledì 10 maggio 2023 17:45


UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 10 maggio 2023

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Fratelli e sorelle!

È con grande gioia che saluto oggi Sua Santità Tawadros II, Papa di Alessandria e Patriarca della Sede di San Marco, e l’illustre delegazione che l’accompagna.

Sua Santità Tawadros ha accettato il mio invito a venire a Roma per celebrare con me il cinquantesimo anniversario dello storico incontro di Papa San Paolo VI e Papa Shenouda III, nel 1973. Si trattava del primo incontro tra un Vescovo di Roma e un Patriarca della Chiesa copta ortodossa, che culminò con la firma di una memorabile dichiarazione cristologica comune, esattamente il 10 maggio. In memoria di questo evento, Sua Santità Tawadros è venuto a trovarmi per la prima volta il 10 maggio di dieci anni fa, pochi mesi dopo la sua e la mia elezione, e ha proposto di celebrare ogni 10 maggio la “Giornata dell’amicizia copto-cattolica” che da quel tempo celebriamo ogni anno.

Ci chiamiamo al telefono, ci mandiamo i saluti, e rimaniamo buoni fratelli, non abbiamo litigato!

Caro amico e fratello Tawadros, La ringrazio di aver accettato il mio invito in questo duplice anniversario, e prego che la luce dello Spirito Santo illumini la Sua visita a Roma, gli importanti incontri che avrà qui, e in particolare le nostre conversazioni personali. La ringrazio di cuore per il Suo impegno nella crescente amicizia tra la Chiesa copta ortodossa e la Chiesa cattolica.

Santità, cari Vescovi e amici tutti, insieme a voi imploro Dio Onnipotente, per l’intercessione dei Santi e Martiri della Chiesa copta, affinché ci aiuti a crescere nella comunione, in un unico e santo legame di fede, di speranza e di amore cristiano. E parlando di martiri della Chiesa copta, che sono anche nostri, voglio ricordare i martiri sulla spiaggia libica, che sono stati fatti martiri pochi anni fa.

Chiedo a tutti i presenti di pregare Dio affinché benedica la visita a Roma di Papa Tawadros e protegga l’intera Chiesa ortodossa copta. Possa questa visita avvicinarci più celermente al giorno benedetto quando saremo una sola cosa in Cristo! Grazie.

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Saluti

[Saluto cordialmente i pellegrini polacchi, in particolare i medici che, grazie alla Diocesi di Tarnow, nelle prossime settimane si impegneranno a salvare la vita alle donne e madri nella Repubblica Centrafricana. San Francesco Saverio ci insegna che l’annuncio del Vangelo nelle periferie del mondo va sempre di pari passo con l’assistenza medica ed educativa. Questo sostegno, così come la nostra preghiera per la pace, è necessario anche per la martoriata Ucraina. Mentre partecipate alle preghiere mariane di maggio, recitando il Rosario, ricordatevi soprattutto delle donne e dei bambini afflitti dalla guerra. Vi benedico di cuore!]

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli del Santuario Madonna delle Grazie in Monteodorisio e quelli del Santuario Santa Filomena in Mugnano del Cardinale. Saluto inoltre gli studenti e docenti della Scuola Nostra Signora di Lourdes di Roma e quelli dell’Istituto Miraglia di Lauria.
(il santo Padre Francesco ha accolto e benedetto la statua miracolosa di Santa Filomena, affermando:”Santa Filomena era la protettrice del santo curato D’Ars, e il santo curato D’Ars è il nostro protettore. Affidiamoci anche noi sacerdoti a a lei”. La benedizione del Papa è anche per tutti i suoi devoti.)

Infine, come di consueto, mi rivolgo ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli: a ciascuno auguro di custodire in Cristo la speranza che illumina il senso della quotidiana esistenza. Tutti esorto a pregare la Vergine Maria, nel mese a lei dedicato.

A Lei, consolatrice degli afflitti e Regina della pace, affido la martoriata Ucraina.

A tutti voi la mia benedizione e adesso col Patriarca Tawadros e tutti insieme pregheremo il Padre Nostro e poi il Patriarca Tawadros e io daremo la benedizione.




UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 17 maggio 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 13. Testimoni: San Francesco Saverio

Cari Fratelli e sorelle, buongiorno!

Proseguendo il nostro itinerario delle Catechesi con alcuni modelli esemplari di zelo apostolico… ricordiamo che stiamo parlando della evangelizzazione, dello zelo apostolico, del portare avanti il nome di Gesù, e ci sono nella storia tante donne e uomini che hanno fatto questo in modo esemplare. Oggi, per esempio, scegliamo, San Francesco Saverio: è considerato, alcuni dicono, il più grande missionario dei tempi moderni. Ma non si può dire chi è il più grande, chi è il più piccolo, perché ci sono tanti missionari nascosti che anche oggi fanno tanto più di San Francesco Saverio. E Saverio è il Patrono delle missioni, come Santa Teresa del Bambin Gesù. Ma un missionario è grande quando va. E ci sono tanti, tanti, sacerdoti, laici, suore, che vanno nelle missioni, anche dall’Italia e tanti di voi. Io vedo, per esempio, quando mi presentano la storia di un sacerdote come candidato all’episcopato: ha passato dieci nella missione in tale luogo… questo è grande: uscire dalla patria per predicare il Vangelo. È lo zelo apostolico. E questo noi dobbiamo coltivare tanto. E guardando la figura di questi uomini, di queste donne, impariamo.

E San Francesco Saverio nasce in una famiglia nobile ma impoverita della Navarra, nel nord della Spagna, nel 1506. Va a studiare a Parigi – è un giovane mondano, intelligente, bravo. Lì incontra Ignazio di Loyola. Gli fa fare gli esercizi spirituali e cambia vita. E lui lascia tutta la sua carriera mondana per diventare missionario. Lui si fa gesuita, fa i voti. Poi diventa sacerdote, e va a evangelizzare, inviato in Oriente. In quel tempo i viaggi dei missionari in Oriente erano un invio verso mondi sconosciuti. E lui va, perché era pieno di zelo apostolico.

Parte così il primo di una numerosa schiera di missionari appassionati dei tempi moderni, pronti a sopportare fatiche e pericoli immensi, a raggiungere terre e incontrare popoli di culture e lingue del tutto sconosciute, spinti solo dal fortissimo desiderio di far conoscere Gesù Cristo e il suo Vangelo.

In poco più di undici anni compirà un’opera straordinaria. È stato missionario undici anni più o meno. I viaggi in nave a quel tempo erano durissimi, erano pericolosi. Molti morivano in viaggio per naufragi o malattie. Oggi purtroppo muoiono perché noi li lasciamo morire nel Mediterraneo… Saverio passa sulle navi oltre tre anni e mezzo, un terzo dell’intera durata della sua missione. Sulle navi lui passa oltre tre anni e mezzo, per andare in India, poi dall’India in Giappone.

Arrivato a Goa, in India, la capitale dell’Oriente portoghese, la capitale culturale e anche commerciale, Saverio vi pone la sua base, ma non si ferma lì. Va ad evangelizzare i poveri pescatori della costa meridionale dell’India, insegnando catechismo e preghiere ai bambini, battezzando e curando i malati. Poi, durante una preghiera notturna presso la tomba dell’apostolo San Bartolomeo, sente di dover andare oltre l’India. Lascia in buone mani il lavoro già avviato e salpa con coraggio per le Molucche, le isole più lontane dell’arcipelago indonesiano. Per questa gente non c’erano orizzonti, loro andavano oltre… Un coraggio avevano questi santi missionari! Anche quelli di oggi, anche se non vanno in nave per tre mesi, vanno in aereo per 24 ore ma poi lì è lo stesso. Si deve mettere lì, e fare tanti chilometri, addentrarsi nelle foreste. E Saverio, nelle Molucche, mette in versi il catechismo nella lingua locale e insegna a cantare il catechismo, perché con il canto lo si apprende meglio. Quali siano i suoi sentimenti lo capiamo dalle sue lettere. Scrive così: «I pericoli e le sofferenze, accolti volontariamente e unicamente per amore e servizio di Dio nostro Signore, sono tesori ricchi di grandi consolazioni spirituali. Qui in pochi anni si potrebbero perdere gli occhi per le troppe lacrime di gioia!» (20 gennaio 1548). Piangeva di gioia vedendo l’opera del Signore.

Un giorno, in India, incontra un giapponese, che gli parla del suo lontano Paese, dove mai nessun missionario europeo si era ancora spinto. E Francesco Saverio aveva l’inquietudine dell’apostolo, di andare oltre, e decide di partire al più presto, e ci arriva dopo un viaggio avventuroso sulla giunca di un cinese. I tre anni in Giappone sono durissimi, per il clima, le opposizioni e l’ignoranza della lingua, ma anche qui i semi piantati daranno grandi frutti.

Il grande sognatore, Saverio, in Giappone capisce che il Paese decisivo per la missione nell’Asia era un altro: la Cina. con la sua cultura, la sua storia, la sua grandezza, esercitava di fatto un predominio su quella parte del mondo. Anche oggi la Cina è proprio un polo culturale, con una storia grande, una storia bellissima. Perciò egli torna a Goa e poco dopo s’imbarca di nuovo sperando di poter entrare in Cina. Ma il suo disegno fallisce: egli muore alle porte della Cina, su un’isola, la piccola isola di Sancian, davanti alle coste cinesi aspettando invano di poter sbarcare sulla terraferma vicino a Canton. Il 3 dicembre 1552, muore in totale abbandono, solo un cinese è accanto a lui a vegliarlo. Così termina il viaggio terreno di Francesco Saverio. Era invecchiato, quanti anni aveva? Ottanta già? No…Aveva soltanto quarantasei anni, aveva speso la vita nella missione, con lo zelo. Parte dalla Spagna colta e arriva al Paese più colto del mondo in quel momento, la Cina, e muore davanti alla grande Cina, accompagnato da un cinese. Tutto un simbolo!

La sua attività intensissima è stata sempre unita alla preghiera, all’unione con Dio, mistica e contemplativa. Non lasciò la preghiera mai, perché sapeva che lì c’era la forza. Dovunque si trovava, aveva grande cura per i malati, i poveri e i bambini. Non era un missionario “aristocratico”: andava sempre con i più bisognosi, i bambini che erano i più bisognosi di istruzione, di catechesi, i poveri, i malati: andava proprio alle frontiere dell’assistenza dove è cresciuto in grandezza. L’amore di Cristo è stato la forza che lo ha spinto sino ai confini più lontani, con fatiche e pericoli continui, superando insuccessi, delusioni e scoraggiamenti, anzi, dandogli consolazione e gioia nel seguirlo e servirlo fino alla fine.

San Francesco Saverio che ha fatto questa cosa tanto grande, in tanta povertà, e con tanto coraggio, ci dia un po’ di questo zelo, di questo zelo per vivere il Vangelo e annunciare il Vangelo. Ai tanti giovani oggi che hanno un po’ di inquietudine e non sanno che cosa fare con quella inquietudine, dico: guardate Francesco Saverio, guardate l’orizzonte del mondo, guardate i popoli in tanta necessità, guardate tanta gente che soffre, tanta gente che ha bisogno di Gesù. E andate, abbiate coraggio. Anche oggi ci sono giovani coraggiosi. Penso a tanti missionari per esempio nella Papua Nuova Guinea, penso ad amici miei, giovani, che stanno nella diocesi di Vanimo, e tutti quelli che sono andati ad evangelizzare sulla scia di Francesco Saverio. Che il Signore dia a tutti noi la gioia di evangelizzare, la gioia di portare avanti questo messaggio tanto bello che fa felici noi, e tutti.

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Saluti

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto l’Azione Cattolica di Lecce con l’Arcivescovo Mons. Michele Seccia: lo Spirito del Risorto vi aiuti a discernere i segni dei tempi, così da testimoniare il Vangelo con fedeltà e gioia in ogni ambiente. Siate costruttori di fraternità!

Infine, come di consueto, mi rivolgo ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. La Solennità dell’Ascensione del Signore, che domani celebreremo, ci invita a guardare al momento in cui Gesù, prima di salire al cielo, affida agli Apostoli il mandato di portare il suo Messaggio di salvezza fino agli estremi confini della terra. Cari giovani – specialmente voi alunni di tante scuole oggi qui presenti – accogliendo il mandato missionario di Cristo, impegnatevi a mettere il vostro entusiasmo a servizio del Vangelo. Voi, cari malati e anziani, vivete uniti al Signore, nella certezza di offrire un contributo prezioso alla crescita del Regno di Dio nel mondo. E voi, cari sposi novelli, fate in modo che le vostre famiglie siano luoghi in cui si impara ad amare Dio e ad essere suoi testimoni nella gioia.

E tutti noi preghiamo il Signore per l’amata Ucraina: si soffre tanto, lì, si soffre tanto. Preghiamo per i feriti, per i bambini, per quelli che sono morti, perché torni la pace.

A tutti voi la mia benedizione.


UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 24 maggio 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 14. Testimoni: Sant’Andrea Kim Tae-gon

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In questa serie di catechesi ci mettiamo alla scuola di alcuni Santi e Sante che, come testimoni esemplari, ci insegnano lo zelo apostolico. Ricordiamo che stiamo parlando dello zelo apostolico, quello che noi dobbiamo avere per annunciare il Vangelo.

Un grande esempio di Santo della passione per l’evangelizzazione oggi andiamo a trovarlo in una terra molto lontana, ovvero nella Chiesa coreana. Guardiamo al martire e primo sacerdote coreano Sant’Andrea Kim Tae-gon. Ma l’evangelizzazione della Corea è stata fatta dai laici. Sono stati i laici battezzati che hanno trasmesso la fede, non c’erano preti, perché non ne avevano: vennero più tardi, pertanto la prima evangelizzazione l’hanno fatta i laici. Noi saremmo capaci di una cosa del genere? Pensiamoci: è una cosa interessante. E questo è uno dei primi sacerdoti, Sant’Andrea. La sua vita è stata e rimane una testimonianza eloquente di zelo per l’annuncio del Vangelo.

Circa 200 anni fa, la terra coreana fu teatro di una persecuzione severissima: i cristiani erano perseguitati e annientati. Credere in Gesù Cristo, nella Corea di quell’epoca, voleva dire essere pronti a dare testimonianza fino alla morte. In particolare, l’esempio di Sant’Andrea Kim lo possiamo ricavare da due aspetti concreti della sua vita.

Il primo è il modo che lui doveva usare per incontrarsi con i fedeli. Stante il contesto fortemente intimidatorio, il Santo era costretto ad accostare i cristiani in una forma non manifesta, e sempre in presenza di altre persone, come se si parlassero da tempo. Allora, per individuare l’identità cristiana del suo interlocutore, Sant’Andrea metteva in atto questi espedienti: anzitutto, c’era un segno di riconoscimento concordato in precedenza: tu ti incontrerai con questo cristiano e lui avrà questo segnale nell’abito o nella mano; dopo di che, lui poneva di nascosto la domanda – ma sottovoce: “Tu sei discepolo di Gesù?”. Poiché altre persone assistevano alla conversazione, il Santo doveva parlare a voce bassa, pronunciando solo poche parole, quelle più essenziali. Quindi, per Andrea Kim, l’espressione che riassumeva tutta l’identità del cristiano era “discepolo di Cristo”: “Tu sei discepolo di Cristo?”, ma a bassa voce perché era pericoloso. Era vietato essere cristiano.

In effetti, essere discepolo del Signore significa seguirlo, seguire la sua strada. E il cristiano è per sua natura uno che predica e dà testimonianza di Gesù. Ogni comunità cristiana riceve dallo Spirito Santo questa identità, e così la Chiesa intera, dal giorno di Pentecoste (cfr Conc. Vat. II, Decr. Ad gentes, 2). E da questo Spirito che noi riceviamo nasce la passione, la passione per l’evangelizzazione, questo zelo apostolico grande: è un dono dello Spirito. E anche se il contesto circostante non è favorevole, come quello coreano di Andrea Kim, la passione non cambia, anzi, acquista ancora maggior valore. Sant’Andrea Kim e gli altri fedeli coreani hanno dimostrato che la testimonianza del Vangelo data in tempo di persecuzione può portare molti frutti per la fede.

Vediamo ora un secondo esempio concreto. Quando era ancora seminarista, Sant’Andrea doveva trovare un modo per accogliere segretamente i missionari provenienti dall’estero. Questo non era un compito facile, poiché il regime dell’epoca vietava rigorosamente a tutti gli stranieri di entrare nel territorio. Per questo era stato – prima di questo – tanto difficile trovare un sacerdote che venisse a missionare: la missione l’hanno fatta i laici. Una volta – pensate a questo che ha fatto Sant’Andrea – una volta egli camminò sotto la neve, senza mangiare, talmente a lungo che cadde a terra sfinito, rischiando di perdere i sensi e di rimanere lì congelato. A quel punto, all’improvviso sentì una voce: “Alzati, cammina!”. Udendo quella voce, Andrea si ridestò, scorgendo come un’ombra di qualcuno che lo guidava.

