mons. Landucci La vera carità verso il popolo Ebreo

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Caterina63
00mercoledì 10 febbraio 2016 13:52

Pier Carlo Landucci

 

LA VERA CARITA'
VERSO IL POPOLO EBREO


Presentazione di Francesco Spadafora

 

 


La vera carità verso il popolo ebreo

 

     Qualunque siano le accuse che si fanno, fra i motivi di benevolenza verso gli Ebrei, si adduce sempre il dovere dellacarità, da estendersi evangelicamente anche ai nemici.
     Ora a me preme soprattutto rilevare che queste metodiche scuse a loro riguardo sono invece contro la illuminata e vera carità, perché contribuiscono a nascondere ad essi la drammatica e tragica situazione obiettiva in cui sono venuti a trovarsi dopo la condanna di Gesù.
     La vera carità verso gli ebrei è di illuminarli lealmente su tale situazione, sollecitando in tal modo anche per essi — e come individui e come popolo — il “ravvedimento” e la redenzione ad essi promessa “per primi” (At. 3,26), essendo i «doni di Dio e la vocazione di Lui irrevocabili.» (Rm. 11,29)




Presentazione

 

Seconda edizione ampliata

[ISBN-978-88-89757-31-4]

Pag. 72 - € 6,00





Caterina63
00mercoledì 10 febbraio 2016 13:54

Presentazione

 

 

     Il 28 maggio 1986, insieme al sorgere del nuovo giorno, nella quiete della sua stanzetta solitaria, Mons. Landucci, maestro e guida di vescovi, sacerdoti, seminaristi, è passato alla dimora eterna. Aveva ottantasei anni. Era pronto; lo era sempre stato, da solerte operaio nella vigna del Signore. A Pentecoste, consapevole della sua grave astenia, aveva chiesto e con tanta devozione ricevuto il sacramento della Estrema Unzione.

     Nel testamento ha scritto: «Ringrazio il Signore per il dono ineffabile del Sacerdozio; chiedo perdono per le mie tante incorrispondenze; mi rifugio nella infinita misericordia del Divin Cuore e nella tenerezza materna di Maria, nostra Fiducia. Accetto ed offro il dono e la sofferenza della morte in ispirito di riparazione per me e di propiziazione per il Papa, la Chiesa, le anime, le persone care.»

     Ha sempre vissuto in tale spirito di umile amore, sostanziato di sacrificio, operando per il bene del clero e delle anime. Chi vuole definire la sua spiritualità, leva della sua ininterrotta operosità, legga la voce Giovanni Evangelista da lui scritta per la Biblioteca Sanctorum (vol. VI, Roma 1965, coll. 757-785). Vi si rispecchia l’ardore della sua anima sacerdotale, l’amore per Gesù, la Madonna e per il “Discepolo prediletto”; risalta l’accurata preparazione e competenza in teologia ed esegesi. Nelle caratteristiche della “personalità e spiritualità” di san Giovanni, egli adombra, proporzionalmente, le note della sua spiritualità.

     «Gli aspetti complementari più caratteristici della personalità e spiritualità di san Giovanni — egli scrive — sono costituiti dalla sua vibrazione di carità da un lato... e dal suo geloso ardore di luce e di fede dall’altro... Sono sue le definizioni: “Dio è luce” (1 Io 1,5) e “Dio è carità” (ivi 4,16): — in suprema e combattiva antitesi con l’errore e il peccato (odio). — Sia in sede dottrinale che in pratica, egli non concepisce una carità senza verità e senza una verità che preceda Particolare sintonia con il Cuore di Gesù e con quello della divina Madre...»

     Dunque, carità in sintonia col Cuore di Gesù e l’immacolato Cuore di Maria, zelo per la verità, caratterizzano la spiritualità dell’Apostolo “prediletto”. Quanti hanno conosciuto l’operosità di Mons. Landucci saran d’accordo nel ritrovare in essa le due suddette componenti: carità soprannaturale, zelo per la verità, la fede.

     Il Signore lo aveva eletto per la missione sacerdotale che egli svolse, corrispondendo alla grazia fedelmente.

     Nato il 1° dicembre 1900 da famiglia tradizionalmente cristiana a Santa Vittoria, provincia di Ascoli Piceno, completò i suoi studi universitari a Pisa e alla Sapienza di Roma, laureandosi brillantemente in Ingegneria. Compì il servizio militare, come sottotenente del Genio. La preparazione scientifica gli servirà mirabilmente per il suo apostolato di scrittore a favore del Clero, contro l’evoluzionismo.

     Rispose alla chiamata del Signore, compiendo eccellentemente la sua preparazione filosofica e teologica, nel Seminario del Laterano; ordinato sacerdote il 26 maggio 1929, anno della Conciliazione e del Concordato.

     Apostolato dottrinale. Contro l’evoluzionismo utilizzò la sua competenza specifica in paleoantropologia, geologia, genetica... L’evoluzionismo, col suo fantasioso cultore, il gesuita P. Teilhard de Chardin, e il divulgatore in Italia, l’altro gesuita P. Marcozzi, prof. alla Gregoriana, è l’errore “originale”, dominante anche tra teologi cattolici, affatto ignari in campo scientifico: un’esemplificazione è data al riguardo da Patrik O’Connel, Origine e preistoria dell’uomo, ed. Alzani, Pinerolo (tr. it.), 1963: Facoltà Teol., Università di Lovanio; Univ. Gregoriana; la trad. it. degli scritti del P. Teilhard, con la conseguente negazione del peccato originale...; Facoltà Teologica di Milano, ad es., Mons. Carlo Colombo (il cosiddetto “teologo” di Paolo VI), Trasformismo antropologico e teologia, in “La Scuola Cattolica”, gen.-feb. 1949, pp. 17-43. Con i riflessi in esegesi: Gen. 3,14 s.; Rom. 5,12, vedi l’art. del P. St. Lyonnet del Pont. Ist. Biblico, in “Rech. de Science Religieuse” 44 (1956), pp. 63-84, che spiega il v. 12 dei peccati personali, con Pelagio, Erasmo e i razionalisti, contro il senso autentico definito dal Concilio di Trento: trattasi appunto del peccato originale: tutti han peccato in Adamo perciò muoiono, cf. la confutazione del Lyonnet, da noi fatta in “Divinitas” (1960), pp. 289-298.

     Mons. Landucci contro tale grave errore scrisse libri e articoli. Ricordo: nel suo capolavoro Il Dio in cui crediamo (5ª Ed. Pro Sanctitate, Roma 1968, p. 316); nelle pp. 76-99: “L’Ordine e l’Ordinatore nell’ipotesi evoluzionista”; ottima trattazione (nella 1ª ed., questo libro, col titolo Esiste Dio?, fu edito dalla Pro Civitate Christiana, Assisi).

