VERGOGNOSO INTERVENTO DI "AVVENIRE" CONTRO MONS. A. LIVI il quale mette in guardia dalla falsa dottrina di Enzo Bianchi

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Caterina63
00martedì 27 marzo 2012 11:12
[SM=g1740733]in questo collegamento:

http://www.formazioneteologica.it/bianchi-livi-quotidiano-ispirazione-cattolica-383.html


viene spiegata la situazione:

Lettera di mons. Brunero Gheradini a mons. Livi (25 marzo 2012):

Carissimo,
m’è stata presentata l’insensata levata di scudi di “Avvenire”: non ti curar di loro…Non lo meritano. E. Bianchi è uno dei peggiori affossatori della Tradizione cattolica. Ed inoltre mi domando come un monaco, e priore per giunta, viva la sua regola sempre in giro in Italia e nel mondo, in barba al voto di povertà ed alla osservanza religioso-monastica!?!
______________________________________________________________________________________
 

Lettera dell’architetto Ciro Lomonte a mons. Livi (25 marzo 2012):


Caro don Antonio,

le esprimo la mia solidarietà riguardo agli attacchi infami che ha dovuto subire a seguito di questo coraggioso j'accuse, che non fanno altro che confermare le sue tesi.
Ho sempre ammirato don Antonio Livi, che considero un mio maestro nella identificazione delle conseguenze del principio di immanenza
________________________________________________________________________________
 

Il dottor Cosimo De Matteis scrive a mons. Livi:

Caro mons. Livi,
ho riproposto nel mio Sito il suo magistrale articolo (di cui la RINGRAZIO tanto). Ed io mi auguro che in tanti comprendano tale suo coraggioso e disinteressato servizio alla Verità. Per conto mio non posso che stimare, pregare e riportare sul mio blog quanto scrive.
ACCANTO a voi ed alla sana dottrina, sempre. Totale solidarietà ad Antonio Livi.
________________________________________________________________________________

Il rev. dottor Antonio Ucciardo, parroco a Catania, scrive a mons. Livi:

Carissimo mons. Livi,

lei ha avuto il coraggio di dare evidenza a ciò che non può essere negato. Qualcuno doveva pur cominciare a smuovere le acque. Io mi sono limitato soltanto ad un'omelia. I testi abbondano, purtroppo! Grazie per aver osato e per essersi fatto voce di tanti...
________________________________________________________________________________


don Massimiliano Del Grosso, direttore del progetto SEFT:

 

Carissimo don Antonio,

quello che lei ha scritto riguardo a Bianchi non credo sia erroneo, e neanche scorretto sì da richiedere scuse. La critica è stata mossa ad un pensiero che, se non lo si vuol giudicare ai limiti dell’ortodossia, non si può certo negare sia molto ambiguo. E in un momento storico come il nostro, in cui c’è bisogno di chiarezza di idee – e il Papa Benedetto XVI, con i suoi insegnamenti che sanno unire alla solidità delle dottrina la limpidezza e univocità dei concetti, è uno straordinario esempio di come vada condotta la pastorale dell’annuncio – un uomo che sembri contraddire il dogma della fede, pur supponendone la buona fede, può produrre molto danno, specie quando si tratta di un personaggio mediatico molto apprezzato, qual è appunto Enzo Bianchi. Quanto al direttore Tarquinio, ci si permetta questa nota polemica: se intende fare come la guardia del sommo sacerdote (Gv 18, 22ss) per ingraziarsi Bianchi e i di lui estimatori, o per uscire dall’imbarazzo di dover rendere conto ai lettori di Avvenire e alla CEI di quel che pubblica, lei potrà rispondere alla maniera di Cristo: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male...» e a quella di Paolo quando dice: «Guai a me se non annuncio il vangelo!» (1Cor 9,16). Ma ancor più dove lo stesso Paolo dice: «Se il primo venuto vi predica un Gesù diverso da quello che vi abbiamo predicato noi, o se ricevete uno spirito diverso da quello che avete ricevuto, o un altro vangelo che non avete ancora sentito, voi siete ben disposti ad accettarlo. Ora, io ritengo di non essere in nulla inferiore a questi superapostoli!» (2Cor 11,4-5). E proprio di "superapostoli" sembra di avere a che fare: Bianchi, Tarquinio e i loro estimatori credono di saperne più degli apostoli (ovvero, il collegio dei vescovi in comunione con il Papa). Continui perciò tranquillamente il suo lavoro.


[SM=g1740733] che cosa è accaduto?


Bianchi, Livi e un quotidiano di ispirazione cattolica


L’articolo di mons. Antonio Livi su Enzo Bianchi, pubblicato nel quotidiano online La Bussola quotidiana è stato oggetto di un violento attacco da parte del direttore di Avvenire, Marco Tarquinio. A questo scomposto e ingiusto attacco hanno replicato il direttore della Bussola quotidiana e lo stesso mons. Livi con la lettera aperta e anche molti autorevoli studiosi cattolici, che hanno scritto al quotidiano diretto da Tarquinio oppure hanno rivolto a mons. Livi dei messaggi di solidarietà. Riportiamo anche alcuni passaggi di queste lettere.

 

 

Bianchi, Livi e un quotidiano di ispirazione cattolica


Il direttore di un noto «giornale quotidiano di ispirazione cattolica» attacca oggi violentemente monsignor Antonio Livi per l’articolo scritto sul nostro quotidiano online a proposito di Enzo Bianchi. Nel rispondere a dei lettori scandalizzati per le critiche al priore della comunità monastica di Bose, il direttore di tale giornale si fa prendere da tale foga che incorre anche in un clamoroso incidente: definisce infatti l’eresia monofisita come “considerare Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, solo un uomo”. In realtà l’eresia monofisita consiste esattamente nel contrario, ovvero considerare solo la natura divina di Cristo.


Ma qui non interessa tanto entrare nella disputa teologica: eventualmente a dare ragione di certe affermazioni sarà nei prossimi giorni monsignor Livi (curioso peraltro che il direttore affermi di conoscerlo solo di nome: non solo Livi è filosofo dal lungo curriculum, ma il "quotidiano di ispirazione cattolica" ne ha recensito più volte i libri e lo ha addirittura intervistato, ad esempio il 7 novembre 2009).


Qui però vorrei sottolineare la sorpresa per una difesa d’ufficio veemente che arriva a parlare di disonestà intellettuale e di vergogna per chi avrebbe distorto il senso delle parole di Bianchi per metterne in discussione “l’indiscutibile adesione alla buona dottrina cattolica”. Forse il direttore del giornale di ispirazione cattolica farebbe bene a rileggersi quel resoconto dell’incontro pubblico tenuto a Pescara (la fonte è il giornale diocesano) che pubblichiamo tra le lettere e poi farci sapere se pensa che certe affermazioni siano “una buona dottrina cattolica”.


Peraltro anche il predecessore dell’attuale direttore ogni tanto nutriva dubbi sulla “buona dottrina cattolica” di Enzo Bianchi. Prova ne è la risposta che diede a un lettore il 21 luglio 2007. In quell’occasione un sacerdote di Mondovì si lamentava perché su Avvenire non era stato pubblicato il commento di Enzo Bianchi a proposito del Motu Proprio Summorum Pontificum, quello sulla messa in rito antico, che invece era apparso su Repubblica. Ovviamente si trattava di una critica molto severa nei confronti del Motu Proprio voluto da Benedetto XVI (curioso, Bianchi non si può criticare, il Papa sì). L’allora direttore, che si chiama Dino Boffo, così rispondeva:


"Vede reverendo, se Enzo Bianchi scrive la sua intemerata su Repubblica, nessuno ha nulla da dire (eppure qualcosa ci sarebbe da commentare); se invece la ospitasse Avvenire (ma non ci è stato chiesto) immediatamente si direbbe, anche da parte di altra stampa, che Avvenire non è allineato alla Chiesa. Poi, ci pensi: che cosa c’è oggi di più anticonformista che ragionare in termini cattolici fino a sembrare fin troppo obbedienti?”.


Insomma pare di capire che Dino Boffo avesse, almeno in questa occasione, molti dubbi sull’ortodossia di Enzo Bianchi, fino ad accusarlo di disobbedienza.


Ma non solo: anche l’attuale direttore del “giornale quotidiano di ispirazione cattolica”, che si chiama Marco Tarquinio, ha avuto qualche problemino personale con Enzo Bianchi. Ricordiamo cosa accadde quando morì Eluana Englaro: Tarquinio scrisse il 10 febbraio 2009 un editoriale dal titolo “Uccisa, non morta”, che così diceva (e noi condividiamo completamente):


"Eluana è stata uccisa. E noi vogliamo chiedere perdono ai nostri figli e alle nostre figlie. Ci perdonino, se possono, per questo Paese che oggi ci sembra pieno di frasi vuote e di un unico gesto terribile, che li scuote e nessuno saprà mai dire quanto. Con che occhi ci guarderanno? Misurando come le loro parole, le esclamazioni? Rinunceranno, forse per paura e per sospetto, a ragionare della vita e della morte con chi gli è padre e madre e maestro e amico e gli potrebbe diventare testimone d’accusa e pubblico ministero e giudice e boia? Chi insegnerà , chi dimostrerà , loro che certe parole, che le benedette, apodittiche certezze dei vent’anni non sono necessariamente e sempre pietre che gli saranno fardello, che forse un giorno potrebbero silenziosamente lapidarli. Ci perdonino, se possono. Perché Eluana è stata uccisa."


La cosa non piacque affatto a Enzo Bianchi, che il 15 febbraio replicò dalle colonne de La Stampa (eh sì, questi “profeti” sanno scrivere cose diverse a seconda di chi li ospita, attaccando chi li ha ospitati la volta prima e li ospiterà la volta successiva) con un articolo dal titolo “Vivere e morire secondo il Vangelo”, scrivendo tra l’altro:


“Attorno all’agonia lunga 17 anni di una donna, attorno al dramma di una famiglia nella sofferenza, si è consumato uno scontro incivile, una gazzarra indegna dello stile cristiano: giorno dopo giorno, nel silenzio abitato dalla mia fede in Dio e dalla mia fedeltà alla terra e all’umanità di cui sono parte, constatavo una violenza verbale, e a volte addirittura fisica, che strideva con la mia fede cristiana. Non potevo ascoltare quelle grida - «assassini», «boia», «lasciatela a noi»... - senza pensare a Gesù che quando gli hanno portato una donna gridando «adultera» ha fatto silenzio a lungo, per poterle dire a un certo punto: «Donna \ neppure io ti condanno: va’ e non peccare più»; non riuscivo ad ascoltare quelle urla minacciose senza pensare a Gesù che in croce non urla «ladro, assassino!» al brigante non pentito, ma in silenzio gli sta accanto, condividendone la condizione di colpevole e il supplizio. Che senso ha per un cristiano recitare rosari e insultare? O pregare ostentatamente in piazza con uno stile da manifestazione politica o sindacale?”.


Sì, avete letto bene: Tarquinio accusato da Enzo Bianchi di aver alimentato “una gazzarra indegna dello stile cristiano”.


Potremmo sbagliarci, ma non ricordiamo repliche piccate dirette a Enzo Bianchi, con relative accuse di disonestà intellettuale e di farsi giudice dell’altrui fede e “adesione alla buona dottrina cattolica”. Anzi, da allora gli interventi di Enzo Bianchi sulle pagine del “quotidiano di ispirazione cattolica” sembrano essere addirittura aumentati.


Segno della grande magnanimità e misericordia del direttore. Che oggi osiamo invocare anche in favore di monsignor Antonio Livi.



Riccardo Cascioli

La Bussola quotidiana
(23-03-2012)

 

Lettera aperta di Mons. Livi a Tarquinio, Direttore dell'Avvenire, sul "Caso Enzo Bianchi"

A seguito delle dichiarazioni del Direttore di Avvenire, Tarquinio, l'autore dell'articolo "Falsi Profeti" che ha destato tanta indignazione-delusione tra gran parte dei Cattolici (forse perchè ha aperto loro gli occhi sugli errori ideologici - eresie di Enzo Bianchi) scrive una lettera aperta a Tarquinio e LaBussolaQuotidiana la pubblica il 27.03.2012.
A.C.

Lettera aperta di Antonio Livi a Marco Tarquinio, Direttore di Avvenire

 

 

[SM=g1740733] Rev.mo Padre Livi,  
le esprimo il mio più filiale GRAZIE!  
In qualità di Catechista da 24 anni mi sono trovata, mio malgrado, molte volte a dover specificare la dottrina Cattolica a causa delle ambiguità, o del frasario ambiguo per chi preferisce, di tale Enzo Bianchi e spesso riportate, come dogmaticfa persino da parroci e suore!  
In qualità di laica sono stata costretta molte volte a tacere, davanti a parroci e suore che mi sommergevano di "autoritarismo" e dunque io, laica, dovevo tacere. Prendo dunque con sommo Dono providenziale il suo magistrale intervento precedente sugli errori di Enzo Bianchi, primo fra tutto il dire spesso Gesù "creatura" e per la qual eresia, sono anni che mi batto....  
 
