Versus Deum... meglio che "versus populum", lo conferma il Papa, lo dicono i Vescovi

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Caterina63
00domenica 23 agosto 2009 14:23

venerdì 21 agosto 2009

dal blog amico messainlatino giriamo anche a voi questa notizia che condividiamo con gioia....


Un vescovo americano celebrerà permanentemente versus Deum

Il vescovo Edward Slattery di Tulsa, Oklahoma, è tornato alla pratica di celebrare la liturgia eucaristica ad orientem, nella sua cattedrale (novus ordo). Ecco l'articolo apparso sul periodico diocesano (LINK), in cui spiega tale scelta. Ce ne fossero, di questi vescovi...



AD ORIENTEM


Poiché la Messa è così necessaria e fondamentale alla nostra esperienza cattolica, la liturgia è un costante argomento di conversazione. Ecco perché quando ci incontriamo, riflettiamo così spesso sulle preghiere e letture, discutiamo l’omelie e, probabilmente o no, dibattiamo per la musica. L’elemento critico in queste conversazioni è una comprensione che noi cattolici rendiamo culto nel modo in cui lo facciamo per effetto di ciò che la Messa è: il sacrificio di Cristo, offerto sotto i segni sacramentali del pane e del vino.


Se il nostro discorso sulla Messa vuole "avere qualche senso", allora dobbiamo afferrare questa verità essenziale: alla Messa, Cristo ci unisce a Lui mentre offre Se stesso in sacrificio al Padre per la redenzione del mondo. Noi possiamo offrire noi stessi in Lui perché siamo divenuti grazie al battesimo membri del suo corpo.


Vogliamo anche ricordare che tutti i fedeli offrono il Sacrificio eucaristico come membri del Corpo di Cristo. E’ sbagliato dire che solo il prete offre la Messa. Tutti i fedeli partecipano all’offerta, anche se il prete ha un ruolo unico. Egli agisce "in persona di Cristo", il Capo storico del Corpo Mistico, sicché, alla Messa, è l’intero corpo di Cristo – Capo e membra insieme che operano l’offerta.


RIVOLTI NELLA STESSA DIREZIONE


Dai tempi antichi, la posizione del prete e del popolo rifletteva questa comprensione della Messa, poiché la gente pregava, stava in piedi o in ginocchio nel posto che visibilmente corrispondeva al Corpo di Nostro Signore, mentre il prete all’altare stava alla testa come la Testa [del Corpo]


Formavamo l’intero Cristo – Testa e membra – sia sacramentalmente tramite il battesimo sia con la nostra posizione e postura. Altrettanto importante: ciascuno, celebrante e congregazione, guardava la stessa direzione, poiché erano uniti con Cristo nell’offrire al Padre l’unico, irripetibile ed accettabile sacrificio di Cristo.


Quando studiamo le pratiche più antiche della Chiesa, troviamo che il prete e la gente guardavano nella stessa direzione, di solito verso est, in attesa che quanto Cristo tornerà, tornerà dall’Oriente. Alla Messa, la Chiesa teneva veglie in attesa di quel ritorno. Questa particolare posizione è chiamata ad orientem, che semplicemente significa "verso est"


MOLTEPLICI VANTAGGI


Avere il prete e il popolo che celebrano la Messa ad orientem è stata la norma liturgica per circa 18 secoli. Ci devono essere state solide ragioni per la Chiesa per conservare questa posizione così a lungo. E c’erano eccome! Prima di tutto, la liturgia cattolica ha sempre mantenuto una meravigliosa aderenza alla Tradizione apostolica. Vediamo la Messa, invero l’intera espressione liturgica della vita della Chiesa, come qualcosa che abbiamo ricevuto dagli Apostoli e che noi, a nostra volta siamo richiesti di trasmettere intatta (1Cor., 11, 23).


In secondo luogo, la Chiesa si è attenuta a questa singola posizione verso est perché rivela in modo sublime la natura della Messa. Perfino qualcuno che non conosce la Messa che riflettesse sul fatto che celebrante e popolo sono orientati nella stessa direzione riconoscerebbe che il prete sta alla testa del popolo, condividendo un unica e medesima azione, che è – noterebbe con una riflessione più lunga di un attimo – un atto di adorazione.

UN’INNOVAZIONE CON CONSEGUENZE IMPREVISTE


Negli ultimi 40 anni, comunque, questo orientamento condiviso si è perduto; ora prete e popolo si sono abituati a fronteggiarsi in posizioni opposte l’uno all’altro. Il prete guarda il popolo mentre il popolo guarda il prete, anche se la Preghiera Eucaristica è diretta al Padre e non al popolo. Questa innovazione fu introdotta dopo il Concilio Vaticano, in parte per aiutare il popolo a comprendere l’azione liturgica della Messa, consentendogli di vedere che cosa stesse succedendo, e in parte come una concessione alla cultura contemporanea in cui alle persone che esercitano autorità si richiede di guardare direttamente il popolo che servono, come un insegnante che siede dietro la cattedra.


Sfortunatamente questo mutamento ha avuto una quantità di effetti imprevisti e largamente negativi. Prima di tutto, è stata una rottura grave con l’antica tradizione della Chiesa. In secondo luogo, ha dato l’apparenza che il prete e il popolo fossero impregnati in una conversazione su Dio, piuttosto che nell’adorazione di Dio. In terzo luogo, conferisce una spoporzionata importanza alla personalità del celebrante, mettendolo in una sorta di palcoscenico liturgico.


RECUPERARE IL SACRO


Prima ancora della sua elezione come successore di S. Pietro, Papa Benedetto ci invitava a basarci sull’antica consuetudine liturgica della Chiesa per recuperare un culto cattolico più autentico. Per questa ragione, ho restaurato la venerabile posizione ad orientem quando celebro Messa in cattedrale.


Questo cambiamento non dovrebbe essere frainteso come il Vescovo "che gira le spalle ai fedeli", come se io fossi sconsiderato od ostile. Quell’interpretazione non coglie il punto che, rivolti nella stessa direzione, la postura del celebrante e della congregazione rende esplicito il fatto che noi viaggiamo insieme verso Dio. Prete e popolo sono insieme in questo pellegrinaggio. Sarebbe anche una nozione erronea guardare al recupero di questa antica tradizione come un mero "girare indietro le lancette dell’orologio". Papa Benedetto ha parlato ripetutamente dell’importanza di celebrare Messa ad orientem, ma questa intenzione non è per incoraggiare i celebrani a diventare "antiquari liturgici".
Semmai, Sua Santità vuole che scopriamo quel che sottostà a questa antica tradizione e l’ha resa vitale per così tanti secoli, ossia la comprensione della Chiesa che l’adorazione della Messa è primariamente e essenzialmente l’adorazione che Cristo offre a Suo Padre.


Mons. Edward J. Slattery




Caterina63
00mercoledì 26 agosto 2009 00:18

Don Georg celebra ad orientem

Ecco un'immagine della Messa celebrata domenica da don Georg Gaenswein, segretario del Papa, per festeggiare il 25° della sua ordinazione. La Messa (novus ordo in latino) è stata celebrata in Bonndorf. L'immagine mostra un momento del rito ripresa da un maxi schermo montato sotto un tendone all'aperto, dato il gran numero di presenti. All'interno non erano ammessi fotografi.





Caterina63
00giovedì 17 settembre 2009 11:32

CELEBRARE "VERSO IL POPOLO" O "DARE LE SPALLE AL POPOLO"?


Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo pregevolissimo studio di don Matteo De Meo, docente di Teologia Fondamentale ed eccleseologia presso la Facoltà Teologica Pugliese

di d. Matteo De Meo


Se un giorno qualche parroco chiede al suo vescovo di celebrare sull’antico altare monumentale della propria parrocchia, e di riutilizzarlo per le celebrazioni eucaristiche nella modalità, diciamo antica (con le spalle al popolo), non si perde tempo a riunire commissioni liturgiche per valutare l’opportunità teologica e pastorale di tale prassi. E, dopo varie sedute e commissioni, forse si può rientrare in una sorta di “tolleranza”; ma dopo aver subito non pochi contrasti e giudizi di diffidenza: “...Personalmente preferisco celebrare rivolto verso il popolo e non dando le spalle...” ; “...Credo che il sentire della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II sia quello di celebrare verso il popolo...” ;

“...Che in alcune parrocchie si celebri verso il popolo e in altre versus Deum potrebbe causare confusione tra il popolo di Dio, che vede fare cose diverse...” ;

“...Prima di prendere una decisione del genere bisogna sentire il parere del popolo...”;

“...Ma i bambini non saranno educati bene nel partecipare ad una celebrazione dove il sacerdote da a loro le spalle ...”;

“..Non si può accettare una tale celebrazione perchè Gesù nell’ultima cena non ha dato le spalle agli apostoli....”; “...la messa è più partecipata quando il sacerdote è rivolto verso il popolo...”; “...Non mi sentirei a mio agio celebrando con le spalle al popolo...anche se questa è la prassi del S. Padre”;
 
“...La prassi di celebrare versus Deum è tipicamente medievale e non ha nulla a che vedere con la prassi tradizionale e antica della Chiesa...L’altare ad Deum è stato giustamente definito “mensolina” e non ha la dignità di un altare per la celebrazione... La dimensione della convivialità, della mensa, della comunione, è un aspetto fondamentale della celebrazione eucaristica che si era dimenticata prima del Vaticano II e che la Riforma liturgica ha riscoperto con la celebrazione verso il popolo...”;

“...La celebrazione versus Deum nasconde questa dimensione comunionale esaltando unicamente la dimensione sacrificale della celebrazione liturgica...”

(...)

Ho voluto sintetizzare in queste frasi (realmente pronunciate e non

ipotetiche), quelle obiezioni che ricorrono spesso ogni qual volta ci si trova

fra sacerdoti- ma anche con vescovi- e con laici (impegnati) a confrontarsi

su alcune questioni di liturgia. In questo caso (lo avrete intuito) si tratta

della possibilità di poter legittimamente celebrare versus Deum (in gergo

comune, purtroppo, “con le spalle al popolo”).


É inveterata, oramai, la convinzione che l’unico modo legittimo di celebrare

la divina eucaristia sia quello in cui il sacerdote è rivolto verso il popolo,

dando le spalle alla croce. L’antica modalità (il Vetus Ordo) con cui il

sacerdote celebrava la parte eucaristica rivolto verso la Croce (versus Deum)

è, in alcuni casi, tollerata e spesso considerata non “adatta” ai canoni

previsti dalla Riforma liturgica del Vaticano II, quindi da doversi tralasciare.

Questo è nei fatti! Chiunque si rechi a Messa potrà, nella stragrande

maggioranza dei casi, trovare conferma di quanto appena affermato! Sia che

ci si trovi in chiese di nuova costruzione o all’interno di antiche basiliche,

ovunque troverà un “altare nuovo”; e in quelle antiche posto davanti a

quello monumentale (spesso di discutibile forma e dignità). Insomma la

celebrazione versus deum di fatto nelle chiese, siano esse antiche o

moderne, è interdetta! Tutte le operazioni di adeguamento sono

indiscutibilmente in questo senso in nome del nuovo spirito liturgico del

Vaticano II.

Ma quanti sono a conoscenza che la Congregazione per il Culto Divino

prevede e non proibisce tale possibilità, -tra l’altro mai vietata e nè

impedita,- nè dal Concilio, nè dalla rispettiva Riforma liturgica del Vaticano

II (come vedremo in seguito)? Inoltre, tale modalità è, attualmente,

suffragata dalla prassi liturgica del S. Padre che, credo, non debba essere

ritenuta solo come un mero “ suo gusto personale” (come, invece, qualche

vescovo mi ha fatto “paternamente” notare!).


j
Caterina63
00martedì 1 dicembre 2009 15:28
Cari amici,

questa mattina S. S. Benedetto XVI ha celebrato la S. Messa rivolto ad orientem nella Cappella Paolina (recentemente restaurata) con i membri della Commissione Teologica Internazionale.
Dal sito "New Liturgical Movement" la notizia e alcune fotografie:
http://www.newliturgicalmovement.org/2009/12/pope-celebrates-ad-orientem-in-pauline.html

Cordialmente,
Musicus Philologus   



Pope Celebrates Ad Orientem in the Pauline Chapel

Today, the Holy Father celebrated Mass with the members of the International Theological Commission, which has its yearly assembly in htese days. The Mass was offered in the Pauline Chapel of the Apostolic Palace, which has been reinaugurated in July after an extensive restoration which included a repositioning of the altar so that Mass can be celebrated both versus populum and versus Deum. Today Pope Benedict availed himself of this new possibility and celebrated Mass ad orientem. Here are some images of the Mass from the Osservatore Romano:

















SANTA MESSA CON I MEMBRI DELLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE

Alle ore 7.30 di questa mattina, nella Cappella Paolina del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI ha celebrato la Santa Messa con i Membri della Commissione Teologica Internazionale.


e da Radio Vaticana

Benedetto XVI ai teologi: se non si ha l'umiltà di sentirsi piccoli non è possibile alcuna comprensione di Dio

Il vero teologo è colui che non cede alla tentazione di misurare con la propria intelligenza il mistero di Dio, spesso svuotando di senso la figura di Cristo, ma è colui che è cosciente della propria limitatezza, come lo furono molti grandi Santi riconosciuti anche come grandi maestri. E’ questo il pensiero di sintesi che Benedetto XVI ha rivolto all’omelia della Messa celebrata stamattina con i membri della Commissione Teologica Internazionale, impegnati da ieri nella plenaria annuale. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Il prototipo del teologo saccente che studia la Sacra Scrittura come certi scienziati studiano la natura - cioè con una freddezza accademica che pretende di vivisezionare il mistero e ignora la scintilla del trascendente - Benedetto XVI lo ravvisa negli antichi scribi che indicano ai Magi la strada per Betlemme, per il Dio Bambino. Costoro, osserva, sono “grandi specialisti: possono dire dove nasce il Messia” ma “non si sentono invitati ad andare”. La notizia “non tocca la loro vita, rimangono fuori. Possono dare informazioni, ma l’informazione non diventa formazione della propria vita”:

“E così anche nel nostro tempo, negli ultimi duecento anni, osserviamo la stessa cosa. Ci sono grandi dotti, grandi specialisti, grandi teologi, maestri della fede che ci hanno insegnato tante cose. Sono penetrati nei dettagli della Sacra Scrittura, della storia della salvezza. Ma non hanno potuto vedere il mistero stesso, il vero nucleo: che questo Gesù era realmente Figlio di Dio (…) Si potrebbe facilmente fare grandi nomi della storia della teologia di questi duecento anni dai quali abbiamo imparato tanto, ma non è stato aperto agli occhi del loro cuore il mistero”.

Il Papa è severo con questo modo di procedere che, afferma, “si mette sopra Dio”. Lo è con gli scienziati che adottano, dice, un metodo nel quale “Dio non entra” e quindi “non c’è”. Ma lo è ancor più con certa teologia che mortifica il divino e della quale spiega i difetti con un’immagine efficace:

“Si pesca nelle acque della Sacra Scrittura con una rete che permette solo una certa misura per questi pesci e quanto va oltre questa misura non entra nella rete e quindi non può esistere. E così il grande mistero di Gesù, del Figlio fattosi uomo, si riduce a un Gesù storico, realmente una figura tragica, un fantasma senza carne e ossa, uno che è rimasto nel sepolcro, è corrotto, è realmente un morto”.
Ma la storia della Chiesa è ricca di uomini e donne capaci di riconoscere la loro piccolezza al cospetto della grandezza di Dio, capaci di umiltà e dunque di arrivare alla verità. E di questa lunga schiera Benedetto XVI cita qualche nome:
“Da Bernardette Soubirous a santa Teresa di Lisieux con una nuova lettura della Sacra Scrittura, non scientifica, ma entrando nel cuore della Sacra Scrittura, fino ai santi e beati del nostro tempo: suor Bakhita, madre Teresa, Damian de Veuster. Potremmo elencarne tanti”.

Ecco, ha proseguito il Papa, una categoria di “piccoli che sono anche dotti”, modelli cui ispirarsi perché, ha auspicato, ci aiutino “a essere veri teologi che possono annunciare il suo mistero perché toccati nella profondità del loro cuore”. Come lo fu la Madonna, o San Giovanni, o il centurione sotto Croce. O ancora San Paolo, che nella sua vicenda racchiude in modo emblematico la parabola del passaggio dalla falsa alla vera sapienza:

“E così anche dopo la sua risurrezione il Signore, sulla strada verso Damasco, tocca il cuore di Saulo, che è uno dei dotti che non vedono. Lui stesso, nella prima lettera a Timoteo, si chiama ignorante in quel tempo, nonostante la sua scienza. Ma il risorto lo tocca. Diventa cieco e diventa realmente vedente. Comincia a vedere. E il dotto grande diviene un piccolo e proprio così vede la stoltezza di Dio che è saggezza, sapienza più grande di tutte le saggezze umane”.
I lavori della Commissione Teologica Internazionale, presieduta dal cardinale William Levada, proseguiranno in Vaticano fino venerdì prossimo. In questa prima sessione del nuovo quinquennio, la Commissione deciderà i temi da trattare nei prossimi cinque anni e l’organizzazione concreta dei lavori. Tra i temi che il cardinale presidente ha chiesto alla Commissione di prendere in considerazione figura la questione della metodologia teologica, già affrontata durante il precedente quinquennio.

© Copyright Radio Vaticana


Sorriso GRANDIOSO..........GRANDIOSO, GRANDIOSO!!!!!!!
GRAZIE SANTO PADRE!
 