     Ancora nel ricco volume Miti e Realtà (ed. La Roccia, Roma 1968), con la confutazione diretta delle tesi del P. Teilhard. E nel riuscito libretto La verità sulla evoluzione e sull’origine dell’uomo (ed. La Roccia, Roma, 3ª ed., 1984, p. 104).

     Tra i numerosi articoli in materia: “Il contagio teologico del darwinismo”, nella rivista del Card. Siri, “Renovatio” 21 (1986), 1° fasc., pp. 97-114: critica, confutazione del libro del giovane progressista Mons. Carlo Molari, Darwinismo e teologia cattolica, Borla, Roma 1984. Su “Palestra del Clero”: “Darwinismo controllo di un mito”, 1985, pp. 208 e seguenti; “Liberarsi dall’oscurantismo del sapere scientifico che limita la ricerca all’ambito della propria competenza”, ivi, 1985, pp. 1093-1151. Ancora, su “Palestra del Clero” 62 (1983), p. 954 e seguenti: “Il presunto dogma dell’evoluzionismo”; così, per limitarci a questi ultimi anni. Altri articoli sulla rivista “Studi Cattolici” (1).

     Sul tema della vocazione sacerdotale, Mons. Landucci scrisse: Verso l’altare (ed. Domani, Roma 1951); La Sacra Vocazione (ed. Paoline, Roma 1960); Formazione seminaristica moderna (ed. Borla, Torino 1962). Teologia ed esegesi nello studio completo, Maria SS. nel Vangelo, ed. Paoline, Roma 1954, un bel grosso volume, devoto omaggio alla Madonna della Fiducia; in esso, scientificamente e con grande erudizione, sono illustrati i brani riguardanti Maria SS. negli Evangeli, Mt., Lc., Giov. e nell’Apocalisse. Ancora: Nel vortice (ed. Coletti, Roma 1946); Il mistero dell’anima umana (ed. Pro Civitate Christiana, Assisi 1959).

     Dalle caratteristiche su rilevate della sua personalità si spiega particolarmente il suo intervento sui due temi importanti per la vita medesima della Chiesa: catechismo ed ecumenismo.
     L’eretico “Catechismo olandese”, preparato dai ribelli di Nimega, approvato e difeso da quell’esiguo episcopato, influenzò la serie dei pseudo-catechismi, sorti qua e là e varati dalla varie Commissioni Episcopali. Così incominciarono a venir fuori, a poco a poco, anche i volumetti fatti preparare per l’Italia. A nessuno sfugge l’importanza di tali guide per la formazione dei teneri virgulti nella dottrina della Chiesa, per il dogma e la morale. Come è evidente che la prima e fondamentale loro dote essenziale debba essere la esattezza teologica e la completezza di tale insegnamento. Ciascuno di questi libretti veniva pubblicato — era espressamente detto — ad experimentum; si attendevano cioè eventuali osservazioni e rilievi.

     Per i sacerdoti ed i “catechisti” in genere, Mons. Landucci, volta per volta, esaminò attentamente tali pubblicazioni e sempre con la consueta delicatezza, ne rilevò i difetti, anche teologicamente gravi, per la imprecisione dei termini adoperati, per le omissioni, ecc., in singoli articoli per “Palestra del Clero”. Le precisazioni, i rilievi, le critiche, del tutto ineccepibili, non lasciano dubbi: i testi pubblicati come “catechismi” per ciascuna età, dai bambini agli adulti, sono davvero inadatti allo scopo, anzi risultano dannosi (2).

     Altro tema di polemica in questo turbinoso post-Concilio, è l’ecumenismo; in particolare, il rapporto della Chiesa con il giudaismo, proposto al n. 4 della Dichiarazione conciliare. Mons. Landucci ne scrisse per offrire al Clero una retta linea di giudizio, rispettosa della verità storica ed esegeticamente valida, nel rispetto della storicità, della ispirazione ed inerranza dei testi sacri e, particolarmente, dei santi quattro Evangeli. Così, sulla già citata rivista, “Renovatio”, fasc. luglio-sett. 1982, pp. 349-362, pubblicò lo studio, dal titolo espressivo: “La vera carità verso il popolo ebreo”; articolo che per la esattezza e lo spirito che lo anima ritengo esemplare e definitivo.
     
E allorché don Giovanni Caprile espose su “Palestra del Clero” l’insostenibile tesi, proposta da alcuni studiosi giudei, come il dotto Martino Buber, che, cioè, cristiani ed ebrei marciano paralleli sullo stesso binario, aspettando gli uni il secondo avvento, e gli altri la prima venuta del Messia, nell’art. “La Sinagoga e la Chiesa”, in “Palestra del Clero” 64 (15 gen. 1985), pp. 99-110, Mons. Landucci con la consueta amabilità verso lo scrittore, precisò ancora una volta la esatta natura della Chiesa, rilevando punto per punto l’insostenibilità dei motivi addotti dal Caprile per la sua tesi, l’errata interpretazione abusiva di alcuni passi del Nuovo Testamento.

L’articolo apparve su “Renovatio”, apr.-giugno 1985, pp. 219-227: Mons. Pier Carlo Landucci, “Ebrei e Cristiani”.

     «Il giusto se ne va — concludo con Fedor Dostoevskij — ma la luce rimane dopo di lui.»
     Permane per noi il compito di rilevarne il fulgore, proseguendo nella sua scia.

Francesco Spadafora

 

 

Note

     1) Relativamente all’evoluzionismo, il conseguente poligesismo, nella scienza, nell’esegesi e nella teologia, apparve una serie di nostri articoli, anche polemici, su “Palestra del Clero” negli anni 1948-49, artt. pubblicati poi nel libro Temi di Esegesi, Rovigo, Ist. Pad. Arti Graf., 1953, p. 596. In esso c’era anche la presentazione del libro del Card. Ernesto Ruffini, Teoria dell’evoluzionismo secondo la scienza e la fede, Roma 1948, p. 242. Non conoscevo allora Mons. Landucci. Mi rivolsi a Mons. Giuseppe Reverberi, esperto in genetica, prof. ordinario presso l’Università statale di Palermo. Anch’egli, contro la vacua infatuazione dell’evoluzionismo, purtroppo di moda. Alcuni suoi articoli: “La riproduzione delle molecole nel problema dell’origine della vita”, in “Medicus” (organo della Unione Ital. Medico-Biologica “San Luca”, Roma) 2 (1946), pp. 196-206; “La Biologia e la ricerca di Dio”, ivi, 4 (1948), pp. 20-36; “L’uomo fossile alla luce della scienza e della religione”, ivi, 1 (1945), pp. 70-81; “Le origini dell’uomo secondo le ultime ricerche”, in “Ecclesia” 7 (1948), pp. 183-188.

     2) La reazione arrogante di un insipiente confermò piuttosto il giudizio negativo, ben presto generale, da parte del Clero e di tante Religiose, che sono ritornati al noto vero Catechismo.





