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   L’eucaristia


Comprensione di Lutero della cena del Signore


140. Per i luterani così come per i cattolici la Cena del Signore è un dono prezioso in cui i cristiani trovano nutrimento e consolazione per sé stessi, e nel quale la Chiesa viene sempre nuovamente convocata ed edificata. Proprio per questo le controversie sul sacramento dell’eucaristia sono causa di grande dolore.  


141. Lutero comprendeva il sacramento dell’eucaristia come un testamentum, la promessa di qualcuno che sta per morire, come risulta evidente dalla versione latina delle parole della sua istituzione. In un primo tempo Lutero percepì la promessa (testamentum) di Cristo come la promessa di grazia e di perdono dei peccati, ma nella disputa con Huldrych Zwingli egli pose l’accento sulla sua profonda convinzione che Cristo dona se stesso, il suo corpo e il suo sangue, che sono realmente presenti. Non è la fede a rendere Cristo presente; è Cristo che si dona, dona il proprio corpo e il proprio sangue, a coloro che si comunicano, che essi lo credano o meno. Quindi l’opposizione di Lutero alla dottrina contemporanea non consistette nella negazione della presenza reale di Gesù Cristo, ma piuttosto riguardò il modo di intendere la «trasformazione» nella Cena del Signore.  


La presenza reale di Cristo


142. Il concilio Lateranense IV (1215) usò il verbo transubstantiare, che implica una distinzione tra sostanza e accidenti.[xlvi] Anche se questa per Lutero era una spiegazione possibile di quello che accade nella Cena del Signore, egli non riusciva a vedere come questa spiegazione filosofica potesse essere vincolante per tutti i cristiani. In ogni caso Lutero stesso poneva un forte accento sulla reale presenza di Cristo nel sacramento.  


143. Nella visione di Lutero il corpo e il sangue di Cristo sono presenti «in, con e sotto» le specie del pane e del vino. C’è uno scambio di proprietà (communicatio idiomatum) tra il corpo e il sangue di Cristo e il pane e il vino. Questo crea un’unione sacramentale tra il pane e il corpo di Cristo e il vino e il sangue di Cristo. Questo nuovo genere di unione, formata dalla condivisione di proprietà, è analogo all’unione della natura divina e della natura umana in Cristo. Lutero paragonò questa unione sacramentale anche all’unione tra ferro e fuoco in un ferro incandescente.  


144. Come conseguenza della sua interpretazione delle parole con cui venne istituita l’eucaristia («Bevetene tutti», Mt 26,27), Lutero criticò la pratica che proibiva ai laici di ricevere la comunione sotto ambedue le specie, il pane e il vino. Non sosteneva che allora i laici avrebbero ricevuto soltanto una metà di Cristo, anzi affermava che essi avrebbero ricevuto realmente Cristo tutto intero nell’una e nell’altra specie. Negava piuttosto che la Chiesa avesse il diritto di togliere ai fedeli laici la specie del vino, dal momento che le parole dell’istituzione eucaristica sono chiarissime su questo. I cattolici ricordano ai luterani che la motivazione principale dell’introduzione della pratica della comunione sotto una sola specie era costituita da ragioni pastorali.  


145. Lutero comprendeva la Cena del Signore anche come un evento comunitario, un pasto reale, dove le specie benedette sono destinate a essere consumate, e non conservate dopo la celebrazione. Egli raccomandava la consumazione di tutti gli elementi, di modo che la questione della durata della presenza di Cristo non sarebbe neanche sorta.[xlvii] 


Sacrificio eucaristico


146. La principale obiezione di Lutero alla dottrina eucaristica cattolica era indirizzata contro l’interpretazione della messa come sacrificio. La teologia dell’eucaristia come vero memoriale (anamnesis, Realgedächtnis), in cui l’unico sacrificio di Cristo, valido una volta per tutte (Eb 9,1-10,18) si rende presente per la partecipazione dei fedeli, non veniva più pienamente compresa nel periodo tardo medievale. Così molti pensavano che la celebrazione della messa fosse un ulteriore sacrificio in aggiunta all’unico sacrificio di Cristo. Secondo una teoria derivante da Duns Scoto, si pensava che la moltiplicazione delle messe producesse una moltiplicazione della grazia e trasferisse questa grazie ai singoli individui. Ecco perché al tempo di Lutero, ad esempio, ogni anno nella chiesa del castello di Wittenberg venivano dette migliaia di messe private.  