Grazie di cuore, la sua voce mi giunge ora come una eco benedetta, una conferma della sana Dottrina la quale non è del tutto assopita.  
Non mi soffermo sulle parole usate dal Direttore di Avvenire, constato solo tutta l'amarezza di come sia stato strumentalizzato il suo intervento ponendolo come un attacco alla persona di Enzo Bianchi, rischiando di far naufragare quella CORREZIONE FRATERNA alla quale il santo Padre ci ha richiamati proprio nel Messaggio della Quaresima 2012....  
 
Coraggio allora Padre Livi, aiutate noi laici su questa strada, con amore e autentica carità, ed auspico di cuore che al più presto anche qualche Vescovo faccia sentire la sua voce in queste correzioni....  
 
Santa Quaresima e Santa Pasqua  
LDCaterina  
(Dorotea)



 

Caterina63
00martedì 27 marzo 2012 11:14
CARI SACERDOTI!! DIFFIDATE DI ENZO BIANCHI!! VOI SIETE MOLTO DI PIU', VOI POTETE MOLTO DI PIU'.......è CRISI anche quando il Sacerdote non sa come rispondere ai FALSI PROFETI.... Vi invitiamo a leggere tutto interamente quanto segue.....


Falsi profeti

Da La Bussola di Antonio mons. Livi 17-03-2012
http://www.antoniolivi.com/it/?page_id=3

Enzo Bianchi si presenta come il priore della Comunità di Bose, che i cattolici ritengono essere un nuovo ordine monastico, mentre canonicamente non lo è, perché non rispetta le leggi della Chiesa sulla vita comune religiosa. I cattolici lo ritengono un maestro di spiritualità, un novello san Francesco d’Assisi capace di riproporre ai cristiani di oggi il Vangelo sine glossa, ma nei suoi discorsi la Scrittura non è la Parola di Dio custodita e interpretata dalla Chiesa ma solo un espediente retorico per la sua propaganda a favore di un umanesimo che nominalmente è cristiano ma sostanzialmente è ateo.


Ecco, ad esempio, come Enzo Bianchi commentava il racconto evangelico delle tentazioni di Gesù nel deserto: «Gesù non si sottrae ai limiti della propria corporeità e non piega le Scritture all’affermazione di sé; al contrario, egli persevera nella radicale obbedienza a Dio e al proprio essere creatura, custodendo con sobrietà e saldezza la propria umanità» (Avvenire, 4 marzo 2012). Insomma, un’esplicita negazione della divinità di Cristo, i quale è ridotto a simbolo dell’etica sociale politically correct, l’etica dell’uomo che – come scriveva Bianchi poco più sopra – deve «avere il cuore e le mani libere per dire all’altro uomo: “Mai senza di te”» (ibidem).


Grazie al non disinteressato aiuto dei media anticattolici, Enzo Bianchi ha saputo gestire molto bene la propria immagine pubblica: quando si rivolge a quanti si professano cattolici, Enzo Bianchi veste i panni del “profeta” che lotta per l’avvento di un cristianesimo nuovo (un cristianesimo che deve essere moderno, aperto, non gerarchico e non dogmatico, cioè, in sostanza, non cattolico); quando invece si rivolge ai cosiddetti “laici” (ossia a coloro che hanno smesso di professarsi cattolici oppure non lo sono mai stati ma desiderano tanto vedere morire una buona volta il cattolicesimo), Enzo Bianchi si presenta simpaticamente come loro alleato, come una quinta colonna all’interno della Chiesa cattolica (se non piace la metafora di “quinta colonna” posso ricorrere alla metafora, ideata da Dietrich von Hildebrand, di “cavallo di Troia nella Città di Dio”).


Ora, che i media anticattolici (il Corriere della Sera, la Repubblica, La Stampa, L’Espresso) ospitino volentieri i sermoni del profeta della fine del cattolicesimo (così come ospitano i sermoni di tutti i piccoli e grandi intellettuali, cattolici e non, che auspicano una Chiesa cattolica senza più dogma, senza morale, senza sacramenti, senza autorità pastorale) non desta meraviglia, visto che si tratta di gente che porta acqua al loro mulino; invece, che i media ufficialmente cattolici si prestino (da almeno dieci anni!) a operazioni del genere fa comprendere fino a qual punto di confusione dottrinale e di insensibilità pastorale si sia arrivati nella Chiesa, almeno in Italia (anche se forse negli altri Paesi di antica tradizione cristiana le cosa stanno pure peggio).


Ho parlato di “insensibilità pastorale”, perché è evidente che organi di informazione che sono istituzionalmente al servizio della pastorale (penso a Famiglia Cristiana, che fu fondata da chi voleva promuove l’apostolato della “buona stampa” e che per decenni è stata diffusa soprattutto nelle chiese; penso ad Avvenire, quotidiano voluto da Paolo VI e gestito dalla Conferenza episcopale) non dovrebbero contribuire alla diffusione di ideologie che sono per l’appunto l’ostacolo massimo che oggi la pastorale si trova davanti. La pastorale infatti è costituita essenzialmente dalla catechesi e dall’evangelizzazione, ossia dall’offerta della verità e della grazia di Cristo a chi già crede e a chi ancora deve arrivare alla fede. Come si fa a portare la verità e la grazia di Cristo agli uomini (quelli di oggi, non diversamente da quelli di ieri) se si nasconde loro che Cristo è il Salvatore, cioè Dio stesso fatto Uomo per redimerci dal peccato e assicurarci la salvezza eterna? Come si fa ad avvicinare gli uomini all’Eucaristia, fonte della vita soprannaturale, se agli uomini di oggi si nasconde il mistero della Presenza reale, se non li si educa allo spirito di adorazione, se si annulla la differenza tra l’umano e il divino, se la “comunione” di cui si parla non è principalmente con Dio ma esclusivamente con gli altri uomini (e “comunione” vuol dire solo solidarietà, accoglienza, “fare comunità”).


Come si fa a far amare la Chiesa di Cristo, «colonna e fondamento della verità», se viene messo in ombra il carisma dell’infallibilità del magistero ecclesiastico, se viene esaltato lo spirito di disobbedienza e la critica demolitrice della legittima autorità stabilita da Cristo stesso? Insomma, non è certo segno di sensibilità pastorale orientare il criterio dottrinale dei propri lettori (per definizione si suppone che siano cattolici) con i discorsi bonariamente eretici di Enzo Bianchi. Il quale, peraltro, non fa mistero della sua piena condivisione delle proposte riformatrici di Hans Küng, che con il linguaggio tecnico della teologia dogmatica ha enunciato e continua a enunciare le medesime eresie che Bianchi enuncia con il linguaggio retorico della saggistica letteraria. Nessuno si è sorpreso infatti leggendo sulla Stampa di Torino un recente articolo di Enzo Bianchi (13 marzo 2012) nel quale il priore di Bose ribadisce il suo sostegno alle tesi di Hans Küng, prendendo occasione da una nuova edizione italiana del suo Essere cristiani.


Hans Küng, che è il più famoso (meglio si direbbe famigerato) di tutti i falsi teologi che hanno diffuso nella Chiesa cattolica, a partire dalla seconda metà del Novecento, le ideologie secolaristiche che oggi costituiscono quell’ostacolo alla pastorale del quale parlavo. Lo esalta presentandolo come una specie di “dottore della Chiesa” ingiustamente inascoltato, guardandosi bene dal ricordare (ma lo sanno persino molti lettori della Stampa) che il professore svizzero ha sempre negato la verità dei dogmi della Chiesa e il fondamento teologico della morale cattolica, disconoscendo sempre la funzione del magistero ecclesiastico (a partire dal libro intitolato Infallibile?). Küng non è stato scomunicato né è stato messo a tacere (peraltro, tutti gli editori più importanti dell’Occidente scristianizzato hanno pubblicato e diffuso le sue opere), e non c’è ragione alcuna per la quale egli debba presentarsi ed essere presentato come una vittima della repressione da parte della gerarchia ecclesiastica.


Per disegnargli intorno alla testa l’aureola della santità, Enzo Bianchi parla di Küng come di un protagonista del Vaticano II, facendo finta di ignorare che un concilio ecumenico è un’espressone solenne del magistero ecclesiastico (protagonisti ne sono soltanto i vescovi, e i documenti approvati al termine dei lavori hanno un eminente valore per la dottrina della fede in quanto convocato, presieduto e convalidato dai Papi) e non un convegno internazionale di teologi (Hans Küng, come “perito”, non ha avuto nel Concilio né voce né voto). Insomma, Enzo Bianchi vorrebbe far credere che Küng, malgrado i suoi meriti teologici, non avrebbe ottenuto dall’autorità ecclesiastica la benevolenza e i riconoscimenti che gli spettavano; addirittura, insinua Bianchi, alla Chiesa conveniva mettere Küng, piuttosto che il suo collega Ratzinger, a capo della congregazione per la Dottrina della fede.


Sono assurdità che possono andar bene solo per i lettori della Stampa (quotidiano di collaudata tradizione massonica), ai quali non importa nulla della fede cristiana ma sono ben contenti di vedere la Chiesa cattolica in preda a una profonda crisi dottrinale e disciplinare, sperando che tutto ciò affretti la sua definitiva scomparsa dalla scena sociale e politica. Ma Bianchi è ospitato anche dalla stampa cattolica, e in quella sede l’assurdità di cui parlavo dovrebbe essere percepita da qualcuno.


Qualcuno dovrebbe rinfacciare a Bianchi l’ipocrisia di presentare come vittima del potere ecclesiastico senza dire che il teologo svizzero non ha mai voluto riconoscere la legittimità (cioè l’origine divina) di questo potere, che ad altro non serve se non alla custodia fedele e alla interpretazione infallibile della verità che salva. Bianchi si guarda bene dal riferire tutte le contumelie e gli insulti che Hans Küng è solito scrivere (anche in italiano, sul Corriere della Sera) contro quei papi (soprattutto Paolo VI e Giovanni Paolo II) che non gli hanno dato ragione (e come avrebbero potuto?).


SE LO SAI.... LO EVITI....


Le tesi di Fratel Bianchi
http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-le-tesi-di-fratel-bianchi-4872.htm
22-03-2012


Caro direttore,
ho letto con attenzione quanto scritto da monsignor Antonio Livi a proposito di Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose. E ho trovato conferma alle sue critiche in un articolo pubblicato il 20 marzo dal giornale diocesano di Pescara, La Porzione, che sintetizza un intervento dello stesso Bianchi in un incontro pubblico a Pescara. Credo non ci sia bisogno di ulteriori commenti. Buona lettura (si fa per dire).

Lettera firmata

LA NECESSARIA "UMANIZZAZIONE" DEI CRISTIANI

Banchi pieni, navate stracolme, confessionali occupati da giovani ascoltatori muniti di taccuino. Così Pescara ha accolto, ieri, nella chiesa dello Spirito Santo del centro cittadino, fratel Enzo Bianchi, il priore del monastero di Bose. Non è il primo anno che il piccolo e tenace monaco raggiunge la città adriatica, ma, evidentemente, l’esigenza di “umanizzazione” tocca ancora il cuore dei fedeli e i loro bisogni primari.

Banchi pieni, navate stracolme, confessionali occupati da giovani ascoltatori muniti di taccuino. Così Pescara ha accolto, ieri, nella chiesa dello Spirito Santo del centro cittadino, fratel Enzo Bianchi, il priore del monastero di Bose. Non è il primo anno che il piccolo e tenace monaco raggiunge la città adriatica, ma, evidentemente, l’esigenza di “umanizzazione” tocca ancora il cuore dei fedeli e i loro bisogni primari.
«Bisogna rendersi conto – ha esordito il carismatico priore – che la crisi è di fede e fiducia a livello di società prima che di una crisi di fede e fiducia in Dio. Gli uomini devono ripigliare ad aver fiducia nella terra, nel futuro, nella società, tra di loro. Perché se non c’è fiducia nell’uomo che si vede, come si può aver fiducia nel Dio che non si vede?».