Caterina63
00mercoledì 10 febbraio 2016 13:58

«La Vera carità verso il popolo ebreo»
del Servo di Dio
Mons. Pier Carlo Landucci




Giovanni Paolo II
il giorno della canonizzazione di S. Teresa Benedetta della Croce - Edith Stein (1891-1942) 
ebrea convertita, Carmelitana Scalza, martire

Giovanni Paolo II
il giorno della canonizzazione di S. Teresa Benedetta della Croce - Edith Stein (1891-1942) 
ebrea convertita, Carmelitana Scalza, martire "per il suo popolo"

 


In un importante Simposio in memoria del centenario della nascita del Cardinale Agostino Bea, [1881 Ü nov 1968 n.d.r.] tenuto a Roma nel dicembre u.s., furono riferiti alcuni stralci di uno studio dell'illustre biblista, sugli Ebrei. Si trattava di un articolo che il cardinale aveva preparato per la "Civiltà Cattolica", ma che allora non fu pubblicato, presumibilmente perché i tempi non erano ancora maturi. Il testo è stato ora pubblicato integralmente nel n. 3161, 6 marzo u.s. della rivista. Si è infatti maturato frattanto un clima di distensione riguardo agli Ebrei, precisato nella Dichiarazione conciliare Nostra aetate, § 4.
Ma è rimasto entro i limiti di tale precisazione il Card. Bea, tutto proteso alla "benevola scusa" dei condannatori di Gesù, a distinguere la loro responsabilità "oggettiva" dalla "soggettiva", a collegare soltanto alla prima le 94 calamità" conseguenti profetizzate da Gesù, a suscitare la "doverosa carità" e "gratitudine" verso quel "popolo eletto", a giustificare tutto ciò per "amore di Gesù e di Maria", e tutto questo senza distinguere ilprima e dopo la tragedia del Calvario?
Per un sereno esame critico di tali posizioni non mi aggancerò ora strettamente alle parole di detto articolo, dato che in esso sono come riassunte e in qualche modo radicate tutte le posizioni filoebraiche, più spinte, che stanno sempre più diffondendosi nel mondo cattolico. Passo cioè senz'altro alla loro generale considerazione.

Qualunque siano le accuse che sì fanno, fra i motivi di benevolenza verso gli Ebrei, si adduce sempre il dovere della carità, da estendersi evangelicamente anche ai nemici.
Ora a me preme soprattutto rilevare che queste metodiche scuse a loro riguardo sono invece contro la illuminata e vera carità, perché contribuiscono a nascondere ad essi la drammatica e tragica situazione obiettiva in cui sono venuti a trovarsi dopo la condanna di Gesù.
La vera carità verso gli ebrei è di illuminarli lealmente su tale situazione, sollecitando in tal modo anche per essi - e come individui e come popolo - il "ravvedimento" e la redenzione ad essi promessa "per primi" (At. 3,26), essendo i «doni di Dio e la vocazione di Luiirrevocabili.» (Rm. 11,29)
Tale "irrevocabilità" infatti, come spiega San Paolo, non si riferisce a coloro che proseguono a rifiutare Gesù, i quali, «per la loro incredulità sono stati recisi (dall'olivo salvifico)» (11,20), ma a coloro che, «se non persistono nella incredulità (vi) saranno innestati / ... / di nuovo» (23), quando cioè avrà termine «l'accecamento di una parte d'Israele e tutto Israele si salverà.» (25,26)

San Paolo predica agli Ebrei
San Paolo predica agli Ebrei
mosaico XII secolo

Tornerò più avanti su questo punto fondamentale. Ma intanto è chiaro che tale "irrevocabilità" del "dono di Dio riguarda proprio il piano obiettivo (sempre concesso che ognuno, soggettivamente in buona fede, può salvarsi, parte la maggiore o minore difficoltà) e la vera carità deve mirare a togliere quell'"accecamento" e non ad alimentarlo, facendo dimenticare i fatti obiettivi e moltiplicando le scuse.
Dunque proselitismo? Certo. Non vi può essere dubbio, per chi ha veramente la carità verso gli Ebrei e quindi vuole il loro vero bene. Nel quadro anzi della missione apostolica, pur essendo essa rivolta a tutti (Mt. 28,19; Mc. 16,15) essi debbono avere una posizione privilegiata, un "primato", come ho già accennato, per condurli a riconoscere il Redentore.
Così si regolò Gesù inviando gli Apostoli «prima alle pecore sperdute della casa d'Israele» (Mt. 10,6), obiettando addirittura, alla Cananea, di «non essere stato mandato che per esse» (15,24), così da essere stato definito da San Paolo come «posto al servizio dei circoncisi / ... / compiendo le promesse fatte ai padri.» (Rm. 15,8) E, di fatto, dopo la Pentecoste, la prima predicazione degli Apostoli e le prime abbastanza vaste adesioni si ebbero tra gli Ebrei e San Paolo, nei suoi viaggi, iniziò sempre la predicazione nelle sinagoghe e nelle assemblee ebraiche (At. 9,20; 13,5; 13,14; 14, 1; 16,13; 17, 1-2; 17,10; 17,17; 18,4; 19,8).
Il dialogo quindi animato da vera carità verso gli Ebrei, non solo non esclude, ma deve mirare soprattutto alla loro conversione. È umanamente comprensibile che, prima di questa conversione, tale prospettiva sia ad essi sgradita. Ma non potranno, in definitiva, non ravvisarvi la lealtà e l'amorevole intenzione dell'interlocutore cattolico (il quale agisca, s'intende, con illuminata discrezione).
La traduzione, oggi non rara, del clima ecumenico come dialogo senza proselitismo è una errata interpretazione dell'ecumenismo, in antitesi con l'insegnamento evangelico. (Devo quindi supporre che, quando l'anno scorso, in una intervista, il nuovo arcivescovo di Parigi [Lustiger; n.d.r.], escluse, in relazione agli Ebrei, il proselitismo, si sia riferito soltanto ad una sua modalità artificiosa, non ispirata dal vangelo, indiscreta.)

Eugenio Zolli
l'ex rabbino capo di Roma Eugenio Zolli
convertio al cattolicesimo

La soggettiva scusante della ignoranza viene, in genere, addotta per scagionare gli Ebrei che vollero la morte di Gesù. Se ne addita la conferma nelle parole stesse di Gesù, dalla croce: «Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno» (Lc. 23,34) Anche San Pietro, parlando al popolo, nel portico di Salomone, dopo la clamorosa guarigione dello storpio, disse: «Io so che voi operaste per ignoranza, come anche i vostri capi.» (At. 3,17)
Ma sono rilievi ingannatori. Prima di tutto, Gesù non escluse la colpa, tanto è vero che chiese al Padre di "perdonare". Né la escluse San Pietro, tanto è vero che aggiunse: «Ravvedetevi dunque e convertitevi perché si cancellino i vostri peccati.» (19)
Inoltre le attenuanti, se vi sono, non eliminano la responsabilità grave. In fondo qualsiasi grande peccatore non sa pienamente "quello che fa", in quanto va incontro alla propria infelicità che non vorrebbe avere. Nel caso particolare del Sinedrio, l'ignoranza riguardava bensì la verità di Gesù come promesso Messia e tanto più come Dio.
Essi non intesero certo di uccidere un Dio.
Ma la responsabilità sta proprio in quella ignoranza la quale non era invincibile, come è provato dal fatto degli Apostoli e di tanti altri Giudei che seguirono Gesù.

