00 10/11/2011 18:43

 

Attila e san Leone Magno

 


Attila il flagello di Dio e san Leone I Magno, Pontefice

 

Come iniziò la storia di Attila che un giorno decise di mettere a fuoco l'Occidente per impadronirsene?

 

Ahimè, come fu Eva a spingere Adamo a commettere quel danno, ancora una volta, una donna, irrequieta e perfino cristiana, fu all'origine delle violente reazioni di Attila, che solo un Santo Pontefice seppe ricondurre alla ragione.

Senza dubbio che Attila sarebbe giunto in Italia anche senza la provocazione di una donna, ma la storia di Onoria, perchè è di lei che parliamo, è così brevemente narrata.

 

Alla Corte di Ravenna viveva Valentiniano III e sua sorella Onoria.

Questa principessa era tanto bella quanto altrettanto irrequieta e trovava assai triste la vita di corte.

Onoria sognava di infrangere ogni giorno quelle etichette e sognava ad occhi aperti avventure, ma ben presto molti si ebbero a lamentare del comportamento della principessa tanto che, la madre Galla Placidia, per evitar peggior guai, decise di farla allontanare un pò dalla città, mandandola a Bisanzio.

Quando la nave attraccò in porto, il cuore della principessa si accese e s'infiammò dei tanti nuovi aromi, del Corno d'Oro, il panorama vastissimo e giocondo della città promettevano una vita gioiosa all'irrequieta Onoria, ma ben presto dovette cambiare idea.

Il palazzo imperiale di Bisanzio, infatti, ai tempi di Teodosio II, era una specie di convento, molto fastoso, sì, ricco di ogni comodità per l'epoca, con molta servitù, ma retto da una rigidissima  ed austera disciplina. L'imperatore, per esempio, passava le ore libere dagli affari di Stato a trascrivere e miniare con arte minuziosa e perfetta gli scritti degli autori prediletti; l'imperatrice Eudossia, bellissima, intelligente e raffinata, figlia di un filosofo e dotta essa stessa di filosofia e pure di teologia, si occupava di problemi religiosi e dogmatici; le tre sorelle maggiori dell'imperatore, pur vivendo nel palazzo, si erano consacrate al Signore, mantenendo in casa stessa un clima da monastero.

L'ardente Onoria di fronte a tutto questo non potè resistere, e già rimpiangeva la corte di Ravenna!

Un giorno venne a sapere delle invasioni di Attila, e subito il suo cuore s'accese, senza sapere neppure chi fosse, come era, a lei l'affascinava l'avventura.

Mentre seppe di uno schiavo che andava dalle parti dove si trovava Attila, verso la Tracia e fino nella Pannonia dove c'era il suo accampamento, lo commissionò di recargli un suo anello accompagnato da una lettera nella quale l'ingenua fanciulla gli si offriva come sposa portandogli in dote una buona parte di dominio dell'Occidente.

Ad Attila che era pagano e aveva un intero harem, assai poco dovette interessare di quella irrequieta e forse anche un pò viziata principessa, ma ciò che aveva catturato l'attenzione del Re Unno era la dote: gli si offriva l'occasione di diventare imperatore di non poca porzione dei territori d'Occidente.

Forte di quella promessa di matrimonio avanzata dalla principessa, e dell'anello quale pegno, Attila cominciò a mandare ambasciatori a chiedere in sposa Onoria.

Naturalmente le richieste, prima a Bisanzio, poi a Ravenna quando la principessa era rientrata, furono respinte.

L'imprudente e viziata sognatrice aveva messo in moto una macchina più grande di lei e dei suoi stessi sogni che ben presto s'infrangeranno in amare lacrime, infatti, per riparare al danno, fu costretta ad essere maritata in fretta per testimoniare il fatto che le ambasciate di Attila, erano giunte tardi, poi fu chiusa in carcere affinchè non combinasse più guai e fino a quando non avesse maturato le responsabilità di cui doveva prendersi cura per continuare a mantenere il nome con l'appannaggio della corte.

Ma la precauzione di far sposare Onoria arrivò tardi; Attila aveva fiutato che il pretesto era troppo buono per lasciarselo sfuggire, e continuò ad avvalersi di quella lettera portando avanti alcune trattative, ma quando vide che queste non approdavano a nulla, prese le mosse verso l'invasione all'Occidente.

 


Attraversando la Germania, le schiere di Attila si accrebbero di altre tribù germaniche, pronte a muover battaglia e, nell'anno 451, Attila varcava il Reno, pronto ad invadere la Gallia.

L'unico che poteva fronteggiare il pericolo era Flavio Ezio, il capo delle milizie; ma le legioni imperiali erano scarse dinanzi ad una impresa così grande.