 [SM=g1740722] [SM=g1740721] [SM=g1740738]
Caterina63
00martedì 13 aprile 2010 18:05

Un articolo sulla messa coram Deo su una rivista paolina

(interessante riflessione riportata da Messainlatino che condividiamo in totos)


Un nostro caro amico, e fedele lettore, Raffaele, ci segnala questo articolo, pubblicato su VITA PASTORALE del mese di aprile 2010, che trascriviamo più sotto.
Non ci piace per niente!

O meglio: ci piace moltissimo la lodevole proposta del sacerdote don Romano Nicolini, di Rimini, e ci rallegriamo per la sua "ri-visitazione del proprio ministero sacerdotale" a seguito dell'esperienza della messa celebrata coram Deo.
Quanto riportato dal buon don Romano, conferma che l'esperienza della buona liturgia, seria, composta, corretta, e vissuta con fede, può far meglio di mille parole e mille studi.
Essa infatti aiuta il Sacerdote e i fedeli a comprendere ciò che il Sacerdote stesso celebra, e chi il Sacerdote rappresenta.

Ci auguriamo che questo sacerdote, e con lui tanti altri, prenda coraggio a due mani e anch'egli dia inzio alla celebrazione fissa di una messa "guardando in faccia il Signore".

Gli ricordiamo che per fare questo, non deve chiedere il permesso a nessuno, nè al Vescovo tanto meno alla Redazione di nessuna rivista. Ai tempi della riforma, i preti non si fecero tanti scrupoli a girare gli altari e voltarli verso i fedeli, dando le spalle ai crocefissi, o peggio, al Santissimo nel tabernacolo.
Non se li faccia lui a ri-girarli verso Dio! Lo fa il Papa (come egli stesso implicitamente afferma) affinchè altri sacerdoti lo imitino!!
CORAGGIO DON ROMANO, imiti il Papa! Non renda vani gli sforsi di Benedetto XVI!
Lei ha promesso fedeltà al Romano Ponteficie, non alla Redazione di un mensile!
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Non ci piace, invece, la risposta - che tanto ci dà da soffrire - di don Silvano Sirboni.
Non ci piace per niente.

Essa potrebbe rappresentare un fulgido esempio di disonestà intellettuale di una certa classe di sacerdoti, che sfoggiando citazioni, riempendo righe di frasi trite e ritrite (e di parte), non sanno però leggere nel cuore, nè tra le righe, di chi scrive loro per confindare belle e toccanti esperienze personali. Classe di sacerdoti che pur di difendere e diffondere le proprie convinzioni ideologiche, schiacciano e ignorano le attitudini e i convincimenti (spesso migliori) di chi la pensa diversamente.
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Ci dispiace leggere, infatti, come l'avversione di fondo, il pregiudizio, lo spirito critico verso un'altra forma di celebrazione (che non sia quella della sopravvalutata riforma liturigica), siano, in certi ambienti e in certi preti, così radicati e accaniti non solo da incutere timore preventivo (l'ottimo don Romano deve mettere le mani avanti, per evitare una lapidazione verbale "preventiva") ma da rendere tanto ciechi e sordi anche di fronte all'evidenza!
Queste persone, accecate da suberbo pregiudizio e arrogante ideologismo, non riescono e non vogliono riconoscere (nè ammettere) toccanti ed espliciti apprezzamenti della bontà teologica della celebrazione rivolta al Signore (e non all'assemblea, a prescindere dalla compostezza o meno dei fedeli!!).
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Don Silvano Sirboni non ha voluto capire il grande miracolo che gli era stato raccontanto.
Un sacerdote, mediante l'invio di una lettera, gli confidava che celebrando verso il crocefisso, aveva compreso meglio il proprio ministero sacerdotale! Aveva riscoperto la propria funzione conferitagli con l'ordinazione presbiteriale! Quale migliore gioia per un sacerdote!! Soprattutto nell'anno di santificazione dei sacerdoti!
E invece, don Sirobni, niente. Non una parola di compiacimento. Non un cenno sulla possibilità che la celebrazione verso Dio possa essere, per certi aspetti, migliore dell'altra, verso il popolo. No. Nulla.
Don Sirboni passa quel grande miracolo vissuto da don Romano sotto silenzio, ma, puntuale, non manca di rimarcare i soliti pretesi pregi della riforma: l'aspetto conviviale della Messa, il sacerdozio dei fedeli, l'opportunità della traduzione delle orazioni, ecc. ecc. ecc. ecc. (uff, che noiachebarba, chebarbachenoia! Sempre le solite cose! Quello ormani lo sanno anche i sassi!!).

Perchè non cita anche, per par condicio, autori che illustrano le motivazioni e i pregi della celebrazione verso Dio?

Ci sia consentito dire che don Silvano, nella sua risposta, sia uscito un po' fuori tema per eludere la questione posta da don Romano. E , assai più grave, che si sia permesso di "criticare" la prassi del Papa.
Invece metter da parte i soliti discorsi in difesa della "riforma", invece di seguire la scia del Pontefice di interrogarsi sul perchè dell'abitudin del Papa di celebrare il Divino Sacrificio in fronte a Gesù Crocefisso (su qualsiasi tipo di altare), invece di indagare sulle cause della riscoperta vissuta da don Romano, don Sirboni, con la sua "fumosa" risposta, sembra voler negare il tutto, tacendolo, e indurre la tendenza contraria, cercando di rimarcare i vantaggi (nuovi, perchè scoperti da pochi decenni) della celebrazione coram populo, a discapito del miglior uso millenario della celebrazione ad Deum.

Ma si sa, criticare il Papa, più o meno velatamente, è considerato oggi un peccato veniale. Un illecito "condonato".
Consigliamo a tal proposito a don Sirboni un'ottima lettura: Rivolti a Dio di U.M. Lang (con prefazione di J. Ratzinger). Così può apprendere qualcosina sulla bontà del giusto orientamento della preghiera e della celebrazione eucaristica.

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Un ultima annotazione: don Sirboni ha fatto un passo falso. Ha espressamente detto che nel Messale di S. Pio V l'oggetto in questione non è il latino (ovvio!) ma l'immagine di Chiesa che quell'ordo esprime ed alimenta. Che dire? O non ha capito nulla della Messa tradizionale, e in tal caso si documenti, o ha capito tutto ed è chiara quindi il perchè della sua avversione a quel rito tanto venerabile, santo e santificante. E al Papa. In tal caso provi a "convertirsi" dopo un esame di coscienza.
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Per concludere: chiediamo alla Redazione di Vita Pastorale qualche delucidazione in proposito, o meglio, una rettifica della risposta, di don Sirboni, vista la diffusione del del prestigioso mensile.
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Ecco il testo dell'articolo, il sottolineato è nostro.
Più sotto, la foto dell'articolo del mensile paolino.

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"E se tornassimo a celebrare la messa (in italiano) con la faccia rivolta al Crocifisso e non alla gente? Cosa dite? Prima di lapidarmi attendete un poco. Tempo fa ho sostituito il sacerdote (assente per motivi di salute) che celebra la santa messa in latino a una comunità di Rimini. La celebrazione è perfettamente in regola con le direttive della diocesi, è approvata e riconosciuta. Vi assicuro, celebrare la santa messa guardando in faccia il Signore e non il bambino che strilla, la signora che arriva in ritardo, il sacrestano che… è stato per me una ri-visitazione del mio principale ministero.

Non neghiamocelo: quando celebriamo con la faccia rivolta ai fedeli diamo certamente la sensazione della comunità che si raccoglie attorno alla mensa, ma è anche vero che attorno alla mensa non sempre la principale attenzione è per il Signore che viene tra noi. Non è poi detto che la nostra faccia (esclusi i presenti) sia più bella di quella di Cristo. Se, durante la celebrazione eucaristica, si fa in modo che tutti, compreso il celebrante, guardino più intensamente a Dio, forse aumenterà il senso di percezione della sacralità dell’evento e anche – speriamo – dell’importanza di aderire a un Mistero che ci trascende. Credo che ci sia qualcuno a Roma che la pensa così.

Quando celebrare in tal modo? Basterebbe una domenica al mese, avvisando prima e facendo in modo che la cosa sia adeguatamente preparata, dopo gli opportuni permessi. Vos videatis.
don Romano Nicolini – Rimini

Risponde don Silvano Sirboni.

Tenendo conto delle attuali diatribe, la risposta esigerebbe quasi un trattato di teologia sacramentaria e di storia della liturgia. Considerati gli spazi di questa rubrica, è gioco forza limitarsi a due considerazioni.

1. La messa riformata dal Vaticano II, con la stessa autorità del Concilio tridentino, è in latino. Le diverse Conferenze episcopali, per promuovere quella “piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano… ha diritto e dovere in forza del battesimo” (SC 14) hanno la facoltà di tradurre l’edizione tipica latina nelle lingue comprese dai diversi popoli (cf SC 36 e 54). La liturgia cristiana non è un insieme di misteriose formule magiche ma il dialogo fra lo Sposo e la Sposa (cf SC 7, 84-85, 102).
Assai diverso è il discorso sull’uso della messa secondo il messale di S. Pio V, dove l’oggetto in questione non è il latino (sovente usato nelle messe internazionali con il Messale di Paolo VI), ma l’immagine di Chiesa che quell’ordo esprime e alimenta. La sua liceità, a precise condizioni, per andare incontro a particolari esigenze, non ne annulla la “straordinarietà” e non esime affatto da un esame storico, teologico e pastorale sull’opportunità o meno del suo uso (cf motu proprio Summorum Pontificum, 7 luglio 2007).

2. La liturgia non è un ordo confezionato e inviato dal cielo, ma il frutto storico per comunicare il mistero della salvezza secondo la dinamica dell’incarnazione, cioè con segni visibili che, eccetto ciò che è di istituzione divina, sono legati ad una precisa epoca e contesto culturale (cf SC 21).
Se a un certo momento è attestata la prassi (ma non ovunque) che il sacerdote si rivolga a Oriente insieme all’assemblea soprattutto per le orazioni (cf A. Jungmann, Missarum sollemnia I, 212-213), è soprattutto con la prassi di collocare sull’altare l’urna con il corpo dei santi (X sec.) che il sacerdote è costretto a collocarsi dalla parte dell’altare che guarda il popolo voltandogli di conseguenza le spalle, non certo con l’intenzione di guardare “in faccia il Signore” (cf M. Righetti, Storia liturgica I, 502, 506-512; per una più ampia informazione sul dibattito cf AA.VV., Spazio liturgico e orientamento, Qiqaion 2007, 151-239).

La riforma scaturita dal Vaticano II, tra le altre cose, ha voluto recuperare la dimensione conviviale dell’eucaristia per rendere più visibile ciò che ha fatto Gesù (= un convito pasquale; cf OGMR 72) e rendere più chiara la finalità del sacrificio eucaristico che consiste nel “diventare tutti un solo corpo in Cristo” (Agostino, De civitate Dei, X, 6).
Inoltre la presidenza non è sostitutiva del sacerdozio dei fedeli (cf CCC 1140-1141). Il servizio ministeriale passa attraverso il servizio reso all’assemblea che, pertanto, non è, e non deve essere, un ostacolo alla devozione del presidente. Se lo è, perché distraente e rumorosa, l’anomalia è nell’assemblea, non nella posizione del presidente."
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Fonte:
Vita pastorale (Aprile 2010).


ATTENZIONE....SEGUE...........

Caterina63
00martedì 13 aprile 2010 18:08
E' intervenuto nel Blog un sacerdote per rispondere al testo sopra:



don ninni

sono un giovane prete specializzato in liturgia. Fino a qualche anno fal la mia opinione verso la messa antica oscillava tra  indifferenza e opposizione. All'Istituto di liturgia pastorale in cui ho studiato (di cui non faccio il nome) mi era stato trasmesso direttamente ed indirettamente, un "santo disprezzo" verso un rito considerato quasi, newl migliore dei casi, come superstizioso, se non, nel peggiore dei casi, come diabolico.  
 
La mentalità che mi era stata inculcata e di cui andavo fiero, era di considerare prima di tutto e innanzi tutto l'assemblea. Tutto era in funzione di questa. (don Sirboni parla di "servizio reso all'assemblea".  
Mi sono poi spostato a Roma e lì qualche mio amico più di una volta mi invitò ad andare alla messa antica in una chiesa romana dove da decenni la si celebrava, ma ho sempre rifiutato l'invito quasi con orrore.  
La messa antica non solo non mi interessava, ma pur senza conoscerla mi faceva schifo.  
 
Un giorno, per puro caso mi trovavo dalle parti del mausoleo di Augusto e per puro caso mi sono imbattuto in una chiesetta sconosciuta, san Gregorio dei Muratori.  
Vi entro anche per riposarmi un po. E stava per iniziare la messa: la messa antica!  
Il primo pensiero che mi è passato per la mente è stato quello di "fuggire". Ma vinto dalla stanchezza son rimasto.  
 
Era la prima volta che vedevo una messa preconciliare; l'impressione avuta da quella prima volta è stata pessima e mi ha fatto convincere ancor di più della bontà e della necessità della riforma liturgica.  
Quel rito semplicemente mi è apparso ermetico, totalmente chiuso come la cassaforte di un caveau bancario.  
 
Poi lessi le parole pronunciate da Giovanni Paolo II qualche settimana prima e in cui definì la liturgia preconciliare come un rito che rivelava la sostanza stessa di ogni altra liturgia.    
 
E' da quella impressione di ermeticità che la messa antica mi diede unitamente all'affermazione di GPII  che ho iniziato una lunga riflessione.  
 
Avevo di fronte la cassaforte liturgica della Chiesa, ma come aprirla?  
Celebrando la messa antica? Ancora una idea del genere mi riempiva di orrore.  
Come allora aprire questa cassaforte?  
 
Semplice: documentandomi. Sono andato alla ricerca di testi di storia liturgica e soprattutto mi son messo a sfogliare il messale antico che mi era stato insegnato ad odiare e fuggire come la peste. Ho avuto molte difficoltà a superare le barriere costituite da ciòi che ora so essere stati dei pregiudizi. Ho avuto molta difficoltà. Ma man mano che avanzavo mi rendevo conto che quel rito poteva essere anacronostico, poteva essere biblicamente povero, poteva essere semplice, ma non ci trovavo nulla nè di diabolico nè di superstizioso. Ancora però non riuscivo a vederci la sostanza in grado di rivelarmi il senso di tutte le altre liturgie.  
 
 
Ho preso il coraggio a due mani, mi sono preparato, e un giorno ho iniziato a celebrarla.  
 
Lo devo ammettere, per poter "scassinare" questa cassaforte ho dovuto faticare non poco; ho dovuto celebrare molte volte la messa antica ed ogni volta lo facevo con sforzo.  
Non mi sono lasciato scoraggiare dalle difficoltà, sapevo che per giungere in vetta ad una montagna bisogna faticare, ed ho faticato, ho sudato.  
 
La fatica più grande è stata quella di spogliarmi di 15 anni di (de)formazione subita.  
 
Poi venne il motu propio Summorum Pontificum.  
 
 
Ora, a 32 anni, ho scoperto il tesoro inestimabile che è il rito antico, ho scoperto il perchè esso  e solo esso costituisce e rivela il senso di qualsiasi altra liturgia; non passa giorno in cui io non celebri la messa antica; e quando per necessità pastorali devo celebrare la messa nuova lo faccio con grande sofferenza; come con sofferenza una gran dama abituata a portare abiti di seta di alta sartoria  e perle rarissime  si mette addosso palandrane in poliestere e collane di plastica.  
 
Oppure, per fare un esempio più maschile e che prendo da uno dei miei hobby (oltre che alpinista e sciatore sono  sommelier), con la stessa sofferenza con cui un intenditore  beve  un vino scadente e per giunta annacquato.




L'ottima segnalazione di Messainlatino:



Pro memoria per don Silvano Sirboni e per molti altri preti, sulla Messa coram Deo

Un commento al nostro post sull'articolo di don Sirboni, sulla Messa coram Deo pubblicato sulla rivista Vita Pastorale di aprile 2010, ci ha particolarmente colpito per la disarmante onesta (anche intellettuale) tanto nella parte in cui l'autore ammette l'avversione e il disprezzo che i suoi insegnanti di liturgia gli avevano inculcato con insistenza (e con successo) nei confronti del rito antico, tanto, e maggiormente, nella parte in cui lo stesso sacerdote ammette i frutti spirituali scoperti e goduti con la conoscenza del rito antico, grazie ad un'esperienza nella chiesa di S. Gregorio ai Muratori (FSSP) e al Motu Proprio Summorum Pontificum.
Riportiamo alcuni brani più significativi che speriamo tocchino il cuore dei lettori, soprattutto di quanti tra Loro, preti e vescovi in primis, non hanno ancora voluto/saputo apprezzare la semplice ricchezza spirituale e l'immenso contenuto teologico della liturgia antica; di quanti non ammettono la toccante "esperienza" (pur limitata perchè umana) di Dio che si riesce a fare attraverso essa, e di quanti continuano imperterriti ad esserne oppositori prevenuti, accecati dai loro pregiudizi, così come lo era il sacerdote che ha scritto.
Speriamo che anch'Essi si documentino e facciano un'esperienza simile a quella qui di seguito narrata ad utilità di tutti!
E ci auguriamo che, incuriositi dalle parole dal sacerdote riportate con tanta serenità e pacatezza, anche i più ostili provino a riconoscere alcuni errori di fondo del loro atteggiamento ostile, a conoscere, e magari a celebrare, la S. Messa antica. Magari non cambieranno idea, ma magari, con la grazia di Dio, sì.
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I nostri complimenti al sacerdote per la fatica e il coraggio! Ci rallegriamo per la sua esperienza e per i frutti di cui sta tutt'ora godendo, a vantaggio della suo ministero sacerdotale!
Ci consola un po' sapere che ci sono preti che nonostante tutto e tutti sanno abbandonare i preconcetti di una faziosa educazione e di una malsana ideologia incultata loro, e sappiano riconoscere i propri errori a vantaggio della Verità, e cioè di Gesù Cristo.
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Il sottolineato è nostro.
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"Sono un giovane prete specializzato in liturgia.
Fino a qualche anno fal la mia opinione verso la messa antica oscillava tra indifferenza e opposizione.
All'Istituto di liturgia pastorale in cui ho studiato (di cui non faccio il nome) mi era stato trasmesso direttamente ed indirettamente, un "santo disprezzo" verso un rito considerato quasi, newl migliore dei casi, come superstizioso, se non, nel peggiore dei casi, come diabolico.
La mentalità che mi era stata inculcata e di cui andavo fiero, era di considerare prima di tutto e innanzi tutto l'assemblea. [...] (don Sirboni parla di "servizio reso all'assemblea").
Mi sono poi spostato a Roma e lì qualche mio amico più di una volta mi invitò ad andare alla messa antica in una chiesa romana dove da decenni la si celebrava, ma ho sempre rifiutato l'invito quasi con orrore. La messa antica non solo non mi interessava, ma pur senza conoscerla mi faceva schifo.
Un giorno, per puro caso mi trovavo dalle parti del mausoleo di Augusto e per puro caso mi sono imbattuto in una chiesetta sconosciuta, san Gregorio dei Muratori. Vi entro anche per riposarmi un po. E stava per iniziare la messa: la messa antica! Il primo pensiero che mi è passato per la mente è stato quello di "fuggire". Ma vinto dalla stanchezza son rimasto. Era la prima volta che vedevo una messa preconciliare; l'impressione avuta da quella prima volta è stata pessima e mi ha fatto convincere ancor di più della bontà e della necessità della riforma liturgica.