Vi fu cioè la grave responsabilità di non aver vinto, con l'aiuto della grazia, quella ignoranza. Su questo punto dobbiamo, d'altra parte, stare alla rivelazione, che svela i motivi viziosi di tale oscuramento. Gesù ha parlato chiaro. Le profetizzate punizioni sono esplicitamente legate alla colpa (Castighi "esemplari per l'umanità", come dice il card. Bea, nel tentativo di non legarli alla colpa? "Esemplari" certamente; ma non lo sarebbero più, se fossero staccati dalla colpa): «Se non vi accolgono ... /vi dico che Sodoma in quel giorno avrà sorte più tollerabile / ... / Guai a te Corozain! Guai a te Betsaida, perché se in Tiro e Sidone fossero stati fatti i miracoli che sono stati fatti in voi, già da tempo / ... / avrebbero fatto penitenza / ... / E tu, Cafarnao, / ... /fino all'inferno sarai abbassata» (Lc. 10, 10-15) «Gerusalemme, Gerusalemme che uccidi i profeti e lapidi coloro che a te sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figlioli / ... / e voi non avete voluto! Ecco la vostra casa sarà abbandonata» (Lc. 13, 34-35) «Pianse su di essa (Gerusalemme) dicendo: Ah! se avessi / ... / anche tu riconosciuto il messaggio di pace! Ma ormai è rimasto nascosto ai tuoi occhi / ... / ti assedieranno, ti stringeranno da tutte le parti / ... / poiché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata» (Lc. 19, 41-44)

E, più direttamente, ecco le motivazioni peccaminose di quell'accecamento, rivelate da Gesù: «Sono le Scritture che rendono a me testimonianza / ... / Come potete credere voi, che andate in cerca di gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dal solo Dio? / ... / Se voi credeste a Mosè, credereste anche a me, perché egli di me ha scritto.» (Gv. 5, 39. 44. 46) «Se voi non credete che io sono, morirete nei vostri peccati / ... / Per qual ragione non comprendete il mio linguaggio? / ... / Voi avete per padre il diavolo / ... / egli è mentitore e il padre della menzogna/ ... /Voi non ascoltate le parole di Dio perché non siete da Dio.» (Gv. 8, 43. 44. 47) «Se non fossi venuto e non avessi loro parlato, non avrebbero colpa; ma ora non hanno scusa per il loro peccato... Se non avessi fatto tra loro le opere che nessun altro ha fatto, non avrebbero colpa; ma ora, benché abbiano veduto, pure odiano me e il Padre mio.» (Gv. 15,22.24). Confronto con la colpa di Pilato: Chi mi ha consegnato nelle tue mani è più colpevole.» (Gv. 19,11) Gli ebrei rigettati: «Voi non credete perché non siete delle mie pecore.» (Gv. 10,26)

Una sintesi generale, ovviamente riferibile, in particolare, ai condannatori di Gesù, è così espressa da San Giovanni: «La luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano cattive.» (Gv. 3,19)
Analoga e illuminante, circa le responsabilità soggettive degli Ebrei e, in particolare, del Sinedrio, è l'azione contro Santo Stefano e la reazione di questi, illuminato dallo Spirito Santo, ampiamente descritta dagli Atti.
Morì gridando a gran voce: «Signore non imputare a loro questo peccato» (7,40) V'è il perfetto eco delle prime parole del Signore dalla Croce. E la richiesta caritatevole del perdono per il peccato che era però effettivamente commesso.
Santo Stefano non nomina nemmeno le attenuanti della ignoranza che potevano, in qualche modo, esservi. Non manca anzi di svelare il colpevole atteggiamento interiore dei suoi carnefici: «O duri di cervice e incirconcisi di cuore e di orecchi: voi sempre contrastate con lo Spirito Santo. Come i padri vostri, così voi. Quale dei profeti i padri vostri non perseguitarono? Uccisero anche i preannunciatori della venuta del Giusto, del quale voi foste ora i traditori e gli omicidi» (7,51-52)

Il Ven. F. Libermann C.S.S.R.
ebreo convertito
Il Ven. F. Libermann C.S.S.R.
ebreo convertito

Si insiste, sempre a riguardo della responsabilità soggettiva, che essa è nota solo a Dio: nessuno avrebbe quindi il diritto di giudicarla. Questo è vero in generale e in senso assoluto. Ma nel caso della responsabilità giudaica per la condanna di Gesù, la responsabilità soggettiva risulta dalle parole di Gesù e dai testi scritturali sopra ricordati.
Ma, anche a prescindere da essi, si devono usare, a riguardo di quegli eventi storici, i criteri di valutazione normali nelle indagini storiche, nelle quali i fatti vengono valutati nelle loro manifestazioni esterne e i personaggi giudicati in relazione ad esse. È sottinteso che la misura intima della responsabilità è vista e giudicata solo da Dio e proprio per questo essa trascende il piano storico. Ma il giudizio umano è invece legittimamente formulato sul piano storico.
Precludersi quindi di giudicare gli Ebrei, che condannarono Gesù, per il fatto che Dio solo conosce appieno la intima responsabilità di ognuno è antistorico. La responsabilità va legittimamente affermata in base al comportamento storicamente provato, oltre che, come ho già detto, in base alle parole di Gesù e alle affermazioni scritturali.




Caterina63
00mercoledì 10 febbraio 2016 14:00


Hermman Cohen.
ebreo convertito divenuto carmelitano
Hermman Cohen.
ebreo convertito divenuto carmelitano

Nessun dubbio vi può essere quindi proprio sul fatto e la responsabilità del deicidio. Pur ammesse le attenuanti per la ignoranza (non però scusabile, come ho detto sopra), il deicidio risulta, sul piano obiettivo, come realtà ovvia, per il fatto che il condannato è Gesù uomo-Dio. Il fatto, come tale, prescinde totalmente dal grado di responsabilità soggettiva degli uccisori.

Anche supposto quindi il massimo delle attenuanti, nella linea della ignoranza della vera persona di Gesù, il deicidio sarebbe, sul piano delle responsabilità, colposo (cioè non propriamente colpevole), ma ancora reale.
L'esigenza, il dovere di un riconoscimento riparatore del clamoroso misfatto obiettivamente compiuto, urgerebbe ugualmente per gli Ebrei. La massima carità verso essi è ancora di richiamarli a questo supremo dovere. Ma, come ho già detto, l'ignoranza fu tutt'altro che incolpevole (della colleganza con i non direttamente responsabili, dirò tra poco).