La “grammatica umana” è essenziale anche per attraversare la più tacita, ma evidente crisi della e nella Chiesa. «I cristiani che sono nella Chiesa – ha continuato Bianchi – sono in questo mondo, sono in questa società e quando appare una crisi come quella attuale che è una crisi globale, non solo economica, ma culturale, morale, etica dei valori, anche nella Chiesa se ne sentono le conseguenze. Siamo in un momento di trapasso, per la società e per la Chiesa, in un momento in cui abbiamo lasciato dei lidi e siamo a metà del guado del fiume e non sappiamo bene dall’altra parte quale sarà la forma anche della nostra vita cristiana. Tuttavia in questo orizzonte il cristiano ha la fede, quella bussola per il millennio che Giovanni Paolo II indicava nel Concilio Vaticano II. Si tratta per noi di saper rinnovare quella eredità attraverso uno spirito di profezia che guardi in avanti, con simpatia, agli uomini e alla società di oggi e di saper tramette la notizia del Vangelo anche in una realtà secolarizzata».


Avvicinato prima della relazione, fratel Enzo ha analizzato anche l’anelito conservatore di alcuni fedeli. «Ci sono stati qua e là dei nostalgici che fanno passare la messa prima della riforma come una identità culturale. Questo non è bene né per la messa, né per la liturgia e non è secondo le intenzioni del Papa che voleva dare maggiore unità alla Chiesa e richiamare alla comunione quelli che ne erano usciti».


Nonostante la riapertura di armadi impolverati di sagrestie, non c’è “preoccupazione”. Poche sono le celebrazioni “preconciliari”. I problemi sono assolutamente altri. «È sotto gli occhi di tutti – ha analizzato fiducioso Bianchi – che c’è un calo non solo nella pratica, ma nell’interesse verso il cristianesimo. L’indifferenza, oggi, è sempre più attestata. Lo si nota in molte maniere; non c’è la contestazione di un tempo, ma sovente la gente lascia la Chiesa anche senza fare rumore. Ci sono migliaia e migliaia di persone che passano dal tralasciare la pratica, al tralasciare poi una appartenenza di fede; ciò che è accaduto in Francia, in Austria, in Germania sta accadendo da noi negli ultimi quattro cinque anni­».


La consapevolezza di essere minoranza fa certamente paura, a volte rabbia, e si rischia di preferire lo sgranar rosari a riparazione dei peccati al confronto e all’incontro tra persone, con i loro dubbi, le loro difficoltà, le loro sofferenze.

«Più che un cristiano arrabbiato c’è un cristiano impaurito – ha spiegato Bianchi, rispondendo alla provocazione e analizzando un editoriale di laPorzione.it che tanto ha fatto discutere – e la paura è cattiva consigliera. Di conseguenza porta a posizioni difensive, a posizioni in cui ci si chiude in una cittadella e anziché dialogare con gli altri si finisce per avere posizioni indurite, sia di identità che di atteggiamenti. Questo succede sempre, soprattutto quando si prende coscienza che si passa in uno stato di minoranza, quando si vede avanzare la presenza di altre religioni, altre etiche. La paura va razionalizzata e come cristiani non dobbiamo aver paura nel dialogo con altri religioni e con uomini non cristiani. Proprio perché il cristianesimo ha nel centro non solo Dio, non tanto il fenomeno religioso, ma l’uomo, luogo dell’incarnazione di Dio».


Insomma, per far sintesi, «quando noi parliamo di fede – ha concluso il “profeta dell’umanizzazione” – dobbiamo riprendere quei concetti che appartengono alla grande tradizione perché la fede è innanzitutto un atteggiamento e esercizio umano su cui poi si innesta il dono di Dio e della fede teologale. Ma se non c’è questo humus nemmeno Dio può innestare la fede in una persona, la quale non ha fiducia in se stessa e negli altri. Dobbiamo predisporre tutto per il dono della fede, cominciamo, allora, a predisporre la fiducia tra gli uomini, perché senza fiducia neanche l’umanizzazione è possibile­».



Al Bianchi possiamo rispondere con la Sacra Scrittura non manipolata dalle sue idee moderniste:

Questo dice il Signore:"Maledetto l'uomo che confida nell'uomo....(Ger. 17,5)

...quell’uomo “maledetto” di cui ci parla Geremia significa che, confidando nell’umano, si “pone nella carne il suo sostegno, e il cui cuore si allontana dal Signore”, per questo è "male-detto" cioè "detto-male" poichè la nostra fiducia non può che essere in Dio. Quando si dice avere fiducia in Cristo Gesù, non è una fiducia in un uomo che ha dei poteri eccezionali, ma nel Dio di cui Egli afferma essere: io e il Padre siamo una cosa sola; chi ha visto me ha visto il Padre; nessuno va al Padre se non per mezzo del Figlio... e così via.
In senso contrario, vengono subito in mente le parole del Salmo 1,  “Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia sulla via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte”.
 Dunque la nostra vera fortuna, o buona sorte, o per uscire da ogni crisi è confidare in Cristo-Dio, meditare la sua legge giorno e notte, metterla in pratica, mettere in pratica tutti e dieci i Comandamenti, e allora si seguire, come suggerisce san Paolo, gli uomini che agiscono correttamente verso Dio e "abbandonare i reprobi" ossia, i peccatori incalliti che rifiutano di seguire Gesù....

e...ciliegina sulla torta:
Oggi parliamo dell'autonominato priore di Bose:

http://satiricus.wordpress.com/2012/03/18/eretico-o-erotico-purche-sia-fratelenzo/






Lettera aperta di Antonio Livi 

http://www.formazioneteologica.it/index.php?categoria=12&sezione=15

a Marco Tarquinio, Direttore di Avvenire



Il 23 marzo scorso Lei sul Suo giornale mi ingiunge di vergognarmi per quello che avevo scritto su La Bussola Quotidiana a proposito di Enzo Bianchi, accusandomi di aver orchestrato squallide manovre diffamatorie basate sulla menzogna. Siccome alcuni lettori (anche se non tutti) e i cattolici italiani in generale possono aver pensato che queste accuse (che costituiscono – queste sì – denigrazione e diffamazione nei miei confronti) siano fondate, mi vedo costretto a fornire loro pubblicamente alcune spiegazioni.

1. Io non ho scritto contro Enzo Bianchi come persona ma contro la sua “fama di santità”, ossia contro la presentazione che se ne fa come di un vero mistico, di un autorevole interprete della Scrittura, di un venerato maestro di dottrina cristiana, di un eroico combattente per la riforma della Chiesa e per l’ecumenismo. Io vorrei invece richiamare l’attenzione di chi ha responsabilità pastorale sul fatto che i suoi scritti e i suoi discorsi – che certa stampa utilizza come se potessero essere dei validi sussidi per la catechesi ― sono inficiati di un’ideologia neognostica, incentrata sul progetto di una religione universale a carattere etico (la
Welthethik), secondo la prospettiva del suo autore di riferimento, che è Hans Küng.

2. Per questo preciso motivo ho deprecato lo spazio e il rilievo che il Suo giornale ha dato a una meditazione biblica di Bianchi, pubblicandola in un paginone a colori di “Agorà” della domenica. Io l’ho visto distribuito in alcune chiese di Roma assieme ai foglietti della Messa, e mi è sembrato assurdo che quel commento di Bianchi al Vangelo della prima domenica di Quaresima fosse presentato ai fedeli quasi come un sussidio per la pastorale liturgica. Quale approfondimento della dottrina cristiana e quale edificazione nella fede eucaristica – mi domandavano – possono venire da discorsi che presentano Gesù come un modello (umano) di quella morale umanitaria che ritiene di poter prescindere dalla grazia del Redentore? Il mondo è pieno di gente che parla di Gesù in termini che sono più propri dell’umanesimo ateo che del dogma cattolico: non è questo che mi turbava: mi turbava i fatto che ancora una volta fosse presentato come un autorevole maestro della fede, con l’autorevolezza che può conferire il “giornale dei vescovi italiani”, un personaggio che, a mio avviso, la vera fede non contribuisce affatto a diffonderla. Non si tratta di un problema personale o ideologico, ma di un problema esclusivamente pastorale, e io come sacerdote lo considero l’unico problema importante.


3. Lei, Direttore, non ha ragione quando scrive che io avrei potuto criticare Bianchi o altri collaboratori di Avvenire «su ciò che è opinabile: valutazioni storiche e socio-culturali, opinioni artistiche, scelte lessicali, giudizi politici…», mentre invece mi sarei «azzardato» a «porre in dubbio la fede altrui e l’altrui indiscutibile adesione alla buona dottrina cattolica su ciò che è opinabile non è». Lei non ha ragione perché io critico appunto il modo di commentare il Vangelo in un giornale ufficialmente cattolico, e in questa materia nella Chiesa c’è sempre stata e sempre ci sarà il diritto di critica (la teologia cattolica e lo stesso dogma nascono dal confronto critico con i diversi modi di presentare il contenuto della rivelazione divina). Ciò che per un cattolico «opinabile non è» è solo il dogma enunciato dalla Chiesa con il suo magistero solenne. Le interpretazioni del dogma e la sua presentazione catechetica, così come le scelte pastorali, sono invece materia di libera discussione. Non c’è nulla di criminoso e di vergognoso nel fatto di aver voluto manifestare la mia opinione circa l’inopportunità pastorale di presentare alla meditazione dei fedeli dei discorsi, come quelli di Bianchi, così ambigui rispetto al dogma cattolico. Da quando è diventato «indiscutibile» il fatto dell’«adesione alla buona dottrina cattolica» da parte dei collaboratori dell’
Avvenire? Basta la parola del Direttore? È un nuovo caso di «Roma locuta, quaestio finita»?

4. Nel fare quei rilievi dottrinali e pastorali, peraltro, io non ho minimamente voluto «porre in dubbio la fede altrui», cioè di Enzo Bianchi. Sembra che Lei, dottor Tarquinio, non abbia presente la fondamentale distinzione tra la fede come
atto interiore del soggetto che aderisce con tutto se stesso a Cristo e alla sua dottrina (e di questo atto interiore è consapevole solo il soggetto stesso) e la fede come enunciazione esteriore (professione di fede, proclamazione della fede, catechesi, evangelizzazione, teologia); io so bene di non dover giudicare la sincerità e la fermezza della fede degli altri (della coscienza di ciascuno di noi è giudice solo Dio, il quale «scruta i reni e il cuore» degli uomini), ma so anche che ho il dovere di giudicare la rispondenza di un discorso sul Vangelo alle verità fondamentali contenute nella dottrina della Chiesa: è un dovere che in primis spetta al collegio episcopale, con a capo il Papa, ma spetta, per partecipazione sacramentale, anche a un semplice sacerdote come me, impegnato da sempre nella formazione cristiana dei fedeli con il mio lavoro pastorale e con la docenza nell’«Università del Papa». Certo, il mio giudizio – di approvazione o di critica – è soggetto a errore dal punto di vista dottrinale, e anche dal punto di vista della prassi può risultare meno opportuno o conveniente: ma è pur sempre un atto legittimo, anzi doveroso, quando uno come me ritiene in coscienza che il bene comune della comunità ecclesiale lo richieda.

5. Lei scrive che il mio è «un testo feroce, nel quale si procede con metodi degni della peggiore “disinformatsja”: estrapolando frasi, selezionando concetti, amputando verità, distillando veleni». In realtà, le frasi dello scritto di Bianchi che ho citato sono testuali, e in un breve scritto non potevo certamente riprodurre tutto il testo pubblicato nel paginone di
Avvenire (chi no crede alla sintesi che io ho fatto potrà confrontarla con l’originale); sono però frasi emblematiche, che nemmeno il contesto può contribuire a “salvare” (anzi, a me sembra che tutto il discorso che Bianchi fa sul potere e sul denaro ha senso solo presupponendo che Gesù sia solo un modello morale, un uomo esemplare). Nessuno scrittore dei primi secoli, nessun letterato cristiano moderno, nessun teologo intenzionato a rispettare il dogma si è mai sognato di parlare di Gesù come di una «creatura», di un uomo cioè che insegna agli altri uomini come si deve rispettare Dio, che è il Creatore. Bianchi è un biblista: ma dove mai si trova nella Bibbia la definizione di Gesù come «creatura»? Che cosa avranno pensato quei fedeli che hanno letto il testo di Bianchi sull’Avvenire e poi a Messa hanno recitano il Credo, dicendo di Gesù che Egli è «Dio da Dio» e che è «generato, non creato»? Devono pensare che la professione di fede della Chiesa è una formula antiquata e che è meglio credere alle spiegazioni moderne e aggiornate di Bianchi? Questo è il vero problema: un problema che interessa necessariamente chi ha sensibilità pastorale e si sente responsabile dei messaggi dottrinali che vengono proposti da personaggi che (non sempre meritatamente) godono di credito presso i fedeli, soprattutto se sono veicolati dalla stampa che si presenta come la voce (almeno ufficiosa) della Chiesa italiana.


  GRAZIE MONS. LIVI GRAZIE DI CUORE.... siamo in questa "valle di lacrime" con Lei...