147. Lutero insisteva sul fatto che, secondo le parole dell’istituzione dell’eucaristia, nella Cena del Signore Cristo dona se stesso a quanti lo ricevono e che, in quanto dono, Cristo poteva solo essere ricevuto nella fede ma non offerto. Se Cristo venisse offerto a Dio, la struttura interna e la direzione dell’eucaristia verrebbero invertite. Agli occhi di Lutero, l’interpretazione dell’eucaristia come sacrificio avrebbe significato che essa era una buona opera che noi compiamo e offriamo a Dio. Ma egli argomentava che proprio come non possiamo venire battezzati al posto di qualcun altro, non possiamo partecipare all’eucaristia a nome di qualcun altro e a beneficio altrui. Invece di ricevere il dono più prezioso che Cristo stesso è e offre a noi, tenteremmo di offrire qualcosa a Dio, trasformando in tal modo un dono divino in una buona opera.  


148. Nondimeno Lutero vedeva un elemento sacrificale nella messa: il sacrificio del rendimento di grazie e della lode. Ed è certamente un sacrificio, in quanto rendendo grazie una persona riconosce di avere bisogno del dono e che la sua situazione cambierà solo ricevendo quel dono. In tal modo il ricevere veramente nella fede contiene una dimensione attiva che non deve essere sottovalutata.  


Preoccupazioni cattoliche riguardo all’eucaristia


149. Dalla parte cattolica, il rifiuto di Lutero del concetto di «transustanziazione» sollevò dubbi riguardo al fatto che la dottrina della presenza reale di Cristo fosse stata affermata con pienezza nella sua teologia. Anche se il concilio di Trento ammise che è pressoché impossibile esprimere con parole come avvenga tale presenza e distinse la dottrina della conversione degli elementi dalla sua spiegazione tecnica, esso tuttavia dichiarò che «questa conversione in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla santa Chiesa cattolica transustanziazione».[xlviii] Questo concetto parve essere, nella visione cattolica, la migliore garanzia per mantenere la presenza reale di Gesù Cristo sotto le specie del pane e del vino e per assicurare che la piena realtà di Gesù Cristo è presente in ciascuna delle due specie. Quando insistono su una trasformazione degli stessi elementi creati, i cattolici vogliono mettere in luce la potenza creatrice di Dio, che produce la nuova creazione all’interno della creazione antica.  


150. Pur difendendo la pratica dell’adorazione del santissimo Sacramento, il concilio di Trento tuttavia assunse come punto di partenza il fatto che lo scopo primario dell’eucaristia è la comunione dei fedeli. L’eucaristia fu istituita da Cristo per essere consumata come cibo spirituale.[xlix] 


151. Come conseguenza della perdita di un concetto integrativo di commemorazione, i cattolici si trovarono di fronte alla difficoltà della mancanza di categorie adeguate con le quali esprimere il carattere sacrificale dell’eucaristia. Sentendosi vincolati a una tradizione risalente all’epoca patristica, i cattolici non vollero abbandonare l’identificazione dell’eucaristia come un sacrificio reale pur tentando, nello stesso tempo, di affermare l’identità di questo sacrificio eucaristico con l’unico sacrificio di Cristo. Fu necessario il rinnovamento della teologia sacramentale e liturgica, come fu formulata dal concilio Vaticano II, per rivitalizzare il concetto di commemorazione (anamnesis) (Sacrosanctum concilium, n.47; Lumen gentium, n.3).  


152. Nel loro dialogo ecumenico luterani e cattolici poterono entrambi trarre beneficio da riflessioni del movimento liturgico e da nuove concezioni teologiche. Attraverso il recupero del concetto di anamnesis, gli uni e gli altri sono stati condotti a una migliore comprensione del modo in cui il sacramento dell’eucaristia come memoriale rende efficacemente presenti gli eventi della salvezza, e in particolare il sacrificio di Cristo. I cattolici riescono a cogliere le molte forme della presenza di Cristo nella liturgia dell’eucaristia, come la sua presenza nella Parola e nell’assemblea (SC 7). Alla luce dell’ineffabilità del mistero dell’eucaristia, i cattolici hanno imparato a riconsiderare differenti espressioni di fede nella presenza reale di Gesù Cristo nel sacramento. I luterani hanno raggiunto una nuova consapevolezza delle ragioni per cui trattare con rispetto dopo la celebrazione gli elementi benedetti.  