Quel rito semplicemente mi è apparso ermetico, totalmente chiuso come la cassaforte di un caveau bancario.
Poi lessi le parole pronunciate da Giovanni Paolo II qualche settimana prima e in cui definì la liturgia preconciliare come un rito che rivelava la sostanza stessa di ogni altra liturgia.
E' da quella impressione di ermeticità che la messa antica mi diede unitamente all'affermazione di GPII che ho iniziato una lunga riflessione.
Avevo di fronte la cassaforte liturgica della Chiesa, ma come aprirla? Celebrando la messa antica? [...]
Come allora aprire questa cassaforte? Semplice: documentandomi.
Sono andato alla ricerca di testi di storia liturgica e soprattutto mi son messo a sfogliare il messale antico che mi era stato insegnato ad odiare e fuggire come la peste.
Ho avuto molte difficoltà a superare le barriere costituite da ciò che ora so essere stati dei pregiudizi. Ho avuto molta difficoltà. Ma man mano che avanzavo mi rendevo conto che quel rito poteva essere anacronostico, poteva essere biblicamente povero, poteva essere semplice, ma non ci trovavo nulla nè di diabolico nè di superstizioso.

Ancora però non riuscivo a vederci la sostanza in grado di rivelarmi il senso di tutte le altre liturgie.
Ho preso il coraggio a due mani, mi sono preparato, e un giorno ho iniziato a celebrarla. Lo devo ammettere, per poter "scassinare" questa cassaforte ho dovuto faticare non poco; ho dovuto celebrare molte volte la messa antica ed ogni volta lo facevo con sforzo. Non mi sono lasciato scoraggiare dalle difficoltà, sapevo che per giungere in vetta ad una montagna bisogna faticare, ed ho faticato, ho sudato.
La fatica più grande è stata quella di spogliarmi di 15 anni di (de)formazione subita. Poi venne il motu propio Summorum Pontificum.
Ora, a 42 anni, ho scoperto il tesoro inestimabile che è il rito antico, ho scoperto il perchè esso e solo esso costituisce e rivela il senso di qualsiasi altra liturgia; non passa giorno in cui io non celebri la messa antica; e quando per necessità pastorali devo celebrare la messa nuova lo faccio con grande sofferenza; [...] "
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Grazie, caro giovane sacerdote di 42 anni. Di cuore. Grazie!

Caterina63
00venerdì 16 aprile 2010 23:02

Il Papa celebra ad orientem

Ieri mattina il Papa ha celebrato la S.Messa con i membri della Pontificia Commissione Biblica nella Cappella Paolina, che come sappiamo permette entrambe le direzioni...e ancora una volta Benedetto XVI ha scelto di celebrare ad orientem:

Fonte: New Liturgical Movement



 riflessione:

...forse spesso non ci rendiamo conto di essere stati infettati  da un certo relativismo che vede, troppo spesso, le nostre opinioni ergersi ad indiscussa verità, mentre altrettanto spesso crediamo (anche se in buona fede ed anche se con tutta la buona volontà) di poter dare suggerimenti al Pontefice, magari ci offendiamo (inconsapevolmente) che Egli NON ci ascolta e non fa ciò che noi vorremmo fosse fatto!  
 
Questo diabolico virus è un altro, fra i tanti, sparsi da Satana  USANDO IL CONCILIO attraverso il quale, non pochi cattolici, ritengono che la Chiesa sia NUOVA da allora, e che con queste innovazioni TUTTO E' DOVUTO, anche l'arbitrio di dover dire al Papa cosa è giusto o sbagliato...  
Non penso solo ai Laici, ma anche ai sacerdoti molti dei quali hanno perduto la propria identità sacerdotale....e penso a non pochi Vescovi che se (giustamente) si attendono dai Laici l'obbedienza, da molti anni però ci hanno tristemente testimoniato una grande disobbedienza al Pontefice e agli atti del Magistero della Chiesa di sempre....  
 
Dal giugno 2008 il Papa è ritornato a ridare la Comunione alla bocca e ripristinando l'inginocchiatoio ABUSIVAMENTE tolto.... perchè i Vescovi non seguono Pietro in questa testimonianza?  
Perchè nelle Sacre Liturgie in Parrocchia non si vede ancora UNA AUTENTICA ADESIONE AL PONTEFICE ?  
Queste non sono opinioni personali che si vogliono imporre attenzione, ma domande legittime  dal momento che sentiamo tanto dire in questi in giorni: "siamo con lei, Santo Padre!"....ma poi, con i fatti?  Perchè non cominciare ad essere veramente con il Papa cominciando a rendere FACILE l'applicazione del Summorum Pontificum, il quale DISCIPLINA l'unica Messa nelle due forme, DONANDOLE AI FEDELI e lasciando ad essi l'autentica libertà di quale seguire NELLA PROPRIA PARROCCHIA?  
Perchè NON scrivere una Lettera Pastorale a livello diocesano che spieghi ed inviti ai sacerdoti l'opportunità di PORTARE DAVVERO IL PAPA NELLE COMUNITA' attraverso l'autentica imitiazione di come celebrare la Santa Messa?  
 
Questo è l'Augurio che mi sento di fare al Santo Padre:
che le risposte a queste domande si concretizzino in una profonda COMUNIONE che aiuti la Chiesa e noi stessi ad uscire da questa profonda crisi... e poichè noi laici non abbiamo  questa autorità, l'auspichiamo come DONO dal Cielo,  e ci accontentiamo di essere quel "piccolo gregge" che restando obbedienti ai propri Vescovi, non smetterà tuttavia di seguire Pietro e di dare a Lui e al Suo Magistero il maggior risalto possibile non solo con le parole, ma anche con i fatti laddove ci sarà possibile...e dove non ci sarà possibile, saremo quel "piccolo gregge" sempre accanto al Pontefice in attesa di tempi migliori... 

 Questi invece sono i miei Auguri per questi 5 anni di Pontificato, un Grazie e l'auspicio di altri anni ancora TUTTI IN SALITA come sta avvenendo....contrariamente a ciò che ne dicano e ne pensano i Media....


Grazie Santo Padre!
Te Deum Laudamus!
Viva il Papa!



Caterina63
00martedì 10 agosto 2010 15:07

il concilio e il latino

Mons. Koch: Sacrosanctum Concilium
significa Messa ad orientem e in latino

Stralcio di un'intervista concessa dal nuovo Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'unità dei cristiani, Monsignor Kurt Koch, a Gaudium Press.

Questi due punti di vista [della Chiesa come Popolo di Dio e come mistero] influenzano anche la propria posizione sulla liturgia. Come deve essere intesa la liturgia di oggi?

Mons. Koch: Tutte quelle cose che alcune persone dicono che era il nuovo dopo il Concilio Vaticano II non furono un tema della Costituzione sulla Liturgia [Sacrosanctum Concilium]. Per esempio, la celebrazione dell'Eucaristia davanti ai fedeli non è mai stato oggetto di Tradizione. La Tradizione ha sempre inteso celebrare ad orientem perché questa era la posizione della risurrezione. Nella Basilica di San Pietro, la celebrazione ha avuto luogo di fronte al popolo per lungo tempo perché quella era la direzione verso l'Oriente. La seconda cosa era la lingua volgare. Il Concilio auspica che il latino resti la lingua liturgica"

 http://rorate-caeli.blogspot.com/2010/07/archbishop-koch-sacrosanctum-concilium.html

e in un'altra intervista sempre Mons. Koch fu ancor più espilicito:

"Il Concilio non ha abolito il latino nella liturgia. Al contrario, enfatizza che nel rito romano, salvi casi eccezionali, l’uso della lingua latina deve essere mantenuto. Chi tra i vocianti difensori del concilio desidera "accettare senza restrizioni" ciò?..Il Concilio ha dichiarato che la Chiesa considera il canto gregoriano come la "musica propria del rito romano" e che perciò deve avere "posto principale". In quante parrocchie questo è applicato "senza restrizioni ".." 

http://blog.messainlatino.it/2009/06/il-vescovo-di-basilea-ai-difensori-del.html

Caterina63
00venerdì 20 agosto 2010 08:29

L'altare può essere girato coram Deo


Sollecitati dalla domanda di un lettore, vogliamo fornire qualche chiarimento canonistico circa la possibilità di rimuovere l'altare al popolo e ripristinare l'orientamento della preghiera verso Dio. Aver 'girato gli altari' è stato l'elemento di riforma di maggiore impatto, insieme all'abbandono del latino, per la vita religiosa del popolo di Dio, e quasi sicuramente la causa principe della gravissima crisi di fede che è seguita al concilio: la Messa si è trasformata in uno one man's show in cui il prete diventa inevitabilmente il protagonista dell'attenzione; laddove, in precedenza, il celebrante annullava la propria personalità quasi nascondendo se stesso ai fedeli e lasciando a questi ultimi la possibilità di concentrarsi sulla croce di Gesù Cristo verso la quale tutti, fedeli e celebrante, erano rivolti. La celebrazione al popolo è emblema e cagione della perdita di sacralità e della banalizzazione della liturgia cattolica (i musulmani, ad esempio, mai si sognerebbero di vedere l'imam che, nel momento della preghiera, si rivolge verso di loro anziché verso il mihrab, ossia il punto che indica la Mecca).

Di qui l'urgenza che si recuperi, come primo passo, il corretto orientamento della preghiera, pur nelle celebrazioni novus ordo. La rieducazione dei cristiani alla corretta liturgia non può che essere graduale; ma siate certi che il cammino, una volta intrapreso, porta inevitabilmente all'approdo della Messa di Sempre.

Chi volesse suggerire questa necessaria riforma o il parroco che si trovasse a fronteggiare l'opposizione di qualche catechista sessantottina o di qualche collega (o vescovo) conciliolatra, è bene che sappia alcune cose. La prima: da nessuna parte il Concilio ha parlato di modificare il tradizionale orientamento dell'altare. La seconda: la celebrazione versus Deum è tuttora un'opzione legittima pur con il messale di Paolo VI.

Il tema è trattato nell’
Ordinamento Generale del Messale Romano, che a sua volta riprende, quasi alla lettera, il testo dell'istruzione Inter oecumenici, n. 91, del 1964 della S. Congregazione dei Riti, che peraltro concerneva solo le chiese di nuova costruzione:

299. L’altare sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo: la qual cosa è conveniente realizzare ovunque sia possibile. L’altare sia poi collocato in modo da costituire realmente il centro verso il quale spontaneamente converga l’attenzione dei fedeli[116]. Normalmente sia fisso e dedicato.


Dato che l’articolo dell’Institutio può far nascere degli equivoci interpretativi laddove afferma “ovunque sia possibile”, ecco l’autorevolissima interpretazione che ne dà Benedetto XVI nella Prefazione al libro di Uwe M. Lang, Rivolti al Signore, Cantagalli, 2008, tanto più importante perché autorizzata dal Papa DOPO la sua elezione.


Versus Deum per Iesum Christum

"La direzione ultima dell'azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne, è la stessa per il sacerdote e il popolo: verso il Signore".

“Al cattolico praticante normale due appaiono i risultati più evidenti della riforma liturgica del Concilio Vaticano II: la scomparsa della lingua latina e l'altare orientato verso il popolo. Chi legge i testi conciliari potrà constatare con stupore che né l'una né l'altra cosa si trovano in essi in questa forma.

[…]

Dell'orientamento dell'altare verso il popolo non si fa parola nel testo conciliare. Se ne fa parola in istruzioni postconciliari. La più importante di esse è la Institutio generalis Missalis Romani, l'Introduzione generale al nuovo Messale romano del 1969, dove al numero 262 si legge: "L'altare maggiore deve essere costruito staccato dal muro, in modo che si possa facilmente girare intorno ad esso e celebrare, su di esso, verso il popolo [versus populum]". L'introduzione alla nuova edizione del Messale romano del 2002 ha ripreso questo testo alla lettera, ma alla fine ha fatto la seguente aggiunta: "è auspicabile laddove è possibile". Questa aggiunta è stata letta da molte parti come un irrigidimento del testo del 1969, nel senso che adesso ci sarebbe un obbligo generale di costruire - "laddove possibile" - gli altari rivolti verso il popolo. Questa interpretazione, però, era stata respinta dalla competente Congregazione per il Culto divino già in data 25 settembre 2000, quando spiegò che la parola "expedit" [è auspicabile] non esprime un obbligo ma una raccomandazione. L'orientamento fisico dovrebbe - così dice la Congregazione - essere distinto da quello spirituale. Quando il sacerdote celebra versus populum, il suo orientamento spirituale dovrebbe essere comunque sempre versus Deum per Iesum Christum [verso Dio attraverso Gesù Cristo]. Siccome riti, segni, simboli e parole non possono mai esaurire la realtà ultima del mistero della salvezza, si devono evitare posizioni unilaterali e assolutizzanti al riguardo.

Un chiarimento importante, questo, perché mette in luce il carattere relativo delle forme simboliche esterne, opponendosi così ai fanatismi che purtroppo negli ultimi quarant'anni non sono stati infrequenti nel dibattito attorno alla liturgia. Ma allo stesso tempo illumina anche la direzione ultima dell'azione liturgica, mai totalmente espressa nelle forme esterne e che è la stessa per sacerdote e popolo (verso il Signore: verso il Padre attraverso Cristo nello Spirito Santo). La risposta della Congregazione dovrebbe perciò creare anche un clima più disteso per la discussione; un clima nel quale si possano cercare i modi migliori per la pratica attuazione del mistero della salvezza, senza reciproche condanne, nell'ascolto attento degli altri, ma soprattutto nell'ascolto delle indicazioni ultime della stessa liturgia. Bollare frettolosamente certe posizioni come 'preconciliari', 'reazionarie', 'conservatrici', oppure 'progressiste' o 'estranee alla fede', non dovrebbe più essere ammesso nel confronto, che dovrebbe piuttosto lasciare spazio ad un nuovo sincero comune impegno di compiere la volontà di Cristo nel miglior modo possibile.

Questo piccolo libro di Uwe Michael Lang, oratoriano residente in Inghilterra, analizza la questione dell'orientamento della preghiera liturgica dal punto di vista storico, teologico e pastorale. Ciò facendo, riaccende in un momento opportuno - mi sembra - un dibattito che, nonostante le apparenze, anche dopo il Concilio non è mai veramente cessato.

Il liturgista di Innsbruck Josef Andreas Jungmann, che fu uno degli architetti della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Vaticano II, si era opposto fermamente fin dall'inizio al polemico luogo comune secondo il quale il sacerdote, fino ad allora, avrebbe celebrato 'voltando le spalle al popolo'. Jungmann aveva invece sottolineato che non si trattava di un voltare le spalle al popolo, ma di assumere il medesimo orientamento del popolo. La liturgia della Parola ha carattere di proclamazione e di dialogo: è rivolgere la parola e rispondere, e deve essere, di conseguenza, il reciproco rivolgersi di chi proclama verso chi ascolta e viceversa. La preghiera eucaristica, invece, è la preghiera nella quale il sacerdote funge da guida, ma è orientato, assieme al popolo e come il popolo, verso il Signore. Per questo - secondo Jungmann - la medesima direzione di sacerdote e popolo appartiene all'essenza dell'azione liturgica. Più tardi Louis Bouyer - anch'egli uno dei principali liturgisti del Concilio - e Klaus Gamber, ognuno a suo modo, ripresero la questione. Nonostante la loro grande autorità, ebbero fin dall'inizio qualche problema nel farsi ascoltare, così forte era la tendenza a mettere in risalto l'elemento comunitario della celebrazione liturgica e a considerare perciò sacerdote e popolo reciprocamente rivolti l'uno verso l'altro.