È chiaro che, in merito al doveroso atteggiamento del proselitismo e della carità cristiana, cattolica, verso gli Ebrei, si deve tener presente la certezza assoluta di fede cristiana delladivinità di Cristo. Non si tratta del giudizio su un qualunque grande personaggio ma su colui che viene da centinaia e centinaia di milioni di cristiani adorato come Dio. Il riconoscimento o la negazione di tale personaggio e della sua missione assurgono quindi al massimo livello di drammaticità e rendono inammissibile il disinteresse sul problema da una parte e dall'altra.

Bisogna anche riflettere alla drammatica alternativa: o Gesù è veramente l'uomo-Dio, affermato dai cristiani o egli è un sacrilego ingannatore. È una alternativa che vale di fronte a qualsiasi posizione non cristiana, ma tanto più di fronte a quella ebraica (vedremo perché "tanto più"). Ogni valutazione quindi - e ogni intesa reciproca - che induca a far dimenticare o a minimizzare tale alternativa costituisce un grave inganno e una offesa alle responsabilità fondamentali della verità e della fede.

La vera carità verso gli Ebrei deve mirare quindi a farli riflettere su tale alternativa e sullaobiettiva tesi del deicidio, per sollecitare il ripensamento e la conversione a cui deve mirare il salutare proselitismo. Questo potrà bensì dispiacere frattanto agli Ebrei: ma non offenderli se vedranno il disinteresse e l'amore che anima quelle sollecitazioni (a differenza di unantisemitismo anticristianamente animato dall'odio). Tutto considerato (e senza escludere la prudenza tattica) la leale franchezza sul proselitismo è la più desiderabile.
Su questo punto, d'altra parte, non si può dimenticare o rinnegare l'esempio apostolico, certamente ispirato (cfr. At. 4,8,31) dallo Spirito Santo. Eccetto quella attenuante (non scusante) della "ignoranza" (non incolpevole) addotta una volta sola da San Pietro (At. 3,17), questi ha sempre apostrofato tutti quegli Ebrei come responsabili del grande misfatto, delineando implicitamente il deicidio.

Nel Cenacolo, alla Pentecoste: «O Giudei e voi tutti, abitanti di Gerusalemme / ... / Gesù di Nazareth, da Dio approvato con grandi opere e prodigi e portenti / ... / catturato per mano di iniqui, voi l'avete crocifisso e ucciso e Dio lo risuscitò / ... / Riconosca dunque fermamente tutta la casa d'Israele / ... / Signore e Messia questo Gesù che voi crocifiggeste / ... / convertitevi da questa generazione perversa. » (At. 2,14-40)
Nel tempio, nel portico di Salomone, al popolo accorso dopo la guarigione dello storpio: «Dio ha glorificato il figlio suo Gesù che voi deste in mano di Pilato / ... / e chiedeste che vi fosse graziato un assassino. Voi uccideste l'autore della vita.» (At. 3,13-15)

Arrestato con Giovanni, davanti al Sinedrio: «Sia noto a tutti voi e a tutto il popolo di Israele che nel nome di Gesù Cristo Nazareno, che voi crocifiggeste, e che Dio risuscitò dalla morte / ... / quest'uomo sta davanti a voi risanato. Egli è la pietra rigettata da voi edificatori, che è diventata la pietra angolare (cf. Ps. 118,22); e in nessun altro è salvezza.» (At. 4, 10,11)

Liberati e tornati Pietro e Giovanni presso i discepoli, nella comune preghiera innalzata a Dio: «Sì, veramente si unirono in questa città contro il santo Figlio tuo Gesù, da te consacrato, Erode e Ponzio Pilato con le genti e con le plebi d'Israele.» (At. 4,27) E fu una preghiera sigillata da una nuova clamorosa effusione dello "Spirito Santo" (31).

Di nuovo, davanti al Sinedrio, il sommo sacerdote, dimostrando di avere ben capito la predicazione degli Apostoli, contesta loro: «Volete far ricadere su di noi il sangue di quest'uomo.» E Pietro con gli Apostoli ribadisce: «Il Dio dei padri nostri risuscitò Gesù, chevoi uccideste appendendolo in croce.» (At. 3,28.30)
Ancora Pietro a Cornelio Centurione: «Noi siamo testimoni di tutte le cose che (Gesù) fece nella terra dei Giudei e in Gerusalemme; ed essi lo uccisero, configgendolo in croce.» (At. 10,39)

Similmente Santo Stefano davanti al Sinedrio: «Voi foste ora del Giusto i traditori e gli omicidi.» (At. 7,32) Così San Paolo: «Gli abitanti di Gerusalemme e i loro capi ne chiesero a Pilato la morte.» (At. 13,28)
Come si vede, è una martellante e costante denuncia della responsabilità obiettiva - e congiuntamente - subiettiva - giudaica, formulata sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, che sarebbe un inganno e contro la vera carità, far dimenticare.

E quanto, del resto, affermarono gli stessi Giudei, gridando a Pilato la celebre espressione che indica il riconoscimento della piena responsabilità e l'accettazione di tutte le conseguenze: «E tutto il popolo rispose: "Ricada il suo sangue su di noi e sopra i nostri figli".» (Mt. 27,23; cfr. At. 18,6) Affermazione che, troppo tardi, cercarono poi di rinnegare davanti agli Apostoli (At. 3,28).

Da notare anche che il richiamo all'ignoranza quale attenuante (benché non scusante) vi è solo nel discorso di Pietro al popolo comune, dopo la guarigione dello zoppo, a un uditorio cioè nel quale era più facile ammetterla in qualche misura e in circostanze che inducevano particolarmente a espressioni accattivanti di benevolenza.

Auguste e Joseph Lemann
I fratelli Auguste e Joseph Lemann
convertiti al cattolicesimo

gli altri Giudei, di allora e di oggi? ovvia la differenza di responsabilità diretta. Basta pensare che, di contro agli uccisori di Gesù, molti Giudei si convertirono, sicché le prime comunità di fedeli erano costituite da essi.
Il problema va posto però per i non convertiti.
Colpisce il fatto che nelle martellanti denunce dei crocifissori di Gesù, gli Apostoli accumunarono sempre i capi e il popolo. E evidente che, quanto alla possibile buona fede e alla possibile ignoranza pienamente scusante, esse possono essere assai più facilmente ammesse per il popolo che non era direttamente a conoscenza dei fatti e che giudicava in base alla autorità dei capi. Per il popolo quindi - di allora e di oggi - può valere largamente la distinzione tra piano soggettivo e obiettivo. Ma, a prescindere dal grado di responsabilità soggettiva della ignoranza, la verità di Cristo e la tragedia del deicidio restano integre sul piano obiettivo e reclamano la riparazione su quello stesso piano.

