Un Concilio pastorale NON dogmatico? Attenzione all'inganno...

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Caterina63
00domenica 17 maggio 2009 10:23

Un Concilio pastorale non dogmatico?

Riceviamo queste approfondite riflessioni di don Alfredo Morselli sul valore magisteriale del Concilio Vaticano II.


Uno dei luoghi comuni del dibattito teologico di questi anni è l’affermazione secondo la quale il Concilio Vaticano II è stato “un Concilio pastorale e non dogmatico”. Per avere un’idea della cosa, invito a cercare in internet, su un qualsivoglia motore di ricerca, “concilio pastorale dogmatico”: dando un'occhiata ai risultati, si constata che l’affermazione suddetta è diventata uno slogan, usato da progressisti entusiasti - per dire “finalmente abbiamo finito coi dogmi” -, e da pseudo-tradizionalisti, che dallo stesso luogo comune arguiscono che l’assenso dovuto al Vaticano II è poco più di un optional.

Un altro pericolo è la falsa conclusione a cui potrebbero giungere anche dei buoni tradizionalisti: - siccome il Vaticano II non è un concilio dogmatico, allora “posso fargli le pulci” - . Mi sembra che siano doverose alcune considerazioni, onde avere ben chiaro il grado di assenso che si deve a questo Concilio, e poter essere così validi operai della Nuova Evangelizzazione, nello spirito dell’ermenutica della riforma e della continuità.

A) ALCUNI TESTI DEL MAGISTERO IN PROPOSITO

Come il Magistero stesso ha presentato il valore e la natura del testi del Concilio Ecumenico Vaticano II :

1) Notificazione fatta dall'Ecc.mo Segretario generale (Card. Pericle Felici) nella congregazione generale 123.a (16 novembre 1964): “È stato chiesto quale debba essere la qualificazione teologica della dottrina esposta nello schema sulla Chiesa e sottoposto alla votazione. La commissione dottrinale ha dato al quesito questa risposta: «Come è di per sé evidente, il testo del Concilio deve sempre essere interpretato secondo le regole generali da tutti conosciute».

In pari tempo la commissione dottrinale rimanda alla sua dichiarazione del 6 marzo 1964, di cui trascriviamo il testo: "Tenuto conto dell'uso conciliare e del fine pastorale del presente Concilio, questo definisce come obbliganti per tutta la Chiesa i soli punti concernenti la fede o i costumi, che esso stesso abbia apertamente dichiarato come tali". «Le altre cose che il Concilio propone, in quanto dottrina del magistero supremo della Chiesa, tutti e singoli i fedeli devono accettarle e tenerle secondo lo spirito dello stesso Concilio, il quale risulta sia dalla materia trattata, sia dalla maniera in cui si esprime, conforme alle norme d'interpretazione teologica”.

Osservazioni:

Vediamo che è dichiarato un fine pastorale del Concilio, ma questo non è usato in opposizione a dottrinale o dogmatico; e ciò neppure libera da ogni forma di assenso, ma questo è richiesto a precise condizioni: a) obbliganti per tutta la Chiesa i soli punti concernenti la fede o i costumi, che esso stesso abbia apertamente dichiarato come tali; b) Le altre cose che il Concilio propone non sono pie riflessioni facoltative, ma tutti e singoli i fedeli devono accettarle e tenerle in base alla materia trattata e alla maniera in cui si esprime, conforme alle norme d'interpretazione teologica.

2) Ultima sessione pubblica del Concilio Ecumenico Vaticano II: Allocuzione di Sua Santità Paolo VI (7 dicembre 1965) “Ma una cosa giova ora notare: il magistero della Chiesa, pur non volendo pronunciarsi con sentenze dogmatiche straordinarie, ha profuso il suo autorevole insegnamento sopra una quantità di questioni, che oggi impegnano la coscienza e l’attività dell’uomo; è sceso, per così dire, a dialogo con lui; e, pur sempre conservando la autorità e la virtù sue proprie, ha assunto la voce facile ed amica della carità pastorale

Osservazioni:

Il Concilio non ha definito nulla, ma ha profuso il suo autorevole insegnamento, sempre conservando la autorità e la virtù sue proprie. Il termine pastorale anche qui viene usato non in contrapposizione a dogmatico o dottrinale, ma per indicare il modo di espressione di un magistero che non perde autorità e virtù.

3) PAOLO VI, Udienza Generale del 6 agosto 1975: "Fu su la sacra Liturgia che si pronunciò la prima costituzione del Concilio; e fu questa legislazione a conferire al Concilio stesso il suo aspetto rinnovatore, che, a differenza d’altri Concilii, non fu direttamente dogmatico, ma dottrinale e pastorale”

Osservazioni:

Il termine pastorale non è usato in contrapposizione a dottrinale, e neppure a dogmatico tout-cout, ma a direttamente dogmatico: viene detto cioè che il Concilio non ha voluto definire direttamente nulla, senza rinunciare però ad affermazioni dottrinali; è chiaro che le affermazioni dottrinali del magistero richiedono l’assenso della fede; un grado di assenso che varia, come aveva riassunto il Card. Felici, “sia dalla materia trattata, sia dalla maniera in cui si esprime, conforme alle norme d'interpretazione teologica”.



B) ALCUNE RIFLESSIONI


1) Può esistere un Concilio delle Chiesa Cattolica che sia pastorale e non dogmatico o dottrinale? Assolutamente no, perché:



A) niente è più “pastorale” di un Concilio in cui vengono definite verità di fede: Il buon Pastore conduce le pecore la pascolo e le difende dai lupi (cf Gv 10): così la Chiesa docente nutre i fedeli con la proclamazione delle verità (la proposizione delle cose da credere) e difende gli stessi fedeli dai lupi, ovvero dagli errori e da tutti gli assalti demoniaci.
E allora si vede come, ad esempio, con il il concilio di Trento, i fedeli sono stati “nutriti”, ovvero edotti dai Pastori circa le verità da credere, e protetti dai “lupi” (condanna degli errori). Il Concilio di Trento è stato dogmatico e pastoralissimo.[SM=g1740722]


B) Viceversa anche la più semplice predica del meno dotto parroco di campagna non può essere che dogmatica: perché detto parroco non può fare altro che far dipendere la predicazione dal dogma. [SM=g1740721]
Così indica il Catechismo del Concilio di Trento, che richiede al parroco somma attenzione pastorale e nel contempo, che tutto venga ricondotto ai contenuti del catechismo stesso:“E siccome alcuni di essi (i fedeli) sono "come bambini appena nati" (1 Pt 2,2), altri cominciano a crescere in Cristo, mentre ce ne sono di quelli che hanno raggiunto l'età matura, è necessario considerare con diligenza chi ha bisogno del latte e chi del cibo solido, per offrire a ciascuno quell'alimento di dottrina che ne assicuri la crescita spirituale, "fino a che arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo" (Ef 4,13)”.

(Par 6) “Riteniamo... opportuno avvertire i parroci che ogni qualvolta essi son chiamati a spiegare un passo del Vangelo o qualsiasi brano della Sacra Scrittura, la materia di quel testo, qualunque esso sia, ricade sotto una delle quattro formule riassuntive suddette [il Simbolo apostolico, i sette sacramenti, il Decalogo e l'Orazione domenicale o Padre nostro] e a quella essi dovranno ricorrere per trovarvi la fonte della spiegazione richiesta” (Par 8).


2) Ma il Concilio ha dichiarato la sua indole pastorale: come conciliare con quanto sopra?
Anche quando è stato dichiarato il fine pastorale del Concilio, questo fine non è mai stato proposto come il contrario né di “dogmatico” tout-court, né di “dottrinale”. [SM=g1740722]


3) In che misura le affermazioni dottrinali del Vaticano II richiedono l’assenso della fede?
Al pari delle affermazioni di tutti i documenti del Magistero della Chiesa, tutti e singoli i fedeli devono accettarle e tenerle in base alla materia trattata e alla maniera in cui si esprime, conforme alle norme d'interpretazione teologica.


4) Può un qualunque christifidelis decidere lui ciò che è vincolante?
No; [SM=g1740730] in ultima analisi è sempre e solo il magistero che può dare l’interpretazione autentica e autoritativa di quanto afferma. Nessuno può setacciare il Concilio, decidendo cosa accettare o meno.[SM=g1740721]

5) E se un fedele ravvisasse contraddizione tra il Vaticano II e il resto della Tradizione?
Deve umilmente ritenere che se egli stesso non capisce come non vi sia contraddizione, non è detto che la contraddizione sia reale: anzi, per fede crede fermissimamente che il Magistero non può contraddirsi: e questo è il presupposto e il fondamento dell’ermeneutica della riforma e della continuità.


6) Allora non rimane al fedele altro che tacere e ingoiare rospi?
No, il fedele può fare domande, come uno scolaro che dice: “Signora Maestra, non ho capito”: e la Chiesa può rispondere, come ha fatto, per esempio, con il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede circa la questione del “subsistit (Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa, del 29 giugno 2007). La materia delle domande – non delle contestazioni o delle non accettazioni o del “fare le pulci” – può riguardare anche l’opportunità storica di alcune scelte: es. “E’ stato davvero un bene non condannare il comunismo?”; oppure l’opportunità delle scelte metodologiche: “è stato proprio un bene rinunciare a definizioni e condanne chiare?”Questo tipo di domande sono state fatte dal Servo di Dio P. Tomas Tyn O.P.: cf. http://www.totustuus.biz/users/tyn/chiesapost.htm [SM=g1740722]


7) Quali sono gli altri rischi di approccio sbagliato a questo problema?
Vista la natura prolissa dei documenti conciliari, non è possibile neppure ritagliare due frasette del Concilio e del magistero precedente, confrontarle fuori da un contesto più ampio e dichiararle incompatibili. Sarebbe come prendere l’affermazione di Gesù “Il Padre è più grande di me” (Gv 14, 28), considerarla fuori da un contesto più ampio e affermare che l’affermazione è evidentemente contraria a Nicea e che quindi Gv 14,28 non è un testo ispirato.


8) Con quale atteggiamento interiore dobbiamo considerare il magistero conciliare?
Non c’è un atteggiamento interiore per il magistero conciliare: c’è un atteggiamento interiore per considerare TUTTO il magistero[SM=g1740721] :
mi permetto di proporre alcune sentenze tratte dagli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola:

- § 22: “E’ da presupporre che un buon cristiano deve essere propenso a difendere piuttosto che a condannare l'affermazione di un altro. Se non può difenderla, cerchi di chiarire in che senso l'altro la intende; se la intende in modo erroneo, lo corregga benevolmente; se questo non basta, impieghi tutti i mezzi opportuni perché la intenda correttamente, e così possa salvarsi”

- § 353: ... Messo da parte ogni giudizio proprio, dobbiamo avere l'animo disposto e pronto a obbedire in tutto alla vera sposa di Cristo nostro Signore, che è la nostra santa madre Chiesa gerarchica;[SM=g1740721] 

- § 365: ... Per essere certi in tutto, dobbiamo sempre tenere questo criterio: quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica. Infatti noi crediamo che lo Spirito che ci governa e che guida le nostre anime alla salvezza è lo stesso in Cristo nostro Signore, lo sposo, e nella Chiesa sua sposa; poiché la nostra santa madre Chiesa è guidata e governata dallo stesso Spirito e signore nostro che diede i dieci comandamenti.


Don Alfredo Morselli
Stiatico di San Giorgio di Piano, BO, 1 maggio 2009



Testi latini delle sopra citate affermazioni magisteriali:

1) Notificazione fatta dall'Ecc.mo Segretario generale (Card. Pericle Felici) nella congregazione generale 123.a (16 novembre 1964)
Ex Actis Ss. Oecumenici Concilii Vaticani II [836] NOTIFICATIOFacta ab Exc.mo Secretario Generali Ss. Concilii in Congregatione Generali CLXXI diei XV nov. MCMLXV
Quaesitum est quaenam esse debeat qualificatio theologica doctrinae, quae in Schemate Constitutionis dogmaticae de Divina Revelatione exponitur et suffragationi subicitur. Huic quaesito Commissio de doctrina fidei et morum hanc dedit responsionem iuxta suam Declarationem diei 6 martii 1964: «Ratione habita moris conciliaris ac praesentis Concilii finis pastoralis, haec S. Synodus ea tantum de rebus fidei vel morum ab Ecclesia tenenda definit quae ut talia aperte ipsa declaraverit». «Cetera autem, quae S. Synodus proponit, utpote Supremi Ecclesiae Magisterii doctrinam, omnes ac singuli christifideles excipere et amplecti debent iuxta ipsius S. Synodi mentem, quae sive ex subiecta materia sive ex dicendi ratione innotescit, secundum normas theologicae interpretationis».
PERICLES FELICI Archiepiscopus tit. SamosatensisSs. Concilii Secretarius Generalis

2) Ultima sessione pubblica del Concilio Ecumenico Vaticano II: Allocuzione di Sua Santità Paolo VI (7 dicembre 1965) “Nunc vero animadvertere iuvat, Ecclesiam per suum magisterium, quamvis nullum doctrinae caput sententiis dogmaticis extraordinariis definire voluerit, nihilominus circa plurimas quaestiones cum auctoritate doctrinam proposuisse suam, ad cuius normam homines hodie tenentur conscientiam suam suamque agendi rationem conformare. Ecclesia pratetera, ut ita dicamus, cum nostrorum temporum hominibus colloquium iniit; semperque auctoritatem virtutemque suam retinens, ipsam tamen loquendi rationem adhibuit facilem et amicam, quae caritatis pastoralis propria est.



[SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739]

Caterina63
00domenica 17 maggio 2009 10:40
Nel messaggio sopra, di apertura, abbiamo citato le riflessioni di padre Tomas Tyn con un collegamento, per una lettura continuativa dell'argomento, lo postiamo a seguire, integralmente...tenendo a mente ciò che ha suggerito brillantemente padre Morselli per una lettura corretta della situazione post-conciliare....[SM=g1740722]

Questo forum, come sapete bene, NON intende avanzare con una fede
 del "FAI DA TE"[SM=g1740729] ...
al contrario, vuole lasciare sempre alla MADRE CHIESA L'ULTIMA PAROLA alla quale LE PERSONE DI questo forum non solo fanno affidamento, ma assumono come stile di vita e testimonianza alla Verità....[
SM=g1740717] [SM=g1740720]
 

La Chiesa postconciliare

di padre Tomas Tyn O.P. 

testo ripreso dalle registrazioni....

Ecco, care sorelle, ho di nuovo il piacere di trovarmi qui in mezzo a voi per dirvi qualche parola sul tema scelto molto opportunamente con grande profondità, cioè la situazione della chiesa postconciliare. Sapete che è un tema che sta a cuore anche al Santo Padre il quale ha convocato un sinodo appositamente per trattare proprio di questo tema piuttosto importante ed estremamente attuale.

Così, rinfrancati e ristorati dalla preghiera del S. Rosario ci accingiamo a trattare di questo tema per dire la verità non del tutto facile. Penso che è alla portata di tutti, un dato di comune esperienza, il fatto di un certo disagio per le anime buone, per le anime che tendono a rimanere veramente cristiane, che amano la santa tradizione - senza questo amore per la tradizione non c’è cristianesimo -, senza dubbio queste anime soffrono per alcuni aspetti deleteri di questa epoca chiamiamola così, postconciliare. A che cosa è dovuto tutto questo, forse al concilio? E’ questa la domanda che dobbiamo farci. La mia risposta tende a dirvi per l’appunto, sorprendentemente forse, che non direttamente è la colpa del concilio, bensì di strane, peregrine interpretazioni del medesimo. I

n questo non posso essere completamente d’accordo con gli scritti di due presuli che voi conoscete, mons. Lefebvre e mons. De Castro Mayer, i quali hanno avuto la sollecitudine pastorale, molto comprensibile, di mettere in evidenza alcuni aspetti difficili di alcuni insegnamenti conciliari, in particolare in materia dell’ecumenismo ed in materia della libertà religiosa, due temi che tratteremo anche noi. Questi due presuli fanno vedere giustamente che alcune espressioni di questi documenti conciliari che sembrano contraddire la tradizione cattolica in questa materia. Non c’è dubbio che studiando esattamente la lettera dei tesi conciliari potrebbe anche insinuarsi questa possibilità di interpretare in contrasto con la tradizione cattolica e non c’è dubbio che così alcuni, purtroppo molti della corrente modernista, hanno interpretato proprio così i testi conciliari. Ma è così che il concilio ha voluto essere interpretato? Io mi permetto di dire decisamente no. Il concilio continuamente propone la necessità di riallacciarsi alla tradizione cattolica di tutti i tempi e lo stesso Papa Giovanni XXIII convocando il concilio insiste col dire che il concilio deve aggiungersi a tutta una serie di concili precedenti e molto spesso anche i testi conciliari adoprano la dicitura "vestigia concilii tridentini et vaticani primi prementes" cioè premendo, esattamente rifacendo le vestigia, le orme, le tracce dei concili di Trento e Vaticano I, noi insegniamo questo o quest’altro.

Per esempio la Dei Verbum: l’insegnamento sulla autenticità storica dei vangeli ribadisce praticamente la dottrina tradizionale della chiesa; nell’insegnamento sulla infallibilità del sommo Pontefice si ribadisce la dottrina del Vaticano I con termini estremamente edificanti. Quindi vedete certamente - direttamente per lo meno -, non è colpa del concilio tutto questo sconquasso che è successo nell’epoca postconciliare. Allora qua già si avvicina a noi una intuizione, una possibile terapia che poi proporremo alla fine di questo discorso, cioè la terapia sarebbe questa: rimanere fedeli al concilio contro le distorsioni del postconcilio: molto semplice in sostanza. Vedete si fa un segnalato servizio ai neomodernisti quando certe anime buone, tradizionali, (essere tradizionali è gran bella cosa perché la tradizione, non lo dicono solo frange clericali della società, ma anche antropologi non sospettabili di clericalismo, basta citare Duncan o G……………o tanti altri, dicono praticamente che la tradizione è la radice in cui l’uomo vive, anzi in cui nasce, per natura sua si colloca, quindi essere privi di tradizioni vuol dire essere sradicati, fa male all’anima sotto tutti gli aspetti, sia all’anima destinata alla salvezza eterna, sia sotto un aspetto strettamente psicologico. Vedete, in sostanza, l’attaccamento alla tradizione è un bene sia spirituale e soprannaturale che un bene naturale. È una questione anche di igiene mentale, se volete, in questo senso proprio noi vogliamo essere fedeli alla tradizione in tutti i sensi, sia a quella ecclesiastica sia a quella culturale nel senso più vasto dell’occidente cristiano).

Però quelle anime buone che vogliono coltivare, mantenere l’epoca nostra e tramandare ai posteri l’autentica tradizione cattolica, queste anime fanno questo segnalato servizio alle tendenze più moderniste della chiesa quando praticamente assumono la loro tesi. E quale è questa tesi dei neomodernisti? Cioè la tesi secondo cui il concilio è una rottura con il passato. Noi non dobbiamo mai permettere che ci sia questa mentalità, dobbiamo sempre ribadire, rifacendoci alla lettera del concilio, che il concilio non vuole essere altro che una continuità della tradizione di tutti i tempi ed il concilio ce lo dice a chiare lettere. Vedete è inutile che questi signori invochino questo fantomatico spirito del concilio contro la lettera del medesimo e contro ogni interpretazione canonica di questi testi.

Io ricordo questo nostro caro padre ………., insegnante di diritto canonico ci diceva sempre così: id quod voluit, legislator dixit, quod taquit , noluit, cioè quello che il legislatore ha voluto dire, lo ha veramente detto, quello che ha taciuto, non ha voluto dirlo. Va bene, carissimi, questa era l’interpretazione autentica e anche dei testi conciliari. Quindi praticamente è inutile che questi signori vengano a dire: va bene che la lettera del concilio è quella che i vangeli sono veramente storici, ma però lo spirito del concilio e via dicendo. Lo spirito del concilio semplicemente non esiste o per lo meno si potrebbe dire in tedesco che è un gaist, cioè un non spirito, uno spirito piuttosto maligno; allora bisogna essere estremamente attenti a non interpretare male il concilio, sia pure ci sono certi momenti in cui alcuni testi conciliari potrebbero prestarsi anche a questa sbagliata interpretazione. Non vi dico queste cose carissime ex propriis, cioè per la mia modestissima autorità, ve lo dico in perfetta comunione con il pontefice regnante Giovanni Paolo II e che gioia sentire il Papa sempre sorretto dallo Spirito Santo, che mai abbandona la sua santa chiesa, che gioia sentire il Papa preoccupato per la continuità con la tradizione, per una vera cultura cattolica e la fede, anche al giorno di oggi, e dunque per una vera interpretazione del concilio.
 
Mi ricordo sempre di queste stupende parole del Sommo Pontefice che ci ha dato tanta speranza, speranza che effettivamente in parte, nonostante tutte le difficoltà, si stà avverando; il Pontefice parlando, nel suo primo discorso dopo la sua intronizzazione, parlando ai cardinali disse proprio che il concilio non è stato applicato, nonostante tutte le chiacchiere che ci sono state, che il concilio ha portato dei grandissimi frutti e che è stato perfettamente messo in pratica e che tutti ci sforziamo di viverlo proprio alla lettera, nonostante tutto questo il Sommo Pontefice con molto coraggio, perché ci voleva del coraggio care figliole, diceva: il concilio non è stato applicato, bisogna tornare al concilio, rileggere il concilio, applicarlo secondo le esigenze della lettera, secondo la vera ed autentica interpretazione della chiesa.

Proprio quest’oggi mentre mi accingevo a parlarvi di queste cose, del concilio, rifacendomi a quel discorso del santo Padre ai cardinali, ma il Santo Padre mi è venuto in aiuto,- sapete care figliole, perché accendendo la radio, ogni tanto succede che anche alla radio ci sia qualche notizia buona riguardo al santo Padre -, ebbene riportando un suo discorso in Belgio dove attualmente si trova, è proprio una notizia ultima, il Santo Padre dice così: nell’epoca postconciliare il concilio è stato male interpretato (parole coraggiosissime), male applicato, male studiato creando sconcerto tra i fedeli. Vedete come il Santo Padre veglia, è al corrente di quanto succede nel popolo cristiano e quindi il concilio ha creato lo sconcerto, non per il concilio stesso, vedete la mentalità del Santo Padre in questo caso, non il concilio ha direttamente la colpa, vedremo che forse indirettamente qualche piccola colpa, indirettamente ripeto, qualche piccola colpa potrebbe anche averla, ma direttamente non è colpa del concilio.

Di chi è allora la colpa? È la colpa di coloro che nell’epoca postconciliare l’hanno male interpretato, male applicato, male studiato e perciò hanno creato sconcerto tra i fedeli. [SM=g1740721]

Perciò siamo in perfetta comunione con il romano pontefice, et si Deus pro nobis, quis contra nos? Se Dio è con noi, chi potrà mai essere contro di noi? Vedete carissimi.

Allora facendoci forti di questo ed anche per le stupende parole del cardinale Ratziger prefetto della sacra congregazione per la dottrina della fede, custode deputato dal Papa, proprio dalla sede apostolica, custode della sacra verità cattolica, il cardinale Ratzinger molto autorevolmente in una sua intervista alla rivista Jesus, la quale per il resto è poco attendibile per dire la verità, tuttavia in questa intervista non poteva combinare niente perché il cardinale stesso dava le risposte, ebbene il cardinale diceva che non si può, cosa importantissima, ci torneremo alla fine, perché il problema come vedremo sarà quello dell’interpretazione del concilio, il cardinale diceva appunto che non si può creare una spaccatura tra una chiesa pretesa preconciliare ed una chiesa postconciliare. Vedete non si può fare così, una simile spaccatura è assolutamente contraria allo spirito stesso della fede cattolica.

È talmente semplice, vedete è una cosa avvilente che ci vuole un prefetto della sacra congregazione, quindi una dignità non da poco, ci vuole un prefetto della sacra congregazione per la dottrina della fede per ricordare ai cristiani che la chiesa non è stata fondata dal concilio Vaticano II, ma è stata fondata da nostro Signore Salvatore Gesù Cristo con la sua autorità divina. Vedete care figlie, ma questo lo sapevamo già dal catechismo, è una cosa preoccupante che alcuni cristiani se ne sono dimenticati nel frattempo, così che ci vuole proprio una dichiarazione del prefetto di questa congregazione in materia diciamo così di comune catechismo.

Una volta, quando si vivevano tempi un pochino più felici di questi nostri, la sacra congregazione interveniva solo per questioni difficili, di alta teologia, mentre adesso intervengono proprio per questioni di catechismo a livello di prima elementare, va bene questo discorso? Perché questo si insegnava ai bambini, la domandina: chi ha fondato la nostra chiesa cattolica? Il nostro Signore Gesù Cristo con la sua autorità divina.

Lo sapevamo tutti, invece sembra che questa verità si sia smarrita nel frattempo. Allora siamo contenti che il cardinale abbia precisato, ma siamo anche un po’ avviliti che bisognava scomodare il cardinale Ratzinger in persona per richiamare alla nostra mente questa verità così semplice. Vedete io non racconto volentieri storie concrete della vita vissuta, questo stile strano, fa un po’ parte dello stile postconciliare, così detto stile pastorale, non dottrinale, quindi si raccontano fatti particolari, la propria esperienza, non lo faccio volentieri, sia perché penso che la mia esperienza sia poco rilevante, sia perché penso che anche se fosse rilevante, è difficile comunicarla, perché ciò che si vive, lo si vive sempre individualmente. Tuttavia per dare un po’ un’idea del mio impatto con i testi conciliari, è accaduto un po’ così. Mi trovavo in Francia in questo anno terribile, il 1968, un anno di tremenda memoria, c’erano scioperi da per tutto, i treni non funzionavano, quindi noi studenti cecoslovacchi eravamo in Francia per studiare e dovevamo tornare in autobus.

Allora in questa circostanza c’era uno studente mio collega che era buon cattolico, per fortuna c’era buona intesa fra noi e lui con un certo rischio, perché voi sapete che nei paesi dell’est la letteratura, anche quella conciliare, il ché è buon segno, è considerata una letteratura decisamente sovversiva, quindi lui non senza rischio portava con lui questi documenti del concilio al suo parroco. Siccome il viaggio era lungo gli chiesi se mi prestava un po’ questi testi, che così mi diletterò anch’io a leggerli e lui mi diceva: vedrai che ti piaceranno tanto perché sai sono scritti in latino ed avrai un po’ di diletto.