Questa esperienza del grande testimone coreano ci fa comprendere un aspetto molto importante dello zelo apostolico. Vale a dire il coraggio di rialzarsi quando si cade. Ma i santi cadono? Sì! Ma dai primi tempi: pensate a San Pietro: ha fatto un grande peccato, ma ha avuto forza nella misericordia di Dio e si è rialzato. E in Sant’Andrea noi vediamo questa forza: lui era caduto fisicamente ma ha avuto la forza di andare, andare, andare per portare il messaggio avanti. Per quanto la situazione possa essere difficile, anzi a volte sembri non lasciare spazio al messaggio evangelico, non dobbiamo demordere e non dobbiamo rinunciare a portare avanti ciò che è essenziale nella nostra vita cristiana, cioè l’evangelizzazione. Questa è la strada. E ognuno di noi può pensare: “Ma io, come posso evangelizzare?”. Ma guarda questi grandi e tu pensa nel tuo piccolo, pensiamo noi nel nostro piccolo: evangelizzare la famiglia, evangelizzare gli amici, parlare di Gesù, ma parlare di Gesù ed evangelizzare con il cuore pieno di gioia, pieno di forza. E questa la dà lo Spirito Santo. Prepariamoci a ricevere lo Spirito Santo nella prossima Pentecoste e chiediamogli quella grazia, la grazia del coraggio apostolico, la grazia di evangelizzare, di portare avanti sempre il messaggio di Gesù.

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Saluti

Oggi ricorre la giornata mondiale di preghiera per la Chiesa cattolica in Cina. Essa coincide con la festa della Beata Vergine Maria Aiuto dei cristiani, venerata e invocata nel Santuario di Nostra Signora di Sheshan, a Shanghai. In questa circostanza, desidero assicurare il ricordo ed esprimere la vicinanza ai nostri fratelli e sorelle in Cina, condividendo le loro gioie e le loro speranze. Un pensiero speciale è rivolto a tutti coloro che soffrono, pastori e fedeli, affinché nella comunione e nella solidarietà della Chiesa Universale possano sperimentare consolazione e incoraggiamento. Invito tutti ad elevare la preghiera a Dio, perché la Buona Novella di Cristo crocifisso e risorto possa essere annunciata nella sua pienezza, bellezza e libertà, portando frutti per il bene della Chiesa cattolica e di tutta la società cinese.

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Missionarie della Carità, il Comitato Organizzatore eventi speciali di Roma, il gruppo oncologico pediatrico del Policlinico di Bari, la Scuola Divina Provvidenza di Roma.

Infine, come di consueto, mi rivolgo ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Oggi è la festa della Madonna venerata con il titolo di Maria Ausiliatrice. Maria aiuti voi, cari giovani, a rinsaldare ogni giorno la vostra fedeltà a Cristo. Ottenga conforto e serenità per voi, cari anziani e cari ammalati. Incoraggi voi, cari sposi novelli, a tradurre nella vita quotidiana il comandamento dell’amore. Il giorno di Maria Ausiliatrice è una vocazione mariana tanto cara a Don Bosco: un saluto e un ricordo alla Famiglia Salesiana, ringraziando per tutto quello che fa per la Chiesa.

E ancora la tristezza a tutti ci viene per la martoriata Ucraina: si soffre tanto lì, non dimentichiamoli. Preghiamo oggi Maria Ausiliatrice che sia vicina al popolo ucraino.

E a tutti la mia benedizione.


Caterina63
00mercoledì 31 maggio 2023 19:27

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 31 maggio 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 15. Testimoni: il Venerabile Matteo Ricci

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Noi continuiamo in queste catechesi parlando sullo zelo apostolico, cioè quello che sente il cristiano per portare avanti l’annuncio di Gesù Cristo. E oggi vorrei presentare un altro grande esempio di zelo apostolico: noi abbiamo parlato di San Francesco Saverio, di San Paolo, lo zelo apostolico dei grandi zelanti; oggi parleremo di uno – italiano – ma che è andato in Cina: Matteo Ricci.

Originario di Macerata, nelle Marche, dopo aver studiato nelle scuole dei Gesuiti ed essere entrato egli stesso nella Compagnia di Gesù, entusiasmato dalle relazioni dei missionari che ascoltava e si è entusiasmato, come tanti altri giovani che sentivano quello, chiese di essere inviato nelle missioni dell’Estremo Oriente. Dopo il tentativo di Francesco Saverio, altri venticinque Gesuiti avevano provato inutilmente ad entrare in Cina. Ma Ricci e un suo confratello si prepararono molto bene, studiando accuratamente la lingua e i costumi cinesi, e alla fine riuscirono a ottenere di stabilirsi nel sud del Paese. Ci vollero diciotto anni, con quattro tappe attraverso quattro città differenti, prima di arrivare a Pechino, che era il centro. Con costanza e pazienza, animato da una fede incrollabile, Matteo Ricci poté superare difficoltà, pericoli, diffidenze e opposizioni. Pensate in quel tempo, camminare o andare a cavallo, tante distanze … e lui andava avanti. Ma qual è stato il segreto di Matteo Ricci? Per quale strada lo zelo lo ha spinto?

Lui ha seguito sempre la via del dialogo e dell’amicizia con tutte le persone che incontrava, e questo gli ha aperto molte porte per l’annuncio della fede cristiana. La sua prima opera in lingua cinese fu proprio un trattato Sull’amicizia, che ebbe grande risonanza. Per inserirsi nella cultura e nella vita cinese in un primo tempo si vestiva come i bonzi buddisti, all’usanza del Paese, ma poi capì che la via migliore era quella di assumere lo stile di vita e le vesti dei letterati, come i professori universitari, i letterati vestivano: e lui vestiva così. Studiò in modo approfondito i loro testi classici, così da poter presentare il cristianesimo in dialogo positivo con la loro saggezza confuciana e con gli usi e i costumi della società cinese. E questo si chiama un atteggiamento di inculturazione. Questo missionario ha saputo “inculturare” la fede cristiana in dialogo, come i Padri antichi con la cultura greca.

La sua ottima preparazione scientifica suscitava interesse e ammirazione da parte degli uomini colti, a cominciare dal suo famoso mappamondo, la carta del mondo intero allora conosciuto, con i diversi continenti, che rivela ai cinesi per la prima volta una realtà esterna alla Cina assai più ampia di quanto avessero mai pensato. Fa vedere loro che il mondo è più grande della Cina, e loro capivano – perché erano intelligenti. Ma anche le conoscenze matematiche e astronomiche di Ricci e dei missionari suoi seguaci contribuirono a un incontro fecondo fra la cultura e la scienza dell’occidente e dell’oriente, che vivrà allora uno dei suoi tempi più felici, nel segno del dialogo e dell’amicizia. Infatti, l’opera di Matteo Ricci non sarebbe mai stata possibile senza la collaborazione dei suoi grandi amici cinesi, come i famosi “Dottor Paolo” (Xu Guangqi) e “Dottor Leone” (Li Zhizao).

Tuttavia, la fama di Ricci come uomo di scienza non deve oscurare la motivazione più profonda di tutti i suoi sforzi: cioè, l’annuncio del Vangelo. Lui, con il dialogo scientifico, con gli scienziati, andava avanti ma dava testimonianza della propria fede, del Vangelo. La credibilità ottenuta con il dialogo scientifico gli dava autorevolezza per proporre la verità della fede e della morale cristiana, di cui egli parla in modo approfondito nelle sue principali opere cinesi, come Il vero significato del Signore del Cielo – così si chiama quel libroOltre alla dottrina, sono la sua testimonianza di vita religiosa, di virtù e di preghiera: questi missionari pregavano. Andavano a predicare, si muovevano, facevano mosse politiche, tutto quanto: ma pregavano.
È la preghiera che alimenta la vita missionaria, una vita di carità, aiutavano gli altri, umili, in totale disinteresse per onori e ricchezze, che inducono molti dei suoi discepoli e amici cinesi ad accogliere la fede cattolica. Perché vedevano un uomo così intelligente, così saggio, così furbo – nel senso buono della parola – per portare avanti le cose, e così credente che dicevano: “Ma, quello che predica è vero perché è detto da una personalità che dà testimonianza: testimonia con la propria vita quello che annuncia”.
Questa è la coerenza degli evangelizzatori. E questo tocca tutti noi cristiani che siamo evangelizzatori. Io posso dire il “Credo” a memoria, posso dire tutte le cose che noi crediamo, ma se la tua vita non è coerente con quello che professi non serve a nulla. Quello che attira le persone è la testimonianza di coerenza: noi cristiani siamo chiamati a vivere quello che diciamo, e non far finta di vivere come cristiani ma vivere come mondani. Guardate questi grande missionari – come Matteo Ricci che è un italiano – guardando questi grandi missionari, vedrete che la forza più grande è la coerenza: sono coerenti.

Negli ultimi giorni della sua vita, a chi gli stava più vicino e gli domandava come si sentisse, Matteo Ricci «rispose che stava pensando in quel momento se era più grande la gioia e l’allegria che provava interiormente all’idea che stava vicino al suo viaggio per andare a gustare Dio, o la tristezza che gli poteva causare il lasciare i compagni di tutta la missione che amava grandemente, e il servizio che poteva ancora fare a Dio Nostro Signore in questa missione» (S. De Ursis, Relazione su M.Ricci, Archivio Storico Romano S.I.). È lo stesso atteggiamento dell’apostolo Paolo (cfr Fil 1,22-24), che voleva andarsene dal Signore, trovare il Signore ma “rimango per servire voi”.

Matteo Ricci muore a Pechino nel 1610, all’età di 57 anni, un uomo che ha dato tutta la vita per la missione. Lo spirito missionario di Matteo Ricci costituisce un modello vivo attuale. Il suo amore per il popolo cinese è un modello; ma ciò che rappresenta una strada attuale è la sua coerenza di vita, la testimonianza della sua vita come cristiano. Lui ha portato il cristianesimo in Cina; lui è grande sì, perché è un grande scienziato, lui è grande perché è coraggioso, lui è grande perché ha scritto tanti libri, ma soprattutto lui è grande perché è stato coerente con la sua vocazione, coerente con quella voglia di seguire Gesù Cristo. Fratelli e sorelle, oggi noi, ognuno di noi, domandiamoci dentro: “Sono coerente, o sono un po’ così così?”.


* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Clarisse Francescane del Santissimo Sacramento che celebrano il Capitolo Generale e il Liceo cattolico di Vipava (Slovenia). Saluto i Seminaristi del Pontificio Seminario Regionale Pugliese, i partecipanti a “Palestra-natura” della Provincia di Barletta-Andria-Trani e i fedeli della parrocchia dei Santi Antonio e Annibale Maria in Roma, che incoraggio a vivere il Vangelo, imitando l’ardore apostolico della Vergine Santa.

Accolgo con affetto i giovani di “Rondine Cittadella della Pace” di Arezzo, accompagnati dal Vescovo Monsignor Andrea Migliavacca, con un pensiero grato per quanti, venendo dall’Ucraina e dalla Russia e da altri Paesi di guerra, hanno deciso di non essere nemici, ma di vivere da fratelli. Il vostro esempio possa suscitare propositi di pace in tutti, anche in coloro che hanno responsabilità politiche. E questo ci deve portare a pregare di più per la martoriata Ucraina ed esserle vicini.

Infine, come di consueto, mi rivolgo ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Oggi, ultimo giorno del mese di Maggio, la Chiesa celebra la Visita di Maria alla cugina Elisabetta, dalla quale è proclamata beata perché ha creduto alla parola del Signore (cf. Lc 1, 45). Guardate a Lei e da Lei implorate il dono di una fede sempre più coraggiosa. Alla sua materna intercessione affidiamo quanti sono provati dalla guerra, specialmente la cara e martoriata Ucraina che tanto soffre.

A tutti voi la mia benedizione.



Papa Francesco viene ricoverato al Policlinico Gemelli dove nel primo pomeriggio sarà operato. Questo il comunicato del direttore della Sala Stampa vaticana Matteo Bruni:
"Il Santo Padre al termine dell'Udienza Generale si è recato presso il Policlinico Universitario A. Gemelli dove nel primo pomeriggio sarà sottoposto in anestesia generale ad un intervento chirurgico di Laparotomia e plastica della parete addominale con protesi. L'operazione, concertata nei giorni scorsi dall'equipe medica che assiste il Santo Padre, sì è resa necessaria a causa di un laparocele incarcerato che sta causando sindromi sub occlusive ricorrenti, dolorose e ingravescenti. La degenza presso la struttura sanitaria durerà diversi giorni per permettere il normale decorso post operatorio e la piena ripresa funzionale."
Accompagniamo Francesco con le nostre preghiere. Questa mattina il Papa ha tenuto regolarmente l'udienza generale e prima di iniziare ha venerato le reliquie di santa Teresina del Bambin Gesù, alla quale è particolarmente devoto, deponendo davanti all'urna una rosa bianca.


UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 7 giugno 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 16. Testimoni: Santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni

Cari fratelli e sorelle, benvenuti, buongiorno!

Sono qui davanti a noi le reliquie di santa Teresa di Gesù Bambino, patrona universale delle missioni. È bello che ciò accada mentre stiamo riflettendo sulla passione per l’evangelizzazione, sullo zelo apostolico. Oggi, dunque, lasciamoci aiutare dalla testimonianza di santa Teresina. Lei nacque 150 anni fa, e in questo anniversario ho intenzione di dedicarle una Lettera Apostolica.

È patrona delle missioni, ma non è mai stata in missione: come si spiega, questo? Era una monaca carmelitana e la sua vita fu all’insegna della piccolezza e della debolezza: lei stessa si definiva “un piccolo granello di sabbia”. Di salute cagionevole, morì a soli 24 anni. Ma se il suo corpo era infermo, il suo cuore era vibrante, era missionario. Nel suo “diario” racconta che essere missionaria era il suo desiderio e che voleva esserlo non solo per qualche anno, ma per tutta la vita, anzi fino alla fine del mondo. Teresa fu “sorella spirituale” di diversi missionari: dal monastero li accompagnava con le sue lettere, con la preghiera e offrendo per loro continui sacrifici. Senza apparire intercedeva per le missioni, come un motore che, nascosto, dà a un veicolo la forza per andare avanti. Tuttavia dalle sorelle monache spesso non fu capita: ebbe da loro “più spine che rose”, ma accettò tutto con amore, con pazienza, offrendo, insieme alla malattia, anche i giudizi e le incomprensioni. E lo fece con gioia, lo fece per i bisogni della Chiesa, perché, come diceva, fossero sparse “rose su tutti”, soprattutto sui più lontani.

Ma ora, mi chiedo, possiamo chiederci noi, tutto questo zelo, questa forza missionaria e questa gioia di intercedere da dove arrivano? Ci aiutano a capirlo due episodi, avvenuti prima che Teresa entrasse in monastero. Il primo riguarda il giorno che le cambiò la vita, il Natale del 1886, quando Dio operò un miracolo nel suo cuore. Teresa avrebbe di lì a poco compiuto 14 anni. In quanto figlia più giovane, in casa era coccolata da tutti, ma non “malcresciuta”. Tornata dalla Messa di mezzanotte, il papà, molto stanco, non aveva però voglia di assistere all’apertura dei regali della figlia e disse: «Meno male che è l’ultimo anno!», perché a 15 anni già non si facevano più. Teresa, di indole molto sensibile e facile alle lacrime, ci restò male, salì in camera e pianse. Ma in fretta represse le lacrime, scese e, piena di gioia, fu lei a rallegrare il padre. Cos’era successo? Che in quella notte, in cui Gesù si era fatto debole per amore, lei era diventata forte d’animo – un vero miracolo: in pochi istanti era uscita dalla prigione del suo egoismo e del suo piangersi addosso, cominciò a sentire che “la carità le entrava nel cuore col bisogno di dimenticare sé stessa” (cfr Manoscritto A, 133-134). Da allora rivolse il suo zelo agli altri, perché trovassero Dio e anziché cercare consolazioni per sé si propose di «consolare Gesù, [di] farlo amare dalle anime», perché – annotò Teresa – «Gesù è malato d’amore e [...] la malattia dell’amore non si guarisce che con l’amore» (Lettera a Marie Guérin, luglio 1890). Ecco allora il proposito di ogni sua giornata: «fare amare Gesù» (Lettera a Céline, 15 ottobre 1889), intercedere perché gli altri lo amassero. Scrisse: «Vorrei salvare le anime e dimenticarmi per loro: vorrei salvarle anche dopo la mia morte» (Lettera al P. Roullan, 19 marzo 1897). Più volte disse: «Passerò il mio cielo a fare del bene sulla terra». Questo è il primo episodio che le cambiò la vita a 14 anni.

