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[SM=g1740758] Ricordiamo a tutti che in questo Anno della Fede si sta compiendo anche la Giornata Mondiale della Gioventù in Brasile alla presenza del Santo Padre, QUI troverete i testi, senza commenti mediatici, e le foto dell'evento.....

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Ottima la relazione di queste giornate di Massimo Introvigne da La nuovaBussola 27.7.2013

Dopo le giornate dedicate al Brasile, al suo cuore mariano ad Aparecida e alle sue periferie dei malati e dei poveri, Papa Francesco nella serata del 25 e il 26 luglio è entrato nel vivo della Giornata Mondiale della Gioventù, incontrando un milione di giovani in un clima di entusiasmo davvero indescrivibile. Il Papa ha assecondato i giovani e ha scherzato con loro, ma ha anche proposto un messaggio impegnativo.

Il programma è stato anticipato ai numerosi giovani venuti dall’Argentina nella Cattedrale di San Sebastián di Rio de Janeiro, in cui il Pontefice ha detto ai ragazzi: «Spero che ci sia chiasso. Qui ci sarà chiasso, ci sarà. […] Però io voglio che ci sia chiasso nelle diocesi, voglio che si esca fuori, voglio che la Chiesa esca per le strade, voglio che ci difendiamo da tutto ciò che è mondanità, immobilismo, da ciò che è comodità, da ciò che è clericalismo, da tutto quello che è l’essere chiusi in noi stessi». Si tratta del tema ripetuto tante volte in questi primi mesi di pontificato: non ci sarà nessuna nuova evangelizzazione se rimaniamo chiusi in noi stessi, nelle nostre parrocchie, nei nostri movimenti, impegnati in riunioni, piani e chiacchiere senza fine, autoreferenziali, dove parliamo solo tra noi. «Le parrocchie, le scuole, le istituzioni sono fatte per uscire fuori». Chi non esce fuori – è l’altro grande tema del pontificato – corre il rischio della mondanità spirituale, di fare tante opere anche buone solo per amore dell’applauso del mondo, o per amore dell’uomo, ma non – come dovrebbe essere – per amore di Dio. Per questo è obbligatorio che parrocchie e movimenti «escano» a evangelizzare chi è fuori. «Se non lo fanno diventano una ONG e la Chiesa non può essere una ONG».

Il momento è drammatico, e il Papa pensa che «questa civiltà mondiale sia andata oltre i limiti», dotandosi «di una filosofia e di una prassi di esclusione dei due poli della vita che sono le promesse dei popoli»: gli anziani e i giovani. C’è una «eutanasia nascosta» degli anziani e «c’è anche un’eutanasia culturale» sia degli anziani sia dei giovani, che vuole escludere la fede ed emarginare chiunque si opponga all’omologazione a un pensiero unico dominante o porti in sé la memoria e la speranza dello scandalo cristiano. «La fede in Gesù Cristo – ha detto Francesco – non è uno scherzo, è una cosa molto seria. È uno scandalo che Dio sia venuto a farsi uno di noi. È uno scandalo che sia morto su una croce». Anche i cristiani sono tentati di ridurre la loro fede, di sottrarsi allo scandalo, e il Papa li ha invitati: «Per favore, non “frullate” la fede in Gesù Cristo», non diluitela con le idee del mondo.

Nella grande riunione notturna di Copacabana, Francesco ha salutato nei giovani «la bellezza del volto giovane di Cristo», ripetendo con loro lo slogan di questa GMG: «Bota fé – Metti fede», una formula – ha affermato – che si situa «nel cuore dell'Anno della fede». Nell’omelia, il Papa ha ricordato che la grande riunione di giovani di tutto il mondo in Brasile non è una kermesse, un evento come gli altri: il suo senso è «essere qui riuniti insieme attorno a Gesù». Occorre allora riflettere in profondità su che cosa significa il motto «Metti fede». «Quando si prepara un buon piatto – ha spiegato Francesco – e vedi che manca il sale, allora tu “metti” il sale; manca l'olio, allora tu “metti” l'olio... “Mettere”, cioè collocare, versare. Così è anche nella nostra vita cari giovani: se vogliamo che essa abbia veramente senso e pienezza, […] “metti fede” e la tua vita avrà un sapore nuovo, avrà una bussola che indica la direzione; “metti speranza” e ogni tuo giorno sarà illuminato e il tuo orizzonte non sarà più oscuro, ma luminoso; “metti amore” e la tua esistenza sarà come una casa costruita sulla roccia».