Devo dire che mi è piaciuto molto perché quando la chiesa parla il suo linguaggio, la lingua latina, allora è sempre una gioia per tutti noi cristiani. Quindi presi questi documenti conciliari e li lessi con grande gioia, era una cosa bellissima. Dicevo: è qualcosa di straordinario questo lusso che la chiesa si permette di insegnare serenamente, senza condannare delle eresie. Voi sapete care figliole che generalmente i concili erano convocati per condannare delle brutte dottrine che imperversavano in diverse epoche della storia ecclesiastica, così che sempre in appendice c’era un riassunto con le frasi eretiche che cominciano: si quis dixerit, se qualcuno osasse dire, poi segue la frase poco edificante, poi alla fine c’è la clausola "anatema sit", sia scomunicato dalla chiesa.

Bene, quindi c’era una serie di condanne nei concili, anche nel magistero pontificio. Adesso la chiesa ha avuto questa serenità, è una grande gioia sapete, un concilio pastorale appunto è una specie di lusso che raramente la chiesa può permettersi ed io allora ingenuo come ero, voi dovete capire care figliuole che la vita ecclesiastica di occidente arrivava molto raramente dalle nostre parti, cioè oltre cortina, quindi dicevo: beati questi cristiani occidentali, mentre noi poverini siamo un pochino sotto torchio, questi cristiani godono di una splendida libertà, sono tutti attaccati alla loro fede, alla loro tradizione, è uno splendore, quindi il Papa, i vescovi radunati in questa grande assemblea a Roma possono insegnare serenamente al popolo cristiano senza definire, in quanto si fidano dei cristiani, della loro maturità, proprio nel senso della lettera di convocazione di Giovanni XXIII e quindi è una gran bella cosa.

Poi dopo quando ho sentito, novizietto che ero ancora molto ingenuo, nel noviziato di Frankfurt in Germania, c’era un sacerdote il quale spiegava questi sviluppi postconciliari, allora ebbe a dire una cosa veramente urtante, scioccante, allora io ho capito quali erano i pericoli dell’epoca postconciliare e quello che mi ha scioccato soprattutto era che i miei confratelli nel noviziato erano grandemente affascinati da questo "coraggioso" discorso. Che cosa diceva questo reverendo? Diceva che finalmente ci siamo sbarazzati dalla tradizione, finalmente c’è il tramonto dell’epoca tridentina, finalmente la chiesa è tutta rifatta e tutta nuova, insomma tutt’altra chiesa.
Insomma mi sono ricordato del mio catechismo e mi sono un po’ spaventato, perché chiesa nuova non mi pare che qualcuno possa fondarla, io ho sempre sentito dalla sacra scrittura che nessuno può porre un altro fondamento se non quello che è stato posto, cioè Gesù Cristo, nostro Signore.
E lì cominciarono i miei guai con il concilio perché all’inizio ero tutto contento per questo fatto, si potrebbe dire del lusso spirituale della Chiesa la quale serena insegna pastoralmente senza definire dottrinalmente; sapete anche a me non piace scomunicare nessuno, proprio è un lavoro molto spiacevole ed anche la sacra congregazione per la dottrina della fede non piace, neanche al santo uffizio di beata e venerata memoria piaceva scomunicare qualcuno.


Però vedete questa illusione, bisogna pur dirlo, questa illusione ottimistica della pretesa maturità dei cristiani di oggi è un mito che è assolutamente crollato: va bene, miei cari?

Allora bisogna rifarci seri [SM=g1740722] e capire che il laicato cristiano e non solo ma ancora più lo stesso clero, persino l’alto clero, il Signore mi perdoni, non bisogna mai parlare male dei principi del popolo come dice la bibbia, però persino l’alto clero talvolta, sia detto con tutto il rispetto e pregando il Signore che tenga la sua mano sopra di loro, è coinvolto in queste cattive interpretazioni del concilio.
 
Allora bisogna tornare effettivamente a questa serietà, che ci fa capire che un laicato ed un clero maturo di fatto non c’è mai, perché mai la chiesa potrà purtroppo permettersi questo lusso di insegnare pastoralmente senza definire dottrinalmente e senza prendere misure disciplinari là dove è necessario. [SM=g1740721]

Perché questo? Semplicemente per il peccato originale che tutti conosciamo, quindi vedete questo ottimismo è un po’ troppo roussoniano per poter essere cattolico, va bene? Non c’è questo buon selvaggio nell’uomo civilizzato, non è buono, noi nasciamo peccatori e questo è il realismo cattolico con cui va affrontata ogni questione. Non ci deve essere questa superbia tipicamente modernista secondo la quale noi al giorno di oggi, a differenza di quei poveri cristianucci delle epoche passate, pensate quale superbia c’è in questo, noi oggi siamo maturi, noi oggi abbiamo capito.

Gente che ha costruito una chiesa come quella in cui abbiamo appena adesso pregato il Santo Rosario è gente spiritualmente certamente ben più all’altezza del cristianesimo di noialtri che costruiamo delle chiese orribili in cemento armato, va bene questo discorso?
Vedete, carissime? Proprio la stessa testimonianza dei documenti storici è più che eloquente a questo riguardo, dobbiamo farci molto, molto umili riguardo ai secoli passati che hanno molto da insegnare a noi e ben poco abbiamo noi da insegnare a loro.

CONTINUA........[SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739]

Caterina63
00domenica 17 maggio 2009 10:49
ATTENZIONE....il testo che segue è continuativo da sopra, NON estrapolate i testi dal loro contesto....[SM=g1740733]

 Allora prendiamo un po’ in esame alcune domande, alcune questioni, alcuni temi fondamentali trattati nel concilio e che sembrano causare una rottura con il passato.

Il primo problema è quanto riguarda il grande silenzio del concilio. Quale è questo silenzio?

Quella omissione che mi sta proprio a cuore, care figliuole, il silenzio sul comunismo, il concilio non si è pronunciato, stranamente, molto stranamente, è stato detto assai a proposito che è come se il concilio di Nicea non avesse mai pronunciato la parola arianesimo, va bene questo discorso?

Questo concilio convocato, dopo quello di Gerusalemme, quello degli apostoli, 320 dopo Cristo, convocato per combattere questa eresia secondo cui la seconda ipostasi, la persona del Verbo, è una creatura del Padre, mediatore quindi tra il Padre Creatore ed il creato, sempre solo creatura, per quanto la creatura la più eccelsa fra tutte, per sconfiggere questa eresia è stato convocato il concilio di Nicea.

Ebbene è come se in un’epoca piena di una bruttissima eresia la chiesa insidiata da una dottrina così insidiosa, perché poi gli ariani a differenza delle nostre sciocche eresie di oggi, dico sempre ogni epoca ha le eresie che si merita, ebbene l’eresia ariana estremamente filosoficamente elaborata, non è rozza e grossolana, allora è come se in un’epoca in cui imperversa questo pensiero assolutamente inattendibile ma nello stesso tempo molto raffinato, è come se quel concilio convocato per sconfiggerlo non avesse mai detto la parola arianesimo. Ecco questo silenzio è veramente preoccupante. Perché? [SM=g1740733]

Anche questo non lo dico da stupido, ma lo dico proprio rifacendomi a quello che disse lo stesso pontefice Giovanni XXIII nella lettera di convocazione che adesso vi leggerò in lingua latina, lo tradurrò anche, sia pure non ce ne sarebbe bisogno.

Quello che è importante, care figliuole, quello che è molto importante è questo, che il concilio va sempre interpretato alla luce del magistero dei papi, questo è proprio un punto fondamentale, vedete lo dico proprio perché ci accingiamo a leggere questo brano della lettera di Giovanni XXIII. Il concilio non può essere interpretato da nessuna autorità tranne quella pontificia. [SM=g1740722] [SM=g1740721]

I vescovi, per quanto godano di una grandissima autorità nella chiesa: sono successori degli apostoli, sono veramente pastori delle loro diocesi, i vescovi né singolarmente, né in sinodo possono mai elevarsi sopra al romano Pontefice. Vedete, cari, voi lo sapete bene, avete imparato bene il vostro catechismo e studiato anche la struttura monarchica della chiesa, quindi sapete che il Papa è l’episcopus episcoporum, cioè al di sopra di qualunque concilio.

Debbo dire con un certo rammarico che erano eretici purtroppo alcuni miei compatrioti che hanno avviato l’eresia così detta conciliarista, al concilio di Costanza, Giovanni Huss che si è preso quella pena che meritava e non poteva finire diversamente per la pace della santa chiesa di Dio, allora siamo nel quattrocento il concilio di Costanza e poi il concilio di Basilea. Il brutto guaio di quell’epoca è che purtroppo c’era lo scisma nella chiesa occidentale, c’erano tre papi e non si sapeva chi era il Papa legittimo. Anche nel nostro santo ordine due santi, S. Vincenzo Ferreri e S. Caterina da Siena optavano ciascuno per un altro papa, ma senza colpa loro, perché effettivamente non si sapeva chi dovesse veramente comandare. Poi è risultato che nessuno dei tre era legittimo. Bisognava deporre tutti e tre e non c’era autorità che potesse farlo se non quella dell’imperatore. Cosa fortunata sapete la struttura monarchica del medio evo.

Quindi l’imperatore ha convocato questo sinodo in cui questi tre papi sono stati deposti ed è stato eletto uno nuovo: solo che questo fatto della deposizione dei papi scismatici ha causato un turbamento della chiesa, così che si pensava che ci si potesse appellare al concilio contro il romano pontefice ed allora i papi successivi hanno sempre fulminato con opportuni anatemi questa tesi conciliaristica del possibile appello contro un papa di un concilio universale.

Infatti nella nostra basilica di San Domenico c’è tutto un elenco delle proposizioni dannate per cui non si può dare l’assoluzione, bisogna proprio ricorrere alla santa sede, tra queste c’è anche chi si appella - contro il sommo Pontefice - ad un concilio futuro. Vedete come i Papi prendevano molto sul serio questa eresia conciliarista, ma al giorno di oggi si è tranquillamente conciliaristi, si dice: il concilio me lo interpreto io. [SM=g1740730]
No, invece di avvertire che il concilio va interpretato alla luce del magistero dei Papi.

Quindi quando leggiamo questo brano di Giovanni XXIII lo facciamo per motivi ermeneutici, cioè di autentica interpretazione. Ora Giovanni XXIII nella lettera di convocazione in cui doveva stabilire i temi fondamentali del concilio ed anche lo spirito e l’indirizzo del concilio, lettera intitolata: " Humanae salutis" dell’anno 1961 dice: si è arrivati ad un punto tale che "ut denique quod novum sane atque formidolosum existimandum est hominum secta Deum essere altior more veluti militari ordinata constiterit ad multos per populos pervaserit".

Proverò una traduzione: si è arrivati a tal punto che, cosa nuova ed assai terrificante, (da considerarsi terrificante questo fatto nuovo), si è costituita una setta di uomini che negano Dio, una setta di uomini atei, (è chiara l’allusione del sommo Pontefice), organizzata, ordinata c’è in latino, organizzata come a modo militare. Vedete l’ateismo militante, vedete è chiaro il riferimento al marxismo ed al comunismo, è riuscita ad invadere molti popoli. Giovanni XXIII ha davanti a sé questo fatto veramente sconsolante del comunismo, non c’è bisogno di dire comunismo ateo perché il comunismo è per essenza sua ateo, è un pleonasmo dire "comunismo ateo", quindi il comunismo è ateo ed è riuscito ad organizzarsi con tutti gli strumenti del potere ed a invadere molte nazioni, non solo militarmente ma soprattutto spiritualmente, cosa terrificante, formidolosum dice il sommo Pontefice, qualcosa di orribile.
 
Vedete come Giovanni XXIII aveva quella sensibilità soprannaturale per individuare il pericolo. Alla luce di questo detto del papa si rimane allibiti davanti al silenzio del concilio, non ne parla.
 
La "Gaudium et spes" che dovrebbe trattare proprio della chiesa che vive in questo mondo, non ne fa parola. Perché mai? Allora qui il sottoscritto non lo sa, ma si sentono alcune voci, si da a queste voci l’importanza che hanno, perché non si può sapere, ma si dice che forse c’è stato un compromesso pseudo eucumenico, cioè per garantire la presenza di osservatori della chiesa (chiesa con c minuscola, questa volta) scismatica di oriente, cioè quella di Mosca, per garantire la loro presenza al concilio bisognava che il concilio rinunciasse a condannare la setta comunista di cui ha parlato appunto il Papa Giovanni XXIII. Non so se è vero, si può pensare che qualche motivo ci sia stato. Voi conoscete bene di che "chiesa" (fra virgolette), si tratta, del patriarcato di Mosca che è strumento di propaganda atea. Si può arrivare anche a questi estremi. Il famoso scrittore Alessandro Solgenitsyn lo dice chiaramente nella sua lettera aperta al Patriarca ……Non era il caso di arrendersi a simili signori, strumenti proprio del potere ateo.

Poi conosciamo lo sviluppo storico…..