E questo suo zelo era rivolto soprattutto ai peccatori, ai “lontani”. Lo rivela il secondo episodio. Teresa viene a conoscenza di un criminale condannato a morte per crimini orribili, si chiamava Enrico Pranzini – lei scrive il nome: ritenuto colpevole del brutale omicidio di tre persone, è destinato alla ghigliottina, ma non vuole ricevere i conforti della fede. Teresa lo prende a cuore e fa tutto ciò che può: prega in ogni modo per la sua conversione, perché lui che, con compassione fraterna, chiama «povero disgraziato Pranzini», abbia un piccolo segno di pentimento e faccia spazio alla misericordia di Dio, in cui Teresa confida ciecamente. Avviene l’esecuzione. Il giorno dopo Teresa legge sul giornale che Pranzini, appena prima di poggiare la testa nel patibolo, «a un tratto, colto da un’ispirazione improvvisa, si volta, afferra un Crocifisso che il sacerdote gli presentava e bacia per tre volte le piaghe sacre» di Gesù. La santa commenta: «Poi la sua anima andò a ricevere la sentenza misericordiosa di Colui che dichiarò che in Cielo ci sarà più gioia per un solo peccatore che fa penitenza che per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza!» (Manoscritto A, 135).

Fratelli e sorelle, ecco la forza dell’intercessione mossa dalla carità, ecco il motore della missione. I missionari, infatti, di cui Teresa è patrona, non sono solo quelli che fanno tanta strada, imparano lingue nuove, fanno opere di bene e sono bravi ad annunciare; no, missionario è anche chiunque vive, dove si trova, come strumento dell’amore di Dio; è chi fa di tutto perché, attraverso la sua testimonianza, la sua preghiera, la sua intercessione, Gesù passi. E questo è lo zelo apostolico che, ricordiamolo sempre, non funziona mai per proselitismo – mai! – o per costrizione – mai! –, ma per attrazione: la fede nasce per attrazione, non si diventa cristiani perché forzati da qualcuno, no, ma perché toccati dall’amore. Alla Chiesa, prima di tanti mezzi, metodi e strutture, che a volte distolgono dall’essenziale, occorrono cuori come quello di Teresa, cuori che attirano all’amore e avvicinano a Dio. E chiediamo alla santa – abbiamo le reliquie, qui – chiediamo alla santa la grazia di superare il nostro egoismo e chiediamo la passione di intercedere perché questa attrazione sia più grande nella gente e perché Gesù sia conosciuto e amato.

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Saluti

Saluto cordialmente i pellegrini di lingua italiana. In particolare, la Pia Unione delle Mamme Cristiane della diocesi di Iasi, in Romania, i religiosi dell’Istituto Missioni della Consolata e le suore Missionarie della Consolata che celebrano i rispettivi Capitoli generali. Cari fratelli e sorelle, vi incoraggio a camminare sempre con gioia nelle vie del Signore.

Sono lieto di accogliere i fedeli della Diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo, l’Accademia militare di Modena, gli Scout d’Europa cattolici Roma Uno, i partecipanti alla Scuola Arti e mestieri della Fabbrica di San Pietro in Vaticano. Tutti esorto a scoprire il volto paterno e misericordioso di Dio e a sperimentare la forza rinnovatrice dello Spirito Santo.

Rivolgo ora un pensiero ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli,ispirato alla prossima festa del “Corpus Domini”, che celebra l’Eucaristia, centro e fonte della vita della Chiesa. Accostatevi con frequenza e con devozione a Gesù, Pane di vita che dona forza, luce e gioia, ed Egli diventerà la sorgente, delle vostre scelte e delle vostre azioni.

Domani, alle ore 13, l’Azione Cattolica Internazionale suggerisce ai credenti delle varie confessioni e religioni di raccogliersi in preghiera, dedicando “Un minuto per la pace”. Accogliamo questo invito, pregando per la fine delle guerre nel mondo e specialmente per la cara e martoriata Ucraina.

A tutti voi la mia benedizione.









Caterina63
00mercoledì 28 giugno 2023 14:13


DOPO LA PAUSA OPERATORIA ed estiva

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 28 giugno 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 17. Testimoni: Santa Mary MacKillop

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi dobbiamo avere un po’ di pazienza, con questo caldo! Grazie per essere venuti con questo caldo, con questo sole, grazie tante della vostra visita!

In questa serie di catechesi sullo zelo apostolico, stiamo incontrando alcune figure esemplari di uomini e donne di ogni tempo e luogo, che hanno dato la vita per il Vangelo. Oggi andiamo lontano, in Oceania, un continente fatto di moltissime isole, grandi e piccole. La fede in Cristo, che tanti emigrati europei hanno portato in quelle terre, si è presto radicata e ha prodotto frutti abbondanti (cfr Esort. ap. postsin. Ecclesia in Oceania, 6). Tra questi c’è una religiosa straordinaria, Santa Mary MacKillop (1842-1909), fondatrice delle Suore di San Giuseppe del Sacro Cuore, che ha dedicato la sua vita alla formazione intellettuale e religiosa dei poveri nell’Australia rurale.

Mary MacKillop nasce nei pressi di Melbourne da genitori emigrati in Australia dalla Scozia. Da ragazza, si sentì chiamata da Dio a servirlo e testimoniarlo non solo con le parole, ma soprattutto con una vita trasformata dalla presenza di Dio (cfr Evangelii gaudium, 259). Come Maria Maddalena, che per prima incontrò Gesù risorto e fu mandata da Lui a portare l’annuncio ai discepoli, Mary era convinta di essere lei pure inviata a diffondere la Buona Notizia e ad attrarre altri all’incontro con il Dio vivente.

Leggendo con saggezza i segni dei tempi, ella capì che per lei il modo migliore di farlo era attraverso l’educazione dei giovani, nella consapevolezza che l’educazione cattolica è una forma di evangelizzazione. È una grande forma di evangelizzazione. Così, se possiamo dire che «ciascun santo è una missione; è un progetto del Padre per riflettere e incarnare, in un momento determinato della storia, un aspetto del Vangelo» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 19), Mary MacKillop lo è stata soprattutto attraverso la fondazione di scuole.

Una caratteristica essenziale del suo zelo per il Vangelo consisteva nel prendersi cura dei poveri e degli emarginati. E questo è molto importante: nella strada della santità, che è la strada cristiana, i poveri e gli emarginati sono protagonisti e una persona non può andare avanti nella santità se non si dedica anche a loro, in un modo o nell’altro. Essi, che hanno bisogno dell’aiuto del Signore, portano la presenza del Signore. Una volta ho letto una frase che mi ha colpito; diceva così: “Il protagonista della storia è il mendicante: i mendicanti sono coloro che attirano l’attenzione sull’ingiustizia, che è la grande povertà nel mondo”; si spendono i soldi per fabbricare armi e non per produrre pasti... E non dimenticate: non c’è santità se, in un modo o nell’altro, non c’è la cura per i poveri, per i bisognosi, per coloro che sono un po’ al margine della società. Questo prendersi cura dei poveri e degli emarginati spingeva Mary ad andare là dove altri non volevano o non potevano andare. Il 19 marzo 1866, festa di San Giuseppe, aprì la prima scuola in un piccolo sobborgo in Sud Australia. Ne seguirono tante altre che lei e le sue consorelle fondarono nelle comunità rurali in Australia e in Nuova Zelanda. Si moltiplicarono, perché lo zelo apostolico fa così: moltiplica le opere.

Mary MacKillop era convinta che lo scopo dell’educazione è lo sviluppo integrale della persona sia come individuo sia come membro della comunità; e che questo richiede sapienza, pazienza e carità da parte di ogni insegnante. L’educazione in effetti non consiste nel riempire la testa di idee: no, non è solo questo. In cosa consiste l’educazione? Nell’accompagnare e incoraggiare gli studenti nel cammino di crescita umana e spirituale, mostrando loro quanto l’amicizia con Gesù Risorto dilati il cuore e renda la vita più umana. Educare è aiutare a pensare bene: a sentire bene – il linguaggio del cuore – e a fare bene – il linguaggio delle mani. Questa visione è pienamente attuale oggi, quando sentiamo il bisogno di un “patto educativo” capace di unire le famiglie, le scuole e l’intera società.

Lo zelo di Mary MacKillop per la diffusione del Vangelo tra i poveri la condusse anche a intraprendere diverse altre opere di carità, a partire della “Casa della Provvidenza” aperta ad Adelaide per accogliere anziani e fanciulli abbandonati. Mary aveva molta fede nella Provvidenza di Dio: era sempre fiduciosa che in qualsiasi situazione Dio provvede. Ma questo non le risparmiava le ansie e le difficoltà derivanti dal suo apostolato, e Maria ne aveva buone ragioni: doveva pagare i conti, trattare con i vescovi e i preti locali, gestire le scuole e curare la formazione professionale e spirituale delle sue Suore; e, più tardi, i problemi di salute. Tuttavia, in tutto questo, rimaneva tranquilla, portando con pazienza la croce che è parte integrante della missione.

In una occasione, nella festa dell’Esaltazione della Croce, Mary disse a una delle sue consorelle: “Figlia mia, da molti anni ho imparato ad amare la Croce”. Non si è arresa nei momenti di prova e di oscurità, quando la sua gioia era smorzata dall’opposizione e dal rifiuto. Vedete: tutti i santi hanno trovato opposizioni, anche all’interno della Chiesa. È curioso, questo. Anche lei ne ha avute. Rimaneva convinta che, anche quando il Signore le assegnava «il pane dell’afflizione e l’acqua della tribolazione» (Is 30,20), lo stesso Signore avrebbe presto risposto al suo grido e l’avrebbe circondata con la sua grazia. Questo è il segreto dello zelo apostolico: il rapporto continuo con il Signore.

Fratelli e sorelle, il discepolato missionario di Santa Mary MacKillop, la sua risposta creativa ai bisogni della Chiesa del suo tempo, il suo impegno per la formazione integrale dei giovani ispirino oggi tutti noi, chiamati ad essere lievito di Vangelo nelle nostre società in rapida trasformazione. Il suo esempio e la sua intercessione sostengano il lavoro quotidiano dei genitori, degli insegnanti, dei catechisti e di tutti gli educatori, per il bene dei giovani e per un futuro più umano e pieno di speranza.

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Saluti

Domenica scorsa è stata beatificata Madre Elisa Martinez presso il Santuario di Santa Maria di Leuca, che dà il nome alla Congregazione da lei fondata. È bello e possiamo fare nostro il suo proposito: “Dilatare il cuore per abbracciare tutte le creature sparse in ogni angolo della Terra, specialmente le più bisognose ed emarginate”. Vi invito a fare un applauso alla nuova beata!

Saluto cordialmente i pellegrini di lingua italiana. In particolare, i religiosi della Congregazione della Risurrezione, i Figli di Santa Maria Immacolata, le Suore Pastorelle, le Pie Discepole del Divin Maestro e le Suore di Carità di Nostra Signora del Buono e Perpetuo Soccorso, che celebrano i rispettivi Capitoli generali.

Sono lieto di accogliere le Ancelle Missionarie del Santissimo Sacramento, i fedeli della parrocchia di Santa Maria della Carità nella Diocesi di Sorrento-Castellammare e i bambini partecipanti al progetto “I Love sport” di Reggio Calabria.

Rivolgo un particolare pensiero ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Domani celebreremo la solennità dei Santi Pietro e Paolo: l’esempio e la protezione di questi due Apostoli sostengano ciascuno di noi nella sequela di Cristo. Alla loro intercessione affidiamo la cara popolazione Ucraina, perché presto trovi la pace: si soffre tanto, in Ucraina, non dimentichiamolo. A tutti la mia benedizione.

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UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 23 agosto 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 18. L’annuncio nella lingua materna: San Juan Diego, messaggero della Vergine di Guadalupe

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel nostro percorso alla riscoperta della passione per l’annuncio del Vangelo, per vedere come lo zelo apostolico, questa passione per annunciare il Vangelo si è sviluppata nella storia della Chiesa -, in questo percorso guardiamo oggi alle Americhe. Qui l’evangelizzazione ha una sorgente sempre viva: Guadalupe. È una sorgente viva. I messicani sono contenti! Certo, il Vangelo vi era giunto già prima di quelle apparizioni, ma purtroppo era stato accompagnato anche da interessi mondani. Anziché la via dell’inculturazione, era stata percorsa troppo spesso quella sbrigativa di trapiantare e imporre modelli precostituiti - europei, per esempio -, mancando di rispetto verso le popolazioni indigene. La Vergine di Guadalupe, invece, appare vestita con gli abiti degli autoctoni, parla la loro lingua, accoglie e ama la cultura del luogo: Maria è Madre e sotto il suo manto trova posto ogni figlio. In Lei, Dio si è fatto carne e, tramite Maria, continua a incarnarsi nella vita dei popoli. La Madonna, infatti, annuncia Dio nella lingua più adatta, cioè la lingua materna. E anche a noi la Madonna parla in lingua materna, quella che noi capiamo bene. Il Vangelo si trasmette nella lingua materna. E io vorrei dire grazie alle tante mamme e alle tante nonne che lo tramandano ai figli e ai nipoti: la fede passa con la vita, per questo le madri e le nonne sono le prime annunciatrici. Un applauso alle mamme e alle nonne! E il Vangelo si comunica, come mostra Maria, nella semplicità: sempre la Madonna sceglie i semplici, sulla collina del Tepeyac in Messico come a Lourdes e a Fatima: parlando a loro, parla a ciascuno, con un linguaggio adatto a tutti, con un linguaggio comprensibile, come quello di Gesù.

Soffermiamoci allora sulla testimonianza di San Juan Diego, che è il messaggero, è il ragazzo, è l’indigeno che ha ricevuto la rivelazione di Maria: il messaggero della Madonna di Guadalupe. Lui era una persona umile, un indio del popolo: su di lui si posa lo sguardo di Dio, che ama compiere prodigi attraverso i piccoli. Juan Diego era venuto alla fede già adulto e sposato. Nel dicembre del 1531 ha circa 55 anni. Mentre è in cammino, vede su un’altura la Madre di Dio, che teneramente lo chiama, e come lo chiama la Madonna? «mio piccolo figlio amatissimo Juanito» (Nican Mopohua, 23). Poi lo invia dal Vescovo a chiedere di costruire un tempio proprio lì, dov’era apparsa. Juan Diego, semplice e disponibile, va con la generosità del suo cuore puro, ma deve fare una lunga attesa. Finalmente parla al Vescovo, ma non viene creduto. A volte noi Vescovi… Incontra di nuovo la Madonna, che lo consola e gli chiede di riprovare. L’indio torna dal Vescovo e con grande fatica lo incontra, ma questi, dopo averlo ascoltato, lo congeda e manda degli uomini a seguirlo. Ecco la fatica, la prova dell’annuncio: nonostante lo zelo, arrivano gli imprevisti, a volte dalla Chiesa stessa. Per annunciare, infatti, non basta testimoniare il bene, occorre saper sopportare il male. Non dimentichiamo questo: è molto importante per annunciare il Vangelo non basta testimoniare il bene, ma occorre saper sopportare il male. Un cristiano fa il bene, ma sopporta il male. Ambedue vanno insieme, la vita è così. Anche oggi, in tanti luoghi, per inculturare il Vangelo ed evangelizzare le culture occorrono costanza e pazienza, occorre non temere i conflitti, non perdersi d’animo. Sto pensando a un Paese dove i cristiani sono perseguitati, perché sono cristiani e non possono praticare la loro religione bene e in pace. Juan Diego, scoraggiato, perché il Vescovo lo rimandava, chiede alla Madonna di dispensarlo e di incaricare qualcuno più stimato e capace di lui, ma viene invitato a perseverare. C’è sempre il rischio di una certa arrendevolezza nell’annuncio: una cosa non va e ci si tira indietro, scoraggiandosi e rifugiandosi magari nelle proprie certezze, in piccoli gruppi e in alcune devozioni intimistiche. La Madonna, invece, mentre ci consola, ci fa andare avanti e così ci fa crescere, come una buona madre che, mentre segue i passi del figlio, lo lancia nelle sfide del mondo.

Juan Diego, così incoraggiato, ritorna dal Vescovo che gli chiede un segno. La Madonna glielo promette, e lo conforta con questa parole: «Non si turbi il tuo volto, il tuo cuore: […] Non sto forse qui io, che sono tua madre?» (ibid., 118-119).È bello, questo, la Madonna tante volte quando siamo in desolazione, nella tristezza, nella difficoltà, lo dice anche a noi, nel cuore: «Non sto forse qui io che sono tua madre?»Sempre vicina per consolarci e darci la forza per andare avanti. Poi gli chiede di andare sull’arida sommità del colle a raccogliere dei fiori. È inverno ma, nonostante ciò, Juan Diego ne trova di bellissimi, li mette nel mantello e li offre alla Madre di Dio, la quale lo invita a portarli al Vescovo come prova. Lui va, attende il suo turno con pazienza e finalmente, al cospetto del Vescovo, apre la sua tilma;- che è quello che usavano gli indigeni per coprirsi - apre la sua tilma mostrando i fiori ed ecco: sul tessuto del mantello appare l’immagine della Madonna, quella straordinaria e viva che conosciamo noi, nei cui occhi sono ancora impressi i protagonisti di allora. Ecco la sorpresa di Dio: quando c’è disponibilità, quando c’è obbedienza, Egli può compiere qualcosa di inaspettato, nei tempi e nei modi che non possiamo prevedere. E così il santuario chiesto dalla Vergine viene costruito e oggi si può visitare.