Il dialogo luterano-cattolico sull’eucaristia


153. La questione della realtà della presenza di Gesù Cristo nella santa Cena non è materia di controversia tra cattolici e luterani. Il dialogo luterano-cattolico sull’eucaristia ha potuto dichiarare: «La tradizione luterana afferma, insieme con la tradizione cattolica, che gli elementi consacrati non rimangono semplicemente pane e vino, ma che in virtù della parola creatrice ci vengono donati come corpo e sangue di Cristo. In questo senso potrebbe anch’essa parlare, in un certo senso con la tradizione greca, di una “trasformazione”» (L’eucaristia, n.51).[l] Cattolici e luterani «si oppongono insieme a una concezione spaziale o naturale di questa presenza e a una comprensione del sacramento puramente commemorativa o metaforica» (L’eucaristia, n.16).[li] 


Comprensione comune della reale presenza di Cristo


154. Luterani e cattolici possono attestare insieme la reale presenza di Gesù Cristo nella santa Cena: «Nel sacramento dell’eucaristia Gesù Cristo, vero e vero uomo, è pienamente presente con il suo corpo e con il suo sangue sotto il segno del pane e del vino» (L’eucaristia, n.16; EO 1/1223). Questa dichiarazione comune afferma tutti gli elementi essenziali della fede nella presenza eucaristica di Gesù Cristo senza adottare la terminologia concettuale della transustanziazione. Pertanto, cattolici e luterani riconoscono insieme che «il Signore glorificato è presente nell’eucaristia nel corpo e nel sangue che egli ha offerto con la sua divinità e con la sua umanità per mezzo della parola della promessa nei doni del pane e del vino nella potenza dello Spirito Santo perché siano ricevuti attraverso la comunità».[lii] 


155. Alla questione della reale presenza di Gesù Cristo e alla sua comprensione teologica è legata la questione della durata di questa presenza e, con essa, la questione dell’adorazione di Cristo presente nel sacramento anche dopo la celebrazione. «Riguardo alla durata della presenza eucaristica, le differenze vengono alla luce anche nella prassi liturgica. Cattolici e luterani riconoscono insieme che la presenza eucaristica del Signore Gesù Cristo è destinata alla comunione ricevuta con fede, e che al tempo stesso essa non è limitata solo al momento in cui la si riceve, né dipende dalla fede di chi la riceve, sebbene essa sia diretta a questa fede» (L’eucaristia, n.52;EO 1/1259).  


156. Il documento L’eucaristia ha richiesto ai luterani di considerare con rispetto gli elementi eucaristici che rimangono dopo la celebrazione della santa Cena. Nel contempo ha avvertito i cattolici a far sì che la loro pratica dell’adorazione eucaristica «non contraddica la convinzione comune del carattere conviviale dell’eucaristia » (L’eucaristia, n.55; EO 1/1262).[liii] 


Convergenza nella comprensione del sacrificio eucaristico


157. Riguardo alla questione che per i riformatori era della massima importanza – il sacrificio eucaristico – il dialogo luterano-cattolico ha dichiarato come principio basilare: «Cattolici e luterani riconoscono insieme che Gesù Cristo nell’eucaristia “è presente come crocifisso, morto per i nostri peccati e risorto per la nostra giustificazione, come vittima offerta una volta per sempre per i peccati del mondo”. Questo sacrificio non può essere né continuato né ripetuto né sostituito né completato; ma può e deve diventare operante in modo sempre nuovo in mezzo alla comunità. Sul modo e la misura di questa efficacia esistono fra di noi diverse interpretazioni» (L’eucaristia, n.56;EO 1/1263).  


158. Il concetto di anamnesis ha contribuito a risolvere la controversa questione di come porre il sacrificio unico e sufficiente di Gesù Cristo nel giusto rapporto con la Cena del Signore: «Attraverso il memoriale degli atti salvifici di Dio nel culto, questi atti stessi diventano presenti nella potenza dello Spirito, e la comunità celebrante è connessa con gli uomini e le donne che in precedenza sperimentarono gli atti salvifici stessi. Questo è il senso in cui s’intende il comando espresso da Cristo nella Cena del Signore: nella proclamazione, con le sue stesse parole, della sua morte salvifica e nella ripetizione delle sue proprie azioni compiute durante la Cena, viene in essere la “memoria” in cui la parola e l’azione salvifica stesse di Gesù diventano presenti».[liv] 


