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Canone XII

Poiché le dignità, nelle chiese, specie cattedrali, sono state istituite per conservare ed accrescere la disciplina ecclesiastica e perché quelli che le hanno si distinguessero nella pietà, fossero di esempio agli altri e aiutassero i vescovi con l’adempimento del loro dovere, giustamente quelli che sono chiamati a ricoprirle, devono essere tali da rispondere al loro ufficio.

Nessuno, quindi, in avvenire, venga promosso a qualsiasi dignità, cui sia annessa la cura delle anime, se non ha raggiunto almeno il venticinquesimo anno di età, e, vissuto già nell’ordine clericale, non sia ragguardevole per la dottrina - necessaria per eseguire il proprio ufficio - e per la integrità dei costumi, secondo la costituzione di Alessandro III, promulgata nel concilio Lateranense: Cum in cunctis (397).

Anche gli arcidiaconi, che sono detti occhi dei vescovi, siano, in tutte le chiese, dove è possibile, maestri in teologia, dottori e licenziati in diritto canonico.

Alle altre dignità o personati, cui non è annessa la cura delle anime, siano chiamati quei chierici che, idonei sotto ogni altro aspetto, non abbiano meno di ventidue anni.

Quelli, inoltre, che sono provvisti di qualsiasi beneficio che comporti la cura delle anime, sono tenuti, almeno entro i due mesi dalla presa di possesso, a fare nelle mani del vescovo, o, se questi ne fosse impedito, dinanzi al suo vicario generale o ad un suo officiale, la pubblica professione della loro retta fede. Promettano anche e giurino di rimanere nell’obbedienza della chiesa romana.

Quelli, invece, che sono stati provvisti di canonicati e dignità in chiese cattedrali, sono tenuti a far ciò non solo dinanzi al vescovo o ad un suo rappresentante, ma anche in capitolo.

Nessuno, inoltre, d’ora innanzi, sia ricevuto ad una dignità, ad un canonicato, ad una porzione, se non sia già costituito in quell’ordine sacro che è richiesto da tale dignità, prebenda o porzione, o sia in tale età, che entro il tempo stabilito dal diritto e da questo santo sinodo (398), possa ricevere l’ordine stesso.

In tutte le chiese cattedrali, poi, tutti i canonicati e porzioni abbiano annesso l’ordine del presbiterato, del diaconato o del suddiaconato. Col consiglio del capitolo, poi, il vescovo designi e stabilisca, come gli sembrerà meglio, a quale ufficio ciascun ordine debba essere annesso; e lo faccia in tal modo, che almeno la metà siano presbiteri, gli altri diaconi o suddiaconi. Dove vi fosse la consuetudine più lodevole che la maggior parte o tutti siano presbiteri, sia osservata senz’altro.

Questo santo sinodo esorta anche a far sì, che in quelle province dove si può facilmente realizzare, tutte le dignità e almeno metà dei canonicati, nelle chiese cattedrali e nelle collegiate insigni, siano conferiti solo a maestri o dottori, o anche ai licenziati in teologia o diritto canonico.

A quelli, inoltre, che nelle stesse cattedrali o collegiate hanno dignità, canonicati, prebende o porzioni non sia lecito essere assenti ogni anno per più di tre mesi, in forza di qualsiasi statuto, o consuetudine, salve le costituzioni di quelle chiese che richiedono un tempo più lungo nel servizio. In caso contrario ciascuno il primo anno sia privato della metà dei frutti che ha percepito in ragione della prebenda e della residenza. Se poi mostrerà la stessa negligenza, sia privato di tutti i frutti che in quell’anno ha percepito. Crescendo la loro contumacia, si proceda contro di essi conforme alle prescrizioni dei sacri canoni.