(interruzione del nastro, altro lato della cassetta)


Quando chiedeva un diplomatico, mi pare statunitense, quando diceva: bisogna tenere in considerazione il S. Padre. Questo S. padre, quante divisioni corazzate ha? Qui ha detto qualche cosa profondamente vera e il Vaticano che aveva una politica molto realistica, ispirata alla morale cattolica, due cose che non si contraddicono poi in fondo e il Vaticano l’ha sempre saputo.( Sembra che sia divenuto un po’ smemorato in questi ultimi tempi.) Allora sembra che questo dialogo si sia aperto con le potenze dell’est, un dialogo, vedete carissime, che non può aver luogo in maniera onesta.

Si parla tanto del metodo del dialogo, certamente parlarsi è sempre una bella cosa tra esseri umani. Però nel dialogo c’è una condizione sine qua non, una condizione morale, che condiziona la moralità del dialogo, perché è sbagliato pensare che il dialogo sia un valore morale assoluto, cioè che sia intrinsecamente buono perché è dialogo, no ci sono altre condizioni che lo rendono buono o cattivo. La condizione fondamentale è quella che entrambe le parti umilmente sottostiano alla verità e allora si può dialogare e si deve anche dialogare. Ma care sorelle, non lo dico solo per esperienza propria, ma un poco ne avrete fatta esperienza anche voi, questo desiderio della verità in questi signori dell’est, in questi potenti nei paesi ove regna Satana, questo desiderio della verità non c’è affatto e il Vaticano lo sa bene.

Quindi vedete come ogni apertura, ogni dialogo con questi signori è assolutamente deleterio. [SM=g1740722] Diceva uno di questi politicanti tedeschi, un certo Willy Brand che tutti conoscete che apriva questa ostopolitik tedesco-occidentale, diceva : quando ci si parla, non ci si spara. Può essere anche vero, eppure generalmente dopo essersi parlato, qualche volta le sparatorie succedono, anche notevoli, voi sapete bene i cedimenti delle potenze occidentali davanti a Hitler, conferenza di Monaco, chi ha memoria storica lo sa bene, dopo la quale è successa la seconda guerra mondiale, quindi capite si può dialogare e ci si può poi sparare, non si è garantiti nella pace per il fatto stesso che si dialoga, anzi un certo dialogo mal compreso può produrre una certa aggressività.

Soprattutto questo politico, bisogna dire poco attendibile, ha dimenticato una cosa, che non si guerreggia solo con i proiettili, si guerreggia anche con una sottile, astuta propaganda psicologica, con la quinta colonna che questi signori dell’est, grazie proprio a questi equivoci della detta ost-politik, hanno ottenuto dalle potenze occidentali una certa credibilità che l’occidente non dovrebbe mai accordare a loro. In questo senso la guerra fredda è un imperativo di onestà, è un paradosso sapete, se si guerreggia freddamente non si guerreggia caldamente, questo è il punto, capite.

Contrariamente a quello che asseriva questo Brand, l'esperienza storica insegna anzi che la guerra fredda è la massima garanzia della pace sul piano della guerra calda. Questo per fortuna sembra che lo Spirito Santo abbia voluto illuminare i potenti dell’occidente, nella persona soprattutto del presidente degli Stati Uniti, sia pure sia diciamo così di spirito alquanto democraticistico per il resto, laicistico, tuttavia lui assume quei toni che sono da assumere nel così detto dialogo con l’est. Non vogliamo ricordare tutte quelle inopportune prese di posizione che ci sono state, soprattutto in Ungheria, tanto per citare solo un caso emblematico, pensate alla figura stupenda del cardinale Mindszenty, il quale da buon cattolico, da buon vescovo pastore del suo gregge si rifaceva proprio alla struttura dell’Ungheria cattolica e monarchica, cioè sapeva che l’arcivescovo di ………, cioè il primate di questo regno, era anche il consigliere del re e quindi sia pure purtroppo il re ovviamente non c'era, tuttavia lui sapeva di dover essere l’istanza morale di quel paese e lo era, anche nell'esilio, in quel ristrettissimo esilio dell’ambasciata americana. È rimasto sempre per tutti i buoni ungheresi il punto di riferimento morale assoluto.

CONTINUA........[SM=g1740739] [SM=g1740739] [SM=g1740739]

Caterina63
00domenica 17 maggio 2009 11:07
ATTENZIONE....il testo che segue è continuativo da sopra, NON estrapolate i testi dal loro contesto....


Il Vaticano, carissime bisogna dirlo con molta onestà, il Vaticano sostituendolo con un altro presule, ebbene con questa sostituzione ha perso purtroppo credibilità morale presso i buoni cattolici di quel paese. È una cosa assolutamente pacifica, dalle nostre parti la gente non è sciocca, ha una sensibilità nel distinguere fra il clero rimasto fedele alla sede apostolica ed il clero nazionale, cioè il clero separatista, scismatico, le chiese nazionali, che naturalmente i padroni comunisti vogliono imporre alla chiesa per staccarla da Roma.

Perché si facevano processi motivati dallo spionaggio a favore del Vaticano? Un vescovo fedele a Roma è spia del Vaticano, per forza, perché loro vogliono ottenere la separazione dell’episcopato del clero locale dalla santa sede. Per fortuna non ci sono riusciti in pieno e proprio recentemente il S. Padre vietando ai sacerdoti di partecipare alla lotta partitica, politica ha causato una massiccia uscita di questi preti per la pace, pacem in terris si chiamano dalle nostre parti, ha causato una massiccia uscita di questi sacerdoti compromessi con il regime.

Vedete come il S. Padre prende delle posizioni chiaramente contrarie contro questi movimenti di compromesso con il regime. Purtroppo questa sostituzione del cardinale Mindszenty è stata inopportuna perché il popolo semplice, credente, non vuole dei preti e dei vescovi compromessi con il regime.

Vedete ad un certo punto come diceva S. Pio X, quel sant’uomo veramente, in una parrocchia è meglio che i fedeli preghino il S. Rosario piuttosto che avere in quella parrocchia la Messa con dei preti perversi ed è giustissimo, questa dovrebbe essere la politica della santa chiesa anche al giorno di oggi. [SM=g1740721]

In Giappone il cristianesimo si è mantenuto anche senza gerarchia, senza sacerdoti, pregando il rosario. [SM=g1740722]

Quindi è possibile, ma è meglio non aver la gerarchia piuttosto che averla come abbiamo detto adesso. Pensate, non bisogna parlar male dei principi del nostro popolo, ma pensate al successore del cardinale Mindszenty, pensate all’arcivescovo della metropoli della Moravia, che sono uomini compromessi con il regime, una cosa veramente molto triste. Questo per la ostopolitik .

Adesso vediamo l’ecumenismo, il concilio dice così: unitatis redintegratio, proprio quel documento che conoscete sull’ecumenismo, vedete quanti gioielli di tradizione ci sono in questi documenti, disattesi evidentemente da questi modernisti, dice unitatio et integratio: per solam enim catholicam Cristi ecclesiam quae generale auxilium salutis est omnis salutarium mediorum plenitudo attingi potest . E’ una rugiada per ogni buona anima cattolica, capite.

Lo traduco: per la sola chiesa cattolica di Cristo, che è l’aiuto universale per la salvezza, si può avere la pienezza di tutti i mezzi salvifici, ossia non c’è pienezza dei mezzi salvifici se non nell’unica chiesa di Cristo che è la chiesa cattolica, non divisa, care sorelle, non divisa: nell’unica chiesa di Cristo, che è la chiesa cattolica: il concilio lo dice chiaramente. Dice in altro luogo, questo è molto filosofico e mi piace molto, dice che la pienezza dei doni salvifici subsistit, sussiste nella chiesa cattolica, proprio nella chiesa cattolica romana, capite bene, subsistit.

Ora sapete la filosofia della partecipazione, alla quale si è molto dedicato recentemente il pensatore italiano Cornelio Fabro interpretando anche S. Tommaso e l’analogia della partecipazione, ebbene S. Tommaso distingue fra ciò che è per se, per essenza e ciò che è per accidens, ciò che è per essenza sussiste per se stesso. Per esempio Dio è essere per essenza, quindi si dice: Deus per se esse, per se subsistit, perché in Dio l’essere sussiste in sé. Ogni altra creatura riceve l’essere per accidens, lo riceve in maniera accidentale.

Così il vero ecumenismo è quello che dice: solo nella chiesa cattolica si ha la chiesa essenzialmente, nella sussistenza, in tutte le altre denominazioni cristiane o non, non si può dire chiese, care sorelle, state attente anche nel linguaggio, dunque nelle altre denominazioni ecclesiastiche più o meno, c’è solo una partecipazione di qualche cosa di comune. [SM=g1740722]

Per esempio i protestanti hanno la scrittura, certo, ma l’hanno non per se, l’hanno per partecipazione, gli ortodossi hanno la sacra liturgia, l’hanno per se solo se sono ancora in comunione di fede con Roma. Dove non lo sono, l’hanno solo per partecipazione. Va bene questo discorso?

Quindi là dove c’è una disunione con Roma, là c’è solo la partecipazione, non c’è più la sussistenza di chiesa. Questa è la dottrina autentica del concilio.

Che cosa è successo? E’ successo che ci si ispira ai fratelli separati, si ha un complesso di inferiorità, noi cattolici poverini non abbiamo la scrittura, l’hanno solo i protestanti, l’ha Cullman, Marxel…e tanti altri interpreti assai inattendibili della Scrittura. Poi gli ortodossi, solo loro hanno la liturgia, (per dire la verità dopo certi sconquassi liturgici viene da sospettare che sia così).

Comunque quello che poi è successo è che non ci si è ispirati per la liturgia all’oriente e negli studi biblici e delle lingue antiche ai protestanti, ma al contrario abbiamo assunto la liturgia un pochino ispirata al protestantesimo e gli studi biblici ispirati all’oriente ove praticamente non vengono svolti. Un ecumenismo un poco strano anche questo, invece di imparare eventuali virtù dai fratelli separati, abbiamo imparato piuttosto i difetti e i limiti.

Che cosa succede al giorno di oggi? Si parla di una Chiesa cattolica? Proprio recentemente un confratello è venuto da me sconcertato, povero figliolo, mi diceva: guardi questo manuale sull’ecumenismo, per fortuna mi sono scordato chi l’avesse scritto, ma era un neomodernista senz’altro, viene da me e dice: guardi padre che cosa c’è scritto, io non credevo ai miei occhi, qui si dice che la chiesa cattolica, come tutte le altre chiese, deve convertirsi a Cristo. Ma io nel mio catechismo ho imparato che la Santa Chiesa, la sposa di Cristo, è già ben convertita al suo Signore e non ha affatto bisogno di convertirsi ulteriormente, vedete qui c’è un grossolano equivoco. Certo convertirci a Cristo noi uomini di chiesa, questo sempre, siamo strutturalmente peccatori, lo sappiamo, bisogna battere il nostro petto, ma non quello della santa romana chiesa, noi ci riconosciamo bisognosi di conversione, ma la chiesa, quando ha la fede, è già nella pienezza della fede in Cristo, quindi niente conversione, non è la chiesa cattolica che si converte a Cristo assieme agli altri, sono gli altri che si convertono alla chiesa cattolica quindi a Cristo.
Va bene, care sorelle?


Infine a tutto questo soggiace l’equivoco della carità priva della verità. Proprio S. Pio X insisteva su questo: non c’è carità, senza la verità. Adesso c’è tutto questo spontaneismo: amiamoci a vicenda, comprendiamoci a vicenda. Molto giusto, però bisogna instaurare questa amicizia della carità sul piano della verità.

Gesù stesso ce lo dice, vedete nel vangelo queste stupende parole del Salvatore, vangelo di S. Giovanni: non vi chiamo più servi, vi ho chiamato amici, perché? Perché vi ho rivelato il mistero del Padre mio. Vedete come la carità è tutta fondata sulla verità della fede. È lo stesso Salvatore che ce lo dice e quindi non è possibile dire: noi dobbiamo accettarci a vicenda anche se non la pensiamo allo stesso modo.

Certo si potrebbe dire come S. Tommaso in maniera molto profonda, che talvolta ci può essere una certa discrepanza di opinioni, ma nonostante ciò ci può essere una certa amicizia affettiva. Questo è giusto, l’unico vero ecumenismo è quello di una signorilità, di un certo stile nei rapporti con le denominazioni separate. Bisogna avere una certa benevolenza nel trattare con loro, questo si, non è il caso proprio di ingenerare polemiche veramente mortificanti anche da parte cattolica, improperi, contumelie ed altre cose del genere, questo cerchiamo di sbarazzarcene più che possiamo, questo ecumenismo delle buone maniere lo accetto molto volentieri, ma è l’unico ecumenismo attendibile.

Non vale il discorso che dobbiamo badare a quello che ci è comune e non badare a ciò che ci divide, perché quello che ci divide non è irrilevante rispetto alla prassi. Quindi non è possibile essere in pace là dove gli uni dicono per esempio che la Madonna deve essere onorata e gli altri dicono che onorare la Madonna è superstizione. Non si può essere d’accordo proprio sul piano operativo, ciò non toglie che nel senso tomistico di questa concordia di buone maniere che ci debba essere questo stile dignitoso nel trattare con i fratelli separati, là dove non si imponga la polemica, perché può succedere che la polemica sia proprio doverosa.

Libertà religiosa, un altro tema scottante, bene vi cito la " dignitatis humanae" tanto per vedere ciò che dice il concilio e che cosa succede nei nostri tristi tempi. Il concilio dice così, pensate a questo: libertas religiosa, la libertà religiosa, integram relinquit traditionalem doctrinam catholicam, cioè lascia integra la tradizionale dottrina cattolica sul dovere degli uomini e delle società riguardo l’unica vera religione, l’unica vera chiesa di Cristo.

