Un po’ di meraviglia la dichiarazione seguente in alcuni potrebbe destarla.
“La liberazione d’Italia – opera eminentemente massonica – fu sorretta, in ogni suo passaggio fondamentale, dalla iniziativa delle Comunioni massoniche d’oltralpe“. Chi dice questo non è un cattolico fanatico e beghino, ma il Gran Maestro Armando Corona, nelle conclusioni del convegno del 1988 “La liberazione d’Italia nell’opera della Massoneria”. La rivista “Il libero muratore” definisce la presa di Roma, nel 1977, “Accadimento voluto dalle forze massoniche“.
“Chi pensava allora all’Italia, alla sua indipendenza, alla sua rigenerazione? Meno poche eccezioni, la schiuma sopraffina della canaglia, che si riuniva misteriosamente nelle vendite dei Carbonari“. Chi scrive questo non è altri che quel Massimo D’Azeglio che sarà la “faccia presentabile” della massoneria stessa quando a metà del secolo deciderà di cambiare metodo e passare dall’organizzare rivoluzioni a organizzare rivoluzioni per i Savoia.
“Figliuola della Framassoneria“, scrive a riguardo della Carboneria lo storico (massone) Giuseppe La Farina nel 1851. Nell’Istruzione Permanente del 1818, in pratica il manuale strategico della Carboneria, si legge: “Il nostro scopo finale è quello di Voltaire e della rivoluzione francese: l’annichilimento completo del cattolicesimo e perfino dell’idea cristiana“. In una corrispondenza capi carbonari (1829) si scrivono così: “L’indipendenza e l’unità d’Italia sono chimere. Pure queste chimere producono un certo effetto sopra le masse e sopra la bollente gioventù. Noi, caro Nubio, noi sappiamo quello che valgono questi principii. Sono palloni vuoti.“
Questi sono i personaggi ai quali si riferisce Papa Gregorio nella sua Mirari Vos. E non è certo il primo Papa a denunciare il pericolo. Appena tre anni prima Paolo VIII con la “Traditi Humilitati” c’era andato giù altrettanto pesante, trattando degli stessi temi. Questo perché l’attacco è assolutamente reale. E si svolge sia dal punto di vista politico che culturale.
Politicamente si pensa che, cacciando il Papa da Roma, anche la Chiesa sparirà. L’esistenza dello stato pontificio, e quindi l’indipendenza del papato dal potere politico, dipende solo al precario equilibrio delle potenze europee – una guerra fredda ante litteram – che impedisce per alcuni anni che la situazione precipiti. Quando gli interessi delle potenze finiranno per coincidere, di lì a pochi anni, tutto cambierà drasticamente.
Culturalmente, la visione liberale è ormai diffusa nei circoli intellettuali di tutta Europa. E’ alla moda, vincente: e influenza anche appartenenti alla Chiesa. Vedremo in che maniera.
Vi meraviglierete, ma la gran parte dell’enciclica “Mirari Vos” è dedicata ad un solo uomo: Félicité Robert de Lamennais.
Lamennais è una figura singolare. Orfano, cresciuto da uno zio, lettore compulsivo, decide tardi di aderire alla Chiesa anche spinto da suo fratello sacerdote. Dopo avere preso, riluttante, i voti, si dedica all’apologetica ottenendo un gran successo letterario. Diventa un punto di riferimento per tutti gli intellettuali cattolici, per lui le lodi si sprecano.
Le sue posizioni sono all’inizio ortodosse e di assoluta fedeltà al Papa. Ma poco per volta sviluppa un sistema di pensiero suo, in cui suggerisce l’esistenza di una religione primigenia comune agli uomini, esalta la completa libertà di opinione e propaganda la separazione assoluta tra Chiesa e Stato. Insieme con un gruppo di seguaci fonda un giornale, “L’Avenir” (1830), in cui espone le sue idee. Ottiene il plauso dei salotti liberali ma anche l’ostilità di parecchi, tra cui il suo vescovo con cui entra in conflitto aperto. Per respingere le accuse viaggia fino a Roma, ma gli viene risposto con la “Mirari Vos” che stronca, senza mai fare esplicitamente il suo nome, le posizioni da lui assunte.
In un primo momento Lamennais accetta l’enciclica, pur mugugnando. Quando gli viene però richiesto un atto di adesione formale rompe completamente i ponti, lascia la Chiesa e scrive un libello assolutamente ostile (Les Paroles d’un croyant) che verrà condannato con una apposita enciclica (la Singulari Nos) nel 1834. Negli anni seguenti pubblicherà altri lavori anticristiani e parteciperà come deputato alla vita politica su posizioni radicali . Triste destino per chi si era pensato, ad un certo momento, di creare anche cardinale.
Quali erano le posizioni di Lamennais che l’enciclica condanna? Intanto il conflitto con il suo vescovo, e il fatto di potere far dottrina tramite pubblicazioni pur essendo solo un sacerdote. Poi l’asserire la necessità di rivedere la Tradizione. Se Lamennais non era a senso stretto un indifferentista, vale a dire che non riteneva che qualsiasi fede fosse indifferente per ottenere la salvezza, è in questa visione della religione che il Papa rintraccia la fonte delle tesi propugnate dal sacerdote francese.
Lamennais aveva proposto un Acte d’union a tutti i liberali perché lavorassero per la libertà del mondo, e aveva pensato di metterne a capo il Papa. Ma in un momento in cui erano proprio i liberali a tenere sotto attacco il Pontefice e la libertà di coscienza, come abbiamo visto, era usata come scusa per colpire il cattolicesimo tutto ciò non poteva essere recepito.
I collaboratori di Lamennais si piegarono all’enciclica, il loro maestro no. Sensibilità esagerata, orgoglio intellettuale: nessuno seppe prenderlo dal lato giusto e la Chiesa perse una della sue personalità più brillanti.
E’ questo che distingue il santo dall’intellettuale. Il santo è spesso perseguitato dalla gerarchia, ma obbedisce perché confida in Dio; ed alla fine vede riconosciuta la sua posizione. L’intellettuale pensa di essere il più grande, confida solo in sè, non si piega, e finisce per perdersi.