Soltanto recentemente il clima si è fatto più disteso e così, su chi pone domande come quelle di Jungmann, di Bouyer e di Gamber, non scatta più il sospetto che nutra sentimenti 'anticonciliari'. I progressi della ricerca storica hanno reso il dibattito più oggettivo, e i fedeli sempre più intuiscono la discutibilità di una soluzione in cui si avverte a malapena l'apertura della liturgia verso ciò che l'attende e verso ciò che la trascende. In questa situazione, il libro di Uwe Michael Lang, così piacevolmente oggettivo e niente affatto polemico, può rivelarsi un aiuto prezioso. Senza la pretesa di presentare nuove scoperte, offre i risultati delle ricerche degli ultimi decenni con grande cura, fornendo le informazioni necessarie per poter giungere a un giudizio obiettivo. Molto apprezzabile è il fatto che viene evidenziato, a tale riguardo, non solo il contributo, poco conosciuto in Germania, della Chiesa d'Inghilterra, ma anche il relativo dibattito, interno al Movimento di Oxford nell'Ottocento, nel cui contesto maturò la conversione di John Henry Newman. È su questa base che vengono sviluppate poi le risposte teologiche.

Spero che questo libro di un giovane studioso possa rivelarsi un aiuto nello sforzo - necessario per ogni generazione - di comprendere correttamente e di celebrare degnamente la liturgia. Il mio augurio è che possa trovare tanti attenti lettori.

Joseph Ratzinger

Riportiamo anche il rescritto della Congregazione per il Culto Divino (in PONTIFICII CONSILII DE LEGUM TEXTIBUS, Communicationes, vol. XXXII, n. 2, Roma 2000, pp. 171-173) citata dal card. Ratzinger:


È stato chiesto alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti se l’enunciato del n. 299 dell’Institutio Generalis Missalis Romani costituisca una normativa secondo la quale, durante la liturgia eucaristica, la posizione del sacerdote versus absidem sia da considerarsi esclusa. La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, re mature perpensa et habita ratione dei precedenti liturgici, risponde: Negative et ad mentem. Innanzitutto si deve aver presente che la parola expedit non costituisce una forma obbligatoria, ma un suggerimento che si riferisce sia alla costruzione dell’altare a pariete seiunctum, sia alla celebrazione versus populum. La clausola ubi possibile sit si riferisce a diversi elementi, come, per esempio, la topografia del luogo, la disponibilità di spazio, l’esistenza di un precedente altare di pregio artistico, la sensibilità della comunità che partecipa alle celebrazioni nella chiesa di cui si tratta, ecc. Si ribadisce che la posizione verso l’assemblea sembra piú conveniente in quanto rende piú facile la comunicazione (cfr. Editoriale di Notitiae 29 [1993] pp. 245-249), senza escludere però l’altra possibilità. Tuttavia, qualunque sia la posizione del sacerdote celebrante, è chiaro che il Sacrificio Eucaristico è offerto a Dio uno e trino, e che il sacerdote principale, Sommo ed Eterno, è Gesú Cristo, che opera attraverso il ministero del sacerdote che presiede visibilmente quale Suo strumento. L’assemblea liturgica partecipa nella celebrazione in virtú del sacerdozio comune dei fedeli, che ha bisogno del ministero del sacerdote ordinato per essersi esercitato nella Sinassi Eucaristica. Si deve distinguere la posizione fisica, relativa specialmente alla comunicazione tra i vari membri dell’assemblea e l’orientamento spirituale e interiore di tutti. Sarebbe un grave errore immaginare che l’orientamento principale dell’azione sacrificale sia la comunità. Se il sacerdote celebra versus populum, ciò che è legittimo e spesso consigliabile, il suo atteggiamento spirituale dev’essere sempre versus Deum per Iesum Christum, come rappresentante della Chiesa intera. Anche la Chiesa, che prende forma concreta nell’assemblea che partecipa, è tutta rivolta versus Deum come primo movimento spirituale. A quanto sembra, la tradizione antica, anche se non unanime, era che il celebrante e la comunità orante fossero rivolti versus orientem, punto dal quale viene la luce, che è Cristo. Non sono rare le antiche chiese, la costruzione delle quali era «orientata» in modo che il sacerdote ed il popolo nell’atto di fare la preghiera pubblica si rivolgessero versus orientem. Si può pensare che quando ci furono problemi di spazio o di altro genere, l’abside idealmente rappresentava l’oriente. Oggi, l’espressione versus orientem significa spesso versus absidem, e quando si parla di versus populum non si pensa all’occidente, bensì verso la comunità presente. Nell’antica architettura delle chiese, il posto del Vescovo o del sacerdote celebrante si trovava al centro dell’abside e, seduto, di lì ascoltava la proclamazione delle letture rivolto verso la comunità. Ora quel posto presidenziale non viene attribuito alla persona umana del Vescovo o del presbitero, né alle sue doti intellettuali e nemmeno alla sua personale santità, ma al suo ruolo di strumento del Pontefice invisibile che è il Signore Gesú. Quando si tratta di chiese antiche o di gran pregio artistico, occorre, inoltre, tenere conto della legislazione civile al riguardo dei mutamenti o ristrutturazioni. Un altare posticcio può non essere sempre una soluzione dignitosa. Non bisognerebbe dare eccessiva importanza ad elementi che hanno avuto cambiamenti attraverso i secoli. Ciò che rimarrà sempre è l’evento celebrato nella liturgia: esso è manifestato mediante riti, segni, simboli e parole, che esprimono vari aspetti del mistero, senza tuttavia esaurirlo, perché li trascende. L’irrigidirsi su una posizione e assolutizzarla potrebbe diventare un rifiuto di qualche aspetto della verità che merita rispetto
ed accoglienza.
Dal Vaticano, 25 settembre 2000
+ Jorge A. Card. Medina Estévez
Prefetto
+ Francesco Pio Tamburrino
Arcivescovo Segretario
Prot. N° 2036/00/L


Tra l'altro, il Messale Romano riformato (anche la terza edizione, la più recente), prevede espressamente che il sacerdote in alcuni momenti (all’Orate fratres, al Pax Domini, all’Ecce Agnus Dei, e nel Ritus conclusionis) debba volgersi verso il popolo: previsione che trova senso solo presupponendo una celebrazione che per il resto si svolga versus Deum.


Per contro, la Conferenza Episcopale Italiana ha fatto di tutto per far apparire cogente l'uso dell'altare al popolo. Ma si tratta di un evidente abuso di potere, poiché i documenti vaticano sono chiarissimi nel senso della facoltatività. Ecco l'art. 14 delle Precisazioni della CEI ai Principi e norme per l'uso del Messale Romano (ma perché occorrono sempre precisazioni per chiarire, anzi stravolgere, i documenti liturgici?):



L’altare fisso della celebrazione sia unico e rivolto al popolo. Nel caso di difficili soluzioni artistiche per l’adattamento di particolari chiese e presbitèri, si studi, sempre d’intesa con le competenti Commissioni diocesane, l’opportunità di un altare «mobile» appositamente progettato e definitivo.
Se l’altare retrostante non può essere rimosso o adattato, non si copra la sua mensa con la tovaglia.
Si faccia attenzione a non ridurre l’altare a un supporto di oggetti che nulla hanno a che fare con la liturgia eucaristica. Anche i candelieri e i fiori siano sobri per numero e dimensione. Il microfono per la dimensione e la collocazione non sia tanto ingombrante da sminuire il valore delle suppellettili sacre e dei segni liturgici.


E ancora, sempre l'iconoclasta C.E.I. (che si preoccupa perfino di disseppellire le reliquie...) nella sua "Nota pastorale" per l'adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, n. 17:



La conformazione e la collocazione dell'altare devono rendere possibile la celebrazione rivolti al popoloe devono consentire di girarvi intorno e di compiere agevolmente tutti i gesti liturgici ad esso inerenti.Se l'altare esistente soddisfa alle esigenze appena indicate, lo si valorizzi e lo si usi. In caso contrario occorre procedere alla progettazione di un nuovo altare possibilmente fisso e, comunque, definitivo. La forma e le dimensioni del nuovo altare dovranno essere differenti da quelle dell'altare preesistente, evitando riferimenti formali e stilistici basati sulla mera imitazione. Per evocare la duplice dimensione di mensa del sacrificio e del convito pasquale, in conformità con la tradizione, la mensa del nuovo altare dovrebbe essere preferibilmente di pietra naturale, la sua forma quadrangolare (evitando quindi ogni forma circolare) e i suoi lati tutti ugualmente importanti. Per non compromettere la evidenza e la centralità dell'altare non è ammesso l'uso di materiali trasparenti.Nel caso in cui l'altare preesistente venisse conservato, si eviti di coprire la sua mensa con la tovaglia e lo si adorni molto sobriamente, in modo da lasciare nella dovuta evidenza la mensa dell'unico altare per la celebrazione.Qualora non sia possibile erigere un nuovo altare fisso, si studi comunque la realizzazione di un altare definitivo, anche se non fisso (cioè amovibile).Si ritiene anche opportuna la rimozione delle reliquie presenti nell'altare preesistente, poiché solo a quello nuovo - di fatto l'unico riconosciuto come centro della celebrazione - spetta la prerogativa della dedicazione rituale.



             Versus Deum




Dice Ratzinger nel testo sopra riportato:  
 
Sarebbe un grave errore immaginare che l’orientamento principale dell’azione sacrificale sia la comunità. Se il sacerdote celebra versus populum, ciò che è legittimo e spesso consigliabile, il suo atteggiamento spirituale dev’essere sempre versus Deum per Iesum Christum, come rappresentante della Chiesa intera.  
 
Purtroppo è ciò che è accaduto.....l'orientamento principale dell'azione sacrificale è da anni interpretato quale azione DELLA COMUNITA'.... alcuni sacerdoti celebrano non quali rappresentanti della Chiesa intera o "con le intenzioni della Chiesa" magistralmente intesa, ma bensì come rappresentanti della comunità "con le intenzioni di una immagine di Chiesa affine alla comunità che egli in quel momento rappresenta".... un esempio?  
la liturgia Neocatecumenale è fortemente intrisa di una immagine che rappresenta SE STESSA, RAPPRESENTA LA SUA COMUNITA'.... il sacerdote del CNC espone non l'immagine della Chiesa intera, ma quella voluta da Kiko... a cominciare dallo smantellamento del Presbiterio, dall'annessione di un altare che identifica e si identifica con la sua comunità, ad un orientamento verso il popolo senza il quale quella messa non avrebbe alcun senso....  
Idem potremo dire per altri gruppi e Movimenti del dopo Concilio, ma nessuno dei quali ha imbastito tuttavia una liturgia propria come è stato consentito al CNC...  
quanto allo scardinamento dei Presbiteri, seppur le intenzioni come spiegato sopra da Ratzinger, non erano quelle di uno stravolgimento teologico sulla Liturgia, di fatto questo è quanto è avvenuto....  
 
Non è raro sentire il Sacerdote, nelle nostre Parrocchie, aprire la Messa con avvertimenti del tipo: " questa comunità si appresta a CONCELEBRARE il sacrificio di Cristo...", voluto o non voluto, siamo di fronte ad una modifica del significato dottrinale della celebrazione, di chi celebra e di chi dovrebbe essere l'auditore, il fedele, colui che RICEVE.... l'iniziatore e il celebrante è di fatto LA COMUNITA'....il sacerdote, Presidente dell'assemblea, presiede....  
Occorre fare attenzione ai termini che usiamo, molti sono usati e sono tipicamente di matrice Protestante e questo dovrebbe far riflettere perchè se è vero che NELLE INTENZIONI prevale (o possa prevalere ) la corretta interpretazione della dottrina Cattolica, occorre pensare che moltissimi fedeli NON comprendono tanto facilmente e possono essere tratti in inganno... dall'uso di una certa terminologia, rischiamo di perdere il senso autentico della nostra Dottrina...



**********************

S. Congr. Culto Divino, 16-2-1972:  
 
"nel corso della prograssiva attuazione della Riforma liturgica in molte chiese, dinanzi al vecchio altare ne è stato costruito uno nuovo per la celebrazione verso il popolo. A questa soluzione dei due altari qualcuno ricorre tuttora, sebbene il n. 10 dell'Istruzione Terza, emanata dalla Santa Sede (cf. AAS 62, 1970 p. 702), richieda espressamente una sistemazione stabile in tutte le chiese.  
 
1. E' ammesso che diventi stabile la sistemazione di un presbiterio  nel qualedinanzi al vecchio altare ne è stato collocato un altro per la celebrazione verso il popolo?  
  R) No, non è ammesso.  
 
2. In ogni presbiterio ci deve essere un solo altare per la celebrazione, di faccia o di schiena?  
  R) Sì, ci dev'essere un solo altare.  
 
3. Dopo la promulgazione dell'Istruzione Terza, gli altari posticci si devono togliere?  
  R) Sì, si devono togliere, sulla linea di quanto detto sopra.  
 
4. Si può tollerare che dopo la promulgazione dell'Istruzione citata vengano ancora costruiti altari posticci dinanzi i vecchi altari?  
  R) No, non si può tollerare, a meno che non si tratti di una prima sistemazione provvisoria."  
 
Da A. Mistrorigo, "L'Arte Sacra" EMP - Padova, 1983



Caterina63
00lunedì 18 ottobre 2010 18:11
Liturgia celeste e terrena

Il sacramento del Paradiso



di Inos Biffi

"Nella liturgia terrena - afferma la Sacrosanctum concilium - noi partecipiamo, pregustandola, alla liturgia celeste, che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme" (n. 8). Non si tratta, tuttavia, di due liturgie parallele o giustapposte. La liturgia originaria ed esemplare è quella compiuta da Cristo assiso alla destra del Padre. È il suo sacrificio celeste, al quale è associata la Chiesa, quella ormai gloriosa, e quella ancora pellegrinante.

Non raramente i liturgisti, che non sempre riescono a stupire per competenza o acutezza teologica, si mostrano riluttanti a considerare la liturgia che celebriamo qui in terra come un reale "riflesso" di quella del cielo; e quindi a vedere nel sacrificio eucaristico la presenza del sacrificio glorioso. Parrebbe loro che in tal modo vengano sminuite la verità e la natura storica dell'evento della Croce.

In realtà, non esistono due sacrifici:  quello storico e quello glorioso in cielo, ma un unico sacrificio, quello del Calvario, che è intimamente glorioso, e quindi radicalmente celeste ed eterno.

In altre parole, immolando se stesso, Gesù conferisce alla sua offerta - non più carnale ma "spirituale" - un valore che non si consuma, e che è in grado di oltrepassare la momentaneità:  "Noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre" (Ebrei, 10, 10).

Dovunque si compia una celebrazione cristiana, anche nella sua forma terrena, è sempre in esercizio il sacerdozio eterno di Cristo ed è in atto l'offerta fatta con "il proprio sangue", e dotata di valore inesausto. È la ragione per la quale essa non è catturata da nessun tempo e non è circoscritta in nessun luogo. Al contrario, è comprensiva e aperta nei confronti di tutti i tempi e di tutti i luoghi.
Certamente, il culto nella Chiesa terrena e incompiuta presenta una modalità diversa rispetto a quello che è proprio della Chiesa del cielo, dove è ormai sciolto dalla trama dei segni e dove la grazia si è trasformata nella gloria. Quaggiù la santificazione è ancora in corso, in attesa e nella speranza della gloria, e opera con la mediazione dei sacramenti. E, tuttavia, si tratta della stessa liturgia, che ha la sua fonte e la sua origine in quella che si svolge - recitava la Sacrosanctum concilium - nella "santa città di Gerusalemme (...) dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo".

Noi possiamo celebrare "qui e adesso", perché il Cristo glorioso eternamente celebra con la Chiesa del cielo. Ecco perché la costituzione conciliare afferma che noi partecipiamo alla liturgia celeste, la quale trascende e insieme attrae la nostra. Comprendiamo allora che a celebrare con Cristo capo sono tutte le sue membra:  esiste, infatti, un unico corpo del Signore, un'unica Chiesa.

Perciò, quando siamo all'altare per la messa, o conveniamo per i sacramenti, o siamo raccolti per le lodi al Signore, la fede ci fa percepire col Crocifisso risorto la presenza degli angeli e dei santi, che invisibilmente intervengono a pregare con noi nella nostra celebrazione:  una presenza invisibile e quindi più reale, più consistente e più vera, di quella dei fedeli che vediamo intorno a noi e dei quali percepiamo sensibilmente i volti e le voci.

Né questi sono solo pii e devoti sentimenti. È invece pura teologia, per non dire semplice dogma. In ogni caso è la certezza che proclamiamo nella preghiera eucaristica, in particolare nell'antico primo canone, di cui, dopo averlo per lo più abbandonato, scopriamo la mirabile ricchezza.

A questo punto avvertiamo che la celebrazione liturgica equivale a una proclamazione della comunione dei santi. Essa è in certo modo il sacramento del Paradiso. Si danno appuntamento nella liturgia tutti i giusti della storia di salvezza, a cominciare da Abele, per giungere alla vergine Maria, al suo sposo, agli apostoli, ai martiri e a tutti quanti formano la Chiesa celeste, senza che siano tralasciati i cori angelici con i quali sciogliamo il nostro canto di lode.

Il testo conciliare recita al numero 8:  "Insieme con tutte le schiere delle milizie celesti cantiamo al Signore l'inno di gloria; ricordando con venerazione i santi, speriamo di aver parte con essi; aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, egli che è la nostra vita, e noi saremo manifestati con lui nella gloria".

La liturgia ci porta, così, in un altro mondo, quello della grazia e della gloria, che solo ha senso per la fede. Ogni celebrazione appare così il vertice della professione di fede.