Caterina63
00martedì 27 marzo 2012 16:34

"Caso Enzo Bianchi": Lettera di replica di un nostro lettore al Direttore di l'Avvenire che aveva criticato l'articolo di Mons. Livi su Enzo Bianchi

Riceviamo e pubblichiamo con il consenso espresso dell'autore, la lettera che un nostro lettore ha inviato al Direttore dell' Avvenire, in replica alla critica di quest'ultimo sull'articolo di Mons. Livi pubblicata sul quotidiano cattolicao il 23.03.2012.

Roberto

Gentile Direttore

Ho anch’io una speranza che lei con coraggio e onestà intellettuale, non si fermi alla risposta data nei giorni scorsi, ma voglia approfondire la vicenda di Bianchi e non derubrichi il preciso e argomentato articolo di Monsignor Livi come ha fatto a mio parere troppo frettolosamente.
Rileggendo serenamente il coraggioso Monsignor non ha fatto altro che dire una verità che tutti sanno e vedono (Lei compreso Direttore) , ma che non vogliono o non possono esplicitare.
Livi lo ha fatto come prima di lui alcuni eccellenti giornalisti, non politicamente corretti: Mario Palmaro e Alessandro Gnocchi in Cattivi Maestri Francesco Agnoli con un articolo sul foglio del 2009.

Bianchi è un caso unico di successo, personaggio di frontiera sul limite con due identità mai del tutto chiare che usa sapientemente a seconda dei casi.
Non è un membro ufficiale della Chiesa, non deve rispondere a nessuno se non a se stesso. Si è autoproclamato priore di una comunità unica e anomale che comprende uomini e donne e persone di diverse religioni, quindi non cattolica. ed esperto di materie per cui non ha titoli accademici. L’unico che possiede è un quello di dottore in scienze economiche.
Ha cavalcato in modo straordinariamente vincente da un punto di vista dei media la corrente contestatrice e progressista della Chiesa Cattolica, senza mai entrarvi. Si è proposto alla cultura dominate anticattolica trovando porte spalancate in quel sistema culturale egemonico che ruota intorno al gruppo Repubblica Espresso. Da Fazio e di casa, il festival della filosofia di Modena vetrina sempre più importante del pensiero debole apertamente anticattolico lo vede da anni come protagonista. E’ stato una delle firme del numero speciale di micromega nello scorso maggio in occasione della beatificazione di Giovanni Paolo II in cui si contestava la beatificazione. Nel 1989 Bianchi insieme ad altre 69 firme di teologi progressisti, accusa apertamente la linea di Giovanni Paolo II. Si potrebbe continuare. La difformità rispetto al magistero, di quanto dice e scrive con straordinaria prolificità il Dottor Bianchi è un dato oggettivo.
Mi stupisce moltissimo la sua risposta. La leggo fedelmente da anni e la guardo su Sat2000 e nutro una sincera stima per il suo modo di porsi, le sue idee sono spesso utili e approfondite.
Riguardo a Bose non avevo mai capito quale fosse la sua posizione. Ora è molto chiara.

Al Signor Todeschini vorrei fare notare che I Papi come successori di Cristo sono il vertice di una istituzione divina e non umana che come madre e maestra accetta ed ama tutti i suoi figli anche coloro che esprimono le loro idee.
Un invito a partecipare al sinodo non accredita certo in toto la persona e meno che meno gli conferisce mandato di infallibilità.
Questo è il primo grande motivo per cui Bianchi è in se stesso e nella sua vita un insieme di contraddizioni evidenti. Critica la Chiesa esprime idee diverse dal suo magistero, lo fa sapientemente rimanendo al margine e dopo essersi ritagliato una visibilità per cui la Chiesa con la sua giusta prudenza non esprime scomuniche, anche per il seguito che in questi anni è riuscito a raccogliere intorno alla sua opera. Seguito che come bene afferma Livi è generato da un dottrina evanescente fatta di mezze verità presentate con fare angelico e con stile profetico, tale per cui diventa difficile ed impopolare anche solo azzardarsi a fare qualche critica ai suoi discorsi. Ma analizzando la sua dottrina di cattolico rimane davvero poco o nulla.
La invito pertanto a fare giornalisticamente luce – e sarebbe tempo_ su chi sia Enzo Bianchi, mi permetto di darle una sintetica traccia, provi a rispondere a queste semplici ingenua domande:
- E’un laico o un consacrato ?
- il “suo Monastero” è a tutti gli effetti un monastero Cattolico o no ?
- E’ gerarchicamente sottoposto all’autorità de Papa in ordine alla dottrina o può fare quello che vuole ?

Per esperienza personale, le posso dire che conosco molto bene i frutti di Bose. Il mio giovane parroco dal 2006 quando arrivò, cestinò tutto (catechismo encicliche, e magistero ) e portò alla ribalta solo quanto arrivava da Bose. Cancellò completamente tutto quello che riguarda alcuni aspetti che ora le elenco – e non sono proprio dettagli per la corretta dottrina cattolica-
1. la vergine Maria e tutti santi,
2. inferno paradiso e purgatorio,

3. l’idea del peccato originale,
4. i sacramenti ridotti a puri simboli e perfino l’eucarestia “come atto simbolico in memoria della scelta di coscienza di Gesù”.

Molte cose mescolate insieme con tanta psicologia sociologia umanitarismo, che però con evidente incoerenza spazzano via fisicamente tutti coloro con nutrono qualche dubbio su questo nuovo spirito profetico.
Tutto questo in nome dell’ecumenismo. Con tutti, esclusi coloro che ancora hanno il coraggio di dichiararsi fedeli al Papa e al suo magistero. Che sono antichi e non profetici chiusi al vento rinnovatore del concilio inapplicato.
La Chiesa è arroccata su posizioni che uccidono è lo slogan che si sente è ora di cambiare e di contrastare le spinte regressive di questo Papa retrogrado e tradizionalista. Il vero Papa il nuova San Francesco è il priore.
Ci rifletta Dottor Tarquino, Lei nella sua posizione potrebbe compiere un sacco di bene avviando una ormai indispensabile opera di verità e di chiarezza in merito a questo personaggio che credo non stia rendendo affatto un servizio alla Chiesa.

Sta silenziosamente raccogliendo sempre più persone intorno a d un idea di Chiesa errata in aperto dissenso al Papa al magistero e cancellando completamente l’indispensabile figura di Maria. Il tutto partendo da un assioma assoluto. La verità non esiste e la Chiesa Cattolica non deve pensare di possederla, quando lo ha fatto ha fatto disastri.. ????

Queste caro Direttore sono le idee che diffonde un grandissimo affabulatore e straordinario oratore. Tanto di cappello a queste indiscutibili capacità. Quanto a idee e contenuti e soprattutto alla adesione alla buona dottrina Cattolica. Ci sarebbe molto e molto da approfondire e da portare a galla.
In sintesi il messaggio di Bose è un messaggio che indebolisce e svilisce la fede. Livi ha avuto il coraggio di affermarlo.
Auspico Lei abbia il coraggio di aprire con mite fermezza, nello stile meraviglioso di Benedetto, una corretta e rispettosa indagine per capire dove sia la verità. Sempre che anche lei creda ancora che possa essere nella Cattolica.
Cordialità
Dr. Corrado Ruini

[SM=g1740722] [SM=g1740721]

*******************************************

Poveri in spirito e poveri di spirito

Prendo in mano una rivista del mondo cattolico progressista, e trovo scritto che la Chiesa ha fatto una scelta, un’ “opzione preferenziale”, per i poveri, i “malriusciti”, gli emarginati, gli ultimi ecc.

Non è una constatazione nuova. Ben prima della triste teologia della liberazione, lo notavano i primi avversari del cristianesimo, Celso e Porfirio. In tempi più recenti, Nietzsche ed Hitler dicevano lo stesso, ovviamente con un analogo disgusto. E’ senza dubbio vero: sotto ogni cielo e in ogni epoca, chi più chi meno, perché sempre uomini e peccatori, i cristiani hanno soccorso orfani e vedove; hanno creato ospedali e xenodochi; hanno riscattato schiavi e prigionieri… Eppure, nel modo in cui questa “preferenza” viene espressa oggi in certi ambienti, vedo qualcosa di ideologico, cioè di parziale e limitante.

Parziale e limitante perché talora si dimentica quante volte sono stati uomini e donne ricchi, facoltosi, a fare del bene ai poveri, a divenire poveri con i poveri. Possiamo ricordare la generosità delle principesse dei primi secoli, come Pulcheria, di ricche matrone come Melania, Fabiola e Marcella, di nobildonne ottocentesche come la contessa di Barolo, Maddalena di Canossa, Teresa Verzeri…
Anche san Francesco, il più verace sposo di “madonna povertà”, nacque ricco e si fece povero. Povero volontario.
Parziale e limitato, il pauperismo di certuni, perché dimentica quante opere di misericordia sono nate anche dai soldi, non sempre del tutto puliti, di mercanti ed usurai, che tra medioevo e rinascimento hanno spesso finanziato prodigiose opere di carità; perché dimentica quante volte uomini poveri come il Cottolengo, o san Giovanni Bosco, hanno saputo salire le scale dei ricchi, anche di uomini non integerrimi, senza disprezzo manicheo sulle labbra, per ottenerne pane per i poveri, con grande frutto. Parziale, ancora, perché come non sono mai mancati i ricchi generosi, e distaccati dalle loro stesse ricchezze, cosa non certo facile, non scarseggiano neppure i poveri che, una volta divenuti ricchi, vogliono assaporare con assoluto egoismo la loro nuova condizione.

Sì, la Chiesa, come Cristo, deve amare i poveri, ma non è materialista come l’ideologia marxista.
Crede dunque che i ricchi, come i poveri, abbiano l’anima, e che tra eternità e tempo vi sia una gerarchia: la vita eterna è una ricchezza più grande di ogni ricchezza terrena, e non è in ciò che è materiale, necessariamente, che si realizza l’equità e la giustizia; non è nel benessere, che pure è cosa buona, che si compie la felicità umana.
Certo, tra i peccati che “gridano vendetta al cospetto di Dio”, Leone XIII mise il negare la “giusta paga agli operai”, e prima di lui Ambrogio si scagliava contro i ricchi che credono che la terra sia proprietà solo loro; certo, dopo Leone XIII, Pio XI attaccò il “funesto ed esecrabile internazionalismo bancario o imperialismo internazionale del denaro”, così come i suoi predecessori medievali avevano stigmatizzato i banchieri usurai e i guadagni illeciti. Ciò non toglie che per la Chiesa l’anima dei ricchi non vale di meno di quella dei poveri, e quella dei poveri non vale di più di quella dei ricchi. [SM=g1740733]

Non mi convince, ancora, la visione pauperista in stile marxista di certo mondo “cattolico”, perché si riduce troppo spesso a predica, ad utopia, a vagheggiamento di una attenzione verso i lontani, che mi sembra, a volte, un po’ troppo facile. Perché dimentica troppo spesso quello che una santa che di poveri se ne intendeva, Madre Teresa di Calcutta, definiva “il più povero tra i poveri”, cioè il bambino nel grembo materno. Non di rado, quando si parla di questo tema, in troppi di questi cattolici, esplode una rabbia strana, che si palesa in espressioni come queste: “a te interessano gli embrioni, i feti, e dimentichi gli uomini”.
A me pare sia vero il contrario: chi ha attenzione verso il più piccolo dei fratelli, la avrà, necessariamente, anche verso gli altri. Chi vede l’umanità anche dove essa è più nascosta, e più fragile, più facilmente la scorgerà anche dove è più evidente. Chi è disposto ad accogliere il figlio non aspettato o “imperfetto”, saprà accogliere anche il prossimo suo, più di chi, al contrario, sopprime la carne della sua carne ed il sangue del suo sangue.
Oggi però dobbiamo chiederci, come cristiani, chi sono i nuovi poveri. Certo, sono anche coloro che non hanno beni materiali a sufficienza. Non siamo puri spiriti e Cristo si dedicava anche a moltiplicare pani e pesci. Ma nel nostro Occidente la povertà odierna più grande, quella che molti pauperisti non sanno vedere, è quella spirituale. Abbondano i poveri che mancano del senso della vita: così soli e indigenti da vivere senza Dio; così poveri da non sapere cosa siamo al mondo a fare; così poveri da cercare inutilmente, nell’egoismo sfrenato e nel consumismo di beni materiali o di affetti sciupati, un goccio di vita vera.

A costoro la Chiesa deve spezzare il pane della sapienza, anche tornando ad essere luogo di bellezza, nel canto, nell’arte, nella liturgia. Deve ridare Dio, il senso della grazia e del peccato, ed il senso del sacro. Sono questi i maggiori doni che si possono fare ai poveri di spirito, pasciuti o non pasciuti, ma spesso egualmente disperati, di oggi.