Insegnamento di tutti i tempi, cioè sia il singolo uomo, sia tutta la società hanno il dovere di favorire la chiesa cattolica. Perché? Per il semplice motivo che tra la verità e l’errore non c’è parità, non c’è uguaglianza di diritti . Lo dice quell’uomo così saggio, così profondo che è il Papa Pacelli, dice appunto: non c’è diritto all’errore. Quindi lo stato e tanto più il singolo uomo ha un obbligo di aderire alla chiesa cattolica. C’è un dovere di credere, mentre al giorno di oggi si dice: uno ci crede, un altro non ci crede, ma sono tutti brava gente, sono onesti, quindi possiamo andare tutti d’accordo. Niente affatto. Proprio oggi nel vangelo leggeremo queste parole di Gesù: chi crede e sarà battezzato, sarà salvo, chi non crede è già condannato. Pensate a questo.

Quindi niente la religione roussoniana, mi fa specie questo illuminista subdolo il quale scrive all’arcivescovo di Parigi, anche i preti di Parigi non si lasciavano ingannare da simili proposte, il filosofo Jean Jaque Roussou scrive all’arcivescovo di Parigi, adesso ve lo cito un po’ liberamente, dice: monsignore, basta togliere i dogmi e tutto il mondo si prostrerà davanti a Gesù Cristo. Basta quella bazzecola, quella cosa da poco, togliere i dogmi. Vedete come al giorno di oggi si dice: il mio amico che non crede, il mio amico laicista, comunista, brava persona, uomo onesto, buono, dico, anche se fosse buono in tutto, cosa della quale sinceramente dubito molto perché senza la grazia di Dio è difficile, anzi impossibile osservare tutta la legge di Dio, ma anche se fosse buono, almeno in quel punto della sua incredulità buono proprio non è, perché questo? Perché la verità obbliga, c’è poco da fare, la verità obbliga.

Tanto più obbliga la verità rivelata che riguarda la nostra salvezza, la salvezza eterna delle nostre anime. In questo senso non analizzo tutto ciò che avevo preparato perché sarebbe troppo lungo, solo questo. Bisogna opporsi soprattutto, ora vi do un programma filosofico, ma non spaventatevi, la confusione comincia con la filosofia, poi si divulga nel popolo cristiano e quindi bisogna restaurare la filosofia sana, nel senso di Leone XIII, Aeterni Patris Unigenitus spiritus, questa apoteosi del tomismo, documento bellissimo il quale raccomanda la sana filosofia di S. Tommaso di Aquino proprio per sconfiggere questo razionalismo e soggettivismo dei nostri tristi tempi. [SM=g1740722]

Allora nell’ottocento appena cominciava, ora ne vediamo i velenosi frutti. Soprattutto opporsi al soggettivismo, care sorelle è terribile, al giorno di oggi praticamente non c’è filosofo di nome che abbia il coraggio di difendere il realismo epistemologico, una cosa molto semplice; realismo epistemologico vuol dire che la nostra mente umana è a contatto con la verità oggettiva, cioè che il tavolino che vedo davanti a me, realmente c’è. Il deteriore teosofismo dei nostri tempi ci vorrebbe far credere che tutto è un fenomeno, quindi non è che il tavolino esiste, appare a me che il tavolino ci sia, se poi a voi appare qualcosa di diverso avete democraticamente il diritto di dissentire.

Invece non è così, vedete come il democraticismo, questo famoso pluralismo ecc., si rifà a queste orrende dottrine del soggettivismo, le quali poi conducono al disprezzo della verità. La verità, questo fine della intellettualità umana, è anche il fine di tutto l’uomo, S. Bonaventura mi perdoni, c’è anche un giusto pluralismo teologico, quindi anche S. Bonaventura è un teologo molto ortodosso, ma voi sapete che litigava con S. Tommaso su un punto delicato, cioè in che cosa costituisce la beatitudine eterna, cioè il fine ultimo dell’uomo. S. Bonaventura diceva la carità, l’amore e la gioia in Dio, S. Tommaso diceva: no, è la visione dell’essenza divina, quindi l’attenzione dell’intelletto.

Quindi il nostro intelletto è destinato alla visione del volto di Dio, quindi la verità, care sorelle, è qualcosa che obbliga vitalmente sul piano morale. Perciò niente soggettivismo, niente poi nella prassi democraticismo e pluralismo, ma obbligo morale davanti alla verità. Questo è valido tanto a livello ecclesiastico, quanto a livello laicale, cioè è la stessa natura umana creata da Dio per conoscere la verità. E’ una vera e propria perversione dei fini naturali dell’intelligenza umana è pensare che la nostra intelligenza non sia fatta per conoscere il vero, ma per dubitare, discutere se una cosa appare come appare o se appare diversamente. La liturgia, anche qui il concilio dice così nella "Sacrosantum concilium ": linguae latinae usus salvo particulari curae, in ritibus latinis servetur.

Benissimo, dive tutto, vedete: l’uso della lingua latina tranne i diritti particolari,( al giorno di oggi tutti hanno dei diritti particolari) deve essere conservato, voi pensereste: deve essere tolto, no, poiché a quanto pare al giorno di oggi non si ricorre mai al latino, invece no, qui dice che deve essere conservato l’uso della lingua latina, nei riti, al plurale, quindi c’è una pluralità di riti latini, anche il nostro santo ordine aveva uno stupendo rito che è stato non soltanto conservato, ma molto promosso da sua santità S. Pio V.
 
Quando il sommo Pontefice nell’anno di grazia 1570 promulgò il nuovo messale tridentino, vedete il sano pluralismo del sommo Pontefice, al giorno di oggi ci si adira, si dice: è una persona autoritaria, che schiacciava i poveri cristiani, invece il cardinale Ratzinger ci ha rallegrati con un articolo pubblicato sull’"Avvenire" intitolato: l’attualità, o la modernità nientemeno che di S.Pio V.
S. Pio V quando rinnovò il messale, ha conservato ed ha promosso tutti i riti che avevano più di 200 anni di tradizione. Pensate il rispetto di questo Papa, che si accusa di autoritarismo, aveva per i riti particolari. Ebbene, tanti ordini religiosi che avevano degli stupendi riti, ed anche il nostro ordine aveva uno splendido rito, tanti ordini religiosi, contrariamente alla lettera del concilio, hanno rinunciato ai propri riti, mentre il concilio esorta proprio a conservarli. Sono delle cose urtanti, vedere come un concilio insegna e come noi le abbiamo interpretate, così bisogna tornare alla lettera del concilio.

Così scomparsa del latino, voi sapete chi è interessato a far scomparire il latino, è scomparso dalle scuole medie, poveri figlioli, che dimenticano questa lingua e soprattutto qui in Italia che rimane veramente la culla della cultura europea, ebbene in Italia è di primo ordine la lingua latina, vitalmente necessaria per qualunque persona che voglia riconoscersi in qualche sublimità di cultura anche umana oltre che religiosa.

Quindi vedete: cui prodest? Nel mio paese si diceva: non c’è bisogno del ginnasio, del liceo classico, anzi bisogna proprio sopprimerlo, per quale motivo? Perché la lingua latina è la lingua degli imperialisti, Cesare Augusto, l’imperialismo, quindi la lingua latina è imperialista, bisogna sopprimerla. Poi abbiamo la fortuna che c’è la lingua russa che è la lingua del primo paese socialista, quindi se impariamo questa, non c’è più desiderio di imparare quella latina. Similmente qui nelle scuole medie, cui prodest? Quale partito, care sorelle, si è dato da fare per eliminare il latino? Lo sappiamo tutti quali macchinazioni ci sono dietro a questo. Ma almeno nella chiesa cattolica la lingua latina dovrebbe essere veramente promossa e veramente coltivata.

Poi c’è stato tutto quell’affievolimento che voi conoscete della pietà eucaristica, questo veramente tremendo, vedete il Signore non ci abbandona, il Signore è sempre con noi nella sua Divina Presenza, così commovente, così umile, così nascosta, proprio l’ultimo grado dell’umiliazione del Servo di Javè, come insegna Isaia, questa presenza nascosta sotto le Sacre Specie , l’umiltà del nostro Salvatore il quale ha assunto la natura umana proprio per farsi umile. [SM=g1740717]

Vedete Iddio non può essere umile, lo sapete care sorelle, perché Dio essendo sopra a tutto non può riconoscere secondo verità dei limiti che non ha ed è per questo che ha voluto assumere la nostra povera natura umana per poter umiliarsi, è una cosa bellissima, è proprio come se Dio volesse farsi umile come l’uomo deve farsi umile. Così questa bellissima, grandissima presenza, questa scekinà per usare questa parola ebraica, quella tenda piantata in mezzo al popolo e che ci accompagna lungo tutto il cammino nel deserto fino alla patria celeste. Allora vedete care la pietà eucaristica segna sempre i tempi forti della Chiesa.

Quando la Chiesa è prospera, è in ginocchio davanti all’Eucarestia. Che cosa succede al giorno di oggi? Quei bellissimi altari, con Gesù Sacramentato in mezzo, non ci sono più. Ci sono i tavolini davanti e Gesù spostato in disparte in un angolino spesso anche abbastanza squallido, poi non ci si inginocchia più dinanzi al Santissimo. 55x111

Proprio l’altra volta, io ho dei bravissimi chierichetti lì a S. Giacomo, dei bravi ragazzi veramente, non è colpa loro, nessuno ha insegnato a loro. Andiamo lì facendo un’altra strada davanti al Santissimo, messo anche lì un pochino in un canto, mi inginocchio naturalmente, i ragazzi vanno via imperterriti. Dico: ma sapete, lì c’è Gesù, quindi bisogna fermarsi, inginocchiarci, dicono: padre, nessuno ce lo ha insegnato. Ebbene, adesso ve lo insegno io, così un’altra volta ci inginocchiamo tutti insieme.

Vedete l’uomo non è mai così grande come quando si fa piccolo, come quando si inginocchia davanti al Tabernacolo. Non è cari che il Signore ci abbandona, Lui rimane sempre in mezzo a noi, il problema è che potremmo essere noi ad abbandonarlo e questo sarebbe veramente spaventoso. Vedete dunque quello che è orrendo proprio questa indifferenza, insensibilità all’Eucarestia e persino la profanazione dell’Eucarestia.

Adesso non insisto, ma il Pontefice stesso accennò a questi fenomeni, chiedendo proprio perdono al popolo cristiano per gli scandali causati da alcuni sacerdoti indifferenti nei riguardi del SS. Sacramento. Io stesso ho visto delle pagliacciate enormi, non oso soffermarmi perché sono cose bruttissime.

Ultima cosa, che fare, allora arriviamo proprio alla terapia. Che cosa dobbiamo fare? Come vedete il concilio è veramente " sacrosanctum concilum" , va bene? Possiamo dirlo forte, nel concilio non c’è neanche una lettera, neanche una virgola che sia sbagliata, cioè tutto quello che il concilio dice è interpretabile e quindi da interpretare alla luce della sacra tradizione e così interpretato risulta assolutamente attendibile e santo.

L’unica difficoltà ed è qui che c’è una forma indiretta del concilio è che in un’epoca in cui bisognava proprio insegnare dottrinalmente, chiaramente, definire e anche se fosse necessario, scomunicare, proprio in un’epoca così pericolosa il Concilio si prese questo strano lusso di essere pastorale, senza essere dottrinale. Questa cosa ha causato molti equivoci, basta citare una sola cosa che può esemplificare un po’ tutte, il Cardinale Michele Brown, un grande teologo veramente, il Cardinale Brown al concilio insisteva …

(finita la cassetta)


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Caterina63
00giovedì 17 settembre 2009 17:20

Concilio pastorale? = non tutto vincolante!

Un appassionante articolo di Roberto De Mattei sulla storiografia dell'ultimo Concilio. Dove è significativo, tra l'altro, che argomenti di questo spessore, e di questo genere, appaiano su quotidiani di primaria diffusione nazionale e non più solo in bollettini di nicchia, snobbati dai più. Davvero da questi segni appare con evidenza che non solo l'atmosfera: anche il clima, sta cambiando. E questo spiega molte reazioni scomposte del campo avverso: al disprezzo e al fastidio è subentrata la paura e, presto, il panico.


DUE RILETTURE DEL VATICANO II RISCOPRONO
“L’ININTERROTTA TRADIZIONE ECCLESIALE”
E IL PESO NON DOGMATICO DEL CONCILIO

Roma. Il Concilio Vaticano II, fino a ieri appaltato alla lettura storiografica della “scuola di Bologna”, inizia a essere oggetto di una nuova fase di riflessione storico-critica, che prende le mosse dall’ormai celebre discorso alla Curia romana di Benedetto XVI del 22 dicembre 2005.

Lo stesso Papa Ratzinger è ritornato più volte sull’argomento: l’ultima volta nel
discorso ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per il Clero del 16 marzo 2009, in cui il Papa ha ribadito la necessità di rifarsi “all’ininterrotta Tradizione ecclesiale” e di “favorire nei sacerdoti, soprattutto nelle giovani generazioni, una corretta ricezione dei testi del Concilio Ecumenico Vaticano II, interpretati alla luce di tutto il bagaglio dottrinale della chiesa”. L’unica maniera di rendere credibile il Vaticano II - ha sempre sostenuto il cardinale Ratzinger e sostiene oggi Benedetto XVI - è presentarlo come una parte dell’intera e unica Tradizione della chiesa e della sua Fede.