Non possiamo certamente cambiare la nostra vita da soli. È Cristo che la cambia. «Per questo oggi vi dico con forza: “metti Cristo” nella tua vita e troverai un amico di cui fidarti sempre; “metti Cristo” e vedrai crescere le ali della speranza per percorrere con gioia la via del futuro; “metti Cristo” e la tua vita sarà piena del suo amore, sarà una vita feconda». Papa Francesco ha proposto uno dei suoi consueti esami di coscienza: «in chi riponiamo la nostra fiducia? In noi stessi, nelle cose, o in Gesù? Noi siamo tentati di metterci al centro, di credere che siamo solo noi a costruire la nostra vita o che essa sia resa felice dal possedere, dai soldi, dal potere. Ma non è così».

Il Papa non propone nulla di meno di «una rivoluzione che potremmo chiamare copernicana, perché ci toglie dal centro e lo ridona a Dio». Può sembrare una semplice formula devozionale. «All’apparenza non cambia nulla, ma nel più profondo di noi stessi tutto cambia»: «la nostra esistenza si trasforma, il nostro modo di pensare e di agire si rinnova, diventa il modo di pensare e di agire di Gesù, di Dio». Per cambiare, dice il Papa a ogni giovane, devi riconoscere in te «le ferite del peccato. Non avere paura di chiedere perdono a Dio». Per questo il Pontefice ha voluto personalmente confessare cinque giovani – tra cui una ragazza italiana –, richiamando tutti all’importanza di questo sacramento, e incontrare privatamente prima dell’Angelus del 26 luglio anche alcuni detenuti.

L’Angelus in Brasile si chiama «l’Ora di Maria». Francesco ha invitato i giovani a prendere l’abitudine di recitarla «in tre momenti caratteristici della giornata che segnano il ritmo delle nostre attività quotidiane: al mattino, a mezzogiorno e al tramonto». E il 26 luglio, festa dei santi Gioacchino e Anna, l’Angelus dei giovani ha ricordato due nonni: i genitori della Madonna, dunque i nonni di Gesù, nella cui casa è venuta al mondo ed è stata educata alla fede la Vergine Maria. Il Papa ne ha tratto occasione per ricordare «il valore prezioso della famiglia come luogo privilegiato per trasmettere la fede», che la Madonna, invocata nella preghiera familiare, può davvero rendere «focolare di fede e di amore». Il 26 luglio, proprio a causa dei santi Gioacchino e Anna, in Brasile e in altri Paesi si celebra la festa dei nonni. I nonni, ha detto il Pontefice, «sono importanti nella vita della famiglia per comunicare quel patrimonio di umanità e di fede che è essenziale per ogni società». I giovani della GMG dunque «vogliono salutare i nonni»: e «li ringraziano per la testimonianza di saggezza che ci offrono continuamente».







[SM=g1740758]  ll Papa ai Vescovi incontrati per la Gmg in Brasile:
«Chiesa semplice
o la missione fallisce»


Creatività dell’amore, grammatica della semplicità, riscaldare il cuore, accordare il passo con le possibilità dei pellegrini, penetrare nel varco del disincanto dei cuori, ridare cittadinanza a tanti che camminano come in un esodo…

Il discorso del Papa ai vescovi brasiliani sulla missione della Chiesa oggi è intessuto di espressioni che recano chiaramente la sua impronta, nei contenuti non meno che nello stile. Anzitutto va sottolineata la lunghezza, del tutto inusuale per Francesco: il testo letto ai presuli di questo immenso Paese (che conta il maggior numero di cattolici e di diocesi al mondo) è una riflessione che parlando al Brasile in realtà allarga gli orizzonti a tutta la Chiesa.

E’ di fatto la prima sistematizzazione della visione della Chiesa di Papa Bergoglio. Il Papa ricorre a due immagini: il rinvenimento miracoloso ormai 300 anni fa dell’immagine mariana venerata ad Aparecida come patrona del Brasile e i discepoli di Emmaus.
Ad Aparecida, dice il Papa, Dio offre “una lezione sull’umiltà che appartiene a Dio come tratto essenziale, è nel Dna di Dio”. L’icona infatti venne pescata nelle acque di un fiume da umili pescatori che poi la rivestirono di panni come per proteggerla: “Hanno una barca fragile, inadatta, hanno reti scadenti, forse anche danneggiate, insufficienti”, ma Dio “è arrivato di sorpresa, forse quando non era più atteso. La pazienza di coloro che lo attendono è sempre messa alla prova. E Dio è arrivato in modo nuovo, perché può sempre reinventarsi: un’immagine di fragile argilla, oscurata dalle acque del fiume, anche invecchiata dal tempo. Dio entra sempre nelle vesti della pochezza”.