159. Il risultato decisivo è stato il superamento della separazione del sacrificium (il sacrificio di Gesù Cristo) dal sacramentum (il sacramento). Se Gesù Cristo è realmente presente nella Cena del Signore, allora anche la sua vita, passione, morte e risurrezione sono veramente presenti insieme al suo corpo, così che la Cena del Signore è «il rendersi veramente presente dell’evento della croce».[lv] Non solo l’effetto dell’evento della croce, ma anche l’evento stesso è presente nella Cena del Signore senza che questa Cena sia una ripetizione o un completamento di esso. Questo unico evento è presente in una modalità sacramentale. La forma liturgica della santa Cena deve, comunque, escludere tutto quello che potrebbe dare l’impressione di ripetizione o completamento del sacrificio sulla croce. Se la comprensione della Cena del Signore come vero memoriale viene costantemente presa sul serio, le differenze nella comprensione del sacrificio eucaristico sono accettabili per cattolici e luterani.  


La comunione sotto le due specie e il ministero dell’eucarestia


160. Sin dall’epoca della Riforma, l’accesso al calice da parte dei laici è una caratteristica pratica dei culti luterani. Pertanto questa pratica ha per lungo tempo distinto la santa Cena luterana dalla pratica cattolica di amministrare la comunione ai laici solamente sotto la specie del pane. Oggi si può affermare il seguente principio: «Cattolici e luterani sono concordi nella convinzione che il pane e il vino fanno parte della pienezza di forma dell’eucaristia» (L’eucaristia, n.64; EO 1/1271). Ciononostante rimangono delle differenze nella pratica della Cena del Signore.  


161. Dal momento che la questione di chi presiede la celebrazione eucaristica è di grande importanza dal punto di vista ecumenico, la necessità di un ministro designato dalla Chiesa costituisce un significativo punto in comune, identificato dal dialogo: «Cattolici e luterani sono dell’opinione che per la celebrazione dell’eucaristia sia necessaria la guida del ministro appositamente scelto da parte della Chiesa» (L’eucaristia, n.65; EO /1272). Tuttavia cattolici e luterani intendono ancora l’ufficio del ministero in maniera differente.  


Ministero


Concezione di Lutero del sacerdozio universale dei battezzati e del ministero ordinato


162. Nel Nuovo Testamento il termine hiereus (sacerdote; in latino sacerdos) non designava un ministero all’interno della comunità cristiana, anche se Paolo definisce il proprio ministero apostolico come quello di un sacerdote (cf. Rm 15,16). Cristo è il sommo sacerdote. Lutero intende la relazione dei credenti con Cristo come un «felice scambio», in cui il credente partecipa delle proprietà di Cristo e quindi anche del suo sacerdozio. «Come dunque Cristo per la sua primogenitura ottenne queste due prerogative, così egli ne fa parte e le condivide con chiunque crede in lui, per la legge del matrimonio menzionata prima, secondo la quale appartiene alla sposa tutto ciò che è dello sposo. Di conseguenza tutti noi che crediamo in Cristo siamo sacerdoti e re, come dice Pietro nella prima Lettera, al capitolo 2: “Voi siete una stirpe eletta, un popolo acquistato [da Dio], un sacerdozio regale, un regno sacerdotale”».[lvi] «Siamo tutti quanti consacrati sacerdoti dal battesimo».[lvii] 


163. Anche se, secondo la visione di Lutero, tutti i cristiani sono sacerdoti, egli non li considera tutti ministri. «È vero che tutti i cristiani sono sacerdoti, ma non tutti sono pastori. Oltre a essere cristiano e sacerdote, infatti, quest’ultimo deve avere anche un ufficio e un ambito ecclesiale a lui destinato. È la vocazione e il mandato che rendono pastore e predicatore».[lviii] 


164. Il concetto teologico di Lutero secondo il quale tutti i cristiani sono sacerdoti era in contrasto con l’ordinamento della società diffuso nel Medioevo. Secondo Graziano vi erano due tipi di cristiani: i chierici e i laici.[lix] Con la sua dottrina del sacerdozio universale Lutero intendeva abolire il fondamento stesso di questa divisione. Ciò che un cristiano è come sacerdote deriva dalla sua partecipazione al sacerdozio di Cristo. Il credente porta nella preghiera davanti a Dio ciò che sta a cuore alla gente e porta agli altri attraverso la trasmissione del Vangelo ciò che sta a cuore a Dio.