In questo solco si è inserito il recente libro “Vatican II. Renewal within Tradition” (Oxford University Press 2008) di Matthew Lamb e Matthew Levering, due docenti dell’Università Ave Maria in Florida. Al discorso di Benedetto XVI, che apre il volume, seguono una serie di densi contributi, rispettivamente dedicati alle quattro costituzioni conciliari, ai nove decreti e alle tre dichiarazioni del Vaticano II. I nomi degli autori sono di prestigio: tra essi, due cardinali americani (Avery Dulles e Francis George), noti teologi, come il domenicano dell’Angelicum padre Charles Morerod [ora incaricato dei colloqui con la FSSPX], studiosi di peso come il filosofo del diritto Russell Hittinger. La tesi di fondo è che il Vaticano II può essere inteso solo in continuità con la tradizione bimillenaria della chiesa, secondo la formula di Leone XIII “vetera novis augere et perficere”.

La dimostrazione si svolge sul piano di un’analisi testuale dei documenti, considerata naturalmente riduttiva da chi sostiene la priorità qualitativa dell’”evento” conciliare rispetto alle sue decisioni dottrinali che, come ha scritto Giuseppe Alberigo, “non possono essere lette come astratti dettati normativi, ma come espressione e prolungamento dell’evento stesso”.
 
E’ in questo dibattito che si inserisce ora il recente libro di monsignor Brunero Gherardini, “Concilio ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare”, edito dalla Casa Mariana Editrice di Frigento dei Francescani dell’Immacolata. Un’opera la cui importanza deriva, oltre che dal suo contenuto, dalla figura stessa dell’autore, decano della Pontificia Università Lateranense, postulatore della causa di canonizzazione di Pio IX, direttore della rivista “Divinitas” ed ultimo esponente della grande “scuola teologica romana”.

L’autorità del volume è accresciuta dalla prefazione di monsignor Mario Oliveri, vescovo di Albenga e dalla premessa di monsignor Albert Malcolm Ranjith, [ex] segretario della Congregazione del Culto Divino e arcivescovo di Colombo (Sri Lanka). Tema centrale del volume di monsignor Gherardini è quello della natura pastorale del Concilio, un punto su cui i fautori delle pur diverse tesi sostanzialmente concordano. Il Vaticano II fu un concilio pastorale: tale lo dissero sempre Giovanni XXIII, Paolo VI e i suoi successori, fino all’attuale Pontefice. Ma quali sono le conseguenze di questa “pastoralità”, che è, in ultima analisi, la relazione della chiesa con il mondo?

“Costituzioni dogmatiche”

Il Vaticano II, chiarisce Gherardini, in quanto “pastorale”, fu privo di un carattere dottrinale “definitorio”. L’assenza di intenti definitori sembra contraddetta dall’aggettivo “dogmatica”, con cui il Concilio qualifica due sue importanti costituzioni: la Lumen Gentium e la Dei Verbum. In realtà, come spiega l’autore, di esse si parla come di “costituzioni dogmatiche” solo perché esse recepirono e riproposero come verità di fede dogmi definiti in precedenti Concili (pp. 50-51). Il fatto che solo due documenti conciliari furono definiti dogmatici, rende comunque evidente che tale carattere non ebbero gli altri documenti.

Il Concilio Vaticano II ha certamente un suo specifico insegnamento, non privo di autorevolezza, ma come spiega Gherardini, “le sue dottrine, non riconducibili a precedenti definizioni, non sono né infallibili né irreformabili, e dunque nemmeno vincolanti; chi le negasse non per questo sarebbe formalmente eretico. Chi poi le imponesse come infallibili ed irreformabili andrebbe contro il Concilio stesso” (p. 51).

Ne consegue che è lecito riconoscere al Vaticano II un’indole dogmatica solamente là dove esso ripropone come verità di fede dogmi definiti in precedenti concili. “Le dottrine, invece, che gli son proprie non potranno assolutamente considerarsi dogmatiche, per la ragione che son prive dell’ineludibile formalità definitoria e quindi della relativa ‘voluntas definiendi’” (p. 51). Non si tratta di mettere in soffitta l’ultimo concilio, o di liquidarlo, “si tratta solamente di rispettare la natura, il dettato, le finalità e la pastoralità che esso stesso rivendica” (p. 24).

Benedetto XVI afferma che il Concilio Vaticano II deve essere letto alla luce della Tradizione, rivendicando un “ritorno alla verità del testo”, al di là delle intenzioni o delle conseguenze dell’”evento”.

Tuttavia, secondo monsignor Gherardini, i testi presentano una loro ambiguità e possono essere oggetto di critica, storica e teologica.

Un tipico esempio è la costituzione che fu detta “pastorale”,
Gaudium et Spes, del 7 dicembre 1965, sulla chiesa nel mondo contemporaneo. La parola “pastorale” qualifica il suo approccio “umanistico” di simpatia, di apertura, di comprensione verso l’uomo, la sua storia e “gli aspetti della vita odierna e della società umana”, con particolare attenzione ai “problemi che sembrano oggi più urgenti”.

Il mito ottocentesco e novecentesco del Progresso permea il documento: progresso della cultura e delle istituzioni (n. 53); progresso economico e sociale (n. 66); progresso tecnico (n. 23); e più in generale “progresso umano” (nn. 37, 39, 53, 72). Si tratta di un cristianesimo di nuovo conio che allarga i propri confini “ai cristiani anonimi di Karl Rahner e a quelli impliciti di E. Schillebeeckx, oltre che ai cristiani finalmente maturi dell’assise conciliare” (p. 72). La Gaudium et Spes, pur contenendo un’implicita dottrina, è tuttavia un documento privo di valore vincolante, nei punti in cui si discosta dalla Tradizione della chiesa.

Quando infatti un Concilio presenta sé stesso, il contenuto e la ragione dei suoi documenti sotto la categoria della pastoralità, autoqualificandosi come pastorale, esclude in tal modo ogni intento definitorio: “E perciò non può pretender la qualifica di dogmatico, né altri posson conferirgliela” (p. 23).

A differenza di tutti gli altri Concili Ecumenici della storia, il Vaticano II non è caratterizzato da una sua incidenza dottrinale - e ancor meno dogmatica - ma dalle novità di atteggiamento, di valutazione, di movimento e di azione introdotte nei gangli vitali della chiesa (p. 65). Il paradosso è consistito in questo: si è voluto elevare a dogma un Concilio che aveva apertamente chiarito di non voler affermare nessun principio assoluto. Ciò che è pastorale va giudicato non tanto nei principi quanto nei risultati concreti.

Monsignor Gherardini, riecheggiando quanto già nel 1985 il cardinale Ratzinger affermava nel suo
Rapporto sulla fede”, rileva che il disastro ecclesiale, dal Vaticano II a oggi, ha assunto, con progressione crescente, proporzioni gigantesche. “A un osservatore attento e soprattutto a un cattolico coerente non dovrebb’esser difficile prender atto del disastro e riconoscerlo fra le pieghe di quel relativismo, che paragonerei al montare di uno tsunami limaccioso e travolgente” (p. 93).

Nella supplica al Santo Padre che conclude il suo libro, monsignor Gherardini suggerisce come necessaria un’attenta e scientifica analisi dei singoli documenti del Concilio, del loro insieme e d’ogni loro argomento, nonché delle loro fonti immediate e remote: un’analisi che dovrebbe essere comparativa con quella degli altri venti concili, allo scopo di provare se il Vaticano II sia nel solco della continuità più o meno evolutiva, o sia invece con essa in parziale o totale rottura. Il Concilio Vaticano II, infatti, non è più grande della chiesa né della sua Tradizione.

Fonte: Il Foglio 15.9.09
Caterina63
00venerdì 7 gennaio 2011 10:13

l'araba fenice: che ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa.

Convegno di Roma sul Vaticano II.
Intervento di Mons. Brunero Gherardini

C’era una volta l’Araba Fenice. Tutti ne parlavano, ma nessuno l’aveva mai vista. E c’è oggi una sua versione aggiornata, di cui pure tutti parlano e nessuno sa dire di che cosa si tratti: si chiama Pastorale.

1 – La parola - Sia ben chiaro: la parola in sé non è un problema, evidente essendo la sua derivazione da pascere: un verbo che nasce dal latino pabulum (pascolo, cibo), dal quale prende vita una famiglia non numerosissima, ma ben individuabile nei suoi componenti: pascere, appunto, nel senso di condurre al pascolo e dar da mangiare; pastum, di cui un evidente calco è l’italiano pasto, ma che può tradursi anche con cibo; pastor, che indica chi conduce al pabulum, procura il cibo e custodisce greggi ed armenti. Pastor diventa a sua volta il padre di pastoricia ars, in italiano pastorizia, o arte di chi alleva il bestiame; di pastura, col significato di pascer all’aperto; e di pastu- o pastorale, già presente nel tardo latino per qualificare l’abito, i cibi, le usanze, il linguaggio del pastore. Non discende, invece, pastorizzazione, o procedimento per la conservazione d’elementi liquidi, come il latte, perché la parola nasce dal francese pastoriser, derivante a sua volta da L. Pasteur (1822-1895), il suo inventore.

[...] Pastorale entrò presto nel gergo ecclesiastico, per qualificare tre lettere dell’epistolario paolino, o l’attività degli evangelizzatori e del loro insegnamento, o le insegne vescovili, quali l’anello, il bacolo, le lettere. Più recente, ma non moderno, è l’uso di pastorale con riferimento alla teologia e con orientamento non dogmatico; in origine anzi fu antidogmatico. Al di fuori del gergo ecclesiastico, però, un uomo di media cultura molto facilmente collegherà pastorale alla ninfa della poesia arcadica, al componimento poetico d’origine provenzale e contenuto amoroso, all’egloga virgiliana, al dramma “L’Aminta” di T. Tasso ed alla musica di carattere semplice e tenero, con specifica tipizzazione nella “sesta” di Beethoven.

2 – La parola nel Vaticano II – Dopo uno spettro semantico di tale ampiezza, l’allusione alla sconosciuta ed invisibile Araba Fenice potrebbe apparire insostenibile per evidente contraddizione. Se non che, il condizionale “potrebbe” è neutralizzato dall’assenza nei documenti conciliari d’una ragione sufficiente che lo giustifichi. Dico “ragione sufficiente”, perché se dicessi che nei documenti conciliari è assente la “parola”, darei la dimostrazione d’una crassa ed imperdonabile ignoranza del Vaticano II. La “parola” non solo c’è, ma abbonda; anzi caratterizza il Vaticano II nella sua specificità di Concilio ecumenico di fronte ai venti Concili che lo precedono. Il Vaticano II parla, infatti, d’azione pastorale in genere, e più direttamente d’attività pastorali; individua varie necessità pastorali e, a fronte di esse, auspica l’istituzione e la reciproca collaborazione di vari sussidi pastorali, non mancando di segnalare tra questi la programmazione ed organizzazione di “corsi, congressi, centri con relative biblioteche destinati agli studi pastorali, da affidar a persone altamente capaci”. Al fine d’estendere entro un raggio il più ampio possibile la sensibilità pastorale e le opportune conoscenze, il Vaticano II fa obbligo ai Vescovi di “studiare da soli o a livello interdiocesano il sistema migliore” che assicuri ai presbiteri, “soprattutto qualche anno dopo la loro ordinazione”, l’opportuno approfondimento dei metodi pastorali. Poiché un forte contributo all’azione apostolica della Chiesa può venir anche dal fronte laico, il Concilio invita i Vescovi a scegliere “sacerdoti dotati delle qualità necessarie e convenientemente formati”, che a loro volta impartiscano un’adeguata formazione ai laici per poi affidar loro speciali compiti d’azione pastorale. E perché “l’unità d’intenti tra sacerdoti e Vescovi renda sempre più fruttuosa la loro azione pastorale”, si sollecita una periodica riunione del clero, allargata anche ad altri membri dell’organismo ecclesiale, “per trattare di questioni pastorali”.

Alle Conferenze Episcopali delle singole Nazioni, vien caldamente raccomandato d’aver a cuore e promuovere la formazione pastorale del clero mediante “Istituti pastorali in collaborazione con parrocchie opportunamente scelte, convegni periodici, appropriate esercitazioni”. Né poteva mancar un richiamo alla “competente autorità ecclesiastica territoriale” per la fondazione d’un Istituto “di pastorale liturgica” che si valga d’ “esperti in liturgia, musica, arte sacra e pastorale”. Questi dati dimostrano che l’Araba fenice è di casa nel Vaticano II, ma il Vaticano II non dice che cosa o chi sia.