(©L'Osservatore Romano - 18-19 ottobre 2010)
Caterina63
00mercoledì 2 marzo 2011 09:38

Versus populum


da Cordialiter:

L'idea che il sacerdote stia di fronte alla comunità risale senza dubbio a Martin Lutero. […] Prima di Lutero l'idea che il sacerdote quando celebra la messa stia di fronte alla comunità non si trova in nessun testo letterario, né è possibile utilizzare per suffragarla i risultati della ricerca archeologica. […]

Dal punto di vista cattolico, invero, carattere sacrificale e conviviale della messa non sono mai stati in contrasto. Cena e sacrificio sono due elementi della medesima celebrazione. Certo col mutare dei tempi non sempre essi sono stati espressi con pari forza. […]

Se al giorno d'oggi si desidera dare un rilievo maggiore al carattere di convito della celebrazione eucaristica, va detto che nella celebrazione versus populum questo non è che appaia con la forza che spesso si crede e si vorrebbe. Infatti soltanto il "presidente" della cena sta effettivamente al tavolo, mentre tutti gli altri convitati siedono giù nella navata, nei posti destinati agli "spettatori", senza poter avere alcun rapporto diretto col tavolo della Cena. Il modo migliore per rivendicare il carattere sacrificale della messa è dato dall'atto di volgersi tutti insieme col sacerdote (verso oriente, vale a dire) nella medesima direzione durante la preghiera eucaristica, nel corso della quale viene offerto realmente il santo sacrificio. Il carattere conviviale potrebbe essere invece sottolineato maggiormente nel rito della comunione […].

Secondo la concezione cattolica la messa è ben di più di una comunità riunita per la cena in memoria di Gesù di Nazareth: ciò che è determinante non è realizzare l'esperienza comunitaria, sebbene anche questa non sia da trascurare (cfr. 1Cor 10,17), ma è invece il culto che la comunità rende a Dio. Il punto di riferimento deve essere sempre Dio e non l'uomo, e per questa ragione fin dalle origini nella preghiera cristiana tutti si rivolgono verso di Lui, sacerdote e comunità non possono stare di fronte. Da tutto ciò dobbiamo trarre le dovute conseguenze: la celebrazione versus populum va considerata per quello che in realtà è, una novità, una invenzione di Martin Lutero.

[Mons. Klaus Gamber, "Instaurare omnia in Christo", 2/1990]



Ricostruzione 3D del presbiterio antico di san Pietro a Roma: altro che "versus populum"..!





Una gran bella immagine 3D dal blog "Traditio Liturgica" mostra una ricostruzione piuttosto precisa del presbiterio della basilica costantiniana di San Pietro, come si presentava già dal VII secolo. Come ben chiarisce il post di commento, questa immagine rende immediatamente chiaro come certi discorsi riguardo "sede del celebrante" ben visibile o "altare verso il popolo", nell'antichità romana non avevano il senso che si cerca di imporre a queste parole oggi.
L'iconostasi a cui si appendevano le tende, la soprelevazione dell'altare, il ciborio, tutto mostra come le preoccupazioni degli antichi non erano quelle attuali di "stare tutti attorno all'altare" e "vedere tutto quello che fa il prete". Dopotutto i sacri misteri venivano celebrati sugli "altari", che - come illustra l'immagine - dovevano principalmente corrispondere all'etimologia del loro nome: essere cioè in alto: "alta res".
Leggere e meditare qui il post di Traditio Liturgica

Raffaello così dipinge lo stesso presbiterio in un suo famoso affresco, La donazione di Costantino.

Dal sito NLM che offre approfondimenti sul tema qui trattato.



Caterina63
00venerdì 10 febbraio 2012 18:51
[SM=g1740733]

Il nuovo altare "rivolto al popolo" nelle chiese antiche: ambiguità, contraddizioni e forzature nella prassi e nella normativa.




di don Alfredo M. Morselli


Recentemente il Card. Kurt Koch[1], nel corso di una conferenza svolta presso la facoltà teologica dell’università di Friburgo[2], ha ribadito che “l’attuale odierna pratica liturgica non sempre trova il suo reale fondamento nel Concilio: per esempio, la celebrazione verso il popolo non è mai stata prescritta dal Concilio”[3].

Il Card. Joseph Ratzinger aveva scritto, in proposito, nel 2003:

    Per coloro che abitualmente frequentano la chiesa i due effetti più evidenti della riforma liturgica del Concilio Vaticano Secondo sembrano essere la scomparsa del latino e l'altare orientato verso il popolo. Chi ha letto i testi al riguardo si renderà conto con stupore che, in realtà, i decreti del Concilio non prevedono nulla di tutto questo.

    Non vi è nulla nel testo conciliare sull'orientamento dell'altare verso il popolo; quel punto è stato sollevato solo nelle istruzioni postconciliari. La direttiva più importante si ritrova al paragrafo 262 della Institutio Generalis Missalis Romani, l'Introduzione Generale al nuovo Messale Romano pubblicata nel 1969, e afferma: «L'altare maggiore sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo (versus populum)».

    Le Istruzioni Generali per il Messale, pubblicate nel 2002, mantenevano senza modifiche questa formulazione, tranne per l'aggiunta della clausola subordinata «la qual cosa è desiderabile ovunque sia possibile». In molti ambienti questo venne interpretato come un irrigidimento del testo del 1969, a indicare come fosse un obbligo generale erigere altari di fronte al popolo “ovunque sia possibile”. Tale interpretazione venne tuttavia respinta il 25 settembre 2000 dalla Congregazione per il Culto Divino, che dichiarò come la parola "expedit” (“è desiderabile”) non comportasse un obbligo, ma fosse un semplice suggerimento. La Congregazione afferma che si deve distinguere l'orientamento fisico dall'orientamento spirituale. Anche se un sacerdote celebra versus populum, deve sempre essere orientato versus Deum per Iesum Christum (verso Dio attraverso Gesù Cristo). Riti, simboli e parole non possono mai esaurire l'intima realtà del mistero della salvezza, ed è per questo motivo che la ammonisce contro le posizioni unilaterali e rigide in questo dibattito.

    Si tratta di un chiarimento importante. Mette in luce quanto vi è di relativo nelle forme simboliche esterne della liturgia, e resiste al fanatismo che, purtroppo, non è stato estraneo alle controversie degli ultimi quarant'anni[4].

L’idea generalizzata secondo la quale c’è «un obbligo generale erigere altari di fronte al popolo “ovunque sia possibile”» ha fatto si che in quasi tutte le antiche chiese e cattedrali venisse costruito un nuovo altare maggiore senza rimuovere l’antico.

Ci chiediamo se ciò in realtà è coerente con la nuova normativa post-conciliare, o non sia piuttosto una forzatura, dovuta alle errate convinzioni che un nuovo altare rivolto al popolo sia obbligatorio e che questo non sia altro che l’indicazione del Concilio.


I – La prassi in contrasto con la normativa.

Vediamo cosa prescrive esattamente la normativa vigente:

Nelle chiese già costruite, quando il vecchio altare è collocato in modo da rendere difficile la partecipazione del popolo e non può essere rimosso senza danneggiare il valore artistico, si costruisca un altro altare fisso, realizzato con arte e debitamente dedicato. Soltanto sopra questo altare si compiano le sacre celebrazioni. Il vecchio altare non venga ornato con particolare cura per non sottrarre l'attenzione dei fedeli dal nuovo altare[5].

La prassi abituale è in contrasto con la normativa perché questa prevede la possibilità di un secondo altare fisso soltanto in un caso particolare, ben definito (quando la partecipazione del popolo è resa difficile), mentre in pratica un nuovo altare è stato collocato in quasi tutte le chiese antiche.

La gravità di questa generalizzazione sta tutta nel suo presupposto implicito: con la celebrazione verso l’abside la partecipazione attiva sarebbe sempre resa difficile.

E qui notiamo un duplice errore: in primo luogo si dimentica che partecipazione attiva nella liturgia è la partecipazione al Sacrificio di Cristo.

Scriveva il Card. Joseph Ratzinger nel 1999:

    Il concilio Vaticano II ci ha proposto come pensiero guida della celebrazione liturgica l'espressione participatio actuosa, partecipazione attiva di tutti all’Opus Dei, al culto divino. […] In che cosa consiste, però, questa partecipazione attiva? Che cosa bisogna fare? Purtroppo questa espressione è stata molto presto fraintesa e ridotta al suo significato esteriore, quello della necessità di un agire comune, quasi si trattasse di far entrare concretamente in azione il numero maggiore di persone possibile il più spesso possibile. La parola «partecipazione» rinvia, però, a un'azione principale, a cui tutti devono avere parte. Se, dunque, si vuole scoprire di quale agire si tratta, si deve prima di tutto accertare quale sia questa «actio» centrale, a cui devono avere parte tutti i membri della comunità[6].

E qual è l’azione della liturgia ?

    La vera azione della liturgia, a cui noi tutti dobbiamo avere parte, è azione di Dio stesso[7].

Il Card. Joseph Ratzinger non ha certo detto, nelle sue pur profonde considerazioni, delle novità assolute. Questi stessi concetti erano già stati espressi da Pio XII, nel discorso Vous Nous avez demandé:

    La liturgia della Messa ha come scopo di esprimere sensibilmente la grandezza del mistero che vi si compie, e gli sforzi attuali tendono a farvi partecipare i fedeli nel modo più attivo ed intelligente possibile. Benché questo intento sia giustificato, v'è pericolo di provocare una diminuzione della riverenza, se vien distolta l'attenzione dall'azione principale, per rivolgerla alla magnificenza di altre cerimonie.

    Qual è quest'azione principale del sacrificio eucaristico? Noi ne abbiamo parlato espressamente nell'Allocuzione del 2 novembre 1954. Noi riferivamo in primo luogo l'insegnamento del Concilio di Trento: «In divino hoc sacrificio, quod in Missa peragitur, idem ille Christus continetur et incruente immolatur, qui in ara crucis semel se ipsum cruente obtulit... Una enim eademque est hostia, idem nunc offerens sacerdotum ministerio, qui se ipsum tunc in cruce obtulit, sola offerendi ratione diversa (Conc. Trid., Sess. XXII, cap. 2)» [8].

Commentiamo ora questo brano:

Giusti tutti gli sforzi che tendono a fare partecipare i fedeli nel modo più attivo ed intelligente... Ma… attenzione! – dice il Papa – , non si perda ciò che è principale, cioè la partecipazione all’Azione di Cristo!

Da un lato rimpiangiamo un po’ i pericoli di 50 anni fa: essere distolti dal cuore dell’azione liturgica dalla magnificenza delle cerimonie; oggi i pericoli sono i tanti ben peggiori abusi, accomunati da un comune denominatore: l’azione dell’assemblea viene a prevalere sull’azione di Cristo, sulla sua Immolazione Sacramentale, sul suo offrirsi: è a questa offerta che dobbiamo più che attivamente partecipare.

L’azione esterna, il fare, l’agire, non sono un valore assoluto, ma lo sono in tanto quanto ci permettono di unirci al Santo Sacrificio, tanto quanto ci permettono di essere quella gocciolina di acqua che il Sacerdote mette nel vino: questo gesto esprime come tutta la nostra vita viene sussunta nello stesso Sacrifico di Cristo, quel Sacrificio che realmente si riattualizza sull’Altare.

Se dunque la partecipazione liturgica è soprattutto l’unione al Sacrifico di Cristo, come è possibile che l’altare rivolto all’abside la renda difficoltosa? E come è possibile che per tanti secoli la Chiesa abbia creato difficoltà ai suoi figli in ciò che ha di più sacro? Eppure questo è il presupposto oggettivo della prassi generalizzata.

Vediamo ora il II errore: concediamo all’espressione partecipazione un significato meno tecnico, volendo indicare con essa semplicemente l’attenzione esteriore al rito, la partecipazione ai canti, il coinvolgimento nella gestualità: anche in questo caso, presupporre che, con l’altare rivolto verso l’abside, venga universalmente resa difficile la partecipazione del popolo (condizione necessaria – ricordiamo – per poter collocare un secondo altare fisso) è sempre una forzatura.

Scriveva a questo riguardo il Card. Giacomo Lercaro, in un documento ufficiale del Consilium ad exequendam Consitutionem de Sacra Liturgia:

    In primo luogo, per una liturgia viva e partecipata non è necessario che l’altare sia rivolto al popolo. Tutta la liturgia della parola, nella messa, si celebra alle sedi o all’ambone, e dunque di fronte al popolo; per la liturgia eucaristica, le installazioni di microfoni, ormai comuni, aiutano sufficientemente alla partecipazione.

    Inoltre bisogna tener conto della situazione architettonica e artistica la quale, in molti casi, è del resto protetta da severe leggi civili[9].


II – Altre forzature e incongruenze

Un secondo altare a tutti i costi rivolto al popolo, assunto nella prassi come principio della liturgia conciliare, mal si concilia con altri aspetti del rinnovamento liturgico e con altre norme. Almeno in due casi troviamo di fronte a delle vere e proprie acrobazie giuridiche.


1° principio disatteso: l’altare deve essere unico

Le norme in questo senso parlano chiaro; ecco un paio di esempi:

    L'unico altare, presso il quale si riunisce come in un sol corpo l'assemblea dei fedeli, è segno dell'unico nostro Salvatore Gesù Cristo e dell'unica Eucarestia della Chiesa[10].

    Nelle nuove chiese si costruisca un solo altare che significhi alla comunità dei fedeli l'unico Cristo e l'unica Eucaristia della Chiesa[11].

Il noto liturgista, P. Matias Augé, per ribadire quanto – secondo lui – siano inopportuni gli altari laterali in una chiesa, evoca tutto il pathos di Sant’Ignazio d’Antiochia:

    Accorrete tutti come all’unico tempio di Dio, intorno all’unico altare che è l’unico Gesù Cristo che procedendo dall’unico Padre è ritornato a lui unito” (Ai Magnesii VII,1)[12].

Ma se l’unicità dell’altare impedisce che si possa celebrare rivolti al popolo, allora ecco che un secondo altare diventa lecito. Che fare in questi casi: toglier le tovaglie e non adornare l’altare maggiore precedente. Una sorta di sbattezzo dell’altare.

Nel caso in cui l'altare preesistente venisse conservato, si eviti di coprire la sua mensa con la tovaglia e lo si adorni molto sobriamente, in modo da lasciare nella dovuta evidenza la mensa dell'unico altare per la celebrazione[13]

Ma, chiediamoci, è forse la tovaglia che rende un altare tale? Capolavori d’arte, adornati per secoli con tanta cura, con ricami, con fiori, con ceri, con tovaglie, ora lasciati nudi come non sono mai stati pensati da chi li ha fatti… e tutto perché l’altare deve essere unico, anche quando sono due.


2° principio disatteso: l’altare deve essere fisso

Conviene che in ogni chiesa ci sia l'altare fisso, che significa più chiaramente e permanentemente Gesù Cristo, pietra viva (Cf. 1Pt 2,4; Ef 2,20); negli altri luoghi, destinati alle celebrazioni sacre, l'altare può essere mobile.

    L'altare si dice fisso se è costruito in modo da aderire al pavimento e non poter quindi venir rimosso; si dice invece mobile se lo si può trasportare[14].

E quando non si può celebrare rivolti al popolo, allora anche questo principio è derogato: si faccia l’altare mobile, che però deve essere definitivo.

    L’altare fisso della celebrazione sia unico e rivolto al popolo. Nel caso di difficili soluzioni artistiche per l’adattamento di particolari chiese e presbitèri, si studi, sempre d’intesa con le competenti Commissioni diocesane, l’opportunità di un altare «mobile» appositamente progettato e definitivo[15].

Qualora non sia possibile erigere un nuovo altare fisso, si studi comunque la realizzazione di un altare definitivo, anche se non fisso (cioè amovibile)[16].

Cosa vuol dire altare definitivo e mobile: che sia trasportabile ma che si sempre quello? Oppure che non sia murato definitivamente? Oppure che sia trasportabile, ma lasciato sempre al suo posto?

Questa indicazione sa tanto di acrobazia, per collocare in ogni caso un altare rivolto al popolo, anche quando c’è già un altare maggiore e quando la Sovrintendenza ai beni artistici non permette la costruzione di un nuovo altare fisso.


Conclusioni.

In base a quanto detto, l’idea dell’altare a tutti i costi rivolto al popolo, ritenuta generalmente – a torto – un principio conciliare per eccellenza, ha fatto sì che antiche chiese venissero adeguate indebitamente con un secondo altare fisso. Stando alla lettera della normativa, si tratta di un abuso: abuso pericoloso perché fa intendere che il modo di celebrare per tanti secoli abbia reso difficile la partecipazione del popolo alla liturgia.

Se il Concilio non ha mai parlato di celebrazione verso il popolo, l’idea che l’altare a tutti i costi debba essere ad esso rivolto, e il conseguente riadattamento forzoso degli antichi edifici di culto, non sarà forse uno dei tristi effetti di ciò che Mons. Guido Pozzo, segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ha chiamato ideologia para-conciliare?

    Se il Santo Padre parla di due interpretazioni o chiavi di lettura divergenti, una della discontinuità o rottura con la Tradizione cattolica, e una del rinnovamento nella continuità, ciò significa che la questione cruciale o il punto veramente determinante all’origine del travaglio, del disorientamento e della confusione che hanno caratterizzato e ancora caratterizzano in parte i nostri tempi non è il Concilio Vaticano II come tale, non è l’insegnamento oggettivo contenuto nei suoi Documenti, ma è l’interpretazione di tale insegnamento. […]

    Sta ciò che possiamo chiamare l’ideologia conciliare, o più esattamente para-conciliare, che si è impadronita del Concilio fin dal principio, sovrapponendosi a esso. Con questa espressione, non si intende qualcosa che riguarda i testi del Concilio, né tanto meno l’intenzione dei soggetti, ma il quadro di interpretazione globale in cui il Concilio fu collocato e che agì come una specie di condizionamento interiore nella lettura successiva dei fatti e dei documenti. Il Concilio non è affatto l’ideologia paraconciliare, ma nella storia della vicenda ecclesiale e dei mezzi di comunicazione di massa ha operato in larga parte la mistificazione del Concilio, cioè appunto l’ideologia paraconciliare[17].