Francesco Agnoli, il Foglio, 22/3/2012


[SM=g1740722]

Caterina63
00mercoledì 28 marzo 2012 16:14

Gnocchi e Palmaro ci scrivono sul caso del signor Enzo Bianchi




Ah, il caso Enzo Bianchi.
Grazie monsignor Livi per averne parlato con tanta chiarezza.
Questa faccenda del signor Bianchi detto fratel Enzo, è davvero una delle questioni che mostrano come sia ridotta questa povera Chiesa dove ciò che non è cattolico vale quanto, e anche più, della buona e sana dottrina. Con il tragicomico risvolto della censura rivolta con cattiveria, arroganza e, diciamo, poca lucidità contro chi osi denunciare l’assurdità della situazione.
Ma un grazie va anche al dottor Marco Tarquinio, direttore di
Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani, per essere stato così sgradevole e, diciamo, poco lucido nel censurare monsignor Livi. Grazie davvero perché, se ancora fosse stata necessaria una prova del disastro, il dottor Tarquinio l’ha messa in bella copia nero su bianco: un’autocertificazione dello stato di coma del mondo cattolico. A questo proposito, avevamo pensato di scrivere qualcosa sul signor Bianchi, priorissimo della suopercomunità di Bose. Poi, nel nostro archivio, abbiamo trovato un articolo scritto per il Foglio qualche tempo fa. Visto e considerato che fratel Enzo dice e scrive con successo da anni sempre le stesse cose, abbiamo pensato che fosse ancora di attualità e potesse servire a rafforzare l’iniziativa di monsignor Livi che, se fossimo in un mondo cattolico serio, dovrebbe diventare una vera e propria campagna. Magari guidata dai vescovi: almeno qualcuno. Per la cronaca, l’articolo uscì con titolo “Bose dell’altro mondo”.
Alessandro Gnocchi Mario Palmaro

Prima, la notizia buona: chi avesse già speso 9 euro per acquistare
La differenza cristiana di Enzo Bianchi, ora può risparmiarne 10 evitando di mettere nel carrello Per un’etica condivisa, appena dato alle stampe sempre da Bianchi. Complessivamente, 1 euro guadagnato poiché, se La differenza cristiana è zuppa, Per un’etica condivisa è pan bagnato. Anche nel suo ultimo libretto, il Priore di Bose mena il torrone del cristianesimo minimale buttandoci dentro come canditi tutti quei termini che colpiscono nel profondo i cattolici tentati dall’esserlo sempre meno: l’Ultimo, lo Straniero (in maiuscolo), polis, agorà, ananké (in corsivo), parresia (in tondo) e poi profezia. Tanta profezia, anch’essa in tondo, ma scritta con forza tale da creare un vortice che trascina il lettore in un mondo nuovo, un cristianesimo altro, una spiritualità purissima che manifesteranno il regno di Dio qui e subito, perfettamente. Purché si faccia come insegna fratel Enzo. Anzi, come impone fratel Enzo. Perché la sua scrittura, contrariamente al messaggio minimale che contiene, è tutt’altro che mansueta. Si prenda un suo libro e si contino le frasi che iniziano con un “Sì,”. Quando il ragionamento perde qualche colpo, quando bisogna imprimere nelle testoline dei lettori il concetto giusto, fratel Enzo, come un vecchio marpione dell’omiletica che incespica sul pulpito o un navigato caporedattore di giornale popolare che non riesce a venirne fuori con un titolo, ci infila il suo bravo “Sì,”. Dopo il “Sì” ci vuole sempre la virgola, che irrobustisce la pagina.
Provare per credere. La differenza cristiana, pagina 77, settima riga: “Sì, l’annuncio cristiano non deve avvenire a ogni costo”. Togliete quel “Sì,” e avrete ridotto a un decimo la forza del messaggio, che, detto per inciso, suona tanto come un insulto ai milioni di martiri.

Il Priore di Bose è tutto qui, nel suo dire il quasi nulla con molta forza, nel suo attaccare il dogma mostrandolo intatto ma vuoto. Un “vivere doppio”, come ha scritto Barbara Spinelli sulla Stampa tessendone l’elogio. Un “vivere doppio che è piuttosto un vivere-tra. Tra il mondo e ciò che non è del mondo. Tra adesione alla polis e distacco”. E come si potrebbe definire, se non un vivere-tra, quello di fratel Enzo? Fa l’editorialista del giornale storico della famiglia Agnelli e combatte il capitalismo, scrive sul giornale della Conferenza Episcopale Italiana e bersaglia la gerarchia, commenta il Vangelo su Famiglia Cristiana e proclama le verità altrui, fa il monaco solitario ed è sempre in viaggio ai quattro angoli del mondo, profetizza nell’iperuranio della teologia engagé e si occupa della legge sugli immigrati.

Un vivere-tra che segna fin dal principio la comunità fondata a Bose, tra Ivrea e Biella, da Enzo Bianchi, classe 1943, dottore in economia e commercio. Era un simbolico 8 dicembre 1965, giorno di chiusura del Concilio Vaticano II. Bose divenne punto d’incontro tra persone di entrambi i sessi appartenenti al cattolicesimo, al protestantesimo e al mondo ortodosso. E subito ne scaturì il carisma di punta avanzata dell’ecumenismo, di un vivere-tra teologico che fino a oggi non ha avuto alcun riconoscimento ecclesiastico. Non esiste istituto del diritto canonico della Chiesa cattolica che contempli un’entità di tal genere. Se al cattolico ordinario questo può apparire strano, a Bose vi diranno che è profetico. Il fatto che la loro comunità non possa essere contemplata dentro la struttura di questa Chiesa significa solo che la struttura di questa Chiesa deve mutare: troppo gerarchica, costantiniana, fondata sul potere, vecchia. Insomma, non è profetica, non è in grado di comprendere e trasmettere il vero messaggio evangelico. Tanto che, nella Regola di Bose si legge: “Nessuna comunità e nessuna persona possono realizzare ed esaurire tutte le esigenze dell’Evangelo. Solo la chiesa universale nella sua completezza storica può esprimere la totalità degli appelli contenuti in esso”.
Dal che parrebbe che “la chiesa universale nella sua completezza storica” non corrisponda alla Chiesa cattolica. Tanto che la Regola si affretta a dire al fratello e alla sorella di guardarsi bene dall’abbandonare la confessione di provenienza per farsi cattolici. Ma tutto ciò viene detto con tale mitezza e tale soavità e suona tanto bene che il cattolico poco accorto finisce per rimpiangere di essere stato battezzato nella Chiesa di Roma. Se non è così, bisogna che a Bose riscrivano la Regola e usino termini comprensibili a tutti. Però riesce difficile pensare di essersi sbagliati quando, poco più avanti si legge che il Priore, il “compaginatore della koinonía”, è colui che “spezza e interpreta la Parola per la comunità nelle varie congiunture in cui essa si viene a trovare”.
Il povero cattolico medio, qui, è costretto a cogliere la contrapposizione tra lo spezzare il Pane Eucaristico e lo spezzare la Parola che spaccò in due la Cristianità ai tempi di Lutero. Ma l’abilità di Bose, della sua Regola e del suo Priore sta nel non arrivare fino in fondo: suggeriscono. E il colpo da maestro di Bianchi sta nell’usare questo linguaggio e nel praticare questi temi come se la vita della Chiesa fosse già mutata. “Ma come” sembra dire ai poveri cattolici medi “siete ancora tanto indietro? Non soffia ancora in voi lo spirito della profezia?”.
Davvero bravo, perché con questo metodo è arrivato ovunque, dalle parrocchie illuminate alla predicazione degli esercizi per gli alti gradi della gerarchia, da trasmissioni radiofoniche come “Ascolta si fa sera” e “Uomini e profeti” ai viaggi di rappresentanza per conto del Vaticano. Eppure, fonti ben informate dicono che alla Congregazione per la dottrina della fede, sul suo conto c’è un dossier riguardante materie come l’ecclesiologia, la sacramentaria e la cristologia. Ma come si fa a mandare avanti una pratica a carico di un personaggio come fratel Enzo? E il dossier rimane lì, anche perché il pensiero di Bianchi non è così minoritario come si potrebbe immaginare.

E’ la storia di Bose, fin dai suoi esordi, a insegnarlo. Nel 1967, il vescovo del luogo vietò qualsiasi celebrazione pubblica nella comunità a causa della presenza di un non cattolico. Ma, il 29 giugno del 1968, l’arcivescovo di Torino, cardinale Michele Pellegrino, entusiasta di quell’esperienza celebrò lui stesso la Messa vanificando di fatto l’atto del vescovo. Oggi, che tra fratelli e sorelle di varia provenienza sono ottanta, non è chiaro se l’interdetto sia formalmente ancora in vigore, ma questo conta poco, poiché si troverebbe anche oggi un cardinale epigono di Pellegrino, pronto a correre in soccorso a Bose.

In ogni caso, fratel Enzo tira avanti. Predica esercizi ad alto livello, convoca e presiede convegni internazionali, è nume tutelare delle edizioni Qiqajon, scrive per grandi editori, compila voci di enciclopedie, tiene cattedra di teologia biblica e patristica all’Università Vita-Salute San Raffaele di don Luigi Verzé. E tutto questo con il solo titolo accademico di dottore in economia e commercio. Un autodidatta. Un magnifico autodidatta, ma pur sempre un autodidatta. E, come tutti gli autodidatti, allievo di se stesso.
Adesso qualcuno vorrà spiegare che lo Spirito soffia dove vuole e che la storia della Chiesa è punteggiata da individui che hanno intuito, profeticamente, strade nuove. Guardate San Francesco. Però, chiunque abbia fatto almeno l’esame di “Storia medievale 1” sa che la grandezza di san Francesco sta nell’essersi rimesso al giudizio della Chiesa di Roma e non nell’averla voluta giudicare. Monsignor Piero Zerbi, maestro dei medievalisti dell’Università Cattolica di Milano insegnava che sta qui la differenza tra Francesco d’Assisi e Pietro Valdo: uno divenuto Santo e l’altro eretico.

Ma fratel Enzo non teme scivoloni e se c’è da menare fendenti su Roma non guarda in faccia a nessuno. “Questo è un tempo triste per chi non possiede la verità e crede nel dialogo e nella libertà” dice nella Differenza cristiana, citando una frase di Zagrebelsky. E poi rincara: “Io aggiungerei che è un tempo triste per certi cattolici che certo non pensano di possedere la verità, ma pur mettendo la loro fede in Dio e in Gesù Cristo che lo ha narrato, sanno che la verità eccede sempre i credenti. (...) Sì, è un tempo triste perché il cristianesimo appare minacciato nel suo specifico, e non minacciato da chi lo avversa o addirittura lo perseguita, bensì, come sovente accade nella storia, dai credenti stessi”.
E così, senza compromettersi facendo nomi, da Papa Benedetto XVI in giù sono sistemati tutti coloro che complottano per depotenziare la nuova Pentecoste avviata con il Concilio Vaticano II, tutti coloro che si oppongono al soffio dello Spirito. Gli altri, invece, i veri credenti, quelli che, come nei migliori ossimori, “non pensano di possedere la verità”, pur se invitati a un generico immergersi “nella storia, nelle sue opacità, nelle sue contraddizioni”, in realtà sono chiamati a divenire “comunità alternativa”.

Anche qui, Bianchi allude, profetizza, più che marcare nettamente. Ma, presi dal suo ragionare, si può essere indotti a immaginare veramente una nuova Pentecoste annunciata ed evocata da “comunità alternative” in cui “si manifesti pienamente la Venuta del Signore”. Una Nuova Era dello Spirito? Non viene specificato, però, nella Regola di Bose si legge che “Nella vita monastica è lo Spirito a chiamare, pur servendosi di mediazioni umane, e non la chiesa tramite il ministero episcopale, come accade per i ministeri ordinati”. E certo colpisce questo continuo evocare, anche se non fino in fondo, la contrapposizione tra una Chiesa istituzionale, vecchia e una Chiesa spirituale, nuova. Il tutto sottolineato da una sezione del sito web della comunità che si intitola “Pneumatofori”, portatori dello Spirito, in cui si dice: “Sono passati tra noi..” seguono 19 nomi per poi concludere “lasciandoci il loro spirito”.

Nell’attesa, le “comunità alternative” sono chiamate a evitare di porre Cristo al centro del proprio agire sociale. Niente leggi che sappiano di sacrestia: l’Altro, lo Straniero siano la regola, il nascondimento sia il mezzo, l’umanizzazione, e non la salvezza, sia il fine. Dunque, in Per un’etica condivisa, Bianchi spiega che gli ripugna un mondo in cui “le chiese propugnano un’etica e concentrano tutte le loro energie affinché sia assunta dalla società, si mostrano capaci di quei servizi necessari ai quali lo stato non sa dare attuazione, soprattutto in risposta ai diversi tipi di povertà ed emarginazione, offrono la loro esperienza e qualità di intervento nell’educazione giovanile, chiedendo però un riconoscimento del proprio ruolo”.

