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Quia propter

Bolla legaziale - Urbano II


Urbano Vescovo, servo dei servi di Dio, al carissimo figlio Ruggiero, conte di Calabria e di Sicilia, salute e apostolica benedizione.

Poiché il favore della suprema maestà ti ha esaltato con molti trionfi e onori per la tua prudenza, e poiché con la tua industria hai moltissimo dilatato la chiesa nei territori dei Saraceni, e ti sei sempre dimostrato in molti modi devoto alla santa Sede Apostolica, Noi ti abbiamo assunto come speciale e carissimo figlio della medesima universale Madre Chiesa.

Pertanto, confidando moltissimo nella tua rettitudine e saggezza, come abbiamo promesso verbalmente, così confermiamo con la solennità del presente documento che, per tutto il tempo della tua vita, del tuo figlio Simone, o di altro tuo legittimo erede, non stabiliremo nessun legato della Romana Chiesa nel territorio del vostro dominio senza vostra volontà o consiglio; anzi vogliamo che siano operate per vostra cura, in luogo del legato, quelle cose che dovremo operare per mezzo del legato, quando vi affideremo nostre commissioni "a latere", per il bene cioè delle chiese che stanno sotto i vostri domini, ad onore del Beato Pietro e della sua santa Sede Apostolica, alla quale fino ad oggi hai devotamente sovvenuto nelle sue difficoltà.

Se poi si celebrerà un Concilio ti darò mandato di inviare a me quanti e quali vescovi ed abbati del tuo Stato vorrai, e di ritenere gli altri a servizio e custodia delle chiese.

Il Signore onnipotente diriga i tuoi atti a suo beneplacito, e, assolto dai peccati, ti conduca alla vita eterna.

Dato a Salerno, per mano di Giovanni, Cardinale Diacono di Santa Romana Chiesa, il 5 luglio (1098), settima edizione, anno 10 del nostro Pontificato.




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Sicut universitatis conditor

Lettera di Innocenzo III


Lettera sui due poteri, del Papa e dell’Imperatore, di cui il secondo deriva dal primo

Come Dio, creatore dell'universo, ha creato due grandi luci nel firmamento del cielo, la più grande per presiedere al giorno e la più piccola per presiedere alla notte, così egli ha stabilito nel firmamento della Chiesa universale, espressa dal nome di cielo, due grandi dignità: la maggiore a presiedere (per così dire) ai giorni cioè alle anime, e la minore a presiedere alle notti cioè ai corpi. Esse sono l'autorità pontificia e il potere regio. Così, come la luna riceve la sua luce dal sole e per tale ragione è inferiore a lui per quantità e qualità, dimensione ed e effetti, similmente il potere regio deriva dall'autorità papale lo splendore della propria dignità e quanto più e con essa a contatto, di tanto maggior luce si adorna, e quanto più ne è distante tanta meno acquista in splendore. Ambedue questi poteri hanno avuto collocata la sede del loro primato in Italia, il qual paese quindi ottenne la precedenza su ogni altro per divina disposizione. E perciò, se pure noi dobbiamo estendere l'attenzione della nostra provvidenza a tutte le province, tuttavia dobbiamo con particolare e paterna sollecitudine provvedere all'Italia, dove furono poste le fondamenta della religione cristiana e dove l'eccellenza del sacerdozio e della dignità si esalta con la supremazia della Santa Sede...

Data in Laterano il terzo giorno prima delle calende di novembre, 30 ottobre 1198.






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Venerabilem fratrem

Decreto - Innocenzo III


Al vescovo di Palestrina, a sostegno della causa del re Ottone e contro il partito del duca Filippo di Hoenstaufen

Noi abbiamo benignamente ricevuto il nostro venerabile fratello, l’arcívescovo di Salisburgo, e il nostro amatissimo figlio, l'abate di Salisburgo, e il nobile margravio dell'Est, che alcuni principi hanno mandato come inviati alla Santa Sede, e abbiamo deciso di concedere loro benevola udienza. Noi leggemmo con molta attenzione la lettera inviataci per loro mezzo da essi principi e considerammo ogni cosa in essa contenuta. Tra le altre notammo che i suddetti principi fanno soprattutto obbiezione e che il nostro venerabile fratello il vescovo di Palestrina e legato della Santa Sede agisca come elettore e come giudice; considerandosi elettore, egli portava la falce in una messe non sua, e, interferendo nell'elezione, avviliva la dignità degli elettori; e agendo come giudice, è chiaro che errava, poiché una delle parti era assente, non essendo stata convocata, e pertanto non poteva essere giudicata in contumacia.

Proprio come noi (che dobbiamo giustizia a particolari persone secondo il servizio connesso con l'apostolico uffizio) non vogliamo che la nostra giustizia sia usurpata da altri, così non desideriamo avocare a noi stessi i diritti dei principi. E perciò riconosciamo, come è nostro dovere, i privilegi e il potere di quei principi, cui è risaputo che spetta per diritto ed antica tradizione eleggere un re, che sarà poi promosso alla dignità di imperatore; tanto più, che questo diritto e privilegio è stato ad essi conferito dalla Santa Sede, che ha trasmesso l’Impero Romano dai Greci ai Germani nella persona di Carlomagno.

Ma d'altra parte, i principi devono riconoscere, ed attualmente essi lo riconoscono, che il diritto e l’autorità di giudicare la persona eletta come re (e che deve essere innalzato alla dignità di imperatore) spetta a noi che l’ungiamo, lo consacriamo e lo incoroniamo. Infatti è regola generale che l’esame della persona tocchi di diritto a colui cui spetta l’imposizione delle mani. Forse, quindi, se i principi non solo con voti divisi, ma anche all’unanimità, eleggessero re un sacrilego od uno scomunicato, un tiranno od un idiota, un eretico e un pagano, noi dovremmo ungere, consacrare ed incoronare un tale uomo? Certamente no! Ed appare ovvio dalla legge e dai precedenti che, se in una elezione i voti dei principi sono divisi, noi possiamo favorire con la dovuta ponderazione e dopo un’attesa adeguata una delle due parti, e tanta più quando ci si richiedono funzione, la consacrazione e l’incoronazione; ed è spesso accaduto che ambedue le parti ce le abbiano richieste.

Dunque, se i principi, anche dopo essere stati preavvisati e garantiti di una proroga, non possono o non vogliono accordarsi, forse la Santa Sede non dovrà avere un avvocato e un difensore e la loro colpa dovrà risultare a suo danno? Poiché noi non possiamo per alcuna ragione recedere dalle nostre intenzioni e anzi vi teniamo fermamente fede, e poiché tu stesso ci hai spesso suggerito nella tua lettera di non sostenere affatto quel duca (ossia Filippo di Hoenstaufen) noi ora ammoniamo la tua nobiltà e con questa apostolica lettera ti ingiungiamo (considerando che tu confidi nel nostro favore e noi speriamo nella tua devozione) di abbandonare completamente la causa del predetto duca Filippo ad onta di qualsiasi promessa tu possa avergli fatto per il regno; poiché egli non può ottenere la dignità imperiale, essendo stato respinto, tali promesse hanno perso il loro valore. Ma invece patteggia apertamente e di atto per il re Ottone, che noi intendiamo chiamare (con l'aiuto di Dio) alla corona imperiale; se aderirai alla sua causa, seguendo il nostro consiglio, tu meriterai in particolare modo e tra i primi di ottenere il suo favore e la sua benevolenza, e in ciò avrai, per l’amore che portiamo alla tua nobiltà, il nostro pieno appoggio.

Data in Laterano, marzo 1201




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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)