La carità verso gli Ebrei reclama quindi di condurli a tale riparazione, al riconoscimento cioè del clamoroso errore compiuto, così da giungere alla auspicata conversione.
Se si riflette alla suddetta fatale e suprema alternativa: o veramente uomo-Dio o sommo, sacrilego ingannatore; che non c'è via di mezzo; e che i Giudei agirono attivamente secondo la seconda valutazione, si comprende come non sia ammissibile la noncuranza o neutralità di giudizio ed urga per i Giudei la conversione riparatrice. La vera carità verso di essi non può quindi non tendere, in tal senso, al più fervido e sereno proselitismo.

L'Ebreo attuale quindi, pur non avendo avuto alcuna parte attiva nel processo e nella condanna storica di Gesù, rifiutandosi di riconoscerlo come Dio, non può non essere moralmente solidale con quella condanna e far proprio, in qualche modo, quel giudizio del Sinedrio come formulato verso un sacrilego e sommo ingannatore. Questo se vuol seguire una elementare coerenza.

Ma, a parte la coerenza logica - che alcuni potrebbero anche trascurare - v'è una ragione psicologica che dovette inclinare e gli antichi e gli attuali Ebrei a solidarizzare senz'altro con l'atteggiamento di quel Sinedrio. È un popolo infatti caratterizzato da straordinaria unità per il mutuo compenetrarsi dei legami di sangue, di storia, di politica, di religione. Chi perde uno di questi legami (per essere caduto, per esempio, nella miscredenza e aver perduto quindi il convinto legame della religione) resta legato mediante gli altri, con il primario fondamento nel sangue e nella circoncisione (avvalorati da forte unità familiare e grande ostilità a matrimoni con non ebrei).
Questa solidarietà non ha confronto con altri popoli perché permane nonostante la frammentazione di questo popolo nelle varie nazioni, assumendone le rispettive nazionalità (anche dopo la creazione d'Israele, dove sono confluiti soltanto 3,5 milioni di individui dei circa 15 milioni oggi esistenti). È una unità etnica che ha sfidato i millenni e che difficilmente si può spiegare senza un disegno della Provvidenza, perché si attui la profezia, già ricordata, secondo cui, finalmente, dopo l'«accecamento di una parte d'Israele / ... /tutto Israele si salverà/ ... / perché i doni di Dio e la vocazione di Lui sono irrevocabili.» (Rm.11,25-29) Perché sia palese tale ritorno di Israele come tale, esso deve così mantenersi unito.

È una solidarietà quindi che fatalmente lega a quella antica condanna di Gesù. Un semplice attuale silenzio, a tale riguardo, non rompe tale solidarietà. Occorre una pubblica sconfessione di essa. Sono state anche prese particolari iniziative in tale senso, ma con scarsa risonanza. Taluni hanno anche cercato di evadere da quella tremenda alternativa - o Dio o sacrilego ingannatore - ma facendo violenza alla storia e alla logica. Quella solidarietà fondamentale resta. Il mondo cristiano giustamente attende una riparazione.
È contro la carità nascondere questo dovere al mondo ebraico.



Caterina63
00mercoledì 10 febbraio 2016 14:01

 

Ratisbonne
i fratelli Théodore e Alphonse Ratisbonne
converiti al cattolicesimo

Inutile dire quanto sia contro la carità l'antisemitismo di infausta memoria, con le violenze e le stragi, che arrivarono, in epoche moderne, ai "pogrom" (devastazioni, saccheggi) russi e alle stragi di A. Hitler. La verità richiede però di fare le necessarie distinzioni.

La parola "antisemitismo", creata in ambiente tedesco circa un secolo fa, si riferisce propriamente all'antiebraismo etnico-filosofico-sociale-razzista, non religioso, come era invece nel mondo antico e medievale, quando ostilità e tolleranza insieme si risolvevano, in definitiva, nelle segregazioni dei "ghetti", proseguiti anche in epoche moderne e infine aboliti.

È inoltre contro la carità della verità di considerare solo il riprovevole "antisemitismo" e non il reciproco e attivo anticristianesimo ebraico. Contro di questo può essere doverosa la difesa: purché la si intenda cristianamente senza alcun odio dell'avversario, anzi amandolo e bramandone la conversione, in soprannaturale spirito di proselitismo.

Questo "anticristianesimo" è storicamente innegabile, come proseguimento della ostilità del Calvario. Basta vedere negli Atti la sistematica e furiosa ostilità dei Giudei alla predicazione degli Apostoli e contro San Paolo, in tutti i suoi viaggi, cioè anche nella diaspora. Ciò secondo la predizione di Gesù: «Vi cacceranno dalle sinagoghe; anzi viene l'ora che chiunque vi uccide penserà di rendere culto a Dio. E tutto ciò faranno perché non hanno conosciuto né il Padre né me.» (Gv. 16, 2-3; cfr. 9,22)
Ed ecco Pietro e gli Apostoli ripetutamente catturati, minacciati, flagellati; ecco il martirio di Stefano e la «grande persecuzione contro la Chiesa che era in Gerusalemme» (At. 8,1) e il martirio di Giacomo (12, 2-3). Ecco Paolo perseguitato a morte: Damasco: «I giudei si accordarono di ucciderlo» (9,23); Gerusalemme: «gli Ellenisti tramavano di ucciderlo.» (9,29) Antiochia di Pisìdia: A giudei, vedendo la folla si riempirono di malanimo e presero a contraddire con oltraggiose parole», «istigarono le donne pie e ragguardevoli e i più influenti della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li cacciarono dai loro confini.» (13, 45. 50).

Iconio: molti Giudei credettero, «ma i giudei rimasti increduli eccitarono e irritarono gli animi dei Gentili contro i fratelli», «ci fu, da parte dei pagani e dei giudei con i loro capi, un tentativo di maltrattarli e lapidarli (gli Apostoli).» (14, 2. 5). Listra: «Sopraggiunsero da Antiochia di Pisidia e da Iconio dei giudei i quali, tirata dalla loro parte la folla, lapidarono Paolo e lo trascinarono fuori della città, credendolo già morto.» (14,19). Tessalonica: «I giudei, pieni d'astio, presero con sé alcuni ribaldi di piazza e, fatta folla, misero a tumulto la città, / ... /gridando: Costoro, dopo aver posto sossopra il mondo, sono venuti anche qua / ... / ribelli contro i decreti di Cesare, proclamando che c'è un altro re, Gesù.» (17,5-7). Berea: «I giudei di Tessalonica vennero anche là a scuotere e agitare le turbe.» (17,13).

Corinto: «I giudei gli si opponevano e lo ingiuriavano / ... / insorsero unanimi contro Paolo e lo trassero al tribunale, dicendo: Costui persuade la gente a rendere a Dio un culto contrario alla legge» (18, 12-13); ancora in Grecia: «I giudei gli tesero insidie, mentre era in procinto di salpare per la Siria.» (20,3). Mileto: Paolo ricorda «le lacrime e le prove che gli sopravvennero per le insidie dei giudei. » (20,19).