Per non parlare dei cosiddetti “atei devoti che oggi pontificano”. Ai quali Bianchi manda a dire che “non vi è nessuna necessità mondana di Dio, nessuna possibilità di teismo utilitario come invece vorrebbe far credere una società in carenza di ideali. Alla larga da “un progetto che vede le chiese correre in aiuto e supporto alla società per fornire, alimentare valori di cui esse hanno bisogno per il loro ordine ed equilibrio”.
In un colpo solo, fratel Enzo fa fuori gli atei devoti e San Tommaso d’Aquino. Il Dottore Angelico, nella Summa spiega l’utilità delle leggi dello Stato e della repressione penale, che servono ad “abituare a evitare il male e a compiere il bene per timore della pena, in modo che poi esso sia compiuto spontaneamente”. Ma è chiaro che, per dei puri destinati a vivere nel nascondimento e nella carità perfetta, la fatica di produrre leggi che conducano gli uomini al bene, invece che benedetta, appare blasfema.
E’ difficile non far risalire tutto questo a una sottovalutazione dell’Incarnazione di Cristo, da cui scende direttamente l’impegno del cristiano nella vita quotidiana. La Civitas Dei di Sant’Agostino, alla quale appartiene il cristiano, non è un luogo impalpabile e neppure una comunità separata che diventi esempio per la società. L’appartenente alla Civitas Dei ha il dovere mettere mano anche alla città dell’uomo, e il suo impegno è essenzialmente milizia.
Ma se l’impegno è debole, di solito, la cristologia è debole. Il Priore, quando cita Cristo, si affretta a spiegare che è colui che “ha narrato Dio agli uomini”. Linguaggio opaco che produce la sensazione di trovarsi davanti a una vicenda incompleta. Sensazione alimentata da Bianchi con un libretto per bambini intitolato “Gesù. Il profeta che raccontava Dio agli uomini”. E’ vero che dentro dice che Gesù è Figlio di Dio. Ma poi spiega ai suoi piccoli lettori: “Gesù (...) era un bambino come noi che viveva con i suoi genitori, Maria e Giuseppe, in un villaggio una piccola cittadina della Galilea. Quando aveva dodici anni ha sentito una chiamata più forte. (...) Gesù è stato inviato, mandato, è divenuto un testimone, cioè uno che raccontava Dio agli uomini”.

Forse, sta qui la ragione del cristianesimo minimale di Bianchi, che ha un precedente illustre in Giuseppe Dossetti, passato dalla militanza nella Dc alla scelta monastica. Non a caso, il Priore di Bose ha un posto fisso nel Consiglio di amministrazione della dossettiana Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna. Come quello di Dossetti, il monachesimo di Bianchi è anomalo. Non sceglie la via della solitudine per lodare e adorare Dio, ma per caricarsi di carisma profetico con il fine ultimo di trasformare la Chiesa e renderla più spirituale e democratica attraverso le alchimie della politica. Un ribaltamento di orizzonte che passa dall’influsso della Chiesa sulla società a quello della società sulla Chiesa.
L’unica differenza tra Dossetti e Bianchi sta nel partner. Il monaco bolognese, tra gli artefici della costituzione repubblicana, fece della sua creatura il luogo d’elezione per l’incontro con il Pci di Togliatti. Pensò la carta costituzionale come piattaforma utopica per un progetto che trasformasse la vita politica italiana e, quindi, anche la Chiesa. Dal che discese una visione ideologica della costituzione in nome della quale Dossetti, prima combattè Craxi e poi lasciò il suo romitaggio per fronteggiare il cavaliere nero Berlusconi.
Bianchi, oggi, ha a che fare con gli eredi di un Pci putrefatto, una sorta di partito radicale di massa in cui convive tutto e in contrario di tutto, da Rosy Bindi a Massimo Cacciari passando per Dario Franceschini: come dire il nulla, l’ideale per le profezie minimali del Priore.

Ma l’obiettivo non è cambiato, nel mirino c’è sempre la Chiesa romana e la sua concezione costantiniana. Il che fa tirare una boccata d’ossigeno a Eugenio Scalfari, che, alla Fiera del libro del 2005 disse: “Se tutti i cattolici fossero come Enzo Bianchi io sarei molto rassicurato”.
Come dargli torto?

[SM=g1740771]

********************************

Enzo Bianchi scrive una lettera aperta a Mons. Livi


Enzo Bianchi scrive a Messainlatino alcune precisazioni

Pubblichiamo molto volentieri la lettera che Enzo Bianchi ha scritto al nostro Direttore, in cui pur brevemente espone alcune precisazioni in merito a quanto scritto da Gnocchi e da Plamaro in un post di MiL mercoledì 28 marzo 2012 .
Bianchi esprime alcune dichiarazioni per amor di verità chiedendoci di pubblicarle, e noi, per amor di contraddittorio, lo facciamo volentieri.
Una sola nostra chiosa: alcuni punti della lettera di Enzo Bianchi in qualche modo potrebbero rassicuraci perché fissano in maniera inequivocabile la posizione di Bianchi e della Comunità di Bose su alcuni punti fermi su cui non si potrebbe transigere. Ed è cosa buona.
Però... c'è un però.
Pur apprezzando l'esplicita dichiarazione di rispetto al Papa, di obbedienza filiale all'Autorità Ecclesiastica e all'Ordinario del luogo da parte della Comunita (che ha ottenuto il riconoscimento canonico del Vescovo di Biella), diciamo, non senza tristezza, che il riconoscimento dello Statuto da parte di un Vescovo italiano, ahinoi, non basta
tout court, a garantire patente di "cattolicità" e di ortodossia. Questo non in riferimento al Vescovo in questione, ma in considerazione degli orientamenti generali dell'Episcopato Italiano.


Redazione MiL



"Bose, 29 marzo 2012

Egregio Direttore
Messainlatino.it
redazione@messainlatino.it



Egregio Direttore,
siccome ha ospitato lo scritto dei giornalisti Gnocchi e Palmaro, confido che ospiterà anche questa mia breve precisazione. Non intendo difendere me stesso, ma semplicemente dichiarare alcune cose per amore di verità.
a) La Comunità monastica di Bose è sempre stata sotto l’esplicita autorità di un Vescovo cattolico – dapprima i cardinali Michele Pellegrino e Anastasio Ballestrero poi l’Ordinario del luogo – e l’11 luglio 2001 ha ottenuto il formale riconoscimento canonico a firma del Vescovo di Biella, mons. Massimo Giustetti, che ne approvava Statuto e annessa regola di vita. Detto riconoscimento è stato confermato il 29 giugno 2010 da mons. Gabriele Mana, Vescovo di Biella, in occasione dell’approvazione di alcune modifiche statutarie. Il medesimo Vescovo ci conosce bene, ha affidato e affida incarichi e responsabilità diocesane a fratelli della Comunità, ci visita regolarmente e assicura l’oggettiva comunione cattolica nella quale viviamo.
b) Non è vero che esiste un dossier sul mio conto presso la Congregazione per la fede. Me lo ha confermato, già al tempo delle accuse di Gnocchi e Palmaro, l’allora segretario della Congregazione medesima, mons. Amato.
c) Non ho mai contrapposto la Chiesa istituzione a quella carismatica, perché la Chiesa è una e non esistono due Chiese parallele o, peggio ancora, in contrapposizione. Tutti conoscono la mia severa e netta posizione su questa concezione della Chiesa.
d) Non sono stato discepolo di don Giuseppe Dossetti, ma continuo a ritenerlo uno dei più grandi maestri di spiritualità cattolica e di vita santa in Italia.
e) Non ho alcun rapporto con la politica né con schieramenti politici perché ritengo che un monaco non possa e non debba entrare in campi di azione e impegno che spettano al laicato.
f) Quanto al mio ecumenismo o impegno per l’unità dei cristiani e nella Chiesa, faccio presente di aver sempre mantenuto vivo il dialogo e la fraternità anche con i cattolici tradizionalisti. Ne fa fede, per esempio, la mia amicizia con l’abate del Monastero benedettino di Barroux e l’invio presso quella comunità di monaci di Bose per fraterne soste spirituali. È una favola dovuta ad altri due giornalisti che io abbia criticato papa Benedetto XVI per il motu proprio Summorum Pontificum. Ho invece criticato chi della Messa, luogo di comunione, fa una bandiera e un segno ed elemento di divisione.

La prego anche di pubblicare la mia lettera aperta a mons. Livi che parimenti le allego.

Ringraziandola, confido che mi concederà queste precisazioni

fr. Enzo Bianchi
F.to Enzo Bianchi Priore di Bose"


[SM=g1740771]

Gentile Enzo Bianchi, lei scrive e specifica:  
 
La Comunità monastica di Bose è sempre stata sotto l’esplicita autorità di un Vescovo cattolico  
 
*********  
 
mi permetta di dissentire sull'esemplificazione della frase stessa... la sua Comunità è composta da persone NON cattoliche per le quali il Vescovo NON ha alcuna "esplicità autorità"..... Wink nè è esplicito che il Vescovo abbia su di lei qualche "esplicita autorità"..... se ciò fosse esplicito, molte delle sue errate affermazioni, sarebbero state state corrette anche se, e questo non è una sua colpa, siamo da anni in balia delle personali opinioni, anche sulla dottrina e di conseguenza i Vescovi, molti, tacciono sulla famosa correzione fraterna, non per nulla materia di catechesi e di sollecitazione da parte del Papa nel suo Messaggio per questa Quaresima....  
 
Comunione Cattolica? suvvia Enzo Bianchi! non prendiamoci in giro per favore! Non esiste una "comunione Cattolica" senza l'Eucarestia, di conseguenza la sua Comunità può solo avere una comunione ECUMENICA ma non cattolica... nella sua comunità si celebra la Messa una sola volta la settimana e non credo che vi partecipino tutte le sue membra.... non c'è pertanto una "comunione" con tutti....  
 
Se non esiste un dossier sul suo conto presso la CdF, sarebbe ora che se ne aprisse uno.... Laughing non me ne voglia, ma quello di essere provati al crogiolo è una benedizione per noi "cattolici"....  
 
Quanto alle sue critiche al MP Summorum Pontificum, gentile Enzo Bianchi, era su molti giornali....e lei parla contro la controriforma di Benedetto XVI.... nel numero  di Jesus di aprile 2011 lei si domandava: MA DOVE STA ANDANDO LA CHIESA? e lo diceva spiegando quanto fosse contrario alla controriforma del Papa in materia liturgica... e scriveva:  
 
"Tanta fatica per cambiare, quasi cinquant’anni fa – uno sforzo compiuto con entusiasmo ma a volte anche a prezzo di sofferenza e sottomettendo le nostre nostalgie personali al bene della vita ecclesiale – secondo le indicazioni del concilio e del papa: e oggi? Perché ci sono presenze nella chiesa che vorrebbero spingerci a essere con il papa contro i vescovi oppure con i vescovi contro il papa, persino quando si tratta di celebrare l’eucaristia, luogo per eccellenza della comunione ecclesiale?   
Si dice che il cammino ecumenico è irreversibile, ma poi vediamo che molti vorrebbero correggere la sua comprensione consegnataci dal Vaticano II.   
 Papi e vescovi ci hanno insegnato che il vero ecumenismo non significava ritorno alla chiesa cattolica, bensì cammino verso un’unità che i cattolici confessano essere un principio già presente nella loro chiesa, ma che deve essere ancora completata, in quanto mai piena nelle diverse forme e convergenze.   
Abbiamo forse avuto vescovi e papi come “cattivi maestri”? E i “gesti” così eloquenti compiuti dagli ultimi papi erano forse temerari, favole da non prendere sul serio? "  
   
****************  
e non posso darle torto a riguardo delle domande, gentile Enzo Bianchi, perchè ciò che dice è vero, ma non per le sue conclusioni, quanto per una vera e propria denuncia a quel sincretismo mosso in nome dell'ecumania DELLE OPINIONI e delle personali interpretazioni assunte ad assoluta verità... se infatti avesse ragione lei, cosa dire: Abbiamo forse avuto vescovi e papi come “cattivi maestri”? e ci dica, quale Papa, quali Vescovi? faccia i nomi.... nè il Concilio, nè i Papi hanno mai detto che per fare ecuminismo NON ci si deve convertire alla Chiesa Cattolica.... Wink  
Infine, faccia un regalo a tutti i cattolici.... la smetta di parlare di Cristo "CREATURA"... "Dio da Dio, generato NON creato ...." almeno in questo si lasci correggere, umilmente, e dica ai suoi discepoli di aver sbagliato ad usare quel termine...  
Santa Pasqua!