Chi “regge e pasce il popolo di Dio” vien peraltro incitato ad incarnar il buon Pastore che dà la vita per le sue pecorelle (Gv 10,11)”, e a seguire “l’esempio di quei preti che anche ai nostri tempi non esitarono a sacrificare se stessi per il proprio gregge”. In breve, nell’esortar il clero a farsi di giorno in giorno strumento d’un sempre più idoneo servizio al popolo di Dio, il Vaticano II dichiara esplicitamente che la sua finalità pastorale si ripromette “il rinnovamento interno della Chiesa, la diffusione dell’evangelo in tutt’il mondo e l’instaurazione d’un rapporto dialogico con esso” . Una tale finalità corrisponde evidentemente ad un’idea di fondo, ad una nozione almeno rudimentale di pastorale appena adombrata: rapporto dialogico col mondo da parte d’una Chiesa rinnovata nei suoi metodi d’evangelizzazione e d’apostolato. Qui, un po’ vagamente, l’Araba fenice incomincia così a farsi conoscere.

Tale e tant’insistenza non sorprende. E’ anzi un attestato di docilità e fedeltà alle linee maestre che papa Roncalli, l’11 ottobre 1962, prospettò ai Padri aprendo ufficialmente la grande Assise conciliare: pur mettendo la dottrina al primo posto dei lavori conciliari, ne diversificò la metodologia rispetto al passato. Prima la Chiesa non rifuggiva dalla condanna, severa e ferma. Oggi alla severità preferisce la medicina della misericordia. Per papa Roncalli, dunque, soprattutto di fronte ad un’umanità prigioniera di tante difficoltà, la Chiesa avrebbe dovuto mostrare il volto buono benevolo paziente della Madre, fomentare la promozione umana dilatando gli spazi della carità, diffondere serenità pace concordia ed amore. In tal modo i lineamenti dell’Araba fenice, pur rimanendo ancora indefiniti, si confondono con quelli della madre paziente e buona.

A conferma dell’indirizzo roncalliano, Paolo VI, nell’omilia del 7 dic. 1965 per la nona sessione del Concilio, dichiarò che la Chiesa ha a cuore, insieme con il regno dei cieli, l’uomo ed il mondo, è tutta anzi in funzione dell’uomo e del mondo, intimo essendo il legame tra la religione cattolica e la vita umana, al punto che dell’uomo e del genere umano la religione cattolica può dirsi la vita stessa, grazie alla sua sublime dottrina, alla cura materna con cui accompagna l’uomo verso il suo fine supremo, ai mezzi che gli dona perché possa conseguirlo. Ennesima dichiarazione d’intenti pastorali, che, rimanendo entro il limite del generico, non scoprono ancora il volto o i lineamenti dell’Araba fenice.

Tuttavia, sulla pastoralità del Concilio, nessun dubbio e nessuna discussione. Il Vaticano II non fu, solo perché non doveva esserlo, un Concilio dogmatico e tutto sommato nemmeno disciplinare. Volle esser soltanto pastorale. Eppure, nonostante i tanti interventi interni ed esterni, il genuino significato della sua dichiarata pastoralità è ancora fra le nebbie.

3 – Un concetto non definito – Poco sopra ho indicato le sfaccettature della pastoralità conciliare. La pastorale come aggettivo qualificativo o come aggettivo sostantivato ricorre in effetti decine e decine di volte. Non una sola, però, per darne se non la definizione, almeno un accenno di spiegazione. Riconosco che, analizzando criticamente le varie dichiarazioni, è possibile farsene una vaga idea; essa, però, non sarebbe espressione diretta dell’insegnamento conciliare.

L’esempio più probante è dato da Gaudium et spes, qualificata addirittura come “Costituzione pastorale”, tutta essendo un fermento ideale e propositivo a favore dell’uomo, della sua libertà e dignità, della sua presenza nella famiglia, nella società, nella cultura e nel mondo, allo scopo di conferire alla vita privata e pubblica un respiro ed una dimensione a misura umana. L’abbinamento dei due lemmi – Costituzione pastorale - è la novità più novità di tutto il Vaticano II; lo fu per gli stessi Padri conciliari, che prima d’approvarla discussero varie altre denominazioni. L’unica giustificazione dell’abbinamento si ha nella nota che fa seguito al titolo dell’inconsueto documento, definito “pastorale” sia perché, “sulla base di principi dottrinari, intende esporre l’atteggiamento della Chiesa nei riguardi del mondo e degli uomini d’oggi”, sia perché atteggiamento e principi dottrinari si compenetran a vicenda. Si dovrebbe dedurne che l’atteggiamento in parola è sempre l’applicazione e la traduzione pratica di principi dottrinari. Ma resta un problema capire di quali: forse di quelli sociologici, politici, economici, ma, almeno direttamente, non di quelli evangelici.

Il riferimento all’ uomo ed al mondo richiama d’ambedue la nativa finitezza, la creaturalità, la temporalità, il dinamismo, l’incessante evolversi, sul quale pende la spada di Damocle d’una sempre possibile involuzione. Ciò dà evidenza alla loro condizione variabile e contingente, ma anche alla problematicità dell’applicazione pratica di quei principi dottrinari che son in gran parte assoluti ed irriformabili. Anche la nota avverte una tale aporia e la segnala; ma non la risolve. Anzi, la complica nel momento stesso in cui stabilisce che “la Costituzione dovrà interpretarsi secondo le norme generali dell’ermeneutica teologica, tenendo conto… delle circostanze mutevoli cui sono intrinsecamente connesse le materie trattate”. In realtà, se la pastorale dovesse consistere in questo balletto di sì-e-no, una sua definizione sarebbe impossibile. E’ detto che al contingente va applicata l’indiscutibilità della dottrina; ma se codest’applicazione riducesse a contingente la dottrina o rendesse indiscutibile ed assoluto il contingente, stravolgerebbe l’uno e l’altro elemento : il sì a braccetto col no. Capisco perché già nell’Aula conciliare GS fu il testo più discusso e più ostacolato, cui poco valse l’affidamento a commissioni e sottocommissioni, ed altrettanto poco il passaggio attraverso ben quattro riformulazioni: la difficoltà, al limite della hibris, è nell’affermazione simultanea del sì e del no.

E’ forse dipeso da questa irrisolta aporia la problematicità che accompagna tuttora, dopo circa mezzo secolo di postconcilio, ogni discorso sulla pastorale. In pratica, essa serve per legittimar un po’ tutto ed il suo stesso contrario. Le due ermeneutiche conciliari, alle quali s’è spesso riferita l’analisi del Santo Padre, quella che fa del Vaticano II l’inizio d’un nuovo modo d’esser Chiesa e quella che lo collega invece alla vivente Tradizione ecclesiale, son ambedue legittimate dall’irrisolta aporia. Nelle due ermeneutiche, infatti, Il Vaticano II:

a.assume, sul piano dottrinario, l’aspetto e il valore d’un concilio dogmatico: l’una ne fa un super-concilio, l’altra la sintesi dottrinale di tutt’i precedenti concili;

a.sul piano pastorale, appare come un contenitore indifferenziato dalla sua stessa qualità pastorale, una sorta di “battitore libero” cui per ragioni pastorali è consentito di dire simultaneamente il sì ed il no.

S’impone, a questo punto, un giudizio sereno ed obiettivo sulla qualità complessiva del Vaticano II, che affrettatamente ed ingenuamente fu chiuso nell’area pastorale.


4 – I quattro livelli del Vaticano II – Chi ha dimestichezza non con la sola GS, ma con tutt’i sedici documenti conciliari, si rende ben conto che la varietà tematica e la corrispettiva metodologia collocano il Vaticano II su quattro livelli, qualitativamente distinti:

1.quello generico, del Concilio ecumenico in quanto Concilio ecumenico;

2.quello specifico del taglio pastorale;

3.quello dell’appello ad altri Concili;

4.quello delle innovazioni.

Sul piano generico, il Vaticano II ha tutte le carte in regola per esser un autentico Concilio della Chiesa cattolica: il 21° della serie. Ne discende un magistero conciliare, cioè supremo e solenne. La qual cosa di per sé non depone per la dogmaticità ed infallibilità dei suoi asserti; anzi nemmeno la comporta, avendola in partenza allontanata dal proprio orizzonte.

Sul piano specifico la qualifica di pastorale ne giustifica i vastissimi interessi, non pochi dei quali eccedenti l’ambito della Fede e della teologia: p. es. la comunicazione sociale, la tecnologia, l’efficientismo della società contemporanea, la politica, la pace, la guerra, la vita economico-sociale. Anche questo livello appartien all’insegnamento conciliare ed è quindi supremo e solenne, ma non può vantare, per la materia trattata e per il modo non dogmatico di trattarla, una validità di per sé infallibile e irriformabile.

L’appello ad alcuni insegnamenti di precedenti Concili costituisce il terzo livello. E’ un appello talvolta diretto ed esplicito (LG 1 “praecedentium Conciliorum argumento instans”; LG 18: “Concilii Vaticani primi vestigia premens”; DV 1: “Conciliorum Tridentini et Vaticani I inhaerens vestigiis”), talvolta indiretto ed implicito, che riprende verità già definite: p. es. la natura della Chiesa, la sua struttura gerarchica, la successione apostolica, la giurisdizione universale del Papa, l’incarnazione del Verbo, la redenzione, l’infallibilità della Chiesa e del magistero ecclesiastico, la vita eterna dei buoni e l’eterna condanna dei cattivi. Sotto questo aspetto, il Vaticano II gode d’un’incontestabile validità dogmatica, senz’esser per questo un Concilio dogmatico, essendo la sua una dogmaticità di riflesso, propria dei testi conciliari citati.

Le innovazioni costituiscono il quarto livello. Se si guarda allo spirito che guidò il Concilio, si potrebbe affermare ch’esso fu tutto un quarto livello, animato com’era da uno spirito radicalmente innovatore, anche là dove tentava il suo radicamento nella Tradizione. Alcune innovazioni sono però specifiche: la collegialità dei vescovi, l’assorbimento della Tradizione nella Sacra Scrittura, la limitazione dell’ispirazione ed inerranza biblica, gli strani rapporti con il mondo ebraico ed islamico, le forzature della c.d. libertà religiosa. E’ fin troppo chiaro che se c’è un livello al quale la qualità dogmatica non è assolutamente riconoscibile, è proprio quelle delle novità conciliari.

5 – Conclusione – L’adesione al Vaticano II è, per quanto sopra esposto, qualitativamente articolata. In quanto tutti e quattro i descritti livelli esprimono un magistero conciliare, tutti e quattro pongono al singolo ed alle comunità cristiano-cattoliche il dovere d’un’adesione, che non necessariamente sarà sempre “di Fede”. Questa va soltanto alle verità del terzo livello e solo in quanto provengono da altri Concili, sicuramente dogmatici. Agli altri tre livelli è doveroso riservare una religiosa e rispettosa accoglienza, fino a che qualcuno dei loro asserti non urti contro la perenne attualità della Tradizione per evidente rottura con l’ “eodem sensu eademque sententia” di qualche sua variante formale. Il dissenso in questo caso, specie se sereno e ragionato, non determina né eresia, né errore. Quanto al secondo livello, quello pastorale, bisogna proprio pensare, come ho accennato nella nota n. 19, che i Padri conciliari non conoscessero l’ipoteca illuminista da loro stessi pagata con l’apertura del Concilio ad una pastorale la quale, fin dall’inizio, secondo la logica illuminista da cui dipendeva, aveva dato lo sgambetto a Dio per sostituirgli l’uomo e talvolta per identificare nell’uomo lo stesso Dio. Fu infatti la pastorale del XVIII sec. a mettersi dietro le spalle le motivazioni, le fonti, i contenuti ed il metodo della teologia dogmatica. E a spalancare le porte del fortilizio teologico al primato del naturale, del razionale, del temporale, del sociologico.

Con ciò non dico affatto che la pastorale del Vaticano II sia la medesima pastorale del XVIII sec. Ma sarebbe o ingenuo o disinformato chi, per non affermarne l’identità, negasse ogni loro parentela. Anche nel Vaticano II la matrice della pastorale restava quella illuminista, sia pur diversamente espressa e motivata. A toglierla dalla sabbie mobili dell’illuminismo fu Paolo VI che, in apertura del secondo periodo conciliare, la trasferì in una sfera romantica, per farne “un ponte verso il mondo contemporaneo”, comunicando ad esso “la sua interiore vitalità…come fenomeno vivificante e strumento di salvezza del mondo stesso”. L’Araba fenice diventava così un ponte, un coefficiente di vita, uno strumento di salvezza. Senza perdere, però, la sua parentela con la matrice illuminista, attraverso l’ispirazione neo-modernista dei suoi sostenitori. Non a caso da una teologia pastorale così intesa prese le mosse la secolarizzazione che ha poi trionfato nella presente fase postconciliare. E se dall’ignoranza dei suoi precedenti dipende l’indecisa nozione della pastoralità, dalla sua originaria parentela con essi dipenderebbe l’assurdo della dogmaticità d’un concilio che si autodefinisce semplicemente pastorale. L’Araba fenice in tal modo rivela il suo volto. Tutto sommato, sarebbe stato meglio se avesse continuato a nascondercelo.

Brunero Gherardini

Fonte: /
chiesaepostconcilio.blogspot.com
Caterina63
00lunedì 18 aprile 2011 16:14

Il Vaticano risponde ai "delusi".

I delusi hanno parlato. Il Vaticano Risponde

Fonte: chiesa.espresso.repubblica.it di S. Magister


ROMA, 18 aprile 2011


Due dei "grandi delusi da papa Benedetto" di cui ha riferito www.chiesa in un recente servizio hanno avuto un trattamento di riguardo da "L'Osservatore Romano", con due autorevoli recensioni consecutive dei loro ultimi libri.