Juan Diego lascia tutto e, col permesso del Vescovo, dedica la sua vita al santuario. Accoglie i pellegrini e li evangelizza. È quello che succede nei santuari mariani, meta di pellegrinaggi e luoghi di annuncio, dove ciascuno si sente a casa – perché è la casa della mamma, è la casa della madre - e prova la nostalgia di casa, cioè la nostalgia del luogo in cui sta la Madre, il Cielo. Lì la fede si accoglie in modo semplice, la fede si accoglie in modo genuino, in modo popolare, e la Madonna, come disse a Juan Diego, ascolta i nostri pianti e cura le nostre pene (cfr ibid., 32). Impariamo questo: quando ci sono difficoltà nella vita, andiamo dalla Madre; e quando la vita è felice, andiamo dalla Madre a condividere anche questo. Abbiamo bisogno di recarci in queste oasi di consolazione e di misericordia, dove la fede si esprime in lingua materna; dove si depongono le fatiche della vita tra le braccia della Madonna e si torna a vivere con la pace nel cuore, forse con la pace dei bambini.

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Saluti

[Saluto cordialmente i Polacchi. Fra qualche giorno celebrerete la solennità della Beata Vergine Maria di Częstochowa. Colei verso la quale i fedeli si recano in pellegrinaggio come alla casa della loro amata madre sia per voi un modello nell’ascoltare e nel meditare umilmente le parole di Gesù Cristo. Così testimonierete concretamente l’amore verso il prossimo, in particolare alla popolazione ucraina che soffre per la guerra. Vi benedico di cuore.]

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Saluto cordialmente i pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli di Melizzano e l’unità pastorale di Gallio, accompagnata dall’Arcivescovo Mons. Giampiero Gloder.

Rivolgo ora un pensiero ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. L’esempio dell’apostolo San Bartolomeo, la cui festa celebreremo domani, vi aiuti ad essere sinceri testimoni di Gesù e a sopportare con fede le sofferenze, pensando a quelle patite dagli apostoli del Vangelo. All’intercessione di San Bartolomeo affidiamo anche la cara Ucraina, così duramente provata dalla guerra. Fratelli e sorelle, preghiamo per i nostri fratelli e sorelle ucraini: soffrono tanto. La guerra è crudele! Tanti bambini spariti, tanta gente morta. Preghiamo, per favore! Non dimentichiamo la martoriata Ucraina. Oggi è una data significativa per il loro Paese.

A tutti voi la mia benedizione.




UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 30 agosto 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 19. Pregare e servire con gioia: Kateri Tekakwitha, prima santa nativa nordamericana 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Adesso, proseguendo la nostra catechesi sul tema dello zelo apostolico e della passione per l’annuncio del Vangelo, guardiamo oggi a Santa Kateri Tekakwitha, la prima donna nativa del Nord America ad essere canonizzata. Nata intorno all’anno 1656 in un villaggio nella parte alta dello Stato di New York, era figlia di un capo Mohawk non battezzato e di madre cristiana Algonchina, la quale insegnò a Kateri a pregare e a cantare inni a Dio. Anche molti di noi siamo stati presentati al Signore per la prima volta in ambito familiare, soprattutto dalle nostre mamme e nonne. Così inizia l’evangelizzazione e anzi, non dimentichiamo questo, che la fede sempre è trasmessa in dialetto dalle mamme, dalle nonne. La fede va trasmessa in dialetto e noi l’abbiamo ricevuta in questo dialetto dalle mamme e dalle nonne. L’evangelizzazione spesso inizia così: con gesti semplici, piccoli, come i genitori che aiutano i figli a imparare a parlare con Dio nella preghiera e che raccontano loro il suo amore grande e misericordioso. E le basi della fede per Kateri, e spesso anche per noi, sono state poste in questo modo. Lei l’aveva ricevuta dalla mamma in dialetto, il dialetto della fede.

Quando Kateri aveva quattro anni, una grave epidemia di vaiolo colpì il suo popolo. Sia i suoi genitori che il fratello minore morirono e la stessa Kateri rimase con cicatrici sul viso e problemi di vista. Da quel momento in poi Kateri dovette affrontare molte difficoltà: certamente quelle fisiche per gli effetti del vaiolo, ma anche le incomprensioni, le persecuzioni e perfino le minacce di morte che subì in seguito al suo Battesimo, la domenica di Pasqua del 1676. Tutto ciò diede a Kateri un grande amore per la croce, segno definitivo dell’amore di Cristo, che si è donato fino alla fine per noi. La testimonianza del Vangelo, infatti, non riguarda solo ciò che è piacevole; dobbiamo anche saper portare con pazienza, con fiducia e speranza le nostre croci quotidiane. La pazienza, davanti alle difficoltà, alle croci: la pazienza è una grande virtù cristiana. Chi non ha pazienza non è un buon cristiano. La pazienza di tollerare: tollerare le difficoltà e anche tollerare gli altri, che alle volte sono noiosi o ti mettono difficoltà … La vita di Kateri Tekakwitha ci mostra che ogni sfida può essere vinta se apriamo il cuore a Gesù, che ci concede la grazia di cui abbiamo bisogno: pazienza e cuore aperto a Gesù, questa è una ricetta per vivere bene.

Dopo essere stata battezzata, Kateri dovette rifugiarsi tra i Mohawk nella missione dei Gesuiti vicino alla città di Montreal. Lì partecipava alla Messa ogni mattina, dedicava tempo all’adorazione davanti al Santissimo Sacramento, pregava il Rosario e viveva una vita di penitenza. Queste sue pratiche spirituali impressionavano tutti alla Missione; riconobbero in Kateri una santità che attraeva perché nasceva dal suo profondo amore per Dio. È proprio della santità, attrarre. Dio ci chiama per attrazione, ci chiama con questa voglia di essere vicino a noi e lei ha sentito questa grazia dell’attrazione divina. Allo stesso tempo, insegnava ai bambini della Missione a pregare e, attraverso il costante adempimento delle sue responsabilità, compresa la cura dei malati e degli anziani, offrì un esempio di servizio umile e amorevole a Dio e al prossimo. Sempre la fede si esprime nel servizio. La fede non è per truccare sé stessi, l’anima: no; è per servire.

Sebbene fosse incoraggiata a sposarsi, Kateri voleva invece dedicare completamente la sua vita a Cristo. Impossibilitata ad entrare nella vita consacrata, emise voto di verginità perpetua il 25 marzo 1679. Questa sua scelta rivela un altro aspetto dello zelo apostolico che lei aveva: la dedizione totale al Signore. Certo, non tutti sono chiamati a fare lo stesso voto di Kateri; tuttavia, ogni cristiano è chiamato ogni giorno a impegnarsi con cuore indiviso nella vocazione e nella missione affidatagli da Dio, servendo Lui e il prossimo in spirito di carità.

Cari fratelli e sorelle, la vita di Kateri è un’ulteriore testimonianza del fatto che lo zelo apostolico implica sia un’unione con Gesù, alimentata dalla preghiera e dai Sacramenti, sia il desiderio di diffondere la bellezza del messaggio cristiano attraverso la fedeltà alla propria vocazione particolare. Le ultime parole di Kateri sono bellissime. Prima di morire ha detto: “Gesù, ti amo”.

Anche noi, dunque, traendo forza dal Signore, come ha fatto Santa Kateri Tekakwitha, impariamo a compiere le azioni ordinarie in modo straordinario e così a crescere ogni giorno nella fede, nella carità e nella zelante testimonianza di Cristo.

Non dimentichiamoci: ognuno di noi è chiamato alla santità, alla santità di tutti i giorni, alla santità della vita cristiana comune. Ognuno di noi ha questa chiamata: andiamo avanti su questa strada. Il Signore non ci mancherà.

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Saluti

Saluto con affetto i pellegrini di lingua italiana. In particolare, i cresimati della diocesi di Chiavari. Cari ragazzi, da poco avete ricevuto l’effusione dello Spirito Santo, impegnatevi a trovare quotidianamente la forza e il coraggio in Dio. Accolgo con piacere la parrocchia di San Giovanni apostolo in Barletta, che celebra il 25° anniversario di istituzione: questa ricorrenza rafforzi in ciascuno lo spirito di fede e di comunione ecclesiale. Saluto inoltre il complesso bandistico di Castelvenere e li ringrazio per il loro impegno culturale e sociale.

Rivolgo un pensiero ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Solo Cristo ha parole di vita eterna: vi auguro pertanto di seguirlo sempre con cuore aperto ed entusiasta e di testimoniarlo ogni giorno della vostra vita.

E per favore, rinnoviamo la nostra vicinanza e la nostra preghiera per la cara e martoriata Ucraina, così provata da grande sofferenza.

A tutti voi la mia benedizione.



Caterina63
00mercoledì 13 settembre 2023 17:28


UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 13 settembre 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 20. Il Beato José Gregorio Hernández Cisneros, medico dei poveri e apostolo di pace

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nelle nostre catechesi, continuiamo a incontrare dei testimoni appassionati dell’annuncio del Vangelo. Ricordiamo che questa è una serie di catechesi sullo zelo apostolico, sulla volontà e anche l’ardore interiore per portare avanti il Vangelo. Oggi andiamo in America Latina, precisamente in Venezuela, per conoscere la figura di un laico, il Beato José Gregorio Hernández Cisneros. Nacque nel 1864 e apprese la fede soprattutto dalla madre, come raccontò: «Mia madre mi ha insegnato la virtù fin dalla culla, mi ha fatto crescere nella conoscenza di Dio e mi ha dato per guida la carità». Siamo attenti: sono le mamme a trasmettere la fede. La fede si trasmette in dialetto, cioè con il linguaggio delle mamme, quel dialetto che le mamme sanno parlare con i figli. E a voi mamme: state attente nel trasmettere la fede in quel dialetto materno.

Veramente la carità fu la stella polare che orientò l’esistenza del Beato José Gregorio: persona buona e solare, dal carattere lieto, era dotato di una spiccata intelligenza; divenne medico, professore universitario e scienziato. Ma fu anzitutto un dottore vicino ai più deboli, tanto da essere conosciuto in patria come “il medico dei poveri”. Accudiva i poveri, sempre. Alla ricchezza del denaro preferì quella del Vangelo, spendendo l’esistenza per soccorrere i bisognosi. Nei poveri, negli ammalati, nei migranti, nei sofferenti, José Gregorio vedeva Gesù. E il successo che mai ricercò nel mondo lo ricevette, e continua a riceverlo, dalla gente, che lo chiama “santo del popolo”, “apostolo della carità”, “missionario della speranza”. Bei nomi: “Santo del popolo”, “apostolo della carità”, “missionario della speranza”.

José Gregorio era un uomo umile, un uomo gentile e disponibile. E al tempo stesso era mosso da un fuoco interiore, dal desiderio di vivere al servizio di Dio e del prossimo. Spinto da questo ardore, diverse volte provò a diventare religioso e sacerdote, ma vari problemi di salute glielo impedirono. La fragilità fisica non lo portò però a chiudersi in sé stesso, ma a diventare un medico ancora più sensibile alle necessità altrui; si strinse alla Provvidenza e, forgiato nell’animo, andò maggiormente all’essenziale. Ecco lo zelo apostolico: non segue le proprie aspirazioni, ma la disponibilità ai disegni di Dio. E così il Beato comprese che, attraverso la cura dei malati, avrebbe messo in pratica la volontà di Dio, soccorrendo i sofferenti, dando speranza ai poveri, testimoniando la fede non a parole ma con l’esempio. Arrivò così – per questa strada interiore - ad accogliere la medicina come un sacerdozio: «il sacerdozio del dolore umano» (M. Yaber, José Gregorio Hernández: Médico de los Pobres, Apóstol de la Justicia Social, Misionero de las Esperanzas, 2004, 107). Quanto è importante non subire passivamente le cose, ma, come dice la Scrittura, fare ogni cosa di buon animo, per servire il Signore (cfr Col 3,23).

Ma chiediamoci: da dove veniva a José Gregorio tutto questo entusiasmo, tutto questo zelo? Venivada una certezza e da una forzaLa certezza era la grazia di Dio. Egli scrisse che «se nel mondo ci sono buoni e cattivi, i cattivi ci sono perché loro stessi son diventati cattivi: ma i buoni sono tali con l’aiuto di Dio» (27 maggio 1914). E Lui per primo si sentiva bisognoso di grazia, che mendicava sulle strade e aveva estremo bisogno dell’amore. Ed ecco la forza a cui attingeva: l’intimità con Dio. Era un uomo di preghiera - c’è la grazia di Dio e l’intimità con il Signore - era un uomo di preghiera che partecipava alla Messa.

E a contatto con Gesù, che si offre sull’altare per tutti, José Gregorio si sentì chiamato a offrire la sua vita per la pace. Il primo conflitto mondiale era in corso. Arriviamo così al 29 giugno 1919: un amico gli fa visita e lo trova molto felice. José Gregorio ha infatti saputo che è stato firmato il trattato che pone termine alla guerra. La sua offerta è stata accolta, ed è come se lui presagisca che il suo compito in terra sia terminato. Quella mattina, come al solito, era stato a Messa e ora scende in strada per portare una medicina a un malato. Ma, mentre attraversa la strada, viene investito da un veicolo; portato in ospedale, muore pronunciando il nome della Madonna. Il suo cammino terreno si conclude così, su una strada mentre compie un’opera di misericordia, e in un ospedale, dove aveva fatto del suo lavoro un capolavoro come medico.

Fratelli, sorelle, al cospetto di questo testimone chiediamoci: io, davanti a Dio presente nei poveri vicino a me, di fronte a chi nel mondo più soffre, come reagisco? E l’esempio di José Gregorio come tocca a me? Lui ci stimola all’impegno dinanzi alle grandi questioni sociali, economiche e politiche di oggi. Tanti ne parlano, tanti ne sparlano, tanti criticano e dicono che va tutto male. Ma il cristiano non è chiamato a questo, bensì a occuparsene, a sporcarsi le mani: anzitutto, come ci ha detto San Paolo, a pregare (cfr 1 Tm 2,1-4), e poi a impegnarsi non in chiacchiere - il chiacchiericcio è una peste - ma a promuovere il bene e a costruire la pace e la giustizia nella verità. Anche questo è zelo apostolico, è annuncio del Vangelo, e questo è beatitudine cristiana: «beati gli operatori di pace» (Mt 5,9). Andiamo avanti sulla strada del Beato Gregorio: un laico, un medico, un uomo di lavoro quotidiano che lo zelo apostolico ha spinto a vivere facendo la carità durante tutta la vita.

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Saluti

Pozdrawiam serdecznie Polaków, a w szczególny sposób arcybiskupa Adama Szala, który wraz z delegacją przywiózł do Rzymu relikwie nowych błogosławionych męczenników: Józefa i Wiktorii Ulmów i ich siedmiorga dzieci. Niech ta Rodzina Błogosławionych będzie dla was i dla polskich rodzin wzorem pobożności do Najświętszego Serca Pana Jezusa, którego obraz, jaki dzisiaj pobłogosławię, będziecie czcili w czasie peregrynacji w waszej archidiecezji. Wszystkim wam błogosławię.

[Saluto cordialmente i Polacchi e in modo particolare l'arcivescovo Adam Szal, che con una delegazione ha portato a Roma le reliquie dei nuovi martiri beati: Giuseppe e Wiktoria Ulma e i loro sette figli. Possa questa Famiglia di Beati essere per voi e per le famiglie polacche un modello di devozione al Sacro Cuore di Gesù, la cui immagine, che oggi benedirò, porterete in pellegrinaggio nella vostra Arcidiocesi. A tutti la mia Benedizione.]

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APPELLO

Il mio pensiero va alle popolazioni della Libia, duramente colpite da violente piogge, che hanno provocato allagamenti e inondazioni, causando numerosi morti e feriti, come anche ingenti danni. Vi invito ad unirvi alla mia preghiera per quanti hanno perso la vita, per i loro familiari e per gli sfollati. Non manchi la nostra solidarietà verso questi fratelli e sorelle, provati da così devastante calamità. E il mio pensiero va ancora al nobile popolo marocchino che ha sofferto queste scosse della terra, questi terremoti. Preghiamo per il Marocco, preghiamo per gli abitanti. Che il Signore dia loro la forza di riprendersi dopo questo terribile “agguato” che è passato sulla loro terra.