165. Lutero intendeva l’ufficio del ministero ordinato come un servizio ecclesiale rivolto a tutta la Chiesa. I pastori sono ministri (servi). Questo ufficio non è in competizione con il sacerdozio universale di tutti i battezzati, ma piuttosto è al loro servizio, così che tutti i cristiani possano essere sacerdoti gli uni per gli altri.  


L’istituzione divina del ministero


166. Per più di 150 anni uno dei dibattiti che hanno impegnato la teologia luterana è stata la questione se il ministero ordinato dipenda da un’istituzione divina o sia un mandato umano. Lutero tuttavia parla del «pastorato, che Dio ha istituito: esso deve reggere una comunità con la predicazione e i sacramenti».[lx] Lutero considera questo ufficio fondato sulla passione e morte di Cristo: «Spero davvero che i credenti, coloro che vogliono chiamarsi cristiani, sappiano molto bene che la ricchezza spirituale fu fondata e istituita da Dio non con oro o argento, ma con il prezioso sangue e la morte amara del suo unico Figlio, nostro Signore Gesù Cristo (cf. 1Pt 1,18-19). Dalle sue ferite sgorgano veramente i sacramenti (…). È davvero a caro prezzo che egli si è acquistato questo ministero in virtù del quale in tutto il mondo si predica, si battezza, si perdonano i peccati oppure no, si amministrano i sacramenti, si conforta, si ammonisce, si esorta con la parola di Dio e si fa quant’altro rientra nel compito della cura delle anime (…). Io invece intendo la ricchezza che ha il compito della predicazione e il servizio della Parola e dei sacramenti, che dà lo Spirito e la salvezza».[lxi] È chiaro, quindi, che secondo Lutero l’ufficio dei ministri ordinati è stato istituito da Dio stesso.  


167. Nessuno – riteneva Lutero – può istituire se stesso nell’ufficio ministeriale; bisogna esservi chiamati. A partire dal 1535, le ordinazioni vennero amministrate a Wittenberg. Esse avevano luogo dopo un esame della dottrina e della vita dei candidati e solo qualora vi fosse stata una chiamata al servizio di una particolare comunità. Tuttavia l’ordinazione non veniva attuata nella comunità che chiamava, ma centralmente a Wittenberg, dal momento che l’ordinazione era un’ordinazione a servizio di tutta la Chiesa.  


168. Le ordinazioni venivano compiute con la preghiera e l’imposizione delle mani. Come risulta evidente sia dalla preghiera introduttiva – che Dio mandi operai nella sua messe (cf. Mt 9,38) – sia dalla preghiera allo Spirito Santo, Dio è in realtà l’unico artefice dell’ordinazione. Nell’ordinazione la chiamata di Dio abbraccia e coinvolge l’intera persona. Con la fiducia che la preghiera sarebbe stata ascoltata e accolta da Dio, l’incarico missionario veniva pronunciato con le parole di 1 Pietro 5,2-4.[lxii] In una delle formule di ordinazione si dice: «Il ministero della Chiesa è per tutte le Chiese gloriosa opera e importante, ed è dato e mantenuto da Dio solo».[lxiii] 


169. Poiché la definizione che Lutero dava di un sacramento era più restrittiva di quanto fosse comune durante il Medioevo, e poiché egli percepiva il sacramento cattolico degli ordini sacri come principalmente al servizio della pratica del sacrificio della messa, egli smise di considerare l’ordinazione come un sacramento. Melantone, tuttavia, affermò nell’Apologia della Confessione di Augusta: «Ma se l’ordine venisse inteso a partire dal ministero della Parola, noi lo definiremmo, senza problemi, un sacramento. Il ministero della Parola, infatti, ha dalla sua un comandamento di Dio e possiede sublimi promesse. In Rm 1 [v. 16]: “Il Vangelo è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede”. Similmente, in Is 55 [v. 11], “La parola che esce dalla mia bocca non ritornerà a me vuota, ma farà tutto quello che io ho voluto”, ecc. Se l’ordine venisse inteso in questo modo, noi non ci opporremmo a che venga chiamato sacramento l’imposizione delle mani. La Chiesa possiede, infatti, il mandato di istituire dei ministri, cosa di cui dobbiamo essere grandemente riconoscenti, dal momento che sappiamo che Dio approva questo ministero e che è presente in esso».[lxiv] 


L’ufficio del vescovo


170. Poiché i vescovi si rifiutavano di ordinare candidati simpatizzanti della Riforma, i riformatori amministrarono l’ordinazione per mezzo di presbiteri (pastori). Nell’articolo 28, la Confessione di Augusta si rammarica del rifiuto dei vescovi di ordinare. Questo costrinse i riformatori a scegliere tra conservare l’ordinazione in capo ai vescovi ed essere fedeli a ciò che consideravano la verità del Vangelo.  