Per quanto riguarda le distribuzioni, le ricevano solo quelli che sono stati presenti alle ore stabilite. Gli altri, senza possibilità di intesa e di remissione, ne siano privati, secondo il decreto di Bonifacio VIII: Consuetudinem (399), che il santo sinodo intende ripristinare. Tutto ciò, non ostante qualsiasi statuto o consuetudine.

Tutti poi siano obbligati a compiere i divini uffici da loro stessi, e non per mezzo di altri, ad assistere e a servire il vescovo quando celebra e compie altri uffici pontificali; e così pure a lodare con riverenza, chiaramente e con devozione in coro, istituito per salmeggiare il nome di Dio con inni e canti.

Indossino sempre, inoltre, un vestito decente, sia nella chiesa che fuori. Si astengano da cacce illecite, da uccellagioni, da danze; si tengano lontani dalle osterie e dai giuochi e mostrino quella integrità di costumi, per cui a ragione possano esser chiamati il senato della chiesa.

Quanto alle altre cose necessarie, che riguardano la dovuta disciplina nei divini uffici, il giusto modo di cantare e di salmodiare, il modo prescritto di andare e rimanere in coro, ed inoltre tutto ciò che riguarda i ministri della chiesa e altre cose simili, penserà il sinodo provinciale a prescrivere a ciascuno la propria forma, a seconda dell’utilità di ciascuna provincia e secondo i suoi usi. Nel frattempo il vescovo con non meno di due canonici, di cui uno scelto da lui, l’altro dal capitolo, potrà provvedere in quelle cose, che sembreranno necessarie.

Canone XIII

Poiché molte chiese cattedrali hanno redditi tanto tenui e sono così piccole, da non essere assolutamente adeguate alla dignità vescovile, né alla necessità delle chiese, il concilio provinciale, dopo aver chiamato quelli cui la cosa interessa, esamini e consideri diligentemente quali siano quelle che, per la loro piccolezza e inconsistenza sia necessario unire alle diocesi vicine o far in modo che aumentino i loro proventi. Redatto su ciò un documento, lo si mandi al sommo pontefice romano; basandosi su di esso, egli, secondo la sua prudenza e secondo quanto gli sembrerà doversi fare, unirà le più piccole fra di loro o ne aumenterà i frutti con qualche aggiunta.

Intanto, fino a che queste pratiche non abbiano il loro effetto, il sommo pontefice romano potrà provvedere a quei vescovi che hanno bisogno di sovvenzioni per la povertà della loro diocesi con qualche beneficio, purché non abbia cura d’anime, e non si tratti di dignità, di canonicati, di prebende, di monasteri, in cui sia viva l’osservanza della regola, o che siano soggetti ai capitoli generali, e a determinati visitatori.

Anche nelle chiese parrocchiali, i cui frutti siano ugualmente tanto scarsi da non potersi soddisfare agli oneri che hanno, il vescovo farà in modo che - se quanto abbiamo detto non si potrà ottenere con l’unione dei benefici (non tuttavia dei regolari), - con l’assegnazione delle primizie e delle decime, con i contributi delle parrocchie e con le raccolte di denaro, o in altro modo, che a lui sembri più adatto, si ricavi tanto che possa esser sufficiente alle necessità del rettore e della parrocchia.

In ogni unione, poi, sia quelle sopra accennate, sia quelle che si dovessero fare per altri motivi, le chiese parrocchiali non si uniscano mai con un monastero, con una abbazia, con la dignità, o prebenda di una chiesa cattedrale, o collegiata, con altri benefici semplici, con ospedali, con milizie. E quelle che fossero unite, siano riesaminate dagli ordinari, secondo il decreto un tempo emanato nello stesso sinodo, sotto Paolo III, di felice memoria (400). Decreto che si osserverà ugualmente anche per le unioni fatte da quel tempo in poi. Ciò, nonostante qualsiasi termine usato che deve ritenersi come qui sufficientemente espresso.