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare alle Suore Serve dei Poveri, auspicando che il Capitolo generale rinnovi il loro slancio apostolico al servizio del Vangelo.

Sono lieto di accogliere il Gruppo AVIS di Vallecorsa, il Gruppo volontariato Love Bridges, i militari di Motta di Lavenza e di Portogruaro: incoraggio ciascuno nelle rispettive attività al servizio del prossimo.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Domani la Chiesa celebra la festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Non stanchiamoci di essere fedeli alla Croce di Cristo, segno di amore e di salvezza.

E per favore, fratelli e sorelle, continuiamo a pregare per la pace nel mondo, specialmente nella martoriata Ucraina, le cui sofferenze sono sempre presenti alla nostra mente e al nostro cuore.

A tutti voi la mia Benedizione.





UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 20 settembre 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 21. San Daniele Comboni, apostolo per l’Africa e profeta della missione

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel cammino di catechesi sulla passione evangelizzatrice, cioè lo zelo apostolico, oggi ci soffermiamo oggi sulla testimonianza di San Daniele Comboni. Egli è stato un apostolo pieno di zelo per l’Africa. Di quei popoli scrisse: «si sono impadroniti del mio cuore che vive soltanto per loro» (Scritti, 941), «morirò con l’Africa sulle mie labbra» (Scritti, 1441). È bello! … E a loro si rivolse così: «il più felice dei miei giorni sarà quello in cui potrò dare la vita per voi» (Scritti, 3159). Questa è l’espressione di una persona innamorata di Dio e dei fratelli che serviva in missione, a proposito dei quali non si stancava di ricordare che «Gesù Cristo patì e morì anche per loro» (Scritti, 2499; 4801).

Lo affermava in un contesto caratterizzato dall’orrore della schiavitù, di cui era testimone. La schiavitù “cosifica” l’uomo, il cui valore si riduce all’essere utile a qualcuno o a qualcosa. Ma Gesù, Dio fatto uomo, ha elevato la dignità di ogni essere umano e ha smascherato la falsità di ogni schiavitù. Comboni, alla luce di Cristo, prese consapevolezza del male della schiavitù; capì, inoltre, che la schiavitù sociale si radica in una schiavitù più profonda, quella del cuore, quella del peccato, dalla quale il Signore ci libera. Da cristiani, dunque, siamo chiamati a combattere contro ogni forma di schiavitù. Purtroppo, però, la schiavitù, così come il colonialismo, non è un ricordo del passato, purtroppo. Nell’Africa tanto amata da Comboni, oggi dilaniata da molti conflitti, «dopo quello politico, si è scatenato (…) un “colonialismo economico”, altrettanto schiavizzante (…). È un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca». Rinnovo dunque il mio appello: «Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare» (Incontro con le Autorità, Kinshasa, 31 gennaio 2023).

E torniamo alla vicenda di San Daniele. Trascorso un primo periodo in Africa, dovette lasciare la missione per motivi di salute. Troppi missionari erano morti dopo aver contratto malattie, complice la poca conoscenza della realtà locale. Tuttavia, se altri abbandonavano l’Africa, non così Comboni. Dopo un tempo di discernimento, avvertì che il Signore gli ispirava una nuova via di evangelizzazione, che lui sintetizzò in queste parole: «Salvare l’Africa con l’Africa» (Scritti, 2741s). È un’intuizione potente, niente di colonialismo, in questo: è un’intuizione potente che contribuì a rinnovare l’impegno missionario: le persone evangelizzate non erano solo “oggetti”, ma “soggetti” della missione. E San Daniele Comboni desiderava rendere tutti i cristiani protagonisti dell’azione evangelizzatrice. E con quest’animo pensò e agì in modo integrale, coinvolgendo il clero locale e promuovendo il servizio laicale dei catechisti. I catechisti sono un tesoro della Chiesa: i catechisti sono coloro che vanno avanti nell’evangelizzazione. Concepì così anche lo sviluppo umano, curando le arti e le professioni, favorendo il ruolo della famiglia e della donna nella trasformazione della cultura e della società. E quanto è importante, anche oggi, far progredire la fede e lo sviluppo umano dall’interno dei contesti di missione, anziché trapiantarvi modelli esterni o limitarsi a uno sterile assistenzialismo! Né modelli esterni né assistenzialismo. Prendere dalla cultura dei popoli la strada per fare l’evangelizzazione. Evangelizzare la cultura e inculturare il Vangelo: vanno insieme.

La grande passione missionaria di Comboni, tuttavia, non è stata principalmente frutto di impegno umano: egli non fu spinto dal suo coraggio o motivato solo da valori importanti, come la libertà, la giustizia e la pace; il suo zelo è nato dalla gioia del Vangelo, attingeva all’amore di Cristo e portava all’amore per Cristo! San Daniele scrisse: «Una missione così ardua e laboriosa come la nostra non può vivere di patina, di soggetti dal collo storto pieni di egoismo e di sé stessi, che non curano come si deve la salute e conversione delle anime». Questo è il dramma del clericalismo, che porta i cristiani, anche i laici, a clericalizzarsi e a trasformarli – come dice qui – in soggetti dal collo storto pieni di egoismo. Questa è la peste del clericalismo. E aggiunse: «bisogna accenderli di carità, che abbia la sua sorgente da Dio, e dall’amore di Cristo; e quando si ama davvero Cristo, allora sono dolcezze le privazioni, i patimenti e il martirio» (Scritti, 6656). Il suo desiderio era quello di vedere missionari ardenti, gioiosi, impegnati: missionari – scrisse – «santi e capaci. […] Primo: santi, cioè alieni dal peccato e umili. Ma non basta: ci vuole carità che fa capaci i soggetti» (Scritti, 6655). La fonte della capacità missionaria, per Comboni, è dunque la carità, in particolare lo zelo nel fare proprie le sofferenze altrui.

La sua passione evangelizzatrice, inoltre, non lo portò mai ad agire da solista, ma sempre in comunione, nella Chiesa. «Io non ho che la vita da consacrare alla salute di quelle anime – scrisse – ne vorrei avere mille per consumarle a tale scopo» (Scritti, 2271).

Fratelli e sorelle, San Daniele testimonia l’amore del buon Pastore, che va a cercare chi è perduto e dà la vita per il gregge. Il suo zelo è stato energico e profetico nell’opporsi all’indifferenza e all’esclusione. Nelle lettere richiamava accoratamente la sua amata Chiesa, che per troppo tempo aveva dimenticato l’Africa. Il sogno di Comboni è una Chiesa che fa causa comune con i crocifissi della storia, per sperimentare con loro la risurrezione. Io, in questo momento, vi do un suggerimento. Pensate ai crocifissi della storia di oggi: uomini, donne, bambini, vecchi che sono crocifissi da storie di ingiustizia e di dominazione. Pensiamo a loro e preghiamo. La sua testimonianza sembra ripetere a tutti noi, uomini e donne di Chiesa: “Non dimenticate i poveri, amateli, perché in loro è presente Gesù crocifisso, in attesa di risorgere”. Non dimenticate i poveri: prima di venire qui, ho avuto una riunione con legislatori brasiliani che lavorano per i poveri, che cercano di promuovere i poveri con l’assistenza e la giustizia sociale. E loro non dimenticano i poveri: lavorano per i poveri. A voi dico: non dimenticatevi dei poveri, perché saranno loro ad aprirvi la porta del Cielo.

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Saluti

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Missionari della fede e le Missionarie della Società di Maria, che celebrano i rispettivi Capitoli Generali: su di voi invoco la continua protezione di Dio e della Vergine Santa per un sempre più fecondo servizio al Vangelo e alla Chiesa. Saluto i partecipanti al Corso di aggiornamento teologico promosso dalla Pontificia Università della Santa Croce, come pure gli studenti del Pontificio Collegio Messicano e del Collegio internazionale Maria Mater Ecclesiae. Auguro a ciascuno un sereno e proficuo periodo di formazione a Roma.

Sono lieto di accogliere i fedeli della parrocchia di San Pietro Apostolo in Modugno, che incoraggio ad essere pietre vive della comunità, e l’Associazione Emiliano-Romagnola “Centri Autonomi”.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati, agli anziani e agli sposi novelli. Oggi celebriamo la memoria di Sant’Andrea Kim, Paolo Chông e compagni martiri coreani. Il loro eroico esempio sia per tutti voi fonte di sostegno nel compiere scelte impegnative e sia di conforto nei momenti difficili.

E oggi vi esorto anche a rivolgere un pensiero al Presidente Napolitano, che è in condizione grave di salute: che lui abbia conforto, questo servitore della Patria.

Restiamo uniti nella vicinanza e nella preghiera per la cara e martoriata Ucraina. A tutti voi la mia Benedizione.




UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 11 ottobre 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 22. Santa Giuseppina Bakhita: testimone della forza trasformatrice del perdono di Cristo

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel cammino di catechesi sullo zelo apostolico – stiamo riflettendo sullo zelo apostolico –, oggi ci lasciamo ispirare dalla testimonianza di Santa Giuseppina Bakhita, una santa sudanese. Purtroppo da mesi il Sudan è lacerato da un terribile conflitto armato di cui oggi si parla poco; preghiamo per il popolo sudanese, perché possa vivere in pace! Ma la fama di Santa Bakhita ha superato ogni confine e ha raggiunto tutti coloro a cui viene rifiutata identità e dignità.

Nata in Darfur – il martoriato Darfur! – nel 1869, è stata rapita dalla sua famiglia all’età di sette anni e fatta schiava. I suoi rapitori la chiamarono “Bakhita”, che significa “fortunata”. È passata attraverso otto padroni – uno vendeva all’altro ... Le sofferenze fisiche e morali di cui è stata vittima da piccola l’hanno lasciata senza identità. Ha subito cattiverie e violenze: sul suo corpo portava più di cento cicatrici. Ma lei stessa ha testimoniato: “Da schiava non mi sono mai disperata, perché sentivo una forza misteriosa che mi sosteneva”.

Davanti a questo io mi domando: qual è il segreto di Santa Bakhita? Sappiamo che spesso la persona ferita ferisce a sua volta; l’oppresso diventa facilmente un oppressore. Invece, la vocazione degli oppressi è quella di liberare sé stessi e gli oppressori diventando restauratori di umanità. Solo nella debolezza degli oppressi si può rivelare la forza dell’amore di Dio che libera entrambi. Santa Bakhita esprime benissimo questa verità. Un giorno il suo tutore le regala un piccolo crocifisso, e lei, che non aveva mai posseduto nulla, lo conserva come un tesoro geloso. Guardandolo sperimenta una liberazione interiore perché si sente compresa e amata e quindi capace di comprendere e amare: questo è l’inizio. Si sente compresa, si sente amata di conseguenza capace di comprendere e amare gli altri. Infatti lei dirà: “L’amore di Dio mi ha sempre accompagnato in modo misterioso… Il Signore mi ha voluto tanto bene: bisogna voler bene a tutti… Bisogna compatire!”. Questa è l’anima di Bakhita. Davvero, com-patire significa sia patire con le vittime di tanta disumanità presente nel mondo, e anche compatire chi commette errori e ingiustizie, non giustificando, ma umanizzando. Questa è la carezza che lei ci insegna: umanizzare. Quando entriamo nella logica della lotta, della divisione tra noi, dei sentimenti cattivi, uno contro l’altro, perdiamo umanità. E tante volte pensiamo che abbiamo bisogno di umanità, di essere più umani. E questo è il lavoro che ci insegna Santa Bakhita: umanizzare, umanizzare noi stessi e umanizzare gli altri.

Santa Bakhita, diventata cristiana, viene trasformata dalle parole di Cristo che meditava quotidianamente: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Per questo diceva: “Se Giuda avesse chiesto perdono a Gesù anche lui avrebbe trovato misericordia”. Possiamo dire che la vita di Santa Bakhita è diventata una parabola esistenziale del perdono. Che bello dire di una persona “è stato capace, è stata capace di perdonare sempre”. E lei è stata capace di farlo sempre, anzi: la sua vita è una parabola esistenziale del perdono. Perdonare perché poi noi saremo perdonati. Non dimenticare questo: il perdono, che è la carezza di Dio a tutti noi.

Il perdono l’ha resa libera. Il perdono prima ricevuto attraverso l’amore misericordioso di Dio, e poi il perdono dato l’ha resa una donna libera, gioiosa, capace di amare.

Bakhita ha potuto vivere il servizio non come una schiavitù, ma come espressione del dono libero di sé. E questo è molto importante: fatta serva volontariamente – è stata venduta come schiava – ha poi scelto liberamente di farsi serva, di portare sulle sue spalle i fardelli degli altri.

Santa Giuseppina Bakhita, con il suo esempio, ci indica la via per essere finalmente liberi dalle nostre schiavitù e paure. Ci aiuta a smascherare le nostre ipocrisie e i nostri egoismi, a superare risentimenti e conflittualità. E ci incoraggia sempre.

Cari fratelli e sorelle, il perdono non toglie nulla ma aggiunge – che cosa aggiunge, il perdono? – dignità: il perdono non ti toglie nulla ma aggiunge dignità alla persona, fa levare lo sguardo da se stessi verso gli altri, per vederli sì fragili quanto noi, ma sempre fratelli e sorelle nel Signore. Fratelli e sorelle, il perdono è sorgente di uno zelo che si fa misericordia e chiama a una santità umile e gioiosa, come quella di Santa Bakhita.

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Saluti

APPELLI

Continuo a seguire con lacrime e apprensione quanto sta succedendo in Israele e Palestina: tante persone uccise, altre ferite. Prego per quelle famiglie che hanno visto trasformare un giorno di festa in un giorno di lutto e chiedo che gli ostaggi vengano subito rilasciati. È diritto di chi è attaccato difendersi, ma sono molto preoccupato per l’assedio totale in cui vivono i palestinesi a Gaza, dove pure ci sono state molte vittime innocenti. Il terrorismo e gli estremismi non aiutano a raggiungere una soluzione al conflitto tra Israeliani e Palestinesi, ma alimentano l’odio, la violenza, la vendetta, e fanno solo soffrire gli uni e gli altri. Il Medio Oriente non ha bisogno di guerra, ma di pace, di una pace costruita sulla giustizia, sul dialogo e sul coraggio della fraternità.

Rivolgo un pensiero speciale alla popolazione dell’Afghanistan, che sta soffrendo a seguito del devastante terremoto che l’ha colpita, provocando migliaia di vittime, tra cui molte donne e bambini, e di sfollati. Invito tutte le persone di buona volontà ad aiutare questo popolo già così tanto provato, contribuendo, in spirito di fraternità, ad alleviare le sofferenze della gente e a sostenere la necessaria ricostruzione.

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, cominciando dai fedeli delle diocesi di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino e di Montepulciano-Chiusi-Pienza, accompagnati dal Cardinale Paolo Lojudice: cari amici, grazie della vostra presenza! Vi incoraggio a seguire l’esempio di Santa Caterina e Sant’Agnese da Montepulciano, diventando protagonisti di bene nelle vostre comunità. Saluto altresì i numerosi gruppi parrocchiali, specialmente quelli di Volturino e di Gragnano: Si fanno sentire questi!

Accolgo con particolare affetto e riconoscenza le Associazioni Anziani di diverse località: non dimentichiamo che gli anziani sono un dono prezioso nella società; allo loro scuola si apprende la fede genuina e la sapienza della vita. Saluto il gruppo Area medica della pastorale della salute della diocesi di Roma, che si occupa delle malattie reumatiche; la Delegazione del Comune di Cervia, che ringrazio per il consueto dono del sale; gli Scout Agesci di Torremaggiore.

Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli. Vi invito a rivolgere il pensiero a Maria, invocata in questo mese di ottobre come Regina del Rosario. Per favore, perseverate insieme con Lei nella preghiera per quanti soffrono la fame, le ingiustizie e la guerra, specialmente per la cara e martoriata Ucraina. A tutti la mia Benedizione!


Caterina63
00giovedì 26 ottobre 2023 08:25


UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 18 ottobre 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 23. San Charles de Foucauld, cuore pulsante di carità nella vita nascosta

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Proseguiamo nel nostro incontro con alcuni cristiani testimoni, ricchi di zelo nell’annuncio del Vangelo. Lo zelo apostolico, lo zelo per l’annuncio: noi stiamo passando in rassegna alcuni cristiani che sono stati esempio di questo zelo apostolico. Oggi vorrei parlarvi di un uomo che ha fatto di Gesù e dei fratelli più poveri la passione della sua vita. Mi riferisco a san Charles de Foucauld il quale, «a partire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti» (Lett. enc. Fratelli tutti, 286).