171. I riformatori furono in grado di amministrare l’ordinazione presbiterale perché avevano imparato dalle Sentenze di Pietro Lombardo che i canoni della Chiesa, tra gli ordini maggiori, riconoscevano solamente due ordini sacramentali, il diaconato e il presbiterato, e che, secondo l’interpretazione che era diffusa nel Medioevo, la consacrazione a vescovo non impartiva di per sé alcun carattere sacramentale.[lxv] I riformatori facevano esplicito riferimento a una lettera di Girolamo, il quale era convinto che secondo il Nuovo Testamento gli uffici del presbitero e del vescovo erano uguali, tranne che per il fatto che il vescovo aveva il diritto di ordinare. Come i riformatori rilevarono, questa lettera al presbitero Evangelo era stata inserita nel Decretum Gratiani.[lxvi] 


172. Lutero e i riformatori misero in evidenza che vi è un solo ministero ordinato, un ufficio che ha il compito di annunciare pubblicamente il Vangelo e di amministrare i sacramenti, i quali sono per loro stessa natura eventi pubblici. Tuttavia sin dall’inizio si stabilì una differenziazione nell’ufficio. Dopo le prime visite pastorali si sviluppò l’ufficio del sovrintendente, che ebbe lo speciale compito di esercitare una sorveglianza sui pastori. Scriveva Filippo Melantone nel 1535: «Poiché nella Chiesa sono necessari uomini che dirigano, i quali esamineranno e ordineranno coloro che sono chiamati all’ufficio ecclesiale, la legge della Chiesa osserva ed esercita una sorveglianza sull’insegnamento dei preti. E se non vi dovessero essere vescovi, nondimeno bisognerebbe crearli».[lxvii] 


Preoccupazioni cattoliche riguardo al sacerdozio universale e all’ordinazione


173. La dignità e la responsabilità di tutti i battezzati nella vita e per la vita della Chiesa non vennero messe adeguatamente in rilievo nel periodo tardo medievale. Fu solo con il concilio Vaticano II che il magistero presentò una teologia della Chiesa intesa come il popolo di Dio e affermò che «vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo» (LG 32; EV 1/366).  


174. Entro questo quadro, il Concilio ha elaborato il concetto del sacerdozio dei battezzati e ha affrontato la relazione di quest’ultimo con il sacerdozio ministeriale. Secondo la teologia cattolica al ministro ordinato viene sacramentalmente conferita l’autorità di agire nel nome di Cristo come pure nel nome della Chiesa.  


175. La teologia cattolica è convinta che l’ufficio del vescovo apporti un contributo indispensabile all’unità della Chiesa. I cattolici sollevano la questione di come, senza l’ufficio episcopale, l’unità della Chiesa possa essere mantenuta in momenti di conflitto. Essi si sono anche preoccupati del fatto che la particolare dottrina di Lutero sul sacerdozio universale non abbia mantenuto in maniera adeguata le strutture gerarchiche della Chiesa, che sono considerate istituite da Dio stesso.  


Il dialogo luterano-cattolico sul ministero


176. Il dialogo cattolico-luterano ha identificato numerosi punti in comune così come numerose differenze nella teologia e nella forma istituzionale dei ministeri ordinati; tra esse l’ordinazione delle donne, oggi praticata da molte Chiese luterane. Una delle questioni aperte è se la Chiesa cattolica possa riconoscere il ministero delle Chiese luterane. Insieme luterani e cattolici possono analizzare il rapporto tra la responsabilità di proclamare la Parola e amministrare i sacramenti e il ministero di coloro che sono ordinati per questa funzione. Insieme essi possono elaborare le distinzioni tra compiti come l’episkope e i ministeri locali e quelli regionali esercitati in ambiti più ampi.