Oltre a ciò, in avvenire, tutte quelle chiese cattedrali, il cui reddito non supera la somma di mille ducati e le chiese parrocchiali, il cui reddito, secondo il loro vero valore annuo, non supera i cento, non siano aggravate da alcuna pensione o riserva di frutti.

Anche in quelle città e luoghi, dove le chiese parrocchiali non hanno confini ben definiti, e i loro rettori non hanno un popolo da reggere, ma amministrano solo indistintamente i sacramenti a chi li chiede, il santo sinodo comanda ai vescovi che, per potere ottenere con una maggiore certezza la salute delle anime loro affidate, diviso il popolo in parrocchie vere e proprie, assegnino a ciascuna un proprio parroco permanente, che possa conoscerle, e da cui soltanto ricevano lecitamente i sacramenti, o provvedano in altro modo migliore, secondo le esigenze del luogo. E cerchino di fare al più presto la stessa cosa nelle altre città e luoghi dove non vi sono affatto chiese parrocchiali. Ciò, non ostante qualsiasi privilegio e consuetudine, anche immemorabili.

Canone XIV

In molte chiese, sia cattedrali che collegiate e parrocchiali, in forza delle loro costituzioni o per una riprovevole consuetudine, è corrente che nella elezione, presentazione, nomina, istituzione, conferma, conferimento, o altra provvista o ammissione al possesso di una chiesa cattedrale o beneficio, di canonicati e di prebende, o ad una parte dei proventi, o alle distribuzioni quotidiane, si frappongano certe condizioni o deduzioni dai frutti, certi pagamenti, promesse e compensi illeciti, o anche quelli che in alcune chiese sono detti "lucri di turno".

Il santo sinodo detesta queste cose e comanda ai vescovi che proibiscano quello che, in queste faccende, non viene convertito in uso pio, quegli ingressi che destano sospetto di simonia, o presentano il carattere di volgare avarizia. Prendano conoscenza, inoltre, diligentemente, delle loro costituzioni e consuetudini su questi argomenti, e con eccezione soltanto di quelle che essi approvano come lodevoli, respingano ed aboliscano tutte le altre, come indegne e scandalose.

Il santo sinodo stabilisce che quelli che in qualsiasi modo agissero contro le prescrizioni di questo decreto, siano soggetti alle pene emanate contro i simoniaci, a quelle dei sacri canoni ed alle varie costituzioni dei sommi pontefici, che rinnova. Tutto questo, non ostante qualsiasi statuto, costituzione e consuetudine, anche immemorabile, anche se fossero state confermate dall’autorità apostolica. Il vescovo, come delegato della sede apostolica, potrà indagare sulla loro reticenza, falsità e difetto di intenzione.

Canone XV

In quelle chiese cattedrali e collegiate insigni, dove le prebende sono molte, e, quindi, poco consistenti pur con le distribuzioni quotidiane, così da non esser sufficienti per la decorosa condizione dei canonici, considerata la qualità del luogo e delle persone, i vescovi, col consenso del capitolo, potranno unire ad esse alcuni benefici semplici (mai dei regolari), o, se in questo modo non si potesse provvedere, ne sopprimano qualcuna, col consenso dei patroni - se sono di diritto di patronato dei laici, - applicandone i frutti e i proventi alle distribuzioni quotidiane delle altre prebende e le riducano di numero, facendo in modo, però, che ne rimangano tante, da poter esser sufficienti comodamente alla celebrazione del culto divino e alla dignità della chiesa. Ciò non ostante qualsiasi costituzione, privilegio, riserva, generale o speciale. Né le predette unioni o soppressioni potranno esser annullate o impedite da qualsiasi provvista, anche in forza di una rinunzia o da qualsiasi altra deroga o sospensione.