E qual è stato il “segreto” di Charles de Foucauld, della sua vita? Egli, dopo aver vissuto una gioventù lontana da Dio, senza credere in nulla se non alla ricerca disordinata del piacere, lo confida a un amico non credente, a cui, dopo essersi convertito accogliendo la grazia del perdono di Dio nella Confessione, rivela la ragione del suo vivere. Scrive: «Ho perso il mio cuore per Gesù di Nazaret» [1]. Fratel Carlo ci ricorda così che il primo passo per evangelizzare è aver Gesù dentro il cuore, è “perdere la testa” per Lui. Se ciò non avviene, difficilmente riusciamo a mostrarlo con la vita. Rischiamo invece di parlare di noi stessi, del nostro gruppo di appartenenza, di una morale o, peggio ancora, di un insieme di regole, ma non di Gesù, del suo amore, della sua misericordia. Questo io lo vedo in qualche movimento nuovo che sta sorgendo: parlano della loro visione dell’umanità, parlano della loro spiritualità e loro si sentono una strada nuova… Ma perché non parlate di Gesù? Parlano di tante cose, di organizzazione, di cammini spirituali, ma non sanno parlare di Gesù. Credo che oggi sarebbe bello che ognuno di noi si domandi: Io, ho Gesù al centro del cuore? Ho perso un po’ la testa per Gesù?

Charles sì, al punto che passa dall’ attrazione per Gesù all’ imitazione di Gesù. Consigliato dal suo confessore, va in Terra santa per visitare i luoghi in cui il Signore ha vissuto e per camminare dove il Maestro ha camminato. In particolare è a Nazaret che comprende di doversi formare alla scuola di Cristo. Vive un rapporto intenso con il Signore, passa lunghe ore a leggere i Vangeli e si sente suo piccolo fratello. E conoscendo Gesù, nasce in lui il desiderio di farlo conoscere. Sempre succede così: quando ognuno di noi conosce di più Gesù, nasce il desiderio di farlo conoscere, di condividere questo tesoro. Nel commentare il racconto della visita della Madonna a Sant’Elisabetta, Gli fa dire: «Mi sono donato al mondo… portatemi al mondo». Sì, ma come fare? Come Maria nel mistero della Visitazione: «in silenzio, con l’esempio, con la vita» [2]. Con la vita, perché «tutta la nostra esistenza – scrive fratel Carlo – deve gridare il Vangelo»  [3]. E tante volte la nostra esistenza grida mondanità, grida tante cose stupide, cose strane e lui dice: “No, tutta la nostra esistenza deve gridare il Vangelo”.

Egli allora decide di stabilirsi in regioni lontane per gridare il Vangelo nel silenzio, vivendo nello spirito di Nazaret, in povertà e nascondimento. Va nel deserto del Sahara, tra i non cristiani, e lì giunge come amico e fratello, portando la mitezza di Gesù-Eucarestia. Charles lascia che sia Gesù ad agire silenziosamente, convinto che la “vita eucaristica” evangelizzi. Crede infatti che Cristo è il primo evangelizzatore. Così sta in preghiera ai piedi di Gesù, davanti al tabernacolo, per una decina di ore al giorno, certo che la forza evangelizzatrice sta lì e sentendo che è Gesù a portarlo vicino a tanti fratelli lontani. E noi, mi chiedo, crediamo nella forza dell’Eucarestia? Il nostro andare verso gli altri, il nostro servizio, trova lì, nell’adorazione, il suo inizio e il suo compimento? Sono convinto che noi abbiamo perso il senso dell’adorazione; dobbiamo riprenderlo, incominciando da noi consacrati, i vescovi, i sacerdoti, le suore e tutti i consacrati. “Perdere” tempo davanti al tabernacolo, riprendere il senso dell’adorazione.

Charles de Foucauld scrisse: «Ogni cristiano è apostolo» [4]; e ricorda a un amico che «vicino ai preti ci vogliono dei laici che vedono quello che il prete non vede, che evangelizzano con una vicinanza di carità, con una bontà per tutti, con un affetto sempre pronto a donarsi»  [5]. I laici santi, non arrampicatori. E quei laici, quel laico, quella laica che sono innamorati di Gesù fanno capire al prete che lui non è un funzionario, che lui è un mediatore, un sacerdote. Quanto bisogno abbiamo noi sacerdoti di avere accanto a noi questi laici che credono sul serio e con la loro testimonianza ci insegnano la strada. Charles de Foucauld con questa esperienza anticipa i tempi del  Concilio Vaticano II, intuisce l’importanza dei laici e comprende che l’annuncio del Vangelo spetta all’intero popolo di Dio. Ma come possiamo accrescere questa partecipazione? Come ha fatto Charles de Foucauld: mettendoci in ginocchio e accogliendo l’azione dello Spirito, che sempre suscita modi nuovi per coinvolgere, incontrare, ascoltare e dialogare, sempre nella collaborazione e nella fiducia, sempre in comunione con la Chiesa e con i pastori.

San Charles de Foucauld, figura che è profezia per il nostro tempo, ha testimoniato la bellezza di comunicare il Vangelo attraverso  l’apostolato della mitezza: lui, che si sentiva “fratello universale” e accoglieva tutti, ci mostra la forza evangelizzatrice della mitezza, della tenerezza. Non dimentichiamo che lo stile di Dio sta in tre parole: vicinanza, compassione e tenerezza. Dio è sempre vicino, sempre è compassionevole, sempre è tenero. E la testimonianza cristiana deve andare per questa strada: di vicinanza, di compassione, di tenerezza. E lui era così, mite e tenero. Desiderava che chiunque lo incontrasse vedesse, attraverso la sua bontà, la bontà di Gesù. Diceva di essere, infatti, «servitore di uno che è molto più buono di me»  [6]. Vivere la bontà di Gesù lo portava a stringere legami fraterni e di amicizia con i poveri, con i Tuareg, con i più lontani dalla sua mentalità. Pian piano questi legami generavano fraternità, inclusione, valorizzazione della cultura dell’altro. La bontà è semplice e chiede di essere persone semplici, che non hanno paura di donare un sorriso. E con il sorriso, con la sua semplicità Fratel Carlo faceva testimonianza del Vangelo. Mai proselitismo, mai: testimonianza. L’evangelizzazione non si fa per proselitismo, ma per testimonianza, per attrazione. Chiediamoci allora infine se portiamo in noi e agli altri la gioia cristiana, la mitezza cristiana, la tenerezza cristiana, la compassione cristiana, la vicinanza cristiana. Grazie.

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[1] Lettres à un ami de lycée. Correspondance avec Gabriel Tourdes (1874-1915), Paris 2010, 161.

[2] Crier l’Evangile, Montrouge 2004, 49.

[3] M/314 in C. de Foucauld, La bonté de Dieu. Méditations sur les Saints Evangiles (1), Montrouge 2002, 285.

[4]  Lettera a Joseph Hours, in  Correspondances lyonnaises (1904-1916), Paris 2005, 92.

[5] Ivi, 90.

[6] Carnets de Tamanrasset (1905-1916), Paris 1986, 188.

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Saluti

APPELLO

Anche oggi il pensiero va in Israele e in Palestina. Le vittime aumentano e la situazione a Gaza è disperata. Si faccia, per favore, tutto il possibile per evitare una catastrofe umanitaria!

Inquieta il possibile allargamento del conflitto, mentre nel mondo tanti fronti bellici sono già aperti. Tacciano le armi! Si ascolti il grido di pace dei popoli, della gente, dei bambini! Fratelli e sorelle, la guerra non risolve alcun problema, semina solo morte e distruzione, aumenta l’odio e moltiplica la vendetta. La guerra cancella il futuro. Esorto i credenti a prendere in questo conflitto una sola parte: quella della pace; ma non a parole, con la preghiera, con la dedizione totale.

Pensando a questo, ho deciso di indire, venerdì 27 ottobre, una giornata di digiuno e preghiera, di penitenza, alla quale invito a unirsi, nel modo che riterranno opportuno, le sorelle e i fratelli delle varie confessioni cristiane, gli appartenenti ad altre religioni e quanti hanno a cuore la causa della pace nel mondo. Quella sera alle ore 18.00 in San Pietro vivremo, in spirito di penitenza, un’ora di preghiera per implorare sui nostri giorni la pace, la pace in questo mondo. Chiedo a tutte le Chiese particolari di parteciparvi, predisponendo iniziative simili che coinvolgano il Popolo di Dio.

* * *

Domenica prossima si celebra la Giornata Missionaria Mondiale, che ha per tema “Cuori ardenti, piedi in cammino”. Esorto le diocesi, le parrocchie, tutte le comunità a partecipare attivamente a questo importante appuntamento annuale con la preghiera e il sostegno concreto alle necessità della missione evangelizzatrice della Chiesa.

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, ai cresimati della Diocesi di Faenza – fanno rumore questi! – accompagnati dal Vescovo Mario Toso: cari giovani mettete Gesù al centro del cuore, vivete il rapporto con Lui, per poterlo conoscere e testimoniare nel mondo.

Saluto i fedeli della parrocchia di Santa Teresa del Bambino Gesù in Battipaglia, e gli studenti dell’Istituto Mattei di Aversa.

Accolgo con particolare affetto e gratitudine i membri delle numerose Associazioni presenti, innanzitutto gli “Amici della speranza” di Villasanta – ci vuole, seminare speranza! –, che aiutano le persone con disabilità, i “Pensionati della Banca di Roma” nel 70mo della fondazione, e gli “Amici del day hospital oncologico” di Guastalla.

Saluto infine i giovani, gli anziani, gli ammalati e gli sposi novelli. Oggi ricorre la festa di san Luca, il suo Vangelo ci ricorda che la missione della Chiesa è possibile soltanto se sappiamo essere molto uniti a Dio con la preghiera e interamente disposti a metterci nelle sue mani. Fratelli e sorelle, per favore, continuiamo a pregare per la pace e non dimentichiamo la martoriata Ucraina, che adesso non se ne parla ma il dramma continua.

A tutti la mia Benedizione.



UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 25 ottobre 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 24. I Santi Cirillo e Metodio, apostoli degli Slavi

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi vi parlerò di due fratelli molto famosi in Oriente, al punto da essere chiamati “gli apostoli degli Slavi”: i Santi Cirillo e Metodio. Nati in Grecia nel IX secolo da famiglia aristocratica, rinunciano alla carriera politica per dedicarsi alla vita monastica. Ma il loro sogno di un’esistenza ritirata dura poco. Vengono inviati come missionari nella Grande Moravia, che all’epoca comprendeva vari popoli, già in parte evangelizzati, ma presso i quali sopravvivevano molti costumi e tradizioni pagani. Il loro principe chiedeva un maestro che spiegasse la fede cristiana nella loro lingua.

Il primo impegno di Cirillo e Metodio è dunque studiare a fondo la cultura di quei popoli. Sempre quel ritornello: la fede va inculturata e la cultura va evangelizzata. Inculturazione della fede, evangelizzazione della cultura, sempre. Cirillo chiede se abbiano un alfabeto; gli rispondono di no. Ed egli replica: “Chi può scrivere un discorso sull’acqua?”. In effetti, per annunciare il Vangelo e per pregare ci voleva uno strumento proprio, adatto, specifico. Inventa così l’alfabeto glagolitico. Traduce la Bibbia e i testi liturgici. La gente sente che quella fede cristiana non è più “straniera”, ma diventa la loro fede, parlata nella lingua materna. Pensate: due monaci greci che danno un alfabeto agli Slavi. È questa apertura di cuore che ha radicato il Vangelo tra di loro. Non avevano paura questi due, erano coraggiosi.

Ben presto, però, iniziano i contrasti da parte di alcuni Latini, che si vedono sottrarre il monopolio della predicazione tra gli Slavi, quella lotta dentro la Chiesa, sempre così. La loro obiezione è religiosa, ma solo in apparenza: Dio può essere lodato – dicono – solo nelle tre lingue scritte sulla croce, l’ebraico, il greco e il latino. Questi avevano la mentalità chiusa per difendere la propria autonomia. Ma Cirillo risponde con forza: Dio vuole che ogni popolo lo lodi nella propria lingua. Insieme al fratello Metodio si appella al Papa e questi approva i loro testi liturgici in lingua slava, li fa collocare sull’altare della chiesa di Santa Maria Maggiore e canta con loro le lodi del Signore secondo quei libri. Cirillo muore dopo pochi giorni, le sue reliquie sono ancora venerate qui a Roma, nella Basilica di San Clemente. Metodio, invece, viene ordinato vescovo e rimandato nei territori degli Slavi. Qui dovrà soffrire molto, sarà anche imprigionato, ma, fratelli e sorelle, noi sappiamo che la Parola di Dio non è incatenata e si diffonde tra quei popoli.

Guardando la testimonianza di questi due evangelizzatori, che San Giovanni Paolo II ha voluto compatroni d’Europa e sui quali ha scritto l’Enciclica Slavorum Apostoli, vediamo tre aspetti importanti.

Anzitutto, l’unità: i Greci, il Papa, gli Slavi: a quel tempo c’era in Europa una cristianità non divisa, che collaborava per evangelizzare.

Un secondo aspetto importante è l’inculturazione, del quale ho detto qualcosa prima: evangelizzare la cultura e l’inculturazione fa vedere che l’evangelizzazione e cultura sono strettamente connesse. Non si può predicare un Vangelo in astratto, distillato, no: il Vangelo va inculturato ed è anche espressione della cultura.

Un ultimo aspetto, la libertà. Nella predicazione ci vuole libertà ma la libertà ha sempre bisogno del coraggio, una persona è libera quanto è più coraggiosa e non si lascia incatenare da tante cose che le tolgono la libertà.

Fratelli e sorelle, chiediamo ai Santi Cirillo e Metodio, apostoli degli Slavi, di essere strumenti di “libertà nella carità” per gli altri. Essere creativi, essere costanti ed essere umili, con la preghiera e con il servizio.

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Saluti

APPELLO

Penso sempre alla grave situazione in Palestina e in Istraele: incoraggio il rilascio degli ostaggi e l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza. Continuo a pregare per chi soffre e a sperare in percorsi di pace, in Medio Oriente, nella martoriata Ucraina e nelle altre regioni ferite dalla guerra. Ricordo a tutti che dopodomani, venerdì 27 ottobre, vivremo una giornata di digiuno, di preghiera e di penitenza; alle ore 18, in San Pietro, ci raduneremo a pregare per implorare la pace nel mondo.

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Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana.

In particolare, ai fedeli della Diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca venuti assieme al Vescovo Vito Angiuli come espressione di gratitudine per la recente Beatificazione di Elisa Martinez, fondatrice delle Figlie di Santa Maria di Leuca. A voi, religiose di questo Istituto, come pure alle Suore Francescane della Santissima Annunziata auguro un sereno e proficuo Capitolo Generale.

Saluto gli ufficiali e i militari giunti da Predazzo, Gaeta, Bari e Orvieto in occasione delle prossime celebrazioni per il 250mo anniversario della fondazione della Guardia di Finanza.

Accolgo con affetto i membri dell’Associazione “Vivere il tumore attivamente” di Chieri, gli studenti dell’Istituto “Maria Santissima Preziosa” di Casal di Principe e i numerosi gruppi parrocchiali, specialmente quelli di San Ferdinando di Puglia e di Frasso Telesino.

Saluto infine i giovani, gli anziani, gli ammalati e gli sposi novelli. Esorto tutti a pregare quotidianamente il santo Rosario, imparando dalla Vergine Maria a vivere ogni avvenimento in unione con Gesù.

A tutti la mia Benedizione.


UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 8 novembre 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 25. Madeleine Delbrêl. La gioia della fede tra i non credenti.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Tra i tanti testimoni della passione per l’annuncio del Vangelo, quegli evangelizzatori appassionati, oggi presento la figura di una donna francese del Novecento, la venerabile serva di Dio Madeleine Delbrêl. Nata nel 1904 e morta nel 1964, è stata assistente sociale, scrittrice e mistica, e ha vissuto per più di trent’anni nella periferia povera e operaia di Parigi. Abbagliata dall’incontro con il Signore, scrisse: «Una volta che abbiamo conosciuto la parola di Dio, non abbiamo diritto di non riceverla; una volta ricevuta non abbiamo diritto di non lasciare che si incarni in noi, una volta incarnata in noi non abbiamo diritto di tenerla per noi: da quel momento apparteniamo a coloro che la attendono» (La santità della gente comune, Milano 2020, 71). Bello: bello questo che scrisse…

Dopo un’adolescenza vissuta nell’agnosticismo – non credeva a nulla –, a circa vent’anni Madeleine incontra il Signore, colpita dalla testimonianza di alcuni amici credenti. Si mette allora alla ricerca di Dio, dando voce a una sete profonda che sentiva dentro di sé, e arriva a comprendere che quel «vuoto che gridava in lei la sua angoscia» era Dio che la cercava (Abbagliata da Dio. Corrispondenza 1910-1941, Milano 2007, 96). La gioia della fede la porta a maturare una scelta di vita interamente donata a Dio, nel cuore della Chiesa e nel cuore del mondo, semplicemente condividendo in fraternità la vita della “gente delle strade”. Poeticamente si rivolgeva a Gesù così: «Per essere con Te sulla Tua strada, occorre andare, anche quando la nostra pigrizia ci supplica di restare. Tu ci hai scelti per stare in uno strano equilibrio, un equilibrio che può stabilirsi e mantenersi solo in movimento, solo in uno slancio. Un po’ come una bicicletta, che non si regge senza girare […] Possiamo star dritti solo avanzando, muovendoci, in uno slancio di carità». È quella che lei chiama la “spiritualità della bicicletta” (Umorismo nell’Amore. Meditazioni e poesie, Milano 2011, 56). Soltanto in cammino, in corsa viviamo nell’equilibrio della fede, che è uno squilibrio, ma è così: come la bicicletta. Se tu ti fermi, non regge.