Alla chiesa docente la risposta; a chi scrive, membro della chiesa discente, la possibilità di porre rispettosamente la domanda.

Stiatico di San Giorgio di Piano, 9 febbraio 2012

[1] Attualmente presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani e della Commissione per le Relazioni Religiose con gli Ebrei.

[2] http://www.oecumene.radiovaticana.org/ted/Articolo.asp?c=558608 , visitato l’8 febbraio 2012.

[3] “Allerdings lasse sich nicht alles, was heute liturgische Praxis sei, durch Konzilstexte begründen. So sei beispielsweise nirgends die Rede davon, dass der Priester die Eucharistie den Gottesdienstteilnehmern zugewandt leite”.

[4] J. Ratzinger, prefazione a U. M. Lang, Rivolti al Signore. L’orientamento nella preghiera liturgica, Siena: Cantagalli, 2006, p. 7.

[5] Ordinamento Generale del Messale Romano, 2010, § 303.

[6] Joseph Ratzinger, Introduzione alla Spirito della Liturgia, Cinisello Balsamo: San Paolo, 2001, p.167.

[7] Ibidem, p. 169.

[8] Discorso ai partecipanti al 1° Congresso internazionale di Liturgia Pastorale”, del 22 settembre 1956: la traduzione è presa da: Insegnamenti Pontifici, vol VIII, Roma: Pia Società San Paolo, 1959/2, pp. 354-374, passim.

[9] Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia, Lettre circulaire aux Présidents des Conférences Episcopales L’heureux dévelopment pour indiquer quelques problèmes qui ont été soulevés, 25 janvier 1966 : Notitiae 2 (1966), 157-161; EV 2, 610.

[10] Dedicazione della chiesa e dell’altare, Premesse, § 158.

[11] Ordinamento Generale del Messale Romano, 2010, § 303.

[12] http://liturgia-opus-trinitatis.over-blog.it/article-gli-altari-laterali-69559200.html

[13] Nota pastorale della Commissione Episcopale per la Liturgia - CEI L’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, § 17. Molto più decoroso quanto prescrive l’ordinamento generale al § 303: “Il vecchio altare non venga ornato con particolare cura per non sottrarre l'attenzione dei fedeli dal nuovo altare”

[14] Ordinamento Generale del Messale Romano, 2010, § 298.

[15] Principi e norme per l'uso del Messale Romano Precisazioni della Conferenza Episcopale Italiana, § 14.

[16] L’adeguamento delle chiese… § 17.

[17] Aspetti della ecclesiologia cattolica nella recezione del Concilio Vaticano II, conferenza di Mons. Guido Pozzo, Segretario della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei", fatta ai sacerdoti europei della Fraternità San Pietro il 2 luglio 2010 a Wigratzbad; cf. http://www.fssp.org/it/pozzo2010.htm , visitato l’8 febbraio 2012.



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Mai nell’antichità cristiana, sarebbe potuta venire l’idea di mettersi versus populum per presiedere un pasto



«L’idea che la celebrazione versus populum sia stata la celebrazione originaria, e soprattutto quella dell’Ultima Cena, non ha altro fondamento se non un’errata concezione di ciò che poteva essere un pasto, cristiano o meno, nell’antichità.
In nessun pasto dell’inizio dell’era cristiana il presidente di un’assemblea di commensali stava di fronte agli altri partecipanti. Essi stavano tutti seduti, e distesi, sul lato convesso di una tavola a forma di sigma o a ferro di cavallo.
Mai, dunque, nell’antichità cristiana, sarebbe potuta venire l’idea di mettersi versus populum per presiedere un pasto. Anzi, il carattere comunitario del pasto era messo in risalto proprio dalla disposizione contraria, cioè dal fatto che tutti i partecipanti si trovassero dallo stesso lato della tavola».
Louis Bouyer, Architettura e liturgia, p.38
 
tratto da Fides et forma di Francesco Colafemmina


[SM=g1740771] [SM=g1740722]

Caterina63
00lunedì 25 novembre 2013 00:03

"la celebrazione versus populum va considerata per quello che in realtà è, una novità, una invenzione di Martin Luter" (Mons. Klaus Gamber)

 

Versus populum


 
 
L'idea che il sacerdote stia di fronte alla comunità risale senza dubbio a Martin Lutero. […] Prima di Lutero l'idea che il sacerdote quando celebra la messa stia di fronte alla comunità non si trova in nessun testo letterario, né è possibile utilizzare per suffragarla i risultati della ricerca archeologica. […]
Dal punto di vista cattolico, invero, carattere sacrificale e conviviale della messa non sono mai stati in contrasto.
Cena e sacrificio sono due elementi della medesima celebrazione. Certo col mutare dei tempi non sempre essi sono stati espressi con pari forza. […]
Se al giorno d'oggi si desidera dare un rilievo maggiore al carattere di convito della celebrazione eucaristica, va detto che nella celebrazione versus populum questo non è che appaia con la forza che spesso si crede e si vorrebbe.

Infatti soltanto il "presidente" della cena sta effettivamente al tavolo, mentre tutti gli altri convitati siedono giù nella navata, nei posti destinati agli "spettatori", senza poter avere alcun rapporto diretto col tavolo della Cena. Il modo migliore per rivendicare il carattere sacrificale della messa è dato dall'atto di volgersi tutti insieme col sacerdote (verso oriente, vale a dire) nella medesima direzione durante la preghiera eucaristica, nel corso della quale viene offerto realmente il santo sacrificio. Il carattere conviviale potrebbe essere invece sottolineato maggiormente nel rito della comunione […]. Secondo la concezione cattolica la messa è ben di più di una comunità riunita per la cena in memoria di Gesù di Nazareth: ciò che è determinante non è realizzare l'esperienza comunitaria, sebbene anche questa non sia da trascurare (cfr. 1Cor 10,17), ma è invece il culto che la comunità rende a Dio.

Il punto di riferimento deve essere sempre Dio e non l'uomo, e per questa ragione fin dalle origini nella preghiera cristiana tutti si rivolgono verso di Lui, sacerdote e comunità non possono stare di fronte. Da tutto ciò dobbiamo trarre le dovute conseguenze: la celebrazione versus populum va considerata per quello che in realtà è, una novità, una invenzione di Martin Lutero.
 
Mons. Klaus Gamber, in "Instaurare omnia in Christo", 2/1990
 
tratto da: http://cordialiter.blogspot.it/2013/11/versus-populum.html


 
Caterina63
00lunedì 13 gennaio 2014 11:04


 

 
Novus Ordo anche il santo Padre Francesco celebra ad orientem 
 in occasione dei Battesimi - 12 gennaio 2014
 

6421

 


 





 

Caterina63
00martedì 11 marzo 2014 19:26
  HANNO CHIUSO IL CIELO


Editoriale di Radicati nella fedefoglio di collegamento della chiesa di Vocogno e della cappella dell’Ospedale di Domodossola (dove si celebra la S. Messa tradizionale)
anno VII - MARZO 2014 n. 3



È la liturgia che si deve adattare al tempo degli uomini, o è il tempo degli uomini che deve prendere la forma della liturgia cattolica?

Ci sembra che la questione cruciale sia tutta qui.

Un cristianesimo “modernistico” che vede le verità di fede emergere dal profondo della coscienza degli uomini, vorrebbe che la liturgia prendesse le mosse dal vissuto antropologico, dalla vita degli uomini, per celebrare la consapevolezza umana del proprio rapporto con Dio. In fondo è stata questa la linea vincente di questi anni: la liturgia ha sempre di più celebrato l’uomo, anche quando ha celebrato la fede dell’uomo. Insomma, la liturgia si è adattata alla vita del tempo. Risultato? Una tragedia! Dio e le cose eterne praticamente scomparse dalle chiese, per far posto alla fede dei credenti, che esprimono, commentano, interpretano quello che loro vivono nei confronti di Dio. La liturgia riformata parla nel migliore dei casi della Chiesa, ma quasi mai di Dio. E quando parla della Chiesa, lo fa più secondo l’ottica di “Popolo di Dio in cammino” che come “Corpo Mistico di Cristo”.

E guardate che non stiamo parlando di quelle sfacciate para-liturgie tutte sociali e umanamente impegnate dei catto-comunisti degli anni ‘70... parliamo piuttosto di quelle liturgie, di quelle messe, che oggi vanno per la maggiore nell’ufficialità delle diocesi, dove si parla di fede, di comunità credente, di popolo attorno al suo vescovo; di liturgie che celebrano questa comunità, ma nelle quali non si adora Dio presente e non ci si inabissa nel mistero della redenzione. È una sorta di neomodernismo liturgico che ha superato la tentazione marxista del solo impegno del mondo, ma che parlando di fede si sofferma sui credenti, ma non arriva mai a Dio, a Nostro Signore, alle verità eterne, alla questione della salvezza. È come se ci si fosse accorti che non si poteva andare avanti, come anni fa, in un cristianesimo orizzontale, e si è così approdati all'impegno sociale ecclesiale, per edificare la comunità dei credenti. In ogni caso l’errore è sempre lo stesso: partire dall’uomo e chiudere il Cielo.
Ma l’uomo ha proprio bisogno di questa auto-celebrazione della propria fede, o non è fatto piuttosto per inabissarsi in Dio?

No, la liturgia cattolica è cosa totalmente diversa: è l’irruzione del Cielo sulla terra ed è la porta aperta tra il Cielo e la terra!

Se volete tentiamo di dare due eloquenti immagini contrapposte, che dicono due concezioni diverse, molto diverse, del culto: quella di un semplice prete che in una delle tante chiese sparse nell’orbe cattolico celebra, nella quiete della preghiera, rivolto al Crocifisso, l’eterno sacrificio che salva le anime, assistito dalla orante e adorante attenzione dei fedeli, e quella di una rumorosa e festosa comunità, che andando alla messa è preoccupata di “fare comunità esprimendo i propri carismi” (in verità facendo qualcosa perché nelle nuove messe mal si sopporta lo stare fermi) e di mettersi al passo con le direttive dell’operatore pastorale... e che in ultimo farà certo anche la comunione. Sono due concezioni opposte, inconciliabili. Una, quella tradizionale, fa spazio all’azione di Dio, l’altra si sofferma... ma forse, osiamo dire, si ferma all’azione della comunità!

Vedete, le verità di fede non nascono dalla coscienza profonda degli uomini, dal vissuto della comunità che reinterpreta il proprio vissuto alla luce di Dio, ma sono comunicate dalla reale rivelazione di Dio che la Chiesa custodisce e trasmette: la rivelazione discende dal Cielo, non germoglia dalla terra come vorrebbero i modernisti. Così la liturgia porta il Cielo in terra e porta la terra al Cielo. È azione di Dio innanzitutto, e non primariamente azione della Chiesa. La Chiesa riceve l’azione di Dio, la custodisce, la esprime utilizzando certamente tutte le possibilità umane adeguate; salvaguardia la liturgia dalle modifiche errate che possono confondere l’opera di Dio e la trasmette fedelmente custodendola, perché il Cielo resti aperto sugli uomini.

Tutti, praticamente tutti, quando si parla di Movimento Liturgico amano rifarsi a dom Guéranger, il grande abate benedettino che rifondò il monachesimo in Francia dopo la tempesta rivoluzionaria. Con lui si dà inizio al Movimento Liturgico, cioè a quella rinascita dello spirito cristiano che dalla liturgia prende le mosse. Autore prolifico, pensiamo all’Anno Liturgico da lui pubblicato ma non solo, partecipe di tutti i drammi e le battaglie della Chiesa del XIX secolo, ascoltato consigliere di Pio IX... fondatore dell’abbazia di Solesmes.

Ma cosa voleva veramente dom Guéranger? E cosa chiedeva San Pio X, riprendendo con autorevolezza il lavoro del grande benedettino e dando così nuovo vigore proprio al Movimento Liturgico? Volevano che il popolo avesse l’intelligenza delle cose divine (che capisse la liturgia della Chiesa), perché queste penetrassero di nuovo la vita del popolo cristiano. Volevano una grande opera di educazione perché le cose del Cielo tornassero a dare forma alla vita degli uomini.

Ma citiamo dom Guéranger: 
“I misteri del grande sacrificio, dei sacramenti, dei sacramentali, le fasi del ciclo cristiano così feconde in grazia e in luce, le cerimonie, questa lingua sublime che la Chiesa parla a Dio davanti agli uomini; in una parola tutte queste meraviglie torneranno familiari al popolo fedele. L’istruzione cattolica sarà ancora per le masse il grande e sublime interesse che dominerà tutti gli altri; e il mondo tornerà a comprendere che la religione è il primo dei beni per l’individuo, la famiglia, la città, la nazione e per la razza umana tutta intera” (Institutions liturgiques - seconda ediz., t. III cap. 1, pag. 13).

Guéranger, e con lui Pio X con la sua troppo mal citata “partecipazione attiva”, volevano l’esatto contrario di quello che si è fatto dal Concilio in poi. Nel post-concilio la liturgia è stata trasformata per aderire alla vita degli uomini, la Chiesa nel passato ha invece sempre desiderato che la vita degli uomini prendesse forma dalla liturgia cattolica.

Non volevano un abbassamento della liturgia alla vita meramente naturale degli uomini, ma volevano un innalzamento del popolo ai sublimi misteri.

Cosa se ne fa un uomo di una liturgia che gli parla solo delle sue speranze e delle sue fatiche, che gli parla del suo “senso religioso”, ma che non gli parla mai del Cielo? 
È su questo equivoco che tragicamente è fallito il Movimento Liturgico.

Occorre tornare a Guéranger e al vero San Pio X. Ma, a quando questo ritorno?







Caterina63
00lunedì 8 dicembre 2014 21:59

Diocesi di Lincoln (USA) : in Avvento la celebrazione della Messa è “versus Orientem”


 



Nella sua Nota Pastorale ( Bishop's Column ) per il Tempo d'Avvento il Vescovo di Lincoln S.E.R. Mons. James D. Conley ha spiegato l'importanza della celebrazione eucaristica rivolta "ad orientem".

Difatti il Vescovo ha disposto che questo perantiquo orientamento liturgico sia adottato nella sua Cattedrale di Cristo Risorto per tutto il tempo d'Avvento e per la Messa di Natale da lui stesso presieduta.

Il Vescovo ha "anticipato" queste sue sante disposizioni celebrando  la Santa Messa "ad orientem " ( v. foto di Kevin Clark ) anche nella festa di Cristo  Re , molto sentita e partecipata  nella Diocesi di Lincoln .

La Storia della Chiesa insegna che  “ La liturgia, vissuta nel suo vero spirito, è sempre la scuola fondamentale” per farci diventare “ pietre vive nella costruzione della Chiesa e collaboratori della nuova evangelizzazione”. ( Benedetto XVI, Omelia primi Vespri d'Avvento 2012 ) 
Ognuno di noi riesce a percepire sulla propria pelle quanto nel mondo " ci sia una interiore nostalgia di infinito, di trascendenza " ( ibidem). ( Sottolineatura nostra N.d.R.)
L'iniziativa liturgica del Vescovo di Lincoln ci riempie di grande gioia per la grandissima importanza che racchiude : riconosce ed esalta infatti il primato della Liturgia nella vita della Chiesa a beneficio della salvezza delle anime dei fedeli come il Magistero della Santa Madre Chiesa ha sempre insegnato. 
La Santa Liturgia ha anche il potere di restaurare e di ripristinare nel primitivo splendore l'immagine del Sacerdote, spesso snaturata ed adulterata  nell'innaturale ruolo di "capo-popolo-demagogo- sindacalista-assistenzialista".  
Attraverso il "vivere quotidianamente la Santa Liturgia " il Sacerdote potrà  sperimentare : " che Gesù Cristo è l’unico Signore del cosmo e della storia, senza il quale ogni costruzione umana rischia di vanificarsi nel nulla" ( Benedetto XVI, cit)  .


Επίσης, σε μας τους αμαρτωλούς ( A.C.)  
 
 


Nota Pastorale del Vescovo di Lincoln S.E.R. Mons. James D. Conley 

Guardando verso est " 
 
 
Gesù Cristo ritornerà in gloria alla terra. 
 
Non sappiamo quando tornerà. 
Ma Cristo ci ha promesso che sarebbe tornato nella gloria " come la luce proviene da est " per portare al suo compimento il piano di redenzione di Dio . 
Nel 2009, il vescovo Edward Slattery, di Tulsa, Oklahoma, scrisse che "l'alba della redenzione è già avvenuta, ma il sole di Cristo Signore non è ancora sorto in cielo.
" Nella Chiesa primitiva, i cristiani aspettavano che Cristo sarebbe presto ritornato , ogni giorno era propizio per il ritorno del Signore. 
C'era la speranza dell’attesa. 
 Erano vigili e guardavano il cielo verso Oriente (est) aspettando Cristo. 
E perché non sapevano quando Egli sarebbe tornato, hanno proclamato il Vangelo ( toto orbe terrarum N.d.R) con fede ed entusiasmo avendo in cuore la speranza di portare tutte le genti alla salvezza prima del ritorno di Cristo. 
E 'stato quasi duemila anni fa da quando Cristo è asceso al cielo. 
Ora è più facile dimenticare che Egli tornerà di nuovo fra noi. 
 Ora è diventato più facile dimenticare che dobbiamo stare nella condizione di vigilante attesa guardando verso il cielo essere pronti per il Suo ritorno. 
Nel tempo di Avvento meditiamo l'Incarnazione di Cristo e il Suo Natale ricordandoci parimenti di essere preparati per la Sua venuta . 
Nel Vangelo per la prima Domenica di Avvento di quest'anno, il 30 novembre, Cristo come ai suoi Discepoli ci dice "di essere vigili ." 
"Voi non sapete quando il Signore della casa arriverà", dice Gesù. 
"Che non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati." 
Ricordiamo che Cristo è in arrivo ogni volta che celebriamo il Santo Sacrificio della Messa.
Nella Santa Messa siamo fatti presenti al sacrificio del Calvario, e contempliamo con intima gioia la gloria di Cristo Re dell'Universo. 
 