[SM=g1740733]



Volentieri pubblico questa replica di Mons. Antonio Livi alla Lettera aperta di Enzo Bianchi
pubblicata su « Messainlatino.it » (prima pagina - seconda pagina).



La lettera aperta di Enzo Bianchi non fa che confermare l’intenzione di lui e del suo difensore d’ufficio, Marco Tarquinio, di ignorare la fondatezza delle mie critiche.
Io avevo voluto solo richiamare (vedi intervento) l’attenzione su un evidente caso pastorale, quello del millantato credito di un intellettuale che – per come vien presentato – molti considerano un monaco, un sacerdote e un teologo, mentre queste qualifiche, nei termini in cui vengo usate nella Chiesa cattolica, non gli appartengono.

Tarquinio (vedi intervento) ha evitato di entrare nel merito delle mie considerazioni sui modi più adeguati di orientare l’opinione pubblica cattolica, e invece ha costruito ad arte un caso criminale (il “caso Livi”). Non c’era ragione di inventarsi un “caso Livi”, che non interessa nessuno e non serve a niente; Tarquinio e Bianchi sanno benissimo (anche se continuano a dire che non mi conoscevano) che da mezzo secolo mi sto adoperando per favorire una adeguata conoscenza degli insegnamenti autentici della Chiesa, mettendo in evidenza, a partire da questi, i criteri che servono a discernere, tra tanti autori che si presentano come interpreti affidabili della verità cattolica, quelli che effettivamente lo sono.
L’ultimo lavoro di livello scientifico che ho realizzato con questa precisa finalità è un trattato che si intitola Vera e falsa teologia e che ha come sottotitolo: Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”. Si tratta di un testo di studio, riservato a specialisti, e la mia speranza è che quei pochi che vorranno studiarlo lo sappiano apprezzare e diffondano poi questi criteri ad ambiti più vasti del pubblico.
Io però, nel frattempo, non ho rinunciato a cogliere alcune possibilità di rivolgermi direttamente a questo pubblico più ampio, e ho continuato a scrivere delle brevi note su riviste specializzate (Il Timone, Studi cattolici, Rivista del clero italiano, Sacerdos, Città di vita, Nuntium, Fides Catholica, Vita pastorale, per citarne alcune), e in questo contesto si spiega il mio intervento sul La Bussola quotidiana, dove sollevavo appunto un caso pastorale, quello dell’opportunità che un giornale ufficialmente cattolico continuasse a presentare Enzo Bianchi come autorevole maestro di dottrina cristiana.

Il priore di Bose ritiene ovviamente del tutto meritata la sua fama di biblista e di teologo, e Avvenire (giornale che Tarquinio identifica in tutto e per tutto con la Chiesa) assicura che la sua ortodossia è « indiscutibile ». Pertanto, i rilievi critici sui suoi scritti che io mi sono « azzardato » a fare sarebbero soltanto malevole interpretazioni, che costituirebbero oltre tutto un grave attentato all’unità dei credenti, un peccato contro la carità del quale io dovrei « vergognarmi ». In realtà, i discorsi di Bianchi dai quali io avevo preso spunto giustificano ampiamente la mia critica, sorretta peraltro da seri argomenti teologici e corredata da citazioni testuali. Ciò è stato riconosciuto da non pochi esponenti dell’episcopato italiano e da qualificati teologi, mentre Tarquinio e Bianchi insistono ad accusarmi di menzogna e di perfidia.

Riassumo dunque i motivi specifici di questo mio intervento su La Bussola quotidiana. Io mi riferivo innanzitutto all’apologia di Hans Küng che Bianchi aveva fatto sulla Stampa, scrivendo tra l’altro: « La complessità dei problemi sollevati, la durezza di certi accenti polemici, l’incomprensione reciproca ha portato a scavare un fosso sempre più ampio tra Küng e il magistero cattolico ».
Parlare di « incomprensione reciproca » tra i magistero e il teologo equivale a mettere sullo stesso piano (il piano delle opinabili ipotesi scientifiche) gli insegnamenti dell’uno e dell’altro: ed è proprio quello che i “falsi profeti” pretendono, accusando le autorità ecclesiastiche di non averli capiti.
Insomma, loro, di che cos’è il vero cristianesimo ne saprebbero molto di più. La Chiesa avrebbe fatto male, molto male, a diffidare dell’ortodossia di Küng, fino a togliergli la facoltà di insegnare ufficialmente la teologia cattolica a Tubinga. Altre misure “repressive” non si conoscono: quella che si conosce è il minimo che l’autorità ecclesiastica potesse fare dopo che il teologo svizzero aveva insistito a sostenere le sue tesi eretiche.

Perché una sola cosa è « indiscutibile », almeno per chi conosce i fatti e li esamina serenamente, alla luce della dottrina cattolica, e cioè che le tesi di Hans Küng rappresentano la negazione esplicita di tutti i dogmi, a cominciare da quello che nella Chiesa garantisce la funzione carismatica del Papa, ossia la sua infallibilità quando si pronuncia « ex cathedra » su argomenti attinenti alla fede cattolica.
Interpretando la rivelazione divina con le categorie dell’idealismo dialettico, Hans Küng non solo contesta la disciplina ecclesiastica (chiedendo l’abolizione del celibato sacerdotale e l’ordinazione sacerdotale delle donne), non solo critica le norme della morale cattolica (a proposito di contraccezione, di aborto, di omosessualità eccetera) ma attenta al cuore stesso della fede nella Rivelazione, che presuppone la « dottrina degli Apostoli », ossia il Magistero, nella definizione degli articuli fidei e nella loro interpretazione autentica. Da Infehlbar in poi, Hans Küng ha inteso sempre discutere il ruolo ecclesiale di Pietro, l’apostolo al quale Gesù, come narra il Vangelo, ha assicurato la sua speciale assistenza, in modo che la sua fede — allora e nei secoli a venire — non venisse meno, ed egli, una volta convertito, confermasse i suoi fratelli.

L’indefettibilità della Chiesa (« le porte degli inferi non prevarranno su di essa ») non sussisterebbe senza l’infallibilità del Magistero, ossia del collegio episcopale, formato dai vescovi cum Petro et sub Petro.

A Bianchi tutto questo importa ben poco; egli sa bene che Hans Küng ha denigrato tutti e tre i papi con i quali ha avuto a che fare per motivi dottrinali (Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI); sa soprattutto che nei riguardi del beato Giovanni Paolo II il teologo svizzero si è espresso in termini gravemente offensivi in un articolo sulla stampa anticattolica tedesca, subito ripreso e pubblicato integralmente in italiano dal Corriere della Sera; per ultimo, sa che ai giornali di orientamento massonico fa comodo che un cattolico porti acqua al mulino della loro polemica contro l’idea stessa di dogma (la pretesa della Chiesa di verità cattolica e l’autorità dottrinale del Papa). Malgrado tutto ciò, Bianchi va a parlare bene di Hans Küng proprio su uno di quei giornali! E Tarquinio ritiene quest’« uomo di Chiesa » adatto a parlare di fede cattolica nel giornale dei vescovi italiani...

È o non è lecito dubitare dell’opportunità pastorale di fare da altoparlante a questi orientamenti dottrinali? Ora, è proprio sulla responsabilità pastorale che si basano le mie osservazioni critiche nei confronti di Bianchi e del direttore di Avvenire. Quello che ambedue dimostrano con i loro discorsi, prima e dopo il “caso Livi”, è la convinzione che la pastorale della Chiesa non possa o non debba prestare troppa attenzione al dogma, e per questo non solo non condividono ma proprio non capiscono il disagio che io provo nel rilevare comportamenti e discorsi pubblici che contribuiscono al disorientamento dottrinale dei cattolici.

Si sente ripetere spesso che “il cristianesimo non è una dottrina”. L’espressione di per sé è ambigua, ma può essere intesa nel modo giusto se completata con il riferimento alla persona di Cristo, come fa talvolta Benedetto XVI. Ma dire che il cristianesimo non è una dottrina non equivale affatto a dire che “il cristianesimo non ha una dottrina”, perché nessuno può aderire con la fede a Cristo se non accetta la sua dottrina (ci si scorda che Egli ha detto: « La mia dottrina non è mia ma di Colui che mi ha mandato »).
E la dottrina della fede non è, non può essere, qualcosa di vago e indeterminato, ma ha una precisa determinazione nelle “formule dogmatiche”.

Ora, se si sa e si riconosce senza riserve mentali che le formule dogmatiche sono l’oggetto proprio della fede, un cattolico non può contribuire volontariamente a far sì che qualcuno, presentandosi come autorevole interprete della fede, neghi espressamente le formule dogmatiche o le relativizzi, ossia non le consideri come verità assoluta.
Ognuno deve fare quello che può per opporsi a questa pastorale erronea, quale che sia la buona fede o il prestigio personale di chi la pratica. Certamente, spetta all’autorità ecclesiastica dire l’ultima parola circa l’ortodossia di una dottrina, ma ciò non toglie che la salvaguardia dell’ortodossia sia responsabilità di ogni cristiano, specie se si tratta di sacerdoti che intendono essere fedeli al ministerium verbi. Il discernimento – grazie al dono della fede – è reso possibile dal fatto che il significato e il senso essenziale di ogni dogma è alla portata di tutti coloro che veramente hanno la fede, così che il confronto critico tra la verità creduta e la dottrina che la contraddice è possibile a tutti.

La frase che ho riportato, alla luce della metafisica implicita nel senso comune e nelle formule con cui la Chiesa ha elaborato il dogma cristologico, non permette altra interpretazione che quella che io ho dato. Gesù, come persona è Dio, non una creatura. La persona del Verbo Incarnato ha due nature: quella sua propria (l’essere Dio) e quella “assunta” dell’umanità; ma la persona rimane una sola, ed è Dio. La natura umana di Cristo è creata, ma Lui, Cristo, non è una creatura. La persona è, in termini metafisici, la “sostanza”, mentre la natura è l’insieme degli accidenti propri.
Uno può usare il linguaggio che vuole: quello preciso della teologia o quello vago della letteratura. Ma i testi che passano per sussidi della catechesi non possono contenere espressioni e frasi che inducono all’errore sul vero significato dell’Incarnazione e della Redenzione. È un controsenso. La catechesi deve rispettare il linguaggio del dogma, perché altrimenti la fede nel mistero rivelato non c’è più. Lo diceva anche Paolo VI nell’enciclica Mysterium fidei a proposito del linguaggio con cui si deve esprimere il mistero eucaristico. Si deve parlare di “transustanziazione” e non di “transfinalizzazione” eccetera.

Infine, per restare in tema di pastorale, il Vaticano II, concilio pastorale, non ha certamente avallato la traduzione del dogma in un linguaggio che testualmente lo neghi: ha invece raccomandato la traduzione del dogma in formule consone alle modalità di pensiero del nostro tempo, purché la logica di base sia quella delle verità del senso comune. Il senso comune non può che interpretare l’espressione « il suo essere creatura », riferita a Gesù, come la negazione implicita del suo « essere Dio ».
La logica del senso comune è ineludibile: non si può pensare che Gesù sia, come persona, una creatura come tutti noi e allo stesso tempo « Colui per mezzo del quale sono state create tutte le cose ».
Quando si opera nel campo della pastorale e si pretendono per sé dei titoli di autorevolezza dottrinale, si deve parlare di Gesù in termini rispettosi della verità rivelata; in concreto, per il caso di cui mi sono occupato, se ne deve parlare chiaramente come di una persona divina che ha unito a sé la natura umana (« il Verbo, che è Dio, si è fatto carne ») e non come di una persona umana.

Un linguaggio come quello usato da Bianchi nel suo scritto (che Tarquinio definisce « una bella e intensa meditazione »), considerato anche tutto il contesto, non aiuta certamente a ravvivare la fede in Cristo come Redemptor hominis, il Dio-con noi.

Tra pochi giorni la liturgia cattolica mette in bocca ai fedeli l’invocazione: « Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo, perché con la tua santa Croce hai redento il mondo ». Per aiutare a dire queste parole con convinzione di fede non servono, anzi sono controproducenti, i discorsi moraleggianti di Bianchi, che – ripeto e sono in grado di documentare in ogni sede – rispondono alla logica dell’umanesimo ateo. Perché i miei rilievi dottrinali non vengono nemmeno presi in considerazione dal direttore di Avvenire? Perché gli sembra ridicolo e scandaloso il fatto di aver usato l’aggettivo “eretico”? Forse perché condivide l’opinione corrente secondo la quale non si può dire di nessuno che sia eretico, nel significato ovvio di contraddire un dogma, in quanto non si deve più parlare di dogmi; se io lo faccio, sono “fuori”, sono legato a una triste mentalità dogmatica ormai superato da tempo.