Madeleine aveva il cuore continuamente in uscita e si lascia interpellare dal grido dei poveri. Sentiva che il Dio Vivente del Vangelo doveva bruciarci dentro finché non avremo portato il suo nome a quanti non lo hanno ancora trovato. In questo spirito, rivolta verso i sussulti del mondo e il grido dei poveri, Madeleine si sente chiamata a «vivere l’amore di Gesù interamente e alla lettera, dall’olio del Buon samaritano fino all’aceto del Calvario, donandogli così amore per amore […] perché, amandolo senza riserve e lasciandosi amare fino in fondo, i due grandi comandamenti della carità si incarnino in noi e non facciano che uno» (La vocation de la charité, 1, Œuvres complètesXIII, Bruyères-le-Châtel, 138-139).

Infine, Madeleine ci insegna ancora un’altra cosa: che evangelizzando si viene evangelizzati: evangelizzando noi siamo evangelizzati. Perciò diceva, riecheggiando San Paolo: “Guai a me se evangelizzare non mi evangelizza”. Evangelizzando si evangelizza se stessi. E questa è una bella dottrina. 

Guardando a questa testimone del Vangelo, anche noi impariamo che in ogni situazione e circostanza personale o sociale della nostra vita, il Signore è presente e ci chiama ad abitare il nostro tempo, a condividere la vita degli altri, a mescolarci alle gioie e ai dolori del mondo. In particolare, ci insegna che anche gli ambienti secolarizzati ci sono di aiuto per la conversione, perché i contatti con i non credenti provocano il credente a una continua revisione del suo modo di credere e a riscoprire la fede nella sua essenzialità (cfr Noi delle strade, Milano 1988, 268s).

Che Madeleine Delbrêl ci insegni a vivere questa fede “in moto”, diciamo così, questa fede feconda che ogni atto di fede fa un atto di carità nell’annuncio del Vangelo. Grazie.



* * *

Pensiamo e preghiamo per i popoli che soffrono la guerra. Non dimentichiamo la martoriata Ucraina e pensiamo al popolo palestinese e israeliano: che il Signore ci porti a una pace giusta. Si soffre tanto: soffrono i bambini, soffrono gli ammalati, i vecchi e muoiono tanti giovani. La guerra sempre è una sconfitta: non dimentichiamo. Sempre è una sconfitta.

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli di Altamura, San Salvatore Telesino e Petronà.

Accolgo con particolare affetto l’Unitalsi Emiliano-Romagnola, il gruppo del Policlinico di Milano e la Fondazione Pro Musica e Arte Sacra.

Saluto infine i giovani, gli anziani, i malati e gli sposi novelli.

Domani celebreremo la festa liturgica della Dedicazione della Basilica di San Giovanni in Laterano: è la cattedrale di Roma, la cattedra del Papa come Vescovo di Roma. Questa ricorrenza susciti in ciascuno il desiderio di diventare pietre vive nel servizio del Signore.

E a tutti la mia Benedizione!


Caterina63
00mercoledì 15 novembre 2023 20:42

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 15 novembre 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 26. L’annuncio è gioia

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

dopo aver incontrato diversi testimoni dell’annuncio del Vangelo, mi propongo di sintetizzare questo ciclo di catechesi sullo zelo apostolico in quattro punti, ispirati all’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, che in questo mese compie dieci anni. Il primo punto che vediamo oggi, il primo dei quattro, non può che riguardare l’atteggiamento da cui dipende la sostanza del gesto evangelizzatore: la gioia. Il messaggio cristiano, come abbiamo ascoltato dalle parole che l’angelo rivolge ai pastori, è l’annuncio di «una grande gioia» (Lc 2,10). E la ragione? Una buona notizia, una sorpresa, un bell’avvenimento? Molto di più, una Persona: Gesù! Gesù è la gioia. È Lui il Dio fatto uomo che è venuto da noi! La questione, cari fratelli e sorelle, non è dunque se annunciarlo, ma come annunciarlo, e questo “come” è la gioia. O annunciamo Gesù con gioia, o non lo annunciamo, perché un’altra via di annunciarlo non è capace di portare la vera realtà di Gesù.

Ecco perché un cristiano scontento, un cristiano triste, un cristiano insoddisfatto o, peggio ancora, risentito e rancoroso non è credibile. Questo parlerà di Gesù ma nessuno gli crederà! Una volta mi diceva una persona, parlando di questi cristiani: “Ma sono cristiani con faccia di baccalà!”, cioè, non esprimono niente, sono così, e la gioia è essenziale. È essenziale vigilare sui nostri sentimenti. L’evangelizzazione opera la gratuità, perché viene dalla pienezza, non dalla pressione. E quando si fa un’evangelizzazione – si vuole fare ma questo non va – in base a ideologie, questo non è evangelizzare, questo non è il Vangelo. Il Vangelo non è una ideologia: il Vangelo è un annuncio, un annuncio di gioia. Le ideologie sono fredde, tutte. Il Vangelo ha il calore della gioia. Le ideologie non sanno sorridere, il Vangelo è un sorriso, ti fa sorridere perché ti tocca l’anima con la Buona Notizia.

La nascita di Gesù, nella storia come nella vita, è il principio della gioia: pensate a quello che è successo ai discepoli di Emmaus che dalla gioia non potevano credere, e gli altri, poi, i discepoli tutti insieme, quando Gesù va al Cenacolo, non potevano credere dalla gioia (cfr Lc 24,13-35). La gioia di avere Gesù risorto. L’incontro con Gesù sempre ti porta la gioia e se questo non succede a te, non è un vero incontro con Gesù.

E questo che fa Gesù con i discepoli ci dice che i primi a dover essere evangelizzati sono i discepoli, i primi a dover essere evangelizzati siamo noi, cristiani: siamo noi. E questo è tanto importante. Immersi nel clima veloce e confuso di oggi, pure noi, infatti, potremmo trovarci a vivere la fede con un sottile senso di rinuncia, persuasi che per il Vangelo non ci sia più ascolto e che non valga più la pena impegnarsi per annunciarlo. Potremmo addirittura esser tentati dall’idea di lasciare che “gli altri” vadano per la loro strada. Invece proprio questo è il momento di ritornare al Vangelo per scoprire che Cristo «è sempre giovane e fonte costante di novità» (Evangelii gaudium, 11).

Così, come i due di Emmaus, si torna nella vita quotidiana con lo slancio di chi ha trovato un tesoro: erano gioiosi, questi due, perché avevano trovato Gesù, e ha cambiato loro la vita. E si scopre che l’umanità abbonda di fratelli e sorelle che aspettano una parola di speranza. Il Vangelo è atteso anche oggi: l’uomo di oggi è come l’uomo di ogni tempo: ne ha bisogno, anche la civiltà dell’incredulità programmata e della secolarità istituzionalizzata; anzi, soprattutto la società che lascia deserti gli spazi del senso religioso, ha bisogno di Gesù. Questo è il momento favorevole all’annuncio di Gesù. Perciò vorrei dire nuovamente a tutti: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia (ibid.,1). Non dimentichiamo questo. E se qualcuno di noi non percepisce questa gioia, si domandi se ha trovato Gesù. Una gioia interiore. Il Vangelo va sulla strada della gioia, sempre, è il grande annuncio. Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro con Gesù Cristo. Ognuno di noi oggi si prenda un pochettino di tempo e pensi: “Gesù, Tu sei dentro di me: io voglio incontrarTi tutti i giorni. Tu sei una Persona, non sei un’idea; Tu sei un compagno di cammino, non sei un programma. Tu sei Amore che risolve tanti problemi. Tu sei l’inizio dell’evangelizzazione. Tu, Gesù, sei la fonte della gioia”. Amen.

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Saluti


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli di Portici e a quelli di Lauria. Saluto l’Associazione Volontari Italiani del Sangue e sottolineo il valore etico della donazione del sangue: un gesto che aiuta a salvare tante vite umane!

Accolgo con affetto gli Scout Agesci di Foligno – fanno rumore, questi –, insieme con i ministranti e il gruppo della pastorale vocazionale, accompagnati dalle famiglie. Cari ragazzi, vi esorto ad essere coraggiosi protagonisti negli ambienti in cui vivete; siate soprattutto gioiosi testimoni del Vangelo, costruttori di ponti e mai di muri, mai!

Saluto infine gli anziani, i malati, gli sposi novelli – sono tanti – e i giovani, tra i quali saluto in particolare il folto gruppo dell’Istituto “Miraglia” di Lauria. Le ultime settimane dell’anno liturgico ci invitano al senso della speranza cristiana. In questa prospettiva vi invito a cogliere sempre il significato e il valore delle esperienze quotidiane e anche delle prove, pensando che «tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8,28).

Preghiamo, fratelli e sorelle, per la pace, in modo speciale per la martoriata Ucraina che soffre tanto, e poi in Terra Santa, in Palestina e Israele, e non dimentichiamo il Sudan che soffre tanto, e pensiamo dovunque c’è guerra, ci sono tante guerre! Preghiamo per la pace: ogni giorno, qualcuno si prenda qualche tempo per pregare per la pace. Vogliamo la pace. A tutti la mia Benedizione!


 

 

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 22 novembre 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 27. L’annuncio è per tutti

Cari fratelli e sorelle!

Dopo aver visto, la scorsa volta, che l’annuncio cristiano è gioia, soffermiamoci oggi su un secondo aspetto: è per tutti, l’annuncio cristiano è gioia per tutti. Quando incontriamo veramente il Signore Gesù, lo stupore di questo incontro pervade la nostra vita e chiede di essere portato al di là di noi. Questo Egli desidera, che il suo Vangelo sia per tutti. In esso, infatti, c’è una “potenza umanizzatrice”, un compimento di vita che è destinata ad ogni uomo e ogni donna, perché per tutti Cristo è nato, è morto, è risorto. Per tutti: nessuno escluso.

In Evangelii gaudium si legge: «Tutti hanno il diritto di ricevere il Vangelo. I cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno, non come chi impone un nuovo obbligo, bensì come chi condivide una gioia, segnala un orizzonte bello, offre un banchetto desiderabile. La Chiesa non cresce per proselitismo ma “per attrazione”» (n. 14). Fratelli, sorelle, sentiamoci al servizio della destinazione universale del Vangelo, è per tutti; e distinguiamoci per la capacità di uscire da noi stessi - un annuncio per essere vero annuncio deve uscire dall’egoismo proprio - e avere anche la capacità di superare ogni confine. I cristiani si ritrovano sul sagrato più che in sacrestia, e vanno «per le piazze e per le vie della città» (Lc 14,21). Devono essere aperti ed espansivi, i cristiani devono essere “estroversi”, e questo loro carattere viene da Gesù, che ha fatto della sua presenza nel mondo un cammino continuo, finalizzato a raggiungere tutti, persino imparando da certi suoi incontri.

In questo senso, il Vangelo riporta il sorprendente incontro di Gesù con una donna straniera, una cananea che lo supplica di guarire la figlia malata (cfr Mt 15,21-28). Gesù rifiuta, dicendo di essere stato mandato solo «alle pecore perdute della casa di Israele» e che «non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini» (vv. 24.26). Ma la donna, con l’insistenza tipica dei semplici, replica che anche «i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni» (v. 27). Gesù rimane colpito e le dice: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri» (v. 28). Questo incontro con questa donna ha qualcosa di unico. Non solo qualcuno fa cambiare idea a Gesù, e si tratta di una donna, straniera e pagana; ma il Signore stesso trova conferma al fatto che la sua predicazione non debba limitarsi al popolo a cui appartiene, ma aprirsi a tutti.

La Bibbia ci mostra che quando Dio chiama una persona e stringe un patto con alcuni il criterio è sempre questo: elegge qualcuno per raggiungere altri, questo è il criterio di Dio, della chiamata di Dio. Tutti gli amici del Signore hanno sperimentato la bellezza ma anche la responsabilità e il peso di essere “scelti” da Lui. E tutti Hanno provato lo scoraggiamento di fronte alle proprie debolezze o la perdita delle loro sicurezze. Ma la tentazione forse più grande è quella di considerare la chiamata ricevuta come un privilegio, per favore no, la chiamata non è un privilegio, mai. Noi non possiamo dire che siamo privilegiati in confronto agli altri, no. La chiamata è per un servizio. E Dio sceglie uno per amare tutti, per arrivare a tutti.

Anche per prevenire la tentazione di identificare il cristianesimo con una cultura, con un’etnia, con un sistema. Così, però, perde la sua natura veramente cattolica, ossia per tutti, universale: non è un gruppetto di eletti di prima classe. Non dimentichiamo: Dio sceglie qualcuno per amare tutti. Questo orizzonte di universalità. Il Vangelo non è solo per me, è per tutti, non lo dimentichiamo. Grazie.

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Saluti

[Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Cari fratelli e sorelle, domenica prossima celebreremo la solennità di Gesù Cristo, Re dell’Universo. La nostra vita, i nostri cuori siano aperti alla sua signoria perché Lui è la meta, verso cui camminiamo. Vi benedico di cuore.]

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli di San’Elpidio a Mare e di Sant’Andrea in Andria, all’Associazione culturale Musadoc, ai Genieri e Trasmettitori d’Italia, all’Associazione vittime della violenza.

Accolgo con affetto i partecipanti all’Assemblea Nazionale delle Scuole Cattoliche, auspicando un effettivo riconoscimento della loro importante opera formativa.

Saluto infine gli anziani, i malati, gli sposi novelli e i giovani, tra cui numerose scolaresche. Domenica prossima, ultima del Tempo Ordinario, celebreremo la solennità di Cristo, Re. Vi esorto a porre Gesù al centro della vostra vita, e da Lui riceverete luce e coraggio in ogni scelta quotidiana.

E non dimentichiamo di perseverare nella preghiera per quanti soffrono a causa delle guerre in tante parti del mondo, specialmente per le care popolazioni dell’Ucraina, la martoriata Ucraina, e di Israele e della Palestina. Questa mattina ho ricevuto due delegazioni, una di israeliani che hanno parenti come ostaggi in Gaza e un’altra di palestinesi che hanno dei parenti che soffrono a Gaza. Loro soffrono tanto e ho sentito come soffrono ambedue: le guerre fanno questo, ma qui siamo andati oltre le guerre, questo non è guerreggiare, questo è terrorismo. Per favore, andiamo avanti per la pace, pregate per la pace, pregate tanto per la pace. Che il Signore metta mano lì, che il Signore ci aiuti a risolvere i problemi e non andare avanti con le passioni che alla fine uccidono tutti. Preghiamo per il popolo palestinese, preghiamo per il popolo israeliano, perché venga la pace.

A tutti la mia Benedizione!

 
 

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 29 novembre 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 28. L’annuncio è per l’oggi

Cari fratelli e sorelle,

le scorse volte abbiamo visto che l’annuncio cristiano è gioia ed è per tutti; vediamo oggi un terzo aspetto: esso è per l’oggi.

Si sente quasi sempre parlare male dell’oggi. Certo, tra guerre, cambiamenti climatici, ingiustizie planetarie e migrazioni, crisi della famiglia e della speranza, non mancano motivi di preoccupazione. In generale, l’oggi sembra abitato da una cultura che mette l’individuo al di sopra di tutto e la tecnica al centro di tutto, con la sua capacità di risolvere molti problemi e i suoi giganteschi progressi in tanti campi. Ma al tempo stesso questa cultura del progresso tecnico-individuale porta ad affermare una libertà che non vuole darsi dei limiti e si mostra indifferente verso chi rimane indietro. E così consegna le grandi aspirazioni umane alle logiche spesso voraci dell’economia, con una visione della vita che scarta chi non produce e fatica a guardare al di là dell’immanente. Potremmo persino dire che ci troviamo nella prima civiltà della storia che globalmente prova a organizzare una società umana senza la presenza di Dio, concentrandosi in enormi città che restano orizzontali anche se hanno grattacieli vertiginosi.