I pescatori che “portano a casa il mistero”, cioè la statuetta in pezzi, sono segno della “gente semplice” che “ha sempre spazio per far albergare il mistero. Forse abbiamo ridotto il nostro parlare del mistero ad una spiegazione razionale; nella gente, invece, il mistero entra dal cuore. Nella casa dei poveri Dio trova sempre posto”. Poi quei pescatori rivestono l’immagine di panni: “Dio – chiosa il Papa - chiede di essere messo al riparo nella parte più calda di noi stessi: il cuore. Poi è Dio a sprigionare il calore di cui abbiamo bisogno, ma prima entra con l’astuzia di colui che mendica”. La porta della loro vita ora è aperta: “Consentono così che le intenzioni di Dio si possano attuare: una grazia, poi l’altra; una grazia che apre ad un’altra; una grazia che prepara un’altra. Dio va gradualmente dispiegando l’umiltà misteriosa della sua forza”.

La lezione di Aparecida a Bergoglio pare trasparente: occorre “una Chiesa che fa spazio al mistero di Dio; una Chiesa che alberga in se stessa tale mistero, in modo che esso possa incantare la gente, attirarla. Solo la bellezza di Dio può attrarre. La via di Dio è l’incanto, il fascino. Dio si fa portare a casa. Egli risveglia nell’uomo il desiderio di custodirlo nella propria vita, nella propria casa, nel proprio cuore. Egli risveglia in noi il desiderio di chiamare i vicini per far conoscere la sua bellezza”. Per il Papa è chiaro che “senza la semplicità del loro atteggiamento, la nostra missione è destinata al fallimento”. E se la Chiesa “non ha la potenza dei grandi transatlantici che varcano gli oceani”, tuttavia “Dio vuole manifestarsi proprio attraverso i nostri mezzi, mezzi poveri, perché è sempre Lui che agisce”. Dunque, “il risultato del lavoro pastorale non si appoggia sulla ricchezza delle risorse, ma sulla creatività dell’amore. Servono certamente la tenacia, la fatica, il lavoro, la programmazione, l’organizzazione, ma prima di tutto bisogna sapere che la forza della Chiesa non abita in se stessa, bensì si nasconde nelle acque profonde di Dio, nelle quali essa è chiamata a gettare le reti”.

All’icona dei discepoli di Emmaus che si allontanano da Gerusalemme con l’idea di essere ormai solo dei vinti il Papa invece consegna un’analisi del rapporto tra la Chiesa e l’uomo contemporaneo. Come i due in cammino fuori dalla Città Santa, anche noi “abbiamo lavorato molto e, a volte, ci sembra di essere degli sconfitti, come chi deve fare il bilancio di una stagione ormai persa, guardando a coloro che ci lasciano o non ci ritengono più credibili, rilevanti”.

Le parole del Papa sul “mistero difficile della gente che lascia la Chiesa”, di chi ritiene “che ormai la Chiesa - la loro Gerusalemme - non possa offrire più qualcosa di significativo e importante” interroga il Papa.

Costoro “vanno per la strada da soli, con la loro delusione. Forse la Chiesa è apparsa troppo debole, forse troppo lontana dai loro bisogni, forse troppo povera per rispondere alle loro inquietudini, forse troppo fredda nei loro confronti, forse troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei propri rigidi linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un relitto del passato, insufficiente per le nuove domande; forse la Chiesa aveva risposte per l’infanzia dell’uomo ma non per la sua età adulta”. “Di fronte a questa situazione – si chiede Bergoglio – che cosa fare?”. La risposta è una rotta per il futuro: “Serve una Chiesa che non abbia paura di uscire nella loro notte. Serve una Chiesa capace di intercettare la loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione. Serve una Chiesa che sappia dialogare con quei discepoli, i quali, scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto, con la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di generare senso”.