Canone XVI

Durante la sede vacante il capitolo - se ha l’ufficio di percepire i frutti - stabilisca uno o più economi, fidati e diligenti, che si occupino delle cose ecclesiastiche e dei proventi, e rendano ragione, a suo tempo, a colui cui spetta. Così pure sia tenuto ad eleggere un officiale o vicario entro gli otto giorni dalla morte del vescovo e a confermarlo, se già vi fosse; sia dottore o almeno licenziato in diritto canonico, o, in ogni caso e per quanto è possibile, adatto. Se si facesse diversamente, questa designazione sia devoluta al metropolita. Se poi la chiesa fosse proprio quella metropolitana, o se fosse esente, e il capitolo (come è stato accennato) fosse negligente, allora il più anziano dei vescovi suffraganei, se si tratta della chiesa metropolitana, e il più vicino, se si tratta di una chiesa esente, hanno il potere di costituire un economo e un vicano adatti.

Il vescovo promosso a quella chiesa vacante, poi, tra le altre cose che gli spettano, esiga che gli si renda ragione dallo stesso economo, dal vicario e da qualsiasi altro officiale ed amministratore, costituito dal capitolo o da altri in suo luogo durante la sede vacante, anche se fossero membri dello stesso capitolo, ragione dei loro uffici, della giurisdizione, dell’amministrazione e di qualsiasi altro loro incarico. E potrà anche punire quelli che nel loro ufficio o amministrazione avessero mancato, anche se questi officiali, reso già il loro rendiconto, avessero ottenuto dal capitolo o da quelli che da esso fossero stati deputati, l’assoluzione o la liberazione. Il capitolo sarà anche tenuto a render conto allo stesso vescovo degli scritti che appartengono alla chiesa, se ne fossero giunti al capitolo.

Canone XVII

La disciplina ecclesiastica resta sconvolta, quando uno dei chierici occupa più uffici. Perciò sapientemente fu disposto dai sacri canoni che nessuno dovesse essere incardinato in due chiese (401). Ma molti, mossi da un riprovevole desiderio di guadagno, ingannando se stessi (non Dio!) non si vergognano di eludere con varie arti quelle prescrizioni che saggiamente sono state emanate e di tenere più benefici insieme.

Per questo il santo sinodo, desiderando tornare alla dovuta disciplina nel governo delle chiese, con il presente decreto - che dovrà essere osservato da qualsiasi persona, di qualsiasi titolo, anche se fosse insignita dell’onore del cardinalato, - stabilisce che in futuro possa essere conferito a ciascuno un solo beneficio ecclesiastico. Se questo non fosse sufficiente all’onesto sostentamento di colui cui viene assegnato, si potrà conferirgliene un altro semplice, purché l’uno e l’altro non esigano la residenza personale.

Queste norme dovranno riguardare non solo le chiese cattedrali, ma anche tutti gli altri benefici, sia secolari che regolari, anche se fossero dati solo in commenda, di qualsiasi titolo e qualità essi siano.

Quelli poi che presentemente hanno più chiese parrocchiali, o ne hanno una cattedrale e l’altra parrocchiale, nonostante qualsiasi dispensa e qualsiasi unione a vita, siano senz’altro costretti a lasciare, entro lo spazio di sei mesi, le altre chiese parrocchiali, tenendosi soltanto la chiesa parrocchiale, o quella cattedrale. In caso diverso, tanto le chiese parrocchiali, quanto tutti gli altri benefici, che hanno ipso iure dovranno considerarsi vacanti, e, come vacanti, siano conferiti liberamente ad altri idonei; e quelli che prima avevano tali benefici, dopo quel tempo non potranno goderne i frutti con tranquillità di coscienza. Desidera, tuttavia, il santo sinodo, che si provveda alle necessita di quelli che rinunziano, in modo adatto, come sembrerà meglio al sommo pontefice.