Viene in mente il racconto della città di Babele e della sua torre (cfr Gen 11,1-9). In esso si narra un progetto sociale che prevede di sacrificare ogni individualità all’efficienza della collettività. L’umanità parla una lingua sola – potremmo dire che ha un “pensiero unico” –, è come avvolta in una specie di incantesimo generale che assorbe l’unicità di ciascuno in una bolla di uniformità. Allora Dio confonde le lingue, cioè ristabilisce le differenze, ricrea le condizioni perché possano svilupparsi delle unicità, rianima il molteplice dove l’ideologia vorrebbe imporre l’unico. Il Signore distoglie l’umanità anche dal suo delirio di onnipotenza: «facciamoci un nome», dicono esaltati gli abitanti di Babele (v. 4), che vogliono arrivare fino al cielo, mettersi al posto di Dio. Ma sono ambizioni pericolose, alienanti, distruttive, e il Signore, confondendo queste aspettative, protegge gli uomini, prevenendo un disastro annunciato. Sembra davvero attuale questo racconto: anche oggi la coesione, anziché sulla fraternità e sulla pace, si fonda spesso sull’ambizione, sui nazionalismi, sull’omologazione, su strutture tecnico-economiche che inculcano la persuasione che Dio sia insignificante e inutile: non tanto perché si ricerca un di più di sapere, ma soprattutto per un di più di potere. È una tentazione che pervade le grandi sfide della cultura odierna.

In Evangelii gaudium ho provato a descriverne alcune (cfr nn. 52-75), ma soprattutto ho invitato a «una evangelizzazione che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri, con l’ambiente, e che susciti i valori fondamentali. È necessario arrivare là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi, raggiungere con la Parola di Gesù i nuclei più profondi dell’anima delle città» (n. 74). In altre parole, si può annunciare Gesù solo abitando la cultura del proprio tempo; e sempre avendo nel cuore le parole dell’Apostolo Paolo sull’oggi: «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2 Cor 6,2). Non serve dunque contrapporre all’oggi visioni alternative provenienti dal passato. Nemmeno basta ribadire semplicemente delle convinzioni religiose acquisite che, per quanto vere, diventano astratte col passare del tempo. Una verità non diventa più credibile perché si alza la voce nel dirla, ma perché viene testimoniata con la vita.

Lo zelo apostolico non è mai semplice ripetizione di uno stile acquisito, ma testimonianza che il Vangelo è vivo oggi qui per noi. Coscienti di questo, guardiamo dunque alla nostra epoca e alla nostra cultura come a un dono. Esse sono nostre ed evangelizzarle non significa giudicarle da lontano, nemmeno stare su un balcone a gridare il nome di Gesù, ma scendere per strada, andare nei luoghi dove si vive, frequentare gli spazi dove si soffre, si lavora, si studia e si riflette, abitare i crocevia in cui gli esseri umani condividono ciò che ha senso per la loro vita. Significa essere, come Chiesa, «fermento di dialogo, di incontro, di unità. Del resto, le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia» (Discorso al V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze, 10 novembre 2015).

Occorre stare nei crocevia dell’oggi. Uscire da essi significherebbe impoverire il Vangelo e ridurre la Chiesa a una setta. Frequentarli, invece, aiuta noi cristiani a comprendere in modo rinnovato le ragioni della nostra speranza, per estrarre e condividere dal tesoro della fede «cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52). Insomma, più che voler riconvertire il mondo d’oggi, ci serve convertire la pastorale perché incarni meglio il Vangelo nell’oggi (cfr Evangelii gaudium25). Facciamo nostro il desiderio di Gesù: aiutare i compagni di viaggio a non smarrire il desiderio di Dio, per aprire il cuore a Lui e trovare il solo che, oggi e sempre, dona pace e gioia all’uomo.

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Saluti

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli di Andria; alla Guardia di Finanza proveniente da L’Aquila; ai militari della Brigata Meccanizzata “Aosta”; ai membri dell’Associazione Italiana Barman e Sostenitori, qui convenuti in occasione di un evento internazionale da loro promosso.

Sono lieto di accogliere i partecipanti al Festival dei talenti circensi italiani, che ringrazio e incoraggio, auspicando che venga sempre più riconosciuto il valore sociale e culturale della loro attività.

Il mio pensiero va infine ai giovani, agli anziani, ai malati e agli sposi novelli. Stiamo vivendo gli ultimi giorni dell’Anno liturgico, che ci invitano a considerare con sguardo di fede il tempo che passa. Abbiate sempre fiducia nella divina Provvidenza, che guida e accompagna i nostri passi.

Da qui, il Papa:

E per favore, continuiamo a pregare per la grave situazione in Israele e in Palestina; Pace, per favore, Pace. Auspico che prosegua la tregua in corso a Gaza, affinché siano rilasciati tutti gli ostaggi e sia ancora consentito l’accesso ai necessari aiuti umanitari. Ho sentito la parrocchia lì: manca l’acqua, manca il pane e la gente soffre. È la gente semplice, la gente del popolo che soffre. Non soffrono coloro che fanno la guerra. Chiediamo la pace. E non dimentichiamo, parlando di pace, il caro popolo ucraino, che soffre tanto, ancora in guerra. Fratelli e sorelle, la guerra sempre è una sconfitta. Tutti perdono. Tutti, no: c’è un gruppo che guadagna tanto: i fabbricatori di armi; questi guadagnano bene sopra la morte degli altri.

E vorrei ringraziare, in questo momento di gioia, questi ragazzi e ragazze del circo. Il circo esprime una dimensione dell’anima umana: quello della gioia gratuita, quella gioia semplice, fatta con la mistica del gioco. Ringrazio tanto queste ragazze, questi ragazzi che ci fanno ridere, ma anche ci danno un esempio di allenamento molto forte, perché per arrivare a quello che arrivano loro, occorre un allenamento forte, molto forte. Ringraziamoli con un bell’applauso.

E a tutti la mia Benedizione!


Caterina63
00mercoledì 6 dicembre 2023 11:42


UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 6 dicembre 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 29. L’annuncio è nello Spirito Santo

Cari fratelli e sorelle,

nelle scorse catechesi abbiamo visto che l’annuncio del Vangelo è gioia, è per tutti e va rivolto all’oggi. Scopriamo ora un’ultima caratteristica essenziale: occorre che l’annuncio avvenga nello Spirito Santo. Infatti, per “comunicare Dio” non bastano la gioiosa credibilità della testimonianza, l’universalità dell’annuncio e l’attualità del messaggio. Senza lo Spirito Santo ogni zelo è vano e falsamente apostolico: sarebbe solo nostro e non porterebbe frutto.

In Evangelii gaudium ho ricordato che «Gesù è il primo e più grande evangelizzatore»; che «in qualunque forma di evangelizzazione il primato è sempre di Dio», il quale «ha voluto chiamarci a collaborare con lui e stimolarci con la forza del suo Spirito» (n. 12). Ecco il primato dello Spirito Santo! Perciò il Signore paragona il dinamismo del Regno di Dio a «un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa» (Mc 4,26-27). Lo Spirito è il protagonista, precede sempre i missionari e fa germogliare i frutti. Questa consapevolezza ci consola tanto! E ci aiuta a precisarne un’altra, altrettanto decisiva: cioè che nel suo zelo apostolico la Chiesa non annuncia sé stessa, ma una grazia, un dono, e lo Spirito Santo è proprio il Dono di Dio, come disse Gesù alla donna samaritana (cfr Gv 4,10).

Il primato dello Spirito non deve però indurci all’indolenza. La fiducia non giustifica il disimpegno. La vitalità del seme che cresce da sé non autorizza i contadini all’incuria del campo. Gesù, nel dare le ultime raccomandazioni prima di salire al cielo, disse: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni […] fino ai confini della terra» (At 1,8). Il Signore non ci ha lasciato delle dispense di teologia o un manuale di pastorale da applicare, ma lo Spirito Santo che suscita la missione. E l’intraprendenza coraggiosa che lo Spirito infonde ci porta a imitarne lo stile, che sempre ha due caratteristiche: la creatività e la semplicità.

Creatività, per annunciare Gesù con gioia, a tutti e nell’oggi. In questa nostra epoca, che non aiuta ad avere uno sguardo religioso sulla vita e in cui l’annuncio è diventato in vari luoghi più difficile, faticoso, apparentemente infruttuoso, può nascere la tentazione di desistere dal servizio pastorale. Magari ci si rifugia in zone di sicurezza, come la ripetizione abitudinaria di cose che si fanno sempre, oppure nei richiami allettanti di una spiritualità intimista, o ancora in un malinteso senso della centralità della liturgia. Sono tentazioni che si travestono da fedeltà alla tradizione, ma spesso, più che risposte allo Spirito, sono reazioni alle insoddisfazioni personali. Invece la creatività pastorale, l’essere audaci nello Spirito, ardenti del suo fuoco missionario, è prova di fedeltà a Lui. Perciò ho scritto che «Gesù Cristo può anche rompere gli schemi noiosi nei quali pretendiamo di imprigionarlo e ci sorprende con la sua costante creatività divina. Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuove strade, metodi creativi, altre forme di espressione, segni più eloquenti, parole cariche di rinnovato significato per il mondo attuale» (Evangelii gaudium, 11).

Creatività, dunque; e poi semplicità, proprio perché lo Spirito ci porta alla fonte, al “primo annuncio”. Infatti è «il fuoco dello Spirito che […] ci fa credere in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione ci rivela e ci comunica l’infinita misericordia del Padre» (ivi, 164). Questo è il primo annuncio, che «deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di rinnovamento ecclesiale»; per ripetere: «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti» (ibid).

Fratelli e sorelle, lasciamoci avvincere dallo Spirito e invochiamolo ogni giorno: sia Lui il principio del nostro essere e del nostro operare; sia all’inizio di ogni attività, incontro, riunione e annuncio. Egli vivifica e ringiovanisce la Chiesa: con Lui non dobbiamo temere, perché Egli, che è l’armonia, tiene sempre insieme creatività e semplicità, suscita la comunione e invia in missione, apre alla diversità e riconduce all’unità. Egli è la nostra forza, il respiro del nostro annuncio, la fonte dello zelo apostolico. Vieni, Spirito Santo!

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Saluti

Nel salutare i pellegrini di lingua italiana, rivolgo un cordiale benvenuto ai formatori di Seminari partecipanti al corso promosso dal Dicastero per l’Evangelizzazione. Cari sacerdoti, vi accompagni la continua assistenza del Signore, affinché queste giornate di studio possano ravvivare il vostro servizio alla Chiesa.  

Sono lieto di accogliere la parrocchia di Sant’Antonio di Padova in Terni e la parrocchia Madonna di Pompei in Andria, auspicando che la visita alle tombe degli Apostoli susciti in ciascuno un rinnovato fervore spirituale.

Saluto i membri di Fundacion Telethon, dal Messico: cari messicani, vi invito a collaborare per le vittime in Acapulco; vi invito a includere tutte le persone con disabilità in Messico. Lottiamo contro la società dello scarto, difendiamo la dignità di ogni persona.

Il mio saluto va infine agli anziani, ai malati, agli sposi novelli e ai giovani, con un pensiero particolare per gli alunni dell’Istituto Leonardo da Vinci rispettivamente di Santa Maria Capua Vetere e di Milazzo. Siamo ormai prossimi alla solennità dell’Immacolata Concezione. Maria “ha creduto” all’amore di Dio e ha risposto col suo “sì”. Imparate da Lei la piena fiducia verso il Signore per testimoniare ovunque il bene e l’amore evangelico.

E non dimentichiamo di pregare per quanti soffrono il dramma della guerra, in particolare le popolazioni dell’Ucraina, di Israele e di Palestina. La guerra sempre è una sconfitta. Nessuno guadagna, tutti perdono. Soltanto guadagnano i fabbricanti delle armi.

E a tutti la mia Benedizione!




UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 13 dicembre 2023

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Catechesi. La passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. 30. Effatà, apriti Chiesa!

Cari fratelli e sorelle,

concludiamo oggi il ciclo dedicato allo zelo apostolico, in cui ci siamo lasciati ispirare dalla Parola di Dio per aiutare a coltivare la passione per l’annuncio del Vangelo. E questo riguarda ogni cristiano. Pensiamo al fatto che nel Battesimo il celebrante dice, toccando le orecchie e le labbra del battezzato: «Il Signore Gesù, che fece udire i sordi e parlare i muti, ti conceda di ascoltare presto la sua parola, e di professare la tua fede».

E abbiamo sentito il prodigio di Gesù. L’evangelista Marco si dilunga a descrivere dov’è accaduto: «Verso il mare di Galilea …» (Mc 7,31). Che cosa accomuna questi territori? L’essere prevalentemente abitati da pagani. Non erano territori abitati da ebrei, ma prevalentemente dai pagani. I discepoli sono usciti con Gesù, che è capace di aprire le orecchie e la bocca, cioè il fenomeno del mutismo della sordità, che nella Bibbia è anche metaforico e designa la chiusura ai richiami di Dio. C’è una sordità fisica, ma nella Bibbia quello che è sordo alla parola di Dio è muto, che non comunica la Parola di Dio.

È indicativo anche un altro segnale: il Vangelo riporta la parola decisiva di Gesù in aramaico, effatà, che significa “apriti”, che si aprano le orecchie, che si apra la lingua ed è un invito rivolto non tanto al sordomuto, che non poteva sentirlo, ma proprio ai discepoli di allora e di ogni tempo. Anche noi, che abbiamo ricevuto l’effatà dello Spirito nel Battesimo, siamo chiamati ad aprirci. “Apriti”, dice Gesù a ogni credente e alla sua Chiesa: apriti perché il messaggio del Vangelo ha bisogno di te per essere testimoniato e annunciato! E questo ci fa pensare anche all’atteggiamento di un cristiano: il cristiano dev’essere aperto alla Parola di Dio e al servizio degli altri. I cristiani chiusi finiscono male, sempre, perché non sono cristiani, sono ideologi, ideologi della chiusura. Un cristiano dev’essere aperto all’annuncio della Parola, all’accoglienza dei fratelli e delle sorelle. E per questo, questo effatà, questo “apriti”, è un invito a tutti noi ad aprirsi.

Anche alla fine dei Vangeli Gesù ci consegna il suo desiderio missionario: andate oltre, andate a pascere, andate a predicare il Vangelo.

Fratelli, sorelle, sentiamoci tutti chiamati, in quanto battezzati, a testimoniare e annunciare Gesù. E chiediamo la grazia, come Chiesa, di saper attuare una conversione pastorale e missionaria. Il Signore sulle rive del Mare di Galilea domandò a Pietro se lo amasse e poi gli chiese di pascere le sue pecore (cfr vv. 15-17). Anche noi interroghiamoci, ognuno di noi faccia questa domanda a sé stesso, interroghiamoci: amo davvero il Signore, al punto da volerlo annunciare? Voglio diventare suo testimone o mi accontento di essere suo discepolo? Prendo a cuore le persone che incontro, le porto a Gesù nella preghiera? Desidero fare qualcosa perché la gioia del Vangelo, che ha trasformato la mia vita, renda più bella la vita loro? Pensiamo questo, pensiamo queste domande e andiamo avanti con la nostra testimonianza.

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Saluti

APPELLO

Continuo a seguire con molta preoccupazione il conflitto in Israele e in Palestina.

Rinnovo il mio appello per un immediato cessate-il-fuoco umanitario; si soffre tanto, lì.  Incoraggio tutte le parti coinvolte a riprendere i negoziati e chiedo a tutti di assumersi l’urgente impegno di far arrivare gli aiuti umanitari alla popolazione di Gaza, che è allo stremo e ne ha veramente bisogno.

Si liberino subito tutti gli ostaggi, che avevano visto una speranza nella tregua di qualche giorno fa. Che questa grande sofferenza per gli israeliani e per i palestinesi finisca.

Per favore: no alle armi, sì alla pace!

* * *

Nel salutare i pellegrini di lingua italiana, rivolgo un cordiale benvenuto ai fedeli di Santa Maria La Fossa e Tenna Tramonti.

Sono lieto di accogliere le numerose scolaresche, in particolare il liceo Plinio Seniore di Roma, il liceo Ettore Majorana di Genzano di Lucania e gli alunni di Tarquinia, Frosinone e Valle Roveto.

Il mio saluto va infine ai giovani, agli anziani, ai malati, agli sposi novelli. Oggi la liturgia fa memoria di santa Lucia, vergine e martire. In alcune zone d’Italia e d’Europa è consuetudine scambiarsi in questa ricorrenza i doni per il Natale ormai prossimo. Vorrei invitare tutti voi a scambiarvi il dono dell’amicizia e della testimonianza cristiana – che è un bel dono, questo!

E ripeto: non dimentichiamo di chiedere il dono della pace per le popolazioni che soffrono a causa della guerra, in modo speciale per la martoriata Ucraina e per Israele e Palestina.

A tutti la mia Benedizione!






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