La globalizzazione illude e delude: sotto i nostri occhi sono “lo smarrimento del senso della vita, la disintegrazione personale, la perdita dell’esperienza di appartenenza a un qualsivoglia ‘nido’, la violenza sottile ma implacabile, la rottura interiore e la frattura nelle famiglie, la solitudine e l’abbandono, le divisioni e l’incapacità di amare, di perdonare, di comprendere, il veleno interiore che rende la vita un inferno, il bisogno della tenerezza perché ci si sente così inadeguati e infelici, i tentativi falliti di trovare risposte nella droga, nell’alcool, nel sesso diventati ulteriori prigioni”. La risposta è un altro tratto di strada da compiere: “Oggi serve una Chiesa in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è chi si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è necessario saper leggere il tutto con coraggio”. Il Papa incalza con nuove domande e altrettante sfide: “Siamo ancora una Chiesa capace di riscaldare il cuore? Una Chiesa capace di ricondurre a Gerusalemme? Di riaccompagnare a casa? In Gerusalemme abitano le nostre sorgenti: Scrittura, Catechesi, Sacramenti, Comunità, amicizia del Signore, Maria e gli Apostoli... Siamo ancora in grado di raccontare queste fonti così da risvegliare l’incanto per la loro bellezza?”.

A questo punto il Papa sottolinea – tra gli altri – un virus che si è inoculato anche nella Chiesa, offrendo anche l’antidoto con parole dolcissime: “La ricerca di ciò che è sempre più veloce attira l’uomo d’oggi: Internet veloce, auto veloci, aerei veloci, rapporti veloci... E tuttavia si avverte una disperata necessità di calma, vorrei dire di lentezza. La Chiesa, sa ancora essere lenta: nel tempo, per ascoltare, nella pazienza, per ricucire e ricomporre? O anche la Chiesa è ormai travolta della frenesia dell’efficienza? Recuperiamo, cari Fratelli, la calma di saper accordare il passo con le possibilità dei pellegrini, con i loro ritmi di cammino, la capacità di essere sempre vicini per consentire loro di aprire un varco nel disincanto che c’è nei cuori, così da potervi entrare. Essi vogliono dimenticare Gerusalemme nella quale abitano le loro sorgenti, ma allora finiranno per sentire sete. Serve una Chiesa capace ancora di accompagnare il ritorno a Gerusalemme! Una Chiesa che sia in grado di far riscoprire le cose gloriose e gioiose che si dicono di Gerusalemme, di far capire che essa è mia Madre, nostra Madre e non siano orfani!”.

E poi una delle frasi più forti del discorso: “Serve una Chiesa capace ancora di ridare cittadinanza a tanti dei suoi figli che camminano come in un esodo”. Bergoglio punta dritto sulla missione: “E’ da ricordare – dice - che l’urgenza deriva dalla sua motivazione interna, si tratta cioè di trasmettere un’eredità, e sul metodo è decisivo ricordare che un’eredità .è come il testimone, il bastone, nella corsa a staffetta: non si butta per aria e chi riesce a prenderlo, bene, e chi non ci riesce rimane senza. Per trasmettere l’eredità bisogna consegnarla personalmente, toccare colui al quale si vuole donare, trasmettere, tale eredità”.

A compiere la missione sarà una Chiesa capace di “conversione pastorale”: “Vorrei ricordare – precisa il Papa - che ‘pastorale’ non è altra cosa che l’esercizio della maternità della Chiesa. Essa genera, allatta, fa crescere, corregge, alimenta, conduce per mano... Serve, allora, una Chiesa capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia c’è poco da fare oggi per inserirsi in un mondo di “feriti”, che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore”. La missione ha anche un inevitabile impatto sociale, e “nell’ambito della società c’è una sola cosa che la Chiesa chiede con particolare chiarezza: la libertà di annunciare il Vangelo in modo integrale, anche quando si pone in contrasto con il mondo, anche quando va controcorrente, difendendo il tesoro di cui è solo custode, e i valori dei quali non dispone, ma che ha ricevuto e ai quali deve essere fedele”. Infine, un’indicazione esplicita sulle donne: “Non riduciamo l’impegno delle donne nella Chiesa, bensì promuoviamo il loro ruolo attivo nella comunità ecclesiale. Perdendo le donne la Chiesa rischia la sterilità”.


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[Modificato da Caterina63 27/07/2013 21:28]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)