Canone XVIII

Giova assai alla salute delle anime essere governate da parroci degni e adatti. E perché ciò possa esser fatto più diligentemente e più rettamente il santo sinodo stabilisce, che quando per morte o per rinunzia una chiesa parrocchiale si rende vacante - anche se la cura spetta alla chiesa o al vescovo ed è amministrata da una o più persone; anche nelle chiese dette patrimoniali o recettive, in cui il vescovo è solito dare la cura delle anime ad uno o più (persone tutte che sono tenute a sostenere l’esame di cui sotto) - anche se la stessa chiesa parrocchiale fosse riservata, sia in modo generale che speciale, anche in forza di qualche indulto o privilegio in favore di cardinali della santa chiesa romana, di abati, o di capitoli, il vescovo, non appena ha avuta notizia della vacanza, debba nominare, se necessario, un vicario adatto, con l’assegnazione di un’adeguata parte di frutti, a suo giudizio, il quale sostenga gli oneri della stessa chiesa, fino a che non sia stato nominato il rettore.

Inoltre, il vescovo e chi ha diritto di patronato, entro dieci giorni od altro tempo da determinarsi dal vescovo, nomini dinanzi agli esaminatori alcuni chierici adatti a reggere la chiesa. Sia permesso, tuttavia, anche ad altri, se conoscessero qualche altro idoneo a questo ufficio, di fare i loro nomi, perché si possa fare poi una diligente ricerca sull’età, sui costumi, e sulla capacità di ciascuno. Se poi al vescovo o al sinodo provinciale sembrasse meglio, - conforme all’uso della regione, - i candidati all’esame siano convocati con pubblico editto. Passato il tempo stabilito, tutti quelli che sono stati iscritti, siano esaminati dal vescovo o, se questi fosse impedito, dal vicano generale e dagli altri esaminatori - che non devono essere meno di tre. Se i voti di questi fossero pari o singolarmente diversi, il vescovo, o il vicario potrà aggiungere il suo voto a colui, cui sembrerà più opportuno darlo.

Gli esaminatori vengano presentati ogni anno nel sinodo diocesano dal vescovo o dal suo vicario almeno in numero di sei e siano di gradimento del sinodo e tali da ottenere la sua approvazione. Quando si rende vacante una chiesa, il vescovo ne scelga tre, che assieme a lui facciano l’esame; verificandosi un’altra vacanza, scelga gli stessi o altri tre fra i sei, quelli, cioè, che crederà meglio. Questi esaminatori siano maestri, dottori o licenziati in teologia o in diritto canonico; o anche altri chierici - o regolari -, anche dei mendicanti o secolari, a ciò particolarmente adatti. Giurino tutti sui santi vangeli di Dio, che essi, messa da parte qualsiasi umana considerazione, eseguiranno fedelmente il loro ufficio e si guardino bene dall’accettare, né prima né dopo, in occasione di questo esame, qualsiasi cosa. In caso contrario sia essi che gli altri che danno, incorrano nel reato di simonia, da cui non potranno essere assolti se non con la rinunzia ai benefici che in qualsiasi maniera, anche prima, avevano; e siano resi inabili per l’avvenire anche ad altri. Di queste cose, inoltre, siano obbligati a rendere conto non solo dinanzi a Dio, ma, se fosse il caso, anche nel sinodo provinciale, da cui, se si venisse a riscontrare che hanno in qualche modo agito contro il loro dovere, potranno essere puniti gravemente, a suo arbitrio.

Fatto, quindi, l’esame, siano pubblicati i nomi di quelli giudicati idonei, per età, costumi, dottrina, prudenza e per quelle altre qualità che li rendono capaci di governare la chiesa vacante; tra questi il vescovo scelga quello che giudicherà più adatto degli altri. E a lui - non ad altri - sia fatto il conferimento della chiesa da quegli cui spetta conferirla. Se poi questa fosse di diritto di patronato ecclesiastico e quindi la nomina appartenesse al vescovo, e non ad altri, colui che il patrono giudicherà migliore tra i candidati approvati dagli esaminatori, dovrà presentarsi al vescovo per essere da lui nominato.