I "grandi delusi" sono quei pensatori tradizionalisti che avevano inizialmente riposto speranze nel pontificato di Joseph Ratzinger e nella sua azione restauratrice, ma hanno poi viste tradite le loro attese. E ora mettono in pubblico il loro scontento. La delusione nasce in loro soprattutto dal modo con cui l'attuale papa interpreta e applica il Concilio Vaticano II.

Perché è lì, in questo Concilio, la radice dei mali presenti della Chiesa, a giudizio di questi pensatori.

E quanto hanno scritto e argomentato nei loro ultimi libri, in particolare, il professor Roberto de Mattei e il canonico Brunero Gherardini, l'uno dal punto di vista storico e l'altro dal punto di vista teologico.

Il citato servizio di www.chiesa fornisce una sintesi sommaria delle loro tesi (link)

I grandi delusi da papa Benedetto (8.4.2011)

Il teologo Gherardini, tra i suoi motivi di delusione, lamenta anche il silenzio con cui le autorità della Chiesa hanno reagito a un suo precedente libro: "Concilio Vaticano II. Un discorso da fare". Tant'è vero che il suo ultimo libro, uscito quest'anno, esprime fin nel titolo il suo disappunto: "Concilio Vaticano II. Il discorso mancato". Questa volta, però, le cose sono andate diversamente. Il nuovo libro di Gherardini non è stato ignorato, ma ha avuto un'intera pagina di recensione su "L'Osservatore Romano" del 15 aprile. Ad opera di un recensore di prim'ordine, Inos Biffi, milanese, docente emerito alle facoltà teologiche di Milano e di Lugano, massimo conoscitore mondiale della teologia medioevale e prima firma teologica del giornale della Santa Sede.

Le parti salienti della recensione sono riprodotte più sotto, mentre il suo testo integrale è in quest'altra pagina di www.chiesa Riletture conciliari

Inos Biffi riserva alle tesi di Gherardini critiche severe. Ma ne riconosce anche i meriti. Ed egli stesso non manca di criticare taluni aspetti dell'evento conciliare. Lo fa avvalendosi di un'autorità del livello del cardinale Giacomo Biffi, col quale ha in comune il cognome – senza alcun legame di parentela – ma soprattutto le idee.

Le critiche dei due Biffi, Giacomo e Inos, all'evento conciliare riguardano la sua natura "pastorale", la rinuncia alla condanna degli errori, gli equivoci del cosiddetto "aggiornamento". Ma a loro giudizio i documenti prodotti dal Vaticano II sono comunque "incolpevoli" delle deviazioni successive. E in questo il loro giudizio nettamente diverge da quello di Gherardini e di altri tradizionalisti.

Il professor Roberto de Mattei, autore di una storia del Concilio Vaticano II che ne mostra il carattere di rottura con la tradizione, ha avuto anche lui una recensione su "L'Osservatore Romano" del 14 aprile, ad opera di un'altra firma di primo piano: l'arcivescovo Agostino Marchetto, già segretario del pontificio consiglio dei migranti nonché critico agguerrito, da anni, della storia del Vaticano II più letta al mondo, quella prodotta dalla "scuola di Bologna" fondata da Giuseppe Dossetti e da Giuseppe Alberigo, che interpreta anch'essa l'evento conciliare come una rottura con la tradizione e un "nuovo inizio", ma con spirito opposto a quello dei tradizionalisti.

La recensione di Marchetto del libro di de Mattei è in quest'altra pagina di chiesa.espresso LINK del 14 aprile 2011
Ed ecco qui di seguito un estratto di quella del libro di Gherardini, da "L'Osservatore Romano" del 15 aprile 2011 di Inos Biffi LINK



Caterina63
00lunedì 4 luglio 2011 11:17

Padre Cavalcoli: “Il papa ha in mano il bastone, lo usi”

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Al “quizzone” del professor Martinetti, quattro post più sotto, circa la presenza di dottrine nuove nel Concilio Vaticano II e circa il loro grado di impegnatività, ecco, da Bologna, la risposta del teologo domenicano Giovanni Cavalcoli.

*

Caro Alessandro Martinetti,

trovo che lei ha riassunto molto bene i termini del dibattito e in particolare la mia posizione, nella cui descrizione mi riconosco perfettamente. Ho anzi l’impressione che lei propenda per la mia posizione e pertanto la ringrazio del suo appoggio, del quale ho molta stima.

Lei ha colto esattamente il nodo della questione, che in fondo non mi pare eccessivamente complicato: Paolo VI ha detto che nel Concilio ci sono “dottrine nuove”, per cui “il Concilio apre molti orizzonti nuovi agli studi biblici, teologici e umanistici”.

Ora io mi chiedo: qual è la materia sulla quale si esercitano gli studi biblici e teologici, se non il dato rivelato e ciò che ad esso è connesso? Da qui viene la chiara conseguenza che le “dottrine nuove” del Concilio toccano sì materie di pastorale, ma anche materie di fede o connesse con la fede.

Ora, da ciò sorge un’altra conseguenza: se un Concilio ecumenico propone dottrine nuove nel campo della fede, c’è forse da dubitare che tali dottrine siano definitive ed infallibili, anche se il Concilio non le ha dichiarate tali o, con altre parole, non ha manifestato la volontà di definirle tali?

Da qui un’ulteriore considerazione: la Nota illustrativa della Congregazione della Dottrina della Fede alla Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II “Ad tuendam fidem” del 1998 prevede con chiarezza che il Magistero insegni dottrine definitive o infallibili secondo queste due modalità: o dichiarando di farlo (I grado) o facendolo senza dichiararlo (II grado). Ma c’è anche una terza possibilità: che non

Infatti anche al III grado la Chiesa può trattare di materia di fede. Ma qui la Chiesa, pur trattando di questa materia, non chiarisce o non certifica se quanto dice è o non è definitivo. Ecco allora aprirsi il dibattito tra i teologi: ci sarà chi dice che qui la Chiesa definisce e chi dice che non definisce. Non che ci sia lecito pensare che quanto insegna sia sbagliato – nel campo della fede il Magistero non può sbagliare –; semplicemente la definitività non appare a tutti con chiarezza o con certezza.

Per alcuni è evidente, per altri, forse i più, resta oscura, da qui per questi ultimi il desiderio o l’esigenza di un chiarimento da parte della Chiesa. Solo così essi sarebbero disposti a riconoscere queste dottrine come certamente definitive.

Si deve dunque distinguere la questione di diritto dalla questione di fatto. In linea di principio per il cattolico, quando il Magistero definisce o insegna nel campo della fede, non sbaglia.

Ma c’è anche la questione di fatto, e cioè ci si può chiedere: qui, nella fattispecie (per esempio questa o queste date dottrine del Concilio), pur trattando di materia di fede, il Concilio sta definendo sì o no, o parla solo con ragioni di probabilità?

Qui può sorgere il problema col conseguente dibattito, come sta avvenendo da tempo in www.chiesa ed nel blog Settimo Cielo, generosamente messi a disposizione di noi teologi da Sandro Magister.

Qui si pone la differenza tra la mia opinione e quella di dom Basile Valuet, perchè egli pone le dottrine nuove nel III grado, mentre io le pongo al II. Ossia secondo me, ad un esame attento, le dottrine appaiono infallibili e definitive. Egli invece non sente questa certezza e ammette la semplice possibilità, e quindi per lui non è un dato di fatto, e non si può dimostrare.

Lei poi si chiede: “Esistono affermazioni del Magistero postconciliare che, pur non indicando quali siano le dottrine definitive nuove del Concilio Vaticano II, tuttavia almeno chiariscono che nel Vaticano II sono presenti dottrine definitive nuove?”

Non mi risulta. Ma, benchè io conosca il Magistero di questo periodo, riconosco che occorrerebbe fare un’indagine o una verifica più approfondite. I papi e i documenti della Santa Sede citano spesso le dottrine del Concilio, ma resta sempre per molti il dubbio se la loro autorevolezza sia di II o di III grado. Io ritengo che siano di II grado, però ovviamente la mia è l’opinione di un semplice teologo. Del tutto diversa sarebbe la cosa se fosse la Chiesa stessa a chiarire.

Ci può essere anche qualcuno al quale questo quesito sembri troppo sottile. Il cattolico comune potrebbe dire: cari teologi, invece di fare tante disquisizioni, obbediamo e basta, senza chiederci a quale grado di autorità appartenga questa o quest’altra dottrina! Ma il fatto è che non tutti sono disposti ad obbedire ed altri fraintendono le dottrine del Concilio. Inolttre la distinzione tra il II e il III non è da poco, perché, pur trattando l’uno e l’altro grado di materia di fede, mentre nel II grado è richiesta la fede, sia pur nella Chiesa e non direttamente nella Parola di Dio (I grado), vale a dire è richiesta la “fides tenenda” e non la “fides credenda” (fede divina e teologale del I grado), nel III basta l’“ossequio religioso della volontà”, che è un atto prudenziale di fiducia nell’autorevolezza umana della Chiesa, benchè anche qui, trattandosi di materia di fede, non è lecito pensare che la Chiesa possa sbagliare: semplicemente non è chiaro se voglia definire o no.

Lei si chiede: “Stante che Paolo VI concede che nel Vaticano II non esistono dottrine nuove definite (cioè, di I grado, ‘de fide credenda’), sta egli sostenendo che le ‘dottrine nuove’ conciliari sono definitive (cioè infallibili, ‘de fide tenenda’, e quindi appartenenti al II grado di costrizione magisteriale) o non definitive (e perciò fallibili, non irreformabili, ossia collocate al III grado di costrizione magisteriale, che non richiede assenso di fede ma ’solo’ religioso ossequio dell’intelletto e della volontà)?” L’interrogativo di questo dibattito è proprio questo.

Ora però, considerando che: 1) a queste dottrine nuove il Magistero tiene molto, tanto che le sta continuamente ripetendo da quarant’anni; 2) che esse sono strumentalizzate dai modernisti a loro vantaggio; 3) che i lefebvriani le vedono in contrasto con la Tradizione, sta crescendo il numero di teologi, pastori o anche semplici fedeli di ogni categoria – l’esistenza stessa di questo dibattito lo dimostra –, i quali, al fine di risolvere i malintesi, le deviazioni e i contrasti esistenti all’interno della Chiesa, guardano al papa come a colui che soltanto, come sommo maestro della Fede (per vent’anni prefetto della CDF) può far definitivamente chiarezza, non necessariamente con affermazioni dogmatiche di I grado, ma con insegnamenti di II grado, onde far cessare una buona volta strumentalizzazioni, malintesi e ribellioni che stanno lacerando la Chiesa e fanno decadere il costume cattolico, e mostrarci quindi effettivamente quella “continuità nel progresso” della quale egli parla, in relazione ai punti dottrinali discussi, che non sono molti, e sono emersi soprattutto nel corso della discussione con i lefebvriani: libertà religiosa, ecumenismo, dialogo con le religioni, natura della liturgia, essenza della Rivelazione e della Tradizione, natura della collegialità episcopale e della Chiesa e pochi altri.

Secondo me, l’impressione che molti hanno che le dottrine nuove appartengano al III grado non dà ad esse la forza necessaria per imporsi nella Chiesa e vincere resistenze, dubbi, fraintendimenti, falsificazioni, disattenzioni, disobbedienze, inadempienze. Io penso che il papa dovrebbe mettere in gioco la fede, sia pur semplice fede “ecclesiastica”, e non un semplice “ossequio della volontà”, che prestiamo anche a semplici disposizioni umane o pastorali della Chiesa, per quanto degne e rispettabili. Basterebbe che usasse la parola “fede”.

Recentemente il papa ha ricordato che il pastore ha in mano il “bastone”. Non si tratta di dar le botte a nessuno, ma forse di alzare un po’ la voce in nome della verità, della carità e del fatto che non c’è in gioco solo “l’ossequio religioso”, ma la vera e propria “fede nella Chiesa – come dice la Nota illustrativa – in quanto infallibilmente assistita dallo Spirito Santo” nella guida degli uomini alla Verità.

P. Giovanni Cavalcoli, OP

Bologna, 4 luglio 2011

*

La risposta di padre Cavalcoli al professor Martinetti è l’ultima battuta, finora, di una disputa ad alto livello che si sta svolgendo da alcuni mesi in www.chiesa e in Settimo Cielo.

Nella penultima puntata della disputa trovi i link a tutte le precedenti:

> Bologna parla: la tradizione è fatta anche di “rotture”

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Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al più importante sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Gli ultimi tre servizi di “www.chiesa”:

1.7.2011
> Sei anni sulla cattedra di Pietro. Un’interpretazione
Benedetto XVI maestro della parola, ma anche uomo di governo. Autore di nuove leggi in campo liturgico, finanziario, penale, ecumenico. Con un criterio guida: “riforma nella continuità”

24.6.2011
> Il cardinale Scola torna a casa. A Milano
È imminente la nomina dell’attuale patriarca di Venezia ad arcivescovo della sua diocesi natale. Storia e ritratto di un uomo cresciuto alla scuola di due grandi maestri: Giussani e Ratzinger

21.6.2011
> Bologna parla: la tradizione è fatta anche di “rotture”
Interviene nella disputa un discepolo bolognese di don Dossetti, lo storico Enrico Morini. Con un’analisi sorprendente, che piacerà forse più ai tradizionalisti che ai novatori


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