Continua QUI


 ( Fonte :  New liturgical Movement ) Foto : Kevin Clark.




 
 

Caterina63
00venerdì 21 agosto 2015 10:14

Benedetto XVI diede l'esempio e scrisse la Sacramentum Caritatis per suffragare la Norma della Chiesa, e venne respinto, bastonato, oltraggiato, umiliato.... Auspichiamo al cardinale Sarah di avere più successo di Benedetto per il bene della Chiesa e dei Fedeli stessi   







Il cardinale Robert Sarah: 
“Basta con l’intrattenimento nelle liturgie, così non c’è più posto per Dio”

 

Il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti, nel corso di un intervento sull’Osservatore Romano, si è espresso in maniera dura nei confronti delle modifiche liturgiche che in molte chiese vengono introdotte dai sacerdoti: “Su questi punti – scrive – l’insegnamento del Concilio Vaticano II è stato spesso distorto.” In particolare, Sarah ha affermato che “il celebrante non è il conduttore di uno spettacolo” riprendendo il pensiero di papa Francesco. “Non deve cercare il sostegno dell’assemblea, stando di fronte a loro come se le persone dovessero primariamente entrare in dialogo con lui. Al contrario, entrare nello spirito del Concilio significa stare nel nascondimento, rinunciare alle luci della ribalta.”

Il cardinale Sarah chiede che si torni ad uno stile liturgico più tradizionale, in cui il prete, invece di rivolgersi all’assemblea, si rivolga verso est, “ad orientem”, la direzione da cui Cristo arriverà durante la sua seconda venuta.“Contrariamente a quanto dicono alcuni talvolta, è in piena conformità con la costituzione conciliare che tutti, prete ed assemblea, si girino insieme verso est durante il rito penitenziale, il canto del Gloria, le orazioni e la preghiera eucaristica, per esprimere il desiderio di partecipare all’opera di redenzione compiuta da Cristo. Questa pratica potrebbe essere reintrodotta innanzitutto nelle cattedrali, dove la vita liturgica dovrebbe essere di esempio per tutti.” Inoltre, per Sarah, il secolarismo ha infettato la liturgia: “Una lettura troppo umana ha portato alla conclusione che il fedele deve essere costantemente occupato.”

Sarah nota che troppo spesso il sacerdote cerca di tenere alta l’attenzione dell’assemblea con modalità per nulla ortodosse. “Il modo di pensare occidentale, infarcito dalla tecnologia e deviato dai media, vorrebbe trasformare la liturgia in una vera e propria produzione da spettacolo. In questo spirito, molti hanno cercato di rendere le celebrazioni delle feste. A volte i sacerdoti introducono nelle celebrazioni elementi di intrattenimento. Non abbiamo forse visto la proliferazione di testimonianze, scenette, applausi? Immaginano di allargare la partecipazione dei fedeli, mentre, nei fatti, riducono la liturgia ad una cosa del tutto umana. Corriamo il reale rischio di non lasciare spazio per Dio nelle nostre celebrazioni.”


 


LITURGIA
Una messa con orientamento ad Deum
 

Appello del Prefetto per il Culto Divino Sarah per riportare dal prossimo Avvento la celebrazione con un comune orientamento di fedeli e sacerdote. Poi l'annuncio che Papa Francesco gli ha chiesto di studiare una "riforma della riforma e di come arricchire a vicenda le due forme del Rito Romano". 

di Lorenzo Bertocchi

Secondo il Catholic Herald la proposta del cardinale Sarah alla conferenza “Sacra Liturgia” tenutasi a Londra in questi giorni, è la maggiore novità in campo liturgico dopo il Motu Proprio Summorum pontificum di Benedetto XVI. «E' molto importante» ha detto il prefetto della Congregazione vaticana per il Culto divino «tornare al più presto possibile a un orientamento comune, di sacerdoti e fedeli insieme nella stessa direzione - verso est, o almeno verso l'abside - verso il Signore che viene. Vi chiedo di attuare questa pratica per quanto possibile». Ha detto ai sacerdoti di «avere fiducia che si tratta di qualcosa di buono per la Chiesa», e ha anche suggerito di cominciare concretamente la prima domenica di Avvento, il 27 novembre. A questo suggerimento è partito un lunghissimo applauso dei presenti all'incontro londinese.

Proprio questo suggerimento del 27 novembre appare come una prima novità introdotta da Sarah, visto che già in altre occasioni il prefetto aveva caldeggiato chiaramente il culto ad orientem dall'Offertorio in poi. Ma c'è un'altra novità che appare interessante.

Correva l'anno 2007 quando papa Ratzinger riconsegnava “piena cittadinanza” al rito della messa di S. Pio V, nella versione edita da S. Giovanni XXIII. Un intervento che si collocava nel più ampio movimento della cosiddetta “riforma della riforma” liturgica che il pontificato di Benedetto XVI pareva voler accompagnare. Perché, scriveva Ratzinger nella lettera che spiegava il Motu proprio, «le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda», una formula questa molto usata negli ambienti del movimento della “riforma della riforma”, a cui non erano state risparmiate critiche da ambienti tradizionalisti. Critiche, ovviamente, che non erano mancate nemmeno dagli ambienti più progressisti che, con molta virulenza, vedevano questo nuovo movimento liturgico come fumo negli occhi.

Ora, nell'intervento al convegno di “Sacra Liturgia”, il cardinale Sarah ha detto che Papa Francesco gli ha espressamente chiesto di iniziare uno studio proprio sulla “riforma della riforma”, con l'obiettivo di «arricchire le due forme del rito romano». Questa ci pare davvero la novità più interessante dell'intervento a Londra del prefetto al Culto Divino, al di là della proposta del 27 novembre. Ecco le parole precise pronunciate al proposito dal cardinale guineiano:

«Quando sono stato ricevuto in udienza dal Santo Padre lo scorso aprile, ha detto Sarah, Papa Francesco mi ha chiesto di studiare la questione di una riforma della riforma e di come arricchire le due forme del rito romano. Questo sarà un lavoro delicato che richiede pazienza e preghiera. Ma se vogliamo implementare Sacrosantum concilium più fedelmente, se vogliamo raggiungere ciò che il Concilio desiderava, questa è una questione seria che deve essere attentamente studiata e per cui occorre agire con la necessaria chiarezza e prudenza».

In questo senso il cardinale ha rilevato che «molti gravi fraintendimenti» si sono insinuati nella liturgia post-conciliare, causati sopratutto da un atteggiamento che mette al centro l'uomo anziché Dio. Tra l'altro il porporato africano ha insistito sull'atteggiamento di raccoglimento in ginocchio durante la consacrazione e per la ricezione dell'Eucaristia. Un altra chiara indicazione l'ha riferita alla necessità di provvedere al più presto ad un rinnovamento della formazione liturgica del clero, tra cui ha segnalato la buona prassi di insegnare la forma straordinaria del rito romano per poter sviluppare un completo spirito liturgico del sacerdote.

Il riferimento di fondo per lo studio della “riforma della riforma” viene indicato in quella ermeneutica della continuità più volte richiamata da papa Bendetto XVI nei suoi interventi relativi alla interpretazione del Vaticano II, in particolare, ha detto Sarah, occorre attuare pienamente la costituzione Sacrosantum conciliumperchè «i Padri non intendevano una  rivoluzione, ma una evoluzione».

 


RATZINGER: LA CELEBRAZIONE VERSUS POPULUM È UN SUGGERIMENTO, NON UN OBBLIGO

Ratzinger: la celebrazione versus populum è un suggerimento, non un obbligo

di Joseph Ratzinger, prefazione aRivolti al Signore. L’orientamento nella preghiera liturgica, di Uwe Michael Lang  (II edizione rivista e corretta, Cantagalli, Siena 2008, pp. 7-10)

 

Per coloro che abitualmente frequentano la chiesa, i due effetti più evidenti della riforma liturgica del Concilio Vaticano Secondo sembrano essere la scomparsa del latino e l’altare orientato verso il popolo. Chi ha letto i testi al riguardo si renderà conto con stupore che, in realtà, i decreti del Concilio non prevedono nulla di tutto questo. Certo, l’uso della lingua corrente è consentito, soprattutto per la Liturgia della Parola, ma la precedente regola generale del Concilio afferma: “L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini” (Sacrosanctum Concilium 36.1). Non vi è nulla nel testo conciliare sull’orientamento dell’altare verso il popolo; quel punto è stato sollevato solo nelle istruzioni postconciliari. La direttiva più importante si ritrova al paragrafo 262 della Institutio Generalis Missalis Romani, l’Introduzione Generale al nuovo Messale Romano pubblicata nel 1969, e afferma: “L’altare maggiore sia costruito staccato dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo (versus populum)”.

Le Istruzioni Generali per il Messale, pubblicate nel 2002, mantenevano senza modifiche questa formulazione, tranne per l’aggiunta della clausola subordinata “la qual cosa è desiderabile ovunque sia possibile”. In molti ambienti questo venne interpretato come un irrigidimento del testo del 1969, a indicare come fosse un obbligo generale erigere altari di fronte al popolo “ovunque sia possibile”. Tale interpretazione venne tuttavia respinta il 25 settembre 2000 dalla Congregazione per il Culto Divino, che dichiarò come la parola “expedit” (“è desiderabile”) non comportasse un obbligo, ma fosse un semplice suggerimento. La Congregazione afferma che si deve distinguere l’orientamento fisico dall’orientamento spirituale. Anche se un sacerdote celebra versus popolum, deve sempre essere orientato versus Deum per Iesum Christum (verso Dio attraverso Gesù Cristo). Riti, segni, simboli e parole non possono mai esaurire l’intima realtà del mistero della salvezza, ed è per questo motivo che la Congregazione ammonisce contro le posizioni unilaterali e rigide in questo dibattito.

Si tratta di un chiarimento importante. Mette in luce quanto vi è di relativo nelle forme simboliche esterne della liturgia, e resiste al fanatismo che, purtroppo, non è stato estraneo alle controversie degli ultimi quarant’anni. Sottolinea nel contempo la direzione intima dell’azione liturgica, che non è mai possibile esprimere nella sua totalità per mezzo di forme esteriori. Tale direzione intima è comune al sacerdote e ai fedeli: verso il Padre attraverso Cristo nello Spirito Santo. La risposta della Congregazione dovrebbe ora agevolare un nuovo dibattito più disteso, nel corso del quale sia possibile cercare il modo migliore per mettere in pratica il mistero della salvezza. Tale ricerca va compiuta non condannandosi reciprocamente, ma ascoltando attentamente gli uni gli altri e, fattore ancor più importante, ascoltando la guida intima della liturgia stessa. Non si giunge ad alcun risultato etichettando le posizioni come “preconciliari”, “reazionarie”, “conservatrici” oppure come “progressiste” ed “estranee alla fede”; serve una nuova apertura reciproca alla ricerca del migliore compimento del memoriale di Cristo.

Questo piccolo libro di Uwe Michael Lang, membro della Congregazione dell’Oratorio di S. Filippo Neri a Londra, studia l’orientamento della preghiera liturgica dal punto di vista storico, teologico e pastorale. Mi sembra che questo libro riprenda, al momento propizio, un dibattito che, malgrado le apparenze contrarie, non si è mai spento, neppure dopo il Concilio Vaticano Secondo. Il liturgista di Innsbruck Josef Andreas Jungmann, uno degli artefici della Costituzione del Concilio sulla Sacra Liturgia, si oppose risolutamente fin dal principio al polemico luogo comune in base al quale il sacerdote, in precedenza, celebrava “volgendo le spalle al popolo”; sottolineò infatti come il punto in discussione non fosse il sacerdote con le spalle ai fedeli, ma al contrario il fatto che si voltasse nella stessa direzione dei fedeli. La Liturgia della Parola ha il carattere di proclamazione e di dialogo, al quale possono correttamente appartenere il discorso e la risposta. Nella Liturgia eucaristica, tuttavia, il sacerdote guida il popolo nella preghiera ed è rivolto, insieme ai fedeli, verso il Signore.

Per questo motivo, sosteneva Jungmann, la direzione comune della preghiera del sacerdote e del popolo è intrinsecamente confacente e appropriata all’azione liturgica. Louis Bouyer, uno dei massimi liturgisti del Concilio insieme a Jungmann, e Klaus Gamber, ciascuno a suo modo, si sono posti la stessa domanda. Malgrado la loro grande reputazione, in principio non riuscirono a far sentire la loro voce: era troppo forte la tendenza a sottolineare il fattore comunitario della celebrazione liturgica, quindi a considerare assolutamente necessario il fatto che sacerdote e fedeli fossero rivolti l’uno verso gli altri.

In tempi più recenti l’atmosfera si è rilassata ed è stato possibile riprendere le domande che si erano posti Jungmann, Bouyer e Gamber senza essere immediatamente tacciati di sentimenti anticonciliari. La ricerca storica ha reso la controversia meno faziosa, e fra i fedeli cresce sempre più la sensazione dei problemi che riguardano una disposizione che difficilmente mostra come la liturgia sia aperta a ciò che sta sopra di noi e al mondo che verrà. In questa situazione il libro di Lang, piacevolmente oggettivo e assolutamente privo di polemica, è una guida preziosa.

Senza avere la pretesa di offrire nuovi e grandiosi spunti, presenta con cura i risultati delle recenti ricerche e offre il materiale necessario a sviluppare un giudizio informato. Il libro è particolarmente prezioso perché mostra il contributo dato al problema della Chiesa d’Inghilterra e tiene nella debita considerazione l’Oxford Movement del XIX secolo, il movimento nel quale maturò la conversione di John Henry Newman. Da queste testimonianze storiche l’autore ricava le risposte teologiche che propone, e spero che il libro, opera di un giovane studioso, possa essere di aiuto nella lotta, necessaria in ogni generazione, per la corretta interpretazione e la degna celebrazione della sacra liturgia. Mi auguro che il libro trovi un vasto pubblico di lettori attenti. 





Caterina63
00sabato 29 aprile 2017 23:11


Messe latine antiche nelle Venezie 
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La celebrazione "versus populum"

di mons. Klaus Gamber

 

Ripubblichiamo, riveduta e corretta, la traduzione a cura di Fabio Marino di questo magistrale saggio sul c. d. altare verso il popolo, già apparso in Chiesa viva, n. 197, 1989, 16-18, e in Notizie, n. 146, 1989, 1-5, dedicandola alla venerata memoria di mons. Vittorio Toniutti, amico di Instaurare e strenuo difensore della sacra liturgia romana. Titolo originale Die Zelebration "versus populum", in Ritus modernus. Gesammelte Aufsätze zur Liturgiereform, Regensburg, Pustet, 1972, pp. 21-29.

Instaurare

Nelle sue Direttive per la disposizione della casa di Dio secondo lo spirito della liturgia romana del 1949 Th. Klauser rilevava che "diversi indizi inducono a ritenere che nella chiesa del futuro il sacerdote riprenderà il suo posto di un tempo dietro l'altare e celebrerà rivolto verso il popolo come ancor oggi avviene nelle antiche basiliche romane: il desiderio ovunque manifesto di esprimere con maggiore evidenza la comunione della mensa eucaristica sembra esigere una tale soluzione" (n. 8).

Ciò che allora Klauser presentava come auspicabile è diventata nel frattempo regola largamente applicata. È opinione comune che si sia in tal modo rinnovato un uso della Chiesa primitiva. Ora questo corrisponde alla realtà?

Nel presente scritto [1] verrà dimostrato come nella Chiesa non è mai esistita la celebrazione versus populum. L'idea che il sacerdote stia di fronte alla comunità risale senza dubbio a Martin Lutero. Egli infatti scrive nel suo opuscolo Messa tedesca e ordinamento del culto divino del 1526, all'inizio del capitolo "La domenica per i laici": "Manteniamo dunque i paramenti della messa, l'altare, le candele così come sono, finché non scompariranno da sé oppure non ci piaccia di modificarli. Se qualcuno però vorrà agire diversamente lasciamoglielo fare. Ma nella vera messa tra puri cristiani l'altare non dovrebbe rimanere così come è ora e il sacerdote dovrebbe sempre rivolgersi al popolo, come senza dubbio ha fatto Cristo nell'ultima Cena". Ora ciò si compirà a  suo tempo".

Per variare la posizione del sacerdote all'altare il Riformatore si richiama a quanto fece Cristo nell'ultima Cena. Ma, come risulta evidente, Lutero aveva davanti agli occhi le rappresentazioni pittoriche comuni ai suoi tempi: Gesù sta o siede al centro di un grande tavolo con gli apostoli alla sua destra e alla sua sinistra. La più celebre raffigurazione di tal genere è l'affresco di Leonardo da Vinci.