Quando poi la nomina dovesse farsi da altri che non sia il vescovo, allora il solo vescovo scelga tra i degni il più degno, e il patrono lo presenti a colui, cui spetta la nomina. Se si trattasse di diritto di patronato di laici, quegli che sarà presentato dal patrono dovrà essere esaminato dagli stessi deputati di cui sopra, e non sarà ammesso, se non dopo che sarà stato trovato idoneo.

In tutti i casi sopraddetti, però, non si provveda alla chiesa per mezzo di nessun altro, se non attraverso uno dei predetti esaminati e approvati dagli esaminatori, secondo la norma data. Nessuna devoluzione, o appello - anche se interposto alla sede apostolica, ai suoi legati, vicelegati, nunzi, vescovi, metropoliti, primati o patriarchi - potrà impedire o sospendere l’esecuzione della relazione di questi esaminatori.

In caso diverso, il vicano che il vescovo avesse già assegnato temporaneamente, di propria iniziativa, alla chiesa vacante o che dovesse assegnare in seguito, non sia rimosso dalla cura e dal governo di quella chiesa, fino a che lui o altri, che fosse stato approvato o scelto, come già detto, non sia stato provvisto. Tutte le provviste o nomine fatte in maniera diversa da quanto prescrive la forma riferita sopra, devono essere considerate illegittime.

Non impediranno questo decreto le esenzioni, gli indulti, i privilegi, le prevenzioni, le nuove provisioni, gli indulti concessi a qualsiasi università, anche dietro versamento di una certa somma e qualsivoglia altro impedimento.

Se, tuttavia, i redditi di questa parrocchia fossero così tenui da non comportare il peso di tutto questo esame; o non vi sia alcuno che cerchi di sottoporsi a questo esame; o si temesse di suscitare facilmente risse e tumulti di una certa gravità, per le note fazioni o divisioni che vi sono in alcuni luoghi, l’ordinario - se in coscienza e col consiglio dei deputati crederà opportuno agire in tal modo, - omesso questo procedimento, potrà provvedere con un altro esame privato, osservando tuttavia le prescrizioni già esposte. Se poi il sinodo provinciale crederà di dover aggiungere od omettere qualche cosa circa la forma dell’esame, potrà farlo.

Canone XIX

Il santo sinodo stabilisce che i mandati di provvista, e quelle grazie che si chiamano ‘aspettative’ non si debbano concedere più a nessuno, neppure ai collegi, alle università ai senati, e ad altre singole persone, neppure a titolo di indulto, o dietro versamento di una certa somma, o con qualsiasi altro pretesto; e che a nessuno sia permesso far uso di quelle già concesse. Non si concedano a nessuno, inoltre, né le riserve mentali, né qualsiasi altra grazia che riguardi benefici che si renderanno vacanti, né indulti che riguardino chiese di altri o monasteri, neppure ai cardinali della santa chiesa romana. Le grazie e gli indulti che fossero stati concessi finora, siano considerati abrogati.

Canone XX

Tutte le cause che in qualsiasi modo appartengono al foro ecclesiastico - anche se riguardano i benefici - in prima istanza si svolgano solo dinanzi agli ordinari locali e siano assolutamente condotte a termine almeno entro un biennio dalla data dell’inizio della lite. Dopo questo tempo sia lecito alle parti, o ad una di esse, adire i giudici superiori, naturalmente competenti. Questi assumano la causa nello stato in cui si trova e cerchino di condurla a termine al più presto. Prima non siano affidate o avocate ad altri; né vengano accolti da nessun superiore gli appelli interposti; la loro assegnazione o inibizione non sia fatta, se non dopo la sentenza definitiva o avente valore definitivo, il cui onere non possa essere riparato con l’appello contro la sentenza definitiva.

Si eccettuano, tuttavia, quelle cause che, secondo le prescrizioni canoniche, devono essere trattate presso la sede apostolica, o quelle che per un motivo urgente e ragionevole il sommo pontefice romano credesse di dovere affidare o avocare alla Segnatura con uno speciale rescritto da firmarsi di propria mano da sua santità.