Gerusalemme: «I giudei dell'Asia, veduto Paolo nel tempio, sobillarono tutta la folla / ... / e impadronitisi di Paolo / ... / tentavano di ucciderlo / ... / Togli dal mondo costui: non è degno di vivere / ... / I giudei ordirono una congiura e si votarono con anatema a non mangiare e non bere finché non avessero ucciso Paolo.» (21, 27. 30. 31; 22,22; 23,12; 26,21)

Questo anticristianesimo combattivo non può non essere permanentemente radicato, sia pure in varia misura, nella mentalità e prassi ebraica, perché fondato su quella drammatica alternativa: o il vero, atteso Messia, uomo-Dio o il più sacrilego mentitore. Esclusa la prima ipotesi non resta logicamente che la seconda che non può non estendersi, in qualche modo, al cristianesimo e suscitare verso di esso una fondamentale opposizione, capace anche di traboccare in tenace odio e disprezzo, come e più che per i generici non ebrei "goyim" secondo la mentalità (male interpretata) dell'Antico Testamento.

Va tenuta inoltre presente la concezione ebraica del Salvatore promesso come trionfatore terreno, che deformò l'interpretazione delle profezie e ostacolò la comprensione di Gesù. Il perdurare attuale di tale concezione può determinare indubbiamente una qualche tendenza ebraica al dominio terreno universale, facilitato dalla contemporanea presenza nelle varie nazioni, dalla emergenza scientifica di varie personalità e soprattutto dalla grande potenza economica internazionale, oltre che dalla massiccia presenza negli Stati Uniti di Ebrei, particolarmente ricchi e potenti.

Naturalmente questa tendenza al dominio non affiora ugualmente alla coscienza dei singoli, o non affiora affatto, data anche la moderna variabilissima partecipazione all'unità ebraica, sovente estranea alla vera adesione religiosa (tanto che alcuni, per esempio, identificano oggi tutta la realtà del Messia con il costituito e consolidato Stato d'Israele).

Per rendere però il fenomeno importante e preoccupante basta che riguardi settori particolari e gruppi particolari ebraici, particolarmente potenti. E comunque si tratta di una tendenza sempre latente.
Tale tendenza induce purtroppo a stabilizzare la psicologia ebraica, in antitesi all'orientamento di conversione. È quindi mancanza di carità verso il mondo ebraico di nasconderla e non denunciarla. Il mondo cattolico, d'altra parte, ha il dovere prudenziale di tenere presente questo pericolo potenziale o attuale contro l'"ovile" di Cristo.

Ed è ingiusto e unilaterale, ad ogni modo, di condannare soltanto l'antisemitismo, dimenticando l'anticristianesimo, che l'ha preceduto e l'accompagna.

famiglia Lob family
la famiglia Lob
interamente convertita al cattolicesimo

Il primato della vocazione salvifica ebraica è, alla luce della Scrittura, evidente. Ma è fonte di tanti equivoci, quando si prescinda dal fatto discriminante del rifiuto e della condanna di Gesù. Già toccammo il fatto di tale "primato" in relazione al "proselitismo". Va ora un po' approfondito.
Dovendo il profetizzato Messia e Salvatore nascere dal seno del popolo ebraico, questo popolo si presentava come prediletto da Dio e ovviamente doveva essere il primo oggetto della rivelazione salvifica di Gesù. «Andate prima alle pecore sperdute della casa d'Israele» (Mt. 10,6) disse infatti Gesù agli Apostoli. E ribadì con forza tale primato e precedenza dei Giudei rispondendo iperbolicamente alla Cananea: «Io sono stato mandato soltanto alle pecore perdute della casa d'Israele.» (Mt. 15,24)

Così San Pietro, alla folla radunata dopo la guarigione dello zoppo: «Gesù, a voi è stato destinato per Messia / ... / A voi per primi Iddio lo ha inviato a recarvi benedizione, convertendosi ciascuno di voi dalle sue iniquità.» (At. 3, 20. 26)

Così San Paolo ad Antiochia di Pisidia: «O fratelli, figli della stirpe di Abramo e chiunque tra voi teme il Signore ("proseliti" o quasi): il verbo della salvezza fu inviato per noi / ... /A voi per primi era necessario che fosse detta la parola di Dio.» (At. 13, 26. 46) E nella lettera ai Romani: «Agli Israeliti appartiene l'adozione in figlioli, e la gloria e le alleanze e la legislazione e il culto e le promesse; a cui appartengono i patriarchi e da cui è nato Cristo quanto alla carne.» (Rm. 9, 4-5)

Ma quale conseguenza trarne? Non certo l'assoluzione o le maggiori attenuanti per il misfatto del Calvario, ma immense aggravanti, per lo meno obiettive, per il rifiuto e la condanna del Redentore, profetizzato e nato dal proprio seno: «Spunterà il germoglio di Jesse (dalla stirpe di Davide, ultimogenito di Jesse).» (Rm. 15,12; Is. 11,1)

Così per esempio il traditore Giuda fu immensamente privilegiato essendo stato annoverato tra i "dodici"; ma proprio per questo fu tanto più colpevole come traditore: «Colui il quale mangia il mio pane ha levato il calcagno contro di me. » (Gv. 13,18) «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo?» (Lc. 22,48; Sl. 41,10; 55, 13-15)
Il primato salvifico diviene, col rifiuto, primato di condanna.

Suor Maria Samuele
un tempo Sonia Katzmann
e ora Holy Spirit Adoration Sister
Suor Maria Samuele
un tempo Sonia Katzmann
e ora 
Holy Spirit Adoration Sister

La vocazione permanente che giustamente si attribuisce ai Giudei acquista allora il suo chiaro significato. Interpretarla come identica missione e identica benevolenza divina verso di essi, così prima come dopo il Calvario, è assurdo e offensivo gravemente della divina paternità e giustizia.

Non esistono infatti due economie della salvezza, ma solo quella nel Figlio unigenito inviato a tale fine dal Padre (a cui si collega, in modo riduttivo e implicito chi lo ignori in buona fede): «Io sono la via la verità e la vita: nessuno può andare al Padre se nonper mezzo mio. » (Gv. 14,6) «La pietra (riferimento a Sl. 118,22 s.) che i costruttori hanno rigettata è riuscita in capo all'angolo... Chi cadrà su questa pietra si sfracellerà e colui sul quale essa cadrà lo stritolerà.» (Mt. 21,42.44) San Pietro al popolo: «Ogni anima che non avrà ascoltato quel profeta sarà sterminata di mezzo al popolo.» (At. 3,23) Al Sinedrio: «Egli è la pietra rigettata da voi edificatori, che è diventata la pietra angolare: e in nessun altro è la salvezza, perché non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini per il quale possano essere salvi.» (At. 4,11-12; cfr. 1 Pt. 2,6-8)
Lo ribadisce San Paolo in Rm. 9, 31-33.