Ma Gesù occupò realmente quel posto? Certamente no, in quanto ciò sarebbe stato in contraddizione con gli usi conviviali degli antichi. Al tempo di Gesù e nei secoli seguenti il tavolo era rotondo oppure a forma di sigma (semicerchio). La parte anteriore del medesimo rimaneva libera per consentire il servizio delle vivande: i commensali sedevano o giacevano all'emiciclo posteriore del tavolo, servendosi assai spesso di un banco a forma di sigma. In origine il posto d'onore non era al centro, come si potrebbe credere, bensì al lato destro (in cornu dextro).

Tale disposizione dei posti la ritroviamo regolarmente nelle più antiche raffigurazioni dell'ultima Cena fino in pieno medioevo [2]. Gesù giace o diede sempre al lato destro del tavolo. Solo all'incirca a partire dal XIII secolo comincia a imporsi un nuovo modello: il posto di Gesù è ora al lato posteriore del tavolo in mezzo agli apostoli. Ciò sembrerebbe effettivamente una celebrazione versus populum, ma in realtà non lo era affatto, perché il "popolo" cui il Signore avrebbe dovuto rivolgersi, come si sa, nel Cenacolo non c'era. Quindi l'argomentazione di Lutero si rivela inconsistente.

Fino al III-IV secolo, quando il numero dei membri della comunità era ancora limitato, nella celebrazione eucaristica si imitava fedelmente l'ultima Cena assumendo la medesima disposizione dei posti di allora. Ciò lo dimostrano con tutta evidenza numerosi ritrovamenti di chiese domestiche, risalenti ancora al IV-V secolo, nella regione alpina e danubiana.. In dette chiese, al centro di uno spazio relativamente ridotto (ca. 9 per 17 m), troviamo un banco di pietra a forma semicircolare dai cinque ai sette metri di diametro, che poteva accogliere circa venticinque persone. Abbiamo trattato diffusamente questo argomento in uno studio particolare [3].

Nelle città ove il numero dei fedeli era maggiore la celebrazione doveva richiedere più tavoli: a uno di essi sedeva il vescovo con i presbiteri, agli altri gli uomini e le donne. Che si assumesse una tale disposizione è testimoniato dalla Didascalia degli Apostoli, risalente al III secolo (II 57,2-58,6) [4].

Nel successivo stadio di sviluppo i tavoli dei laici scompaiono e rimane unicamente quello del vescovo. L'originario tavolo della Cena di legno diventa ora un altare di pietra. Dove prima tutti i fedeli sedevano invece a un unico tavolo, lo spazio in origine assai ridotto dell'aula venne ampliato in ragione della forte crescita delle comunità registratasi all'inizio del V secolo. Coloro che partecipavano alla liturgia sedevano ora su banchi posti lungo le pareti della chiesa, secondo l'uso praticato nelle sinagoghe. Questi banchi non erano che il prolungamento del banco a forma di sigma ove ormai prendeva posto soltanto il vescovo con il clero.

Ora un'altra domanda che si pone è la seguente: quando il celebrante si recava all'altare per la celebrazione del sacrificio, stava dalla parte anteriore oppure dalla parte posteriore del medesimo? Di per sé sarebbe naturale pensare che dal suo posto al centro del banco egli si recasse per la via breve al lato posteriore dell'altare, e che quindi il suo posto fosse dietro l'altare. In tal caso si avrebbe una celebrazione versus populum.

Ma noi sappiamo che il criterio per determinare la posizione del sacerdote all'altare era ben diverso: esso era dato dall'orientamento. L'usanza di pregare verso il sole che sorge è antichissima [5]. Nel sole nascente si vedeva il simbolo del Signore che ascende al cielo e che dal cielo ritorna. Anche questa idea la ritroviamo nella già citata Didascalia degli Apostoli (II 57,6): Versus orientem oportet vos orare, sicut et scitis, quod scriptum est: date laudem Deo qui ascendit in caelum caeli ad orientem (Ps 67,33-34).

Perché durante la celebrazione i raggi del sole nascente potessero cadere all'interno della chiesa, nel secolo IV l'ingresso della maggior parte delle basiliche occidentali era posto non già a occidente, come sarà in seguito uso generale, bensì a oriente. Ciò si può constatare ancor oggi nelle basiliche maggiori di Roma: durante le funzioni liturgiche le tre porte d'ingresso dovevano evidentemente restare aperte per far entrare la luce del sole.

In una basilica con tali caratteristiche il celebrante, per guardare verso oriente durante il santo sacrificio, doveva porsi dietro l'altare. Ne risulta una apparente celebrazione versus populum. Non dobbiamo però dimenticare che i fedeli presenti non stavano nella navata centrale, come troppo spesso si crede, ma in quelle laterali, e guardavano anch'essi a oriente. La Liturgia egiziana di Marco conosce pure un invito del diacono in tal senso: "Guardate a oriente!". Dunque nelle basiliche occidentate del IV secolo la comunità radunata per la celebrazione del santo sacrificio formava una semicirconferenza aperta a oriente il cui punto medio era rappresentato dal vescovo (o dal sacerdote) celebrante. È significativo che anche qui abbiamo il semicerchio al pari di quando i fedeli sedevano insieme al banco a forma di sigma nella Cena del Signore delle origini cristiane.

Pertanto è assolutamente da escludere che nelle basiliche del IV secolo il sacerdote stesse di fronte alla comunità per la celebrazione del sacrificio. A fare ciò è stato per la prima volta il movimento liturgico degli anni venti e trenta, che come Lutero ha propagato la celebrazione versus populum. Pius Parsch, il benemerito zelatore della "liturgia popolare", già negli anni trenta, quando a Klosterneuburg venne risistemata la chiesetta di St. Gertrud, vi adattò l'altare in modo da poter celebrare verso il popolo.

Ora se la posizione del celebrante tra l'abside e l'altare nelle basiliche del IV secolo era determinata unicamente dall'esigenza di rivolgersi ad orientemper pregare, la questione affrontata da Nußbaum nel suo ampio volume Il posto del liturgo all'altare cristiano prima dell'anno 1000 [6], fino a quando sia rimasta in uso nella Chiesa la celebrazione versus populum, così impostata è un falso problema.

Quando nel V secolo si cominciò a orientare non più la porta della chiesa ma l'abside, anche la posizione del sacerdote all'altare dovette di conseguenza mutare: d'ora in poi egli starà rivolto verso l'abside con le spalle alla comunità. Jungmann osservava in proposito: "Il sacerdote dunque sta alla testa del popolo, non versus populum. L'intera comunità è come una grande processione che cammina verso oriente, verso il sole, incontro a Cristo Signore guidata dal sacerdote per offrire insieme con lui il sacrificio a Dio" [7].

Alquanto diversa era la situazione in alcune antiche chiese del Nordafrica e dell'Italia settentrionale, per esempio Ravenna. Qui vi è sì l'abside rivolto a oriente, ma l'altare si trova non già vicino a quest'ultimo ma quasi esattamente al centro della navata. Tutto lo spazio tra l'altare e l'abside formava il presbiterio. I fedeli trovavano posto nelle navate laterali, come nelle basiliche, il che corrisponde all'uso di sedere ai banchi laterali nelle piccole chiese a sala.

Poiché il celebrante stando all'altare guardava sempre a oriente, quindi verso l'abside, in queste chiese egli non stava alla testa del popolo ma, analogamente a quanto avveniva nelle basiliche occidentate del IV secolo, era invece il centro di un grande semicerchio aperto verso oriente formato dai fedeli che partecipavano al sacrificio.

Qui bisogna rispondere a una obiezione: Klauser e Nußbaum che lo segue ritengono che ben presto "l'altare, luogo della teofania sarebbe diventato al tempo stesso anche il termine di riferimento per l'orientamento", quindi sarebbe stato naturale "rivolgersi verso l'altare, anche se in tal modo il liturgo in una chiesa orientata con l'abside avesse dovuto guardare a occidente" [8].

Inoltre Nußbaum pensa che qualora tra la parete absidale o il trono del vescovo e l'altare vi fosse spazio sufficiente per il sacerdote celebrante, se ne dovrebbe concludere che quest'ultimo appunto in tale spazio avrebbe avuto il suo posto, e quindi stando all'altare avrebbe guardato versus populum.

Ciò significa proiettare nell'antichità concezioni moderne. Infatti non esiste neppure una fonte letteraria che testimoni questo peculiare valore simbolico dell'altare e che lo indichi come il termine dell'orientamento. Le testimonianze archeologiche addotte da Nußbaum non sono affatto univoche e non possono dimostrare l'esistenza di alcuna celebrazione verso il popolo.

Comunque il rigoroso orientamento delle chiese, che troviamo a partire dal IV-V secolo, sarebbe senza senso se non fosse in relazione con il verso della preghiera. Si può affermare in generale che ogni qual volta una chiesa ha l'abside a oriente, il posto del sacerdote è ante altare, in modo che durante l'offerta del sacrificio possa rivolgere lo sguardo a oriente.

Prima di Lutero l'idea che il sacerdote quando celebra la messa stia di fronte alla comunità non si trova in nessun testo letterario, né è possibile utilizzare per suffragarla i risultati della ricerca archeologica [9].

L'espressione specifica versus populum compare per la prima volta nel Ritus servandus in celebratione Missae annesso al Missale Romanumpromulgato nel 1570 per ordine di papa san Pio V. Al cap. V 3 vi viene contemplato il caso in cui "l'altare sia rivolto a oriente (ma non verso l'abside, bensì) verso il popolo" (altare sit ad orientem versus populum), cosa che avviene nelle basiliche maggiori e in alcune altre chiese dell'Urbe.

L'accento è posto sulla qualificazione ad orientem, mentre versus populum non è altro che un'aggiunta chiarificatrice relativa alla disposizione immediatamente seguente, ove è previsto che in tal caso il celebrante non si volti al Dominus vobiscum (non vertit humeros ad altare), dato che si trova già rivolto al popolo.

Che cosa accade in proposito nella Chiesa orientale? Anche qui non esistette mai una forma di celebrazione versus populum, anzi addirittura vi manca una espressione corrispondente. È interessante rilevare che nella concelebrazione, che come è noto in Oriente ha una lunga tradizione, il celebrante principale sta di regola con le spalle al popolo mentre i concelebranti si pongono alla sua destra e alla sua sinistra: in nessun caso prendono posto sul lato posteriore dell'altare.

L'argomento decisivo relativo alla posizione che il sacerdote deve assumere all'altare è dato, come si è accennato più volte, dal carattere sacrificale della messa.  Il sacrificatore si rivolge sempre verso colui al quale offre il sacrificio. Secondo la concezione del cristianesimo antico ciò si pratica volgendo lo sguardo a oriente.

Ora è cosa ben nota che il carattere sacrificale della messa è stato negato da Lutero. Parecchi teologi e liturgisti cattolici alla moda oggi negano il sacrificio, anche se in maniera indiretta: preferiscono porlo in secondo piano, sottolineando per contro col massimo vigore il carattere conviviale della celebrazione.

Dal punto di vista cattolico, invero, carattere sacrificale e conviviale della messa non sono mai stati in contrasto. Cena e sacrificio sono due elementi della medesima celebrazione. Certo col mutare dei tempi non sempre essi sono stati espressi con pari forza. Nei primi tre secoli dominò chiaramente il carattere di banchetto eucaristico, che trovò la sua espressione nel fatto di sedere in comune al tavolo della Cena. Del resto a quest'epoca l'eucaristia era ancora strettamente legata all'agape. Però già intorno all'anno 100 l'atto dello "spezzare il pane" domenicale viene espressamente indicato come un sacrificio nella Didaché (XIV 2).

Se al giorno d'oggi si desidera dare un rilievo maggiore al carattere di convito della celebrazione eucaristica, va detto che nella celebrazione versus populum questo non è che appaia con la forza che spesso si crede e si vorrebbe. Infatti soltanto il "presidente" della cena sta effettivamente al tavolo, mentre tutti gli altri convitati siedono giù nella navata, nei posti destinati agli "spettatori", senza poter avere alcun rapporto diretto col tavolo della Cena.

Il modo migliore per rivendicare il carattere sacrificale della messa è dato dall'atto di volgersi tutti insieme col sacerdote (verso oriente, vale a dire) nella medesima direzione durante la preghiera eucaristica, nel corso della quale viene offerto realmente il santo sacrificio. Il carattere conviviale potrebbe essere invece sottolineato maggiormente nel rito della comunione, e non occorre insistere qui sulla opportunità che il sacerdote o il lettore stia di fronte alla comunità nella proclamazione della parola di Dio.

Secondo la concezione cattolica la messa è ben di più di una comunità riunita per la cena in memoria di Gesù di Nazareth: ciò che è determinante non è realizzare l'esperienza comunitaria, sebbene anche questa non sia da trascurare (cfr. 1Cor 10,17), ma è invece il culto che la comunità rende a Dio.

Il punto di riferimento deve essere sempre Dio e non l'uomo [10], e per questa ragione fin dalle origini nella preghiera cristiana tutti si rivolgono verso di Lui, sacerdote e comunità non possono stare di fronte.

Da tutto ciò dobbiamo trarre le dovute conseguenze: la celebrazione versus populum va considerata per quello che in realtà è, una novità, una invenzione di Martin Lutero.

Appendice. Contro le mie argomentazioni ha preso posizione O. Nutßbaum, in Zeitschrift für katholische Theologie 93 (1971), 148-167. Tuttavia egli non è riuscito a confutare la mia tesi, ma al più ad apportarvi qualche minima correzione. In altra occasione gli risponderò diffusamente. Degno di nota è l'articolo di M. Metzger, La place des liturges à l'autel, in Revue des sciences religieuses 45 (1971), 113-145, ove viene profondamente criticato il libro del Nußbaum citato nel testo e confermata in tutto e per tutto la mia tesi, senza che per altro l'autore avesse conoscenza del mio scritto. Nelle conclusioni egli formula una proposta assai simile alla mia, quando scrive: "Les positions de liturge pourraient être les suivantes: se tourner vers l'assemblee lorsqu'il s'adresse à celle, c'est-à-dire lors des salutations ... , lorsqu'il annonce la Parole de Dieu et lors de la distribution de la comunion; se tourner vers l'abside pour toutes les prières" (p. 143).


[1] Apparso in Anzeiger für die katholische Geistlichkeit 79 (1970), 355-359; riprodotto in Die Entscheidung. Blätter kathol. Lebens Nr. 14 (1970), 10-11; Una Voce - Korrespondenz (1970/71), 102-108.

[2] Cfr. Kl. Wessel, Abendmahl und Apostelkommunion, Recklinghausen 1964.

[3] Cfr. Kl. Gamber, Domus ecclesiae. Die altesten Kirchenbauten Aquilejas sowie im Alpen- und Donaugebiet bis zum Beginn des 5. Jh. liturgiewissenschaftlich untersucht, "Studia patristica et liturgica 2", Regensburg 1968.

[4] Cfr. Id., Die frühchristliche Hauskirche nach Didascalia Apostolorum II, 57, 1 - 58, 6, in "Studia Patristica X, Texte und Untersuchungen", Berlin 1970, 337-344.

[5] Cfr. Fr. J. Dölger, Gebet und Gesang im christliche Altertum mit besonderer Rüicksicht aut die Ostung in Gebet und Liturgie, "Liturgiegeschichtliche Forschungen 4-5", 1920 (1), 1925 (2).

[6] Der Standort des Liturgen am christlichen Altar vor dem Jahre 1000. Eine archäologische und liturgiegeschichtliche Untersuchung, "Theophaneia 18. 1-2", Bonn 1965.

[7] J. A. Jungmann, Liturgie der christliche Frühzeit, Freiburg / Schweiz 1967, 126.

[8] Cfr. Nußbaum, Der Standort des Liturgen am christlichen Altar, 403.

[9] L'indicazione di Martin Lutero fu adottata solo da alcune chiese protestanti, specie dai riformati; cfr. Fr. Schulz, Das Mahl der Brüder, in Jahrbuch für Liturgie und Hymnologie 15 (1970), 34 nt. 18, che riferisce come a suo tempo Martin Bucer fece installare a Strasburgo tavoli della cena, "affinché il ministro rivolga la faccia verso il popolo", e che tra l'altro nel cerimoniale di Württemberg del 1668 sarebbe stato previsto che il parroco dovesse avere davanti a sé l'altare e la comunità nella celebrazione della cena, in quanto l'altare non fosse unito alla parete absidale.

[10] In proposito cfr. quanto afferma K.G. Rey nel suo scritto Pubertätserscheinungen in der katholischen Kirche, "Kritische Texte Benzinger 4", 25: "Mentre finora il sacerdote offriva il sacrificio come anonimo intermediario, come guida della comunità, rivolto a Dio e non al popolo, lo offriva a nome di tutti e insieme con tutti, recitando le preghiere prescritte..., oggi egli ci sta di fronte come uomo con le sue personali caratteristiche, il suo personale stile di vita e con il viso rivolto verso di noi. Per molti ciò comporta un prostituire la loro persona, un far violenza al proprio raccoglimento, cui essi non sono preparati. Ma non mancano, tutt'altro!, coloro che sanno comprendere tale situazione per trarne vantaggio, a volte con una certa raffinatezza. altre volte con nessuna. Il loro modo di muoversi e di atteggiarsi, la loro mimica, tutto il loro comportamento si traduce in un richiamo suggestivo dell'attenzione sulla loro persona. Alcuni ottengono lo scopo mediante continui commenti ed esortazioni, rivolgendo al momento del congedo saluti e discorsetti personali.... L'effetto della loro suggestione è la misura del loro potere, e quindi la norma della loro sicurezza".

 

da "Instaurare omnia in Christo", 2/1990, pp. 4-6
www.instaurare.org



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