Le cause matrimoniali e criminali, inoltre, non siano lasciate al giudizio del decano, dell’arcidiacono o di altri inferiori, anche se sono in visita, ma solo all’esame e alla giurisdizione del vescovo, anche se tra il vescovo e il decano o l’arcidiacono o altri inferiori vi sia in pendenza qualche lite, in qualsiasi istanza, sulla trattazione di queste cause. E se una parte può davvero provare dinanzi a lui la sua povertà, non sia costretta a condurre avanti la causa fuori della provincia, né in seconda, né in terza istanza nella stessa causa matrimoniale, a meno che l’altra parte non sia disposta a provvedere gli alimenti e a sostenere le spese della lite.

I legati, inoltre, anche a latere, i nunzi, i governatori ecclesiastici, o altri, qualunque facoltà essi abbiano, non solo non oseranno impedire i vescovi in tali cause, o privarli in qualche modo della loro giurisdizione, o disturbarli, ma non dovranno neppure procedere contro i chierici od altre persone ecclesiastiche, se non dopo che il vescovo richiestone si sia mostrato negligente. Diversamente, i loro processi o le loro ordinanze non abbiano alcun valore e siano tenuti alla riparazione del danno che avessero procurato alle parti.

Inoltre, se qualcuno, nei casi permessi dal diritto, interpone appello o si lagna di qualche imposizione o, trascorso il biennio di cui sopra, ricorre ad altro giudice, sia tenuto a trasferire, a sue spese, presso il giudice di appello tutti gli atti compiuti presso il vescovo, non senza averlo prima avvertito che qualora volesse dire qualche cosa sulla trattazione della causa, può significarlo al giudice di appello. Nel caso poi che si presentasse colui contro il quale si è fatto appello, sia costretto anche lui a pagare la sua parte delle spese degli atti che sono stati trasferiti, se vorrà servirsene, a meno che l’uso del luogo non sia diverso, e cioè che l’intera spesa sia a carico di chi si appella. Il notaio sia obbligato, dietro il dovuto compenso, a consegnare a chi appella copia degli atti quanto prima, e almeno entro un mese. Se egli differisse con frode la consegna sia sospeso dall’esercizio del suo ufficio ad arbitrio dell’ordinario e sia costretto ad una multa doppia di quanto importi la lite, da dividersi fra colui che si è appellato e i poveri del luogo.

Quanto al giudice, poi, se anch’egli fosse stato consapevole di questo impedimento, vi avesse partecipato o si fosse opposto in altro modo a che gli atti fossero integralmente consegnati a chi si appella entro i termini sia tenuto alla stessa doppia pena, come detto sopra. Ciò non ostante i privilegi, gli indulti, gli accordi che obbligano solo quelli che li hanno stipulati, e qualsiasi altra consuetudine.

Canone XXI

Il santo sinodo, desiderando che in futuro dai decreti da esso emanati non sorga alcun motivo di dubbio, spiegando le parole: "Quegli argomenti che su proposta dei legati e presidenti, sembreranno adatti e idonei allo stesso sinodo a lenire le calamità di questi tempi, a sedare le controversie religiose, a reprimere le false lingue, a correggere gli abusi dei costumi corrotti, a ricondurre nella chiesa una pace vera e cristiana", contenute nel decreto pubblicato nella prima sessione (402), sotto il beatissimo signore nostro Pio IV, dichiara non essere stata sua intenzione che in forza di queste parole si cambiasse in qualche parte il consueto modo di procedere dei concili generali nel trattare le questioni, né che si aggiungesse o si tralasciasse qualche cosa di nuovo in alcuna questione, rispetto a ciò che fino a questo momento è stato stabilito dai sacri canoni o dalla prassi dei concili generali.

Decreto per l’indizione della futura sessione.