Ma si rendono conto – Tarquinio e tutti quanti la pensano come lui – che questa allergia alle distinzioni dogmatiche altro non è che il risultato di quella « dittatura del relativismo » che Benedetto XVI ha chiaramente denunciato già all’inizio del suo pontificato?

Antonio Livi
Decano emerito della Facoltà di Filosofia e Docente di Filosofia della conoscenza alla Pontificia Università Lateranense.


[SM=g1740733]

Caterina63
00venerdì 30 marzo 2012 11:07

"Avvenire" dè i Enzo Bianchi? Un sacerdote scrive al Direttore in sostegno a Mons. Livi, ma la sua lettera non viene pubblicata

Un sacerdote ci ha inviato la lettera che ha spedito al Direttore di Avvenire sul "caso Enzo Bianchi".
A differenza delle altre due lettere di sostegno incondizionato per Enzo Bianchi e di sdegno per le parole di critica di Livi, la lettera in sostegno di quest'ultimo non è stata ancora pubblicata. Forse il Direttore non l'ha ricevuta? Eh,si sa, i disservizi delle Poste...
Noi la rendiamo nota, accogliendo la richiesta dell'autore, perché magari il Direttore ne venga così a conoscenza e sia stimolato a dare risposta. E a dimostrare l'equilibrio, l'imparzialità e l'onestà intellettuale (a cui egli asserisce essere ispirato il suo giornale) del quotidiano cattolico.



Roberto

 

"Caro direttore,
ho riletto Mons.Livi su Enzo Bianchi . Egli sostiene tre cose incontestabili:
1) Quella di Bose non è una comunità religiosa in senso autenticamente giuridico . Anche se il priore ne ha creato una immagine di “monastero”. Non tutti sanno che Enzo Bianchi è un laico a tutti gli effetti.
2) Il sedicente priore, insiste molto sul lato umano di Gesù e del cristianesimo .(anche se dalle sole parole citate non si può dedurre una negazione della divinità di Cristo). Cosa che il Bianchi non farà mai. Non si tira la zappa sui piedi.
3) Inoltre egli non chiarisce abbastanza che la teologia di Hans. Kung è condannata dalla Chiesa.(mi riferisco solo al testo apparso sulla “Bussola Quotidiana”)
Io aggiungo che Enzo Bianchi non nasconde la sua critica all’attuale Pontefice soprattutto per la sua teologia liturgica ed anche qui si attacca furbescamente al Motu Proprio di ripristino della liturgia antica,( tra l’altro mai soppressa) mentre il pensiero del Papa è più vasto.
Ha una visione esageratamente ottimista del mondo in cui non si parla mai di Peccato Originale e non tiene conto che il discorso sulla riforma nella continuità a proposito del Vaticano II è un dato oggettivo. Anzi fa parte ormai del magistero pontificio dato che è stato il Papa a tirarlo fuori nel dicembre 2005. Tutti gli atti pontifici, compresa la svolta data ad Assisi tre, sono andati in questa linea.
Ignora la devozione a Maria e ai Santi. Pare disprezzi la pietà popolare. E qui non tiene conto della Costituzione sulla Liturgia del Vat.II al n. 12.
Per questi motivi mi pare esagerata la difesa del nostro nella rubrica “lettere” di avvenire di venerdì 23 scorso.
Era lecito difendere il Giornale, che però non è stato attaccato gravemente, ma occorrevano toni più equilibrati. Una critica non è una accusa ma un parere.
Avvenire parla di Bianchi perché informa sui fatti di Chiesa, ma questo non equivale a sposarne le idee . Infatti le uniche idee che il giornale deve fare sue, sono quelle del magistero. E Bose non è Magistero!
Occorre tener presente che oltre i “devoti di Bianchi” anche altri leggono Avvenire e possono dare del personaggio,valutazioni diverse. Non per questo reazionarie o insensibili al dialogo con il mondo.

Don Giorgio Bellei, Modena"

[SM=g1740733]


RIFLESSIONI SULLA COMUNITA’ DI BOSE -

di P.Giovanni Cavalcoli, OP da RiscossaCristiana




Nel lontano 1972 ero nei primi miei anni di vita religiosa domenicana nella comunità di Chieri, vicino a Torino, in Piemonte. E ricordo che giungevano a noi giovani frati gli echi della vita e delle attività di un’altra comunità in una località chiamata Bose, sempre in Piemonte, dove - così si sentiva dire - si stava realizzando un grandioso esperimento ecumenico d’avanguardia, del tutto nuovo nella storia della Chiesa: una convivenza monastico-religiosa tra membri della Chiesa cattolica, di una Comunità protestante e dell’Ortodossia scismatica, con atti comuni per quanto poteva riguardare i comuni valori cristiani ed invece pratiche e riti distinti per ciò che concerne gli elementi di contrasto. Si parlava di questo luogo con una specie di venerazione, non senza una punta di invidia perché noi Domenicani non eravamo capaci di realizzare imprese del genere.
 
Da allora molte volte ho sentito parlare di questa Comunità anche da parte di persone che vi erano state, soprattutto giovani, compresi miei Confratelli. Qualche anno fa nel mio convento di Bologna la mia Comunità accolse per una giornata di spiritualità il Priore della Comunità di Bose, Fratel Enzo Bianchi. So della grande fama di questo Religioso, ma devo dire che l’impressione che mi fece non fu particolarmente favorevole. Non dico che dicesse cose sconvenienti, ma neppure nulla di eccezionale che potesse spiegare la sua fama.
 
Ricordo un particolare, e cioè che a un certo punto il suo parlare cadde nel tema dell’umiltà, argomento classico della spiritualità monastica, sul quale hanno parlato tutti i grandi Maestri, come di virtù basilare di tutto l’edificio spirituale, quel “buon terreno”, come dice S.Caterina da Siena, sul quale cresce l’“arbore della carità”.
 
Ebbene, giunto improvvisamente su questo argomento, all’apparenza quasi senza una sua precisa intenzione, Bianchi immediatamente interruppe il suo dire fluente e scorrevole, diventò rosso in volto e mi sembrò come confuso ed imbarazzato, fin quasi a farfugliare, dichiarò la sua incapacità a trattare di tale argomento e passò subito ad altro, come se, avendo toccato un tema fastidioso, fosse desideroso di liberarsene al più presto.
 
Rimasi molto meravigliato e dissi tra me e me non senza comunicarlo anche ad altri: “Ma come? Un monaco che non ha il gusto dell’umiltà? Che non vuol fermarsi a parlare dell’umiltà? Che non ci insegna nulla sull’umiltà?”. Da qui la mia perplessità davanti a questa figura di monaco, peraltro strano anche per il fatto che seppi che egli continuamente gira e viaggia per conferenze ed incontri, mentre di vita solitaria, silenziosa e ritirata pare ne faccia assai poca. Dov’è la beata solitudo, sola beatitudo, della quale parla S.Bernardo?
 
Con ciò tuttavia preciso che non intendo detrarre per nulla ai suoi meriti, se non altro per il fatto della sua grande fama nel mondo cattolico e non cattolico, cosa che, se non costituisce prova sicura del valore di una persona, quanto meno è un segnale del quale non si può non tener conto.
 
Nel contempo in questi ultimi anni mi son giunte da persone fidate notizie non troppo confortanti sulle attività di Bose, nel senso di un ecumenismo non proprio in linea col Concilio Vaticano II, ma di tendenza protestante, e quindi succube del prestigio di questa forma deviata di cristianesimo, minimalista dal punto di vista dogmatico, diffidente nei confronti della Chiesa istituzionale in nome di un indisciplinato biblicismo, carismatismo o profetismo, fiacco dal punto di vista liturgico, debole nella cristologia, inerte per quanto riguarda la testimonianza cattolica, rinunciatario rispetto al dovere del cattolico di operare per condurre tutti nel seno della Chiesa cattolica.
 
Tale mia opinione o impressione mi si è rafforzata dopo aver letto di recente su di un sito cattolico un giudizio assai severo su Bianchi pronunciato da uno dei massimi teologi cattolici di oggi, uomo dottissimo e fedelissimo alla Chiesa, Mons. Prof. Antonio Livi, Accademico Pontificio, autore di numerosissime pubblicazioni di alto livello, illustre tomista, Professore emerito di Filosofia della Conoscenza nell'Università Lateranense, Presidente dell’Associazione internazionale "Sensus communis", Direttore editoriale della Casa Editrice Leonardo da Vinci.
 
Mons. Livi, esprimendo ovviamente una sua semplice opinione, come egli stesso afferma, non teme tuttavia di giudicare il Bianchi come “falso profeta” e “neognostico”, il che è peggio ancora di eretico, poiché lo gnosticismo, come è risaputo dagli studiosi, è una forma di presuntuosa e falsa sapienza, sedicente ispirata dallo Spirito Santo, che impedisce o spegne la fede alla radice, considerandosi superiore alla stessa rivelazione divina, espressa nei dogmi della fede comunicati al mondo dalla Chiesa cattolica.
 
L’intervento di Mons. Livi ha spinto il direttore di Avvenire, Dott. Marco Tarquinio, ad una forte ed intransigente  difesa di Bianchi, ma senza purtroppo che egli abbia addotto seri argomenti a suo favore, anche se non voglio dubitare delle rette intenzioni del direttore del prestigioso quotidiano cattolico patrocinato dalla Conferenza Episcopale Italiana. Difficile però dire quanto Tarquinio abbia parlato secondo sue opinioni o anche con l’appoggio di qualche prelato della CEI.
 
Quanto alla S.Sede, non mi risulta che Bianchi abbia mai avuto da essa particolari elogi o riconoscimenti, mentre, come notava il giornalista Alessandro Gnocchi in un altro recente intervento contro Bianchi, non risulta che la Comunità di Bose, realtà veramente anomala dal punto di vista del diritto canonico, abbia mai ricevuto alcun riconoscimento giuridico da parte di Roma, cosa che certo non depone a favore né della natura né delle attività equivoche e confusionarie di questa strana comunità, che si copre con lo scudo dell’ecumenismo, ma che in realtà realizza un “ecumenismo” che non sembra essere conforme alle direttive della Chiesa.
 
Viceversa la S.Sede, quando nota il valore di qualche nuovo Istituto, non lesina i riconoscimenti ufficiali, bisognosa com’è di appoggio nell’attuale clima di disordine morale e dottrinale, come è accaduto per esempio per i Francescani dell’Immacolata, che sono divenuti di diritto pontificio a pochissimi anni dalla loro nascita o per Istituti come i Legionari di Cristo o l’Università della Santa Croce.
 
Il caso Bianchi o il caso Bose non è l’unico nel confuso e degradato panorama dello ecumenismo italiano ed internazionale, che si richiama in modo sempre meno persuasivo al Concilio per darsi una patente di legittimità, mentre in modo sempre più scoperto questo cosiddetto “ecumenismo”, come del resto tutto il fenomeno modernistico, non è che longa manus di un mondo protestante più che mai vivo, fascinoso ed invadente ancora a cinquecento anni dalla morte del “Riformatore”, come se cinquecento anni di storia non avessero ancora insegnato ai fratelli protestanti che la loro “riforma” è stata in realtà la rovina della Chiesa e alla fine della stessa civiltà, con le corrotte e corruttrici correnti teologiche e filosofiche alle quali la Riforma ha dato ispirazione, nonché le immani tragedie politiche, sociali e militari, che ne sono state l’estrema conseguenza pratica.
 
Ecumenismo va bene, ma purchè sia fatto, si vorrebbe quasi dire, “come Dio comanda”, senza essere cioè un pasticcio inconcludente dove i protestanti s’impegolano ancor di più nei loro errori mentre i cattolici allocchi o furbi a seconda dei casi conservano un‘etichetta di “cattolico” priva di contenuto, mentre gli uni e gli altri, sulla loro nave, che affonda, ballano e si considerano i piloti che guidano verso nuove ed esaltanti mete del futuro.
 
C’è da augurarsi peraltro che il dibattito attorno a Bianchi e a Bose che si è recentemente acceso si mantenga nei limiti dell’urbanità e della serietà dottrinale, nella volontà di ricomporre le lacerazioni delle quali soffre il mondo cattolico. Di recente si sono presentate occasioni favorevoli per un serio confronto: il dibattito sui “castighi divini” a proposito di De Mattei, l’affare Castellucci, la discussione attorno a Celentano. Nascano da queste occasioni fenomeni di maturazione e di pacificazione e non l’esasperazione dei contrasti, dei quali siamo tutti stanchi e che non riflettono quella mutua carità che Cristo ha voluto per i suoi discepoli.
 
5 aprile 2012


[SM=g1740733] si legga anche il mirabile commento di Cantuale Antonianum:
 
 
  [SM=g1740771]
 
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 15:34.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com