Concezioni comuni del ministero


Il sacerdozio dei battezzati


177. Si pone il problema di come i compiti specifici dei ministri ordinati sono posti correttamente in relazione con il sacerdozio universale di tutti i credenti battezzati. Il documento di studio The apostolicity of the Church (L’apostolicità della Chiesa) afferma: «Cattolici e luterani concordano sul fatto che tutti i battezzati che credono in Cristo partecipano del sacerdozio di Cristo e sono perciò investiti dell’autorità di proclamare “le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa” (1 Pt 2,9). Pertanto a nessun membro manca un ruolo da svolgere nella missione dell’intero corpo» (The apostolicity of the Church, Lutheran University Press, Minneapolis 2006, 273).  


L’origine divina del ministero


178. Nella comprensione del ministero ordinato vi è una convinzione unanime riguardo alla sua origine divina: «Cattolici e luterani affermano insieme che Dio stesso ha istituito il ministero e che esso è necessario per l’esistenza della Chiesa, dal momento che la parola di Dio e la sua proclamazione pubblica nella parola e nel sacramento sono necessarie perché la fede in Gesù Cristo sia suscitata e preservata e, insieme a questo, perché la Chiesa si formi e sia preservata come insieme dei credenti che formano il corpo di Cristo nell’unità della fede» (The apostolicity, 276).  


Ministero della Parola e del sacramento


179. The apostolicity of the Church identifica la proclamazione del Vangelo come il compito fondamentale dei ministri ordinati, sia per i luterani che per i cattolici: «I ministri ordinati hanno un compito speciale all’interno della missione della Chiesa nel suo complesso» (The apostolicity,274). Sia per i cattolici sia per i luterani, «il dovere e l’intento fondamentale del ministro ordinato è il servizio comunitario della parola di Dio, il Vangelo di Gesù Cristo, che il Dio uno e trino ha incaricato la Chiesa di annunciare a tutto il mondo. Ogni ministero e ogni ministro devono essere valutati in rapporto con questo incarico» (The apostolicity, 274).  


180. Questo accento sul compito ministeriale dell’annuncio del Vangelo è comune ai cattolici e ai luterani (cf. The apostolicity, 247, 255, 257, 274). I cattolici pongono l’origine del ministero presbiterale nell’annuncio del Vangelo. Il decreto sul ministero e la vita dei presbiteri (Presbyterorum ordinis) dichiara: «Il popolo di Dio viene adunato innanzitutto per mezzo della parola del Dio vivente, che tutti hanno il diritto di cercare sulle labbra dei sacerdoti. Dato infatti che nessuno può essere salvo se prima non ha creduto, i presbiteri, nella loro qualità di cooperatori dei vescovi, hanno anzitutto il dovere di annunciare a tutti il Vangelo di Dio» (PO 4, in EV 1/1250, citato in The apostolicity, 247). «I cattolici dichiarano anche che è compito dei ministri ordinati radunare insieme il popolo di Dio per mezzo della parola di Dio, e annunciarla a tutti così che essi possano credere» (The apostolicity, 274). Similmente la concezione dei luterani è che «il ministero ha il suo fondamento e il suo criterio nel compito dell’annuncio del Vangelo all’intera comunità in modo così convincente che sia risvegliata e resa possibile la certezza della fede» (The apostolicity,255).  


181. Luterani e cattolici concordano anche sulla responsabilità della guida da parte del ministero ordinato riguardo all’amministrazione dei sacramenti. I luterani affermano che «il Vangelo conferisce a coloro che presiedono alle Chiese l’incarico di annunciare il Vangelo, perdonare i peccati e amministrare i sacramenti » (The apostolicity, 274).[lxviii] I cattolici dichiarano inoltre che i sacerdoti hanno il compito di amministrare i sacramenti, che essi considerano «strettamente uniti alla sacra eucaristia» e orientati a essa in quanto «fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione» (PO 5, inEV 1/1253, citato in The apostolicity, 274).  


182. The apostolicity of the Church commenta inoltre: «È degna di nota la similarità che c’è tra le descrizioni delle funzioni ministeriali dei presbiteri e quelle dei vescovi. Lo stesso modello del triplice ufficio – annuncio, liturgia, guida pastorale – è usato per vescovi e presbiteri, e nella vita concreta della Chiesa proprio questi ultimi pongono in atto l’esercizio ordinario di queste funzioni mediante le quali la Chiesa viene edificata, mentre i vescovi hanno la funzione di supervisione sulla dottrina e di cura della comunione tra le comunità locali. I presbiteri esercitano, comunque, il loro ministero in subordinazione ai vescovi e in comunione con essi» (The apostolicity, 248). 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)