Il sacrosanto concilio stabilisce, inoltre, e dispone che la prossima futura sessione debba essere celebrata il giovedì dopo la concezione della beata vergine Maria, che sarà il nove dicembre prossimo, con facoltà anche di abbreviare questo termine. In tale sessione si tratterà del sesto capitolo, ora rinviato, degli altri capitoli della riforma già presentati e di altre questioni che si riconnettono ad essa. Se poi sembrasse opportuno e il tempo lo permettesse, si potranno trattare anche alcune dottrine, come sarà proposto a suo tempo nelle congregazioni.

Note

354. Cfr. Eb 7, 12.
355. Cfr. I Tm 3, 8-10; At 6, 3-6; 21, 8.
356. II Tm 1, 6-7.
357. Ct 6, 3 e 9.
358. Cfr. I Cor 12, 28-29; Ef 4, 11.
359. At 20, 28.
360. Cfr. Gv 10, 1.
361. Cfr. Gv 10, 1-16; 21, 15-17; I e II Tm; Tt e altri.
362. Cfr. Gv 10, 12-13.
363. Cfr. I Pt 5, 2-4.
364. Sessione VI, cc. 1 e 2 de ref. (v. sopra).
365. Cfr. Ger 48, 10.
366. Cfr. At 1, 24; Sal 7, 10.
367. C. 3, V. 7, i n Extrav. comm. (Fr 2, 1300).
368. C. un., III, 2, in VI (Fr 2. 1019).
369. Sessione VII, c. 10 de ref. (v. sopra).
370. Cfr. Sap 4, 9.
371. Cfr. I Tm 3, 7.
372. Concilio di Calcedonia, c. 6 (v. sopra).
373. Cfr. Gen 8, 21.
374. Concilio di Vienne, c. 17 (COD. 374-376).
375. Gen 2, 23-24 (Mt 19, 5; Ef 5, 31).
376. Mt 19, 6; Mc 10, 8-9.
377. Ef 5, 25.
378. Ef 5, 32.
379. Cfr. Lv 18, 6-18.
380. Cfr. soprattutto Mt 5, 32; 19, 9; Mc 10, 11-12: Lc 16, 18; I Cor 7, 11.
381. Cfr. Mt 7, 7-8; Gc 1, 5 e altri.
382. Cfr. I Cor 10, 13.
383. Cfr. Mt 19, 11-12; I Cor 7, 25-26; 7, 38; Ap 14, 4.
384. Concilio Lateranense IV, c. 51 (v. sopra).
385. Cfr. LEONE I, Ep. 12 (PL 54, 647).
386. Sessione VI, c. 1 de ref.; sessione VII, c. 1; sessione XXII, c. 2 (v. sopra).
387. Concilio II di Lione, c. 24 (v. sopra).
388. Sessione V, cc. 1-3 de ref. (v. sopra).
389. Sessione XIII, cc. 7-8 de ref. (v. sopra).
390. Concilio Lateranense IV. c. 8 (v. sopra).
391. Cfr. I Tm 5, 20.
392. Sessione VI, c. 4 de ref.; sessione VII. c. 8 de ref. (v. sopra).
393. Sessione XXI, c. 8 de ref. (v. sopra).
394. Sessione XIII, c. 1; sessione XIV, c. 4; sessione XXII, c. I (v. sopra).
395. C. 6, X. V 33 (Friedberg 2, 862).
396. Divina in eminenti, c. 3 V 7 in Extrav. comm. (Friedberg 2. 1300).
397. Concilio Lateranense III, c. 3 (COD, 212).
398. Sessione VII, c. 12 de ref. (v. sopra).
399. C. un., III, 3, in VI (Friedberg 2, 1019).
400. Sessione VII, c. 6 de ref. (v. sopra).
401. Cfr. sessione VII, c. 2 de ref. (v. sopra).
402. Sessione XVII (v. sopra).
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)