Sono verità essenziali della rivelazione che per nessuna ragione possono essere dimenticate o fatte dimenticare.
Non viene con ciò minimamente negato quanto San Paolo dice degli Ebrei, circa la «irrevocabilità dei doni di Dio e della vocazione di Lui» (Rm. 11,29) cui ho già ripetutamente accennato: purché la si intenda rettamente e non come un loro permanere attuale nello stesso rapporto con Dio che avevano prima della condanna di Gesù. Non è leale che a favore degli Ebrei si ripetano spesso queste parole di San Paolo, nella lettera ai Romani, falsificandone il senso, il quale invece è chiaramente e ampiamente spiegato in tale lettera. Vi si parla infatti di «giusta punizione» (9), di «rami stroncati / ... / dalla santa radice» (16-17), «recisi per la loro incredulità» (20), di «perdurante accecamento di una parte d'Israele (coloro che non hanno riconosciuto Cristo)» (25); ma che (ecco la "irrevocabilità" e lo scopo del proselitismo), saranno «se non persistono nella incredulità / ... / innestati di nuovo» (23), ossia saranno dopo il «ripudio / ... / riammessi riacquistando vita da morte.» (15)

Può servire, a chiarimento della bene intesa "irrevocabilità" la vocazione universale - anch'essa irrevocabile - alla salvezza, che riguarda tutti ed è testificata in 1 Tm. 2, 4. 6: «Dio, nostro Salvatore vuole che tutti si salvino»: «Gesù per tutti ha dato se stesso come riscatto.»

Chi, peccando, perde la grazia non è più in stato attuale di salvezza; ma rimane nella economia della salvezza fino a che vive, venendo stimolato alla conversione dalla divina misericordia: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi. » (Lc. 5,32)

Dio non prosegue ad amare il grande peccatore in quanto tale, non prosegue a volerne la salvezza lasciando che esso resti tale, ma in quanto lo vede candidato alla conversione e lo stimola ad essa fino al termine della vita. Ma se la conversione sarà definitivamente rifiutata allora la "irrevocabilità" della vocazione salvifica si trasformerà nella "irrevocabilità" della condanna: «Via da me, operatori di iniquità», «maledetti» (Mt. 7,23; 25,41).

Il già ricordato esempio di Giuda è emblematico. La misericordiosa volontà salvifica emerse per lui nel continuo richiamo di Gesù. Fu un richiamo fortissimo: «tra voi alcuni non credono ... uno di voi è un diavolo» (Gv. 6,64.70); e incalzante: Gu. 13,10.18.21.26.27. Giunse fino a chiamarlo "amico" (Mt. 26,50) nel momento del tradimento e di farsi da lui baciare (Le. 22,48). Cessò quando l'antico prediletto Apostolo, resistendo ai continui richiami e alla divina grazia, conchiuse il tradimento, anziché col pentimento, con la morte disperata.

Anche con gli Ebrei, continui divini richiami, cadute, richiami, fino all'indurimento e al rifiuto deicida. Rispetto al caso di Giuda e di ogni singolo dannato v'è tuttavia per i Giudei questa fondamentale differenza. Per i singoli il ciclo di prova e di esercizio della divina volontà salvifica si chiude con la morte. Per gli Ebrei, sostanzialmente compatti nella loro unità, intesi non come individui, ma come popolo, il periodo di prova continua e vi è il preannuncio profetico che verrà il momento in cui, finito l'"accecamento", «tutto Israele si salverà» (Rm. 11,26): e ciò perché «essi sono amati per ragione dei padri loro.» (11,28)
Niente di più dannoso per gli Ebrei che nasconder loro o far dimenticare queste fondamentali verità rivelate, lasciandoli nella illusione di essere attualmente prediletti da Dio come prima del Calvario.
La vera carità verso di essi è di sollecitare con la preghiera e l'illuminato "proselitismo" quel profetizzato ritorno salvifico.

Warren Hecht
ebreo ortodosso di Brooklin e ora diacono cattolico
Warren Hecht
ebreo ortodosso di Brooklin e ora diacono cattolico

Dipendenza ebraica del cristianesimo, così da aversi una unica linea ebraico-cristiana, e da risultare il «dovere della carità e della gratitudine per tutto quanto abbiamo ricevuto da quel popolo» (Card. Bea), a cominciare da Gesù e Maria che erano ebrei: sono le conclusioni in voga dei difensori degli Ebrei e degli antiproselitisti. Non sono affermazioni del tutto errate. Ma sono tremendamente unilaterali ed equivoche, tali da falsare completamente le prospettive, le relazioni cristiano-ebraiche e la vera carità verso gli Ebrei.
Tutto l'equivoco nasce dalla dimenticanza della frattura determinatasi nella storia ebraica con la tragedia del Golgota, quando furono "stroncati i rami" che erano uniti alla "santa radice" (Rm. 11,16-17): il che avvenne direttamente per opera di quei soli condannatori di Gesù, ma staccò per solidarietà dalla linea profetica e redentiva tutto il popolo che tuttora non riconosce Gesù.

Certo: "unica linea ebraico-cristiana". Ma con l'ebraismo antecedente a quel crollo, dalla cui linea profetica si è staccato, per "accecamento" (Rm. 11,25), l'attuale ebraismo. Proprio in quella linea esso è stato sostituito, come popolo eletto, dal cristianesimo. È quindi un banale equivoco di parlare di quanto dobbiamo a quel popolo, senza distinguere il prima e dopo la tragica frattura. È un banale equivoco sfruttare quanto dobbiamo a quell'antico popolo profetico per alimentare la simpatia per questo popolo attuale. Non possiamo certo essere grati all'ebraismo attuale per il rifiuto di Cristo.

E se riflettamo che tutta la precedente storia di quel popolo e tutta la Scrittura dell'A.T. erano preparatorie e profeticamente indicatrici del Redentore si comprende tutta la gravità e la sciagura di quel rifiuto. E si comprende anche la piena sostituzione del "popolo eletto", divenendo tale il "popolo cristiano" che ha compiuto quel supremo riconoscimento e seguito il Messia promesso.

In particolare, che Gesù e Maria siano ebrei, non è, per gli Ebrei stessi, obiettivamente e soggettivamente, che un'enorme aggravante di quel rifiuto; come è, d'altra parte, la conferma del trasferimento del popolo eletto nel mondo cristiano, precisamente in quanto innestato nell'ebreo uomo-Dio Gesù.
Questo trasferimento fu evidenziato, storicamente e liturgicamente nell'ultima cena, appositamente compiuta nella Pasqua giudaica. Il transito avvenne quando, compiuta la cena giudaica, si passò alla cena e alla immolazione eucaristica. Alla figura, l'agnello animale, si sostituì la realtà salvifica dell'Agnello divino.
Sono verità supreme su cui è assurdo sorvolare.

È crudeltà verso gli Ebrei nasconderle.
Salvi i modi opportuni, è suprema carità ricordarle.

 


testo tratto da: «Renovatio», n° 3, 1982. 5 - immagini e note a c. della red. di Flos Carmeli

Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 14:13.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com