Ezio allora corse in Gallia per stringere una alleanza coi Visigoti, che fin dai tempi d'Ataulfo s'erano stanziati in Aquitania; tale alleanza era anche per essi vantaggiosa vista la minaccia di Attila che incombeva su di loro stessi, e così Teodorico, loro re, unì le sue schiere a quelle di Ezio.

Attila aveva varcato il Reno e le sue orde erano giunte sul suolo della Gallia, portando ovunque sangue, devastazione, orrore. Troyes, per esempio, fu risparmiata, per come ci raccontano le cronache, grazie alla protezione di san Lupo ed anche Parigi per santa Genoveffa verso i quali, i cittadini, avevano moltiplicato preghiere e suppliche, voti, digiuni e penitenze, scongiurando, non si sa come, l'allontanamento prodigioso degli Unni che decisero di non entrarvi. Mentre Metz venne completamente incendiata e i cittadini per oltre la metà uccisi con metodi orripilanti, Tangre venne invece completamente rasa al suolo dopo un violento saccheggio e la profanazione di molte fanciulle.

Attila intanto, giunto ad Orleans, vi pose il suo assedio.

La città era letteralmente terrorizzata, il Vescovo Aniano si valse di tutta la sua autorità di uomo virtuoso e saggio, e di Ministro di Dio paziente e di Preghiera, per sostenere i cittadini, consolarli, infondendo loro la speranza e la forza, il sacro timor di Dio, in attesa dell'arrivo dei soccorsi.

Infatti, mentre gli Unni erano già entrati nei sobborghi, apparvero come un prodigio le schiere di Ezio e Teodorico, le preghiere erano state esaudite.

Attila toglieva in fretta l'assedio, ma non per rinunciar alla battaglia, piuttosto per riorganizzare le schiere, e si fermò nella Sciampagna, in una località detta Campi Catalaunici dove avvenne lo scontro.

La battaglia fu terribile, per molte ore incerta, ma alla fine l'abilità di Ezio con le legioni imperiali e la forza ordinata alla giusta causa dei Visigoti, ebbe ragione sui nemici; Attila venne sconfitto, sul campo di battaglia giacevano centomila morti tra i quali lo stesso re Teodorico, re dei Visigoti, che come in un gioco imprevisto morì per salvare quella Roma che, suo padre Alarico, aveva a suo tempo presa e messa a sacco, morì Teodorico da eroe, come per riscattare le gesta del padre.

 

Intanto, Attila, sconfitto si ritirò oltre il Reno, ma per opera di Flavio Ezio l'Impero Romano aveva riportato la sua ultima vittoria.

Attila infatti, non per nulla un "barbaro", non si era affatto afflitto o avvilito, e neppure aveva perso il suo prestigio, l'invasione in verità, era appena cominciata, la sua cupidigia verso l'Impero d'Occidente, eccitava continuamente la sua rabbia, e nessuno e nulla su questa terra, avrebbe potuto fermare il suo furore e così, dopo lo svernamento del 452, egli rimontò a cavallo ma invece di attaccare la Gallia decise di scendere direttamente in Italia.

 

Alla fine dell'inverno Attila mandò i suoi messi a Ravenna a chiedere di nuovo Onoria e la sua dote, ma ricevuta risposta che la fanciulla era già convolata a nozze, il re Unno si mosse verso il Friuli ma, valicato il Carso si trovò davanti uno ostacolo non tanto leggero, la città fortificata di Aquileia, sede di un grande Patriarcato la cui autorità era su tutto il Veneto e l'Istria, città ricca e prospera.

Ma le schiere di Attila erano spesso formate da Barbari che in passato avevano combattuto nell'esercito romano come mercenari, e così sapevano spesso le loro strategie, come agivano, come si muovevano, conoscevano la tattica latina; ma l'arte di costruire catapulte, organizzare assedi ecc... superava le loro cognizioni di meccanica e di tecnica e così, dopo tre mesi di assedio, tra gli Unni cominciò a diffondersi il malumore, anche i viveri scarseggiavano.

E così, mentre un giorno Attila stava quasi decidendo di abbandonare l'impresa, facendo un ultimo giro delle mura per scoprire un punto debole, egli guardò il alto e vide una cicogna volar via coi suoi piccoli; or si sa che la cicogna è fra gli uccelli più affezionati ai tetti delle case degli uomini, perchè vi trovano cibo, acqua ed anche un buon posto per il nido al quale si affeziona ritornando ogni anno. Attila, vedendo andar via la cicogna coi piccoli, comprese che la città doveva allora essere affamata, vuol dire che non c'era più un chicco di grano per la cicogna.

E così fu, ahimè, che Attila convinse le sue schiere a resistere, e quando attaccò sfondando una breccia, la sua strategia si era rivelata vincente: i cittadini erano così affamati che molti erano perfino morti, non vi fu alcuna resistenza.

Quello che accadde ad Aqileia non si può narrare!


[SM=g1740771] continua.........

 

 

 

[Modificato da Caterina63 10/11/2011 19:32]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)