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Rito dell’ordinazione


183. Riguardo all’ordinazione a questo speciale ufficio esiste la seguente consonanza: «Il conferimento dell’incarico di questo ministero avviene per mezzo dell’ordinazione, nella quale un cristiano è chiamato e investito dell’autorità, mediante la preghiera e l’imposizione delle mani, di esercitare il ministero della pubblica predicazione del Vangelo in parola e sacramento. Tale preghiera è una supplica di ricevere lo Spirito Santo e i doni dello Spirito, elevata nella certezza che sarà ascoltata» (The apostolicity, 277).  


Ministero locale e regionale


184. Luterani e cattolici possono affermare insieme che differenziare il ministero «in uno più locale e uno più regionale nasce di necessità dall’intenzione e dal compito del ministero di essere un ministero di unità nella fede» (The apostolicity, 279). Nelle Chiese luterane il compito dell’episkope è inteso in varie forme. Coloro che esercitano un ministero a livello più ampio rispetto alla comunità locale vengono indicati in alcune regioni con titoli diversi da quello di «vescovo», come ad esempio eforo, presidente di Chiesa, sovrintendente o pastore sinodale. I luterani ritengono che il ministero dell’episkope sia anche esercitato non solo individualmente ma pure in altre forme, come i sinodi, a cui partecipano insieme membri sia ordinati che non ordinati.[lxix] 


Apostolicità


185. Anche se i cattolici e i luterani intendono in maniera differente le proprie strutture ministeriali come preposte a trasmettere l’apostolicità della Chiesa, essi concordano sul fatto che «la fedeltà al Vangelo apostolico ha la priorità nell’interazione di traditio, successio communio» (The apostolicity, 291). Gli uni e gli altri concordano sul fatto che «la Chiesa è apostolica sulla base della fedeltà al Vangelo degli apostoli» (The apostolicity, 292). Questo accordo ha delle conseguenze per il riconoscimento cattolico del fatto che le persone «che esercitano l’ufficio della sorveglianza che nella Chiesa cattolica romana è attuato dai vescovi» hanno anche «una speciale responsabilità nei riguardi dell’apostolicità della dottrina nelle loro Chiese», e perciò non possono essere escluse dalla «cerchia di coloro il cui consenso è, secondo la visione cattolica, il segno dell’apostolicità della dottrina » (The apostolicity, 291).


Il servizio alla Chiesa universale


186. I luterani e i cattolici concordano sul fatto che il ministero è al servizio della Chiesa universale. I luterani «presuppongono che la comunità radunata per il culto stia in una relazione essenziale con la Chiesa universale» e che questa relazione sia intrinseca alla comunità che celebra il culto, non qualcosa di aggiunto a essa (The apostolicity, 285). Anche se i vescovi cattolici romani «esercitano il loro governo pastorale sopra la porzione del popolo di Dio che è stata loro affidata, non sopra le altre Chiese né sopra la Chiesa universale», ogni vescovo è tenuto «ad avere per tutta la Chiesa una sollecitudine» (LG 23; EV 1/339). Il vescovo di Roma in virtù del suo ufficio è «pastore di tutta la Chiesa» (LG 22; EV 1/337).  


Differenze nella comprensione del ministero


L’episcopato


187. Permangono differenze rilevanti riguardo alla comprensione del ministero nella Chiesa. The apostolicity of the Church riconosce che per i cattolici l’episcopato è la forma piena del ministero ordinato e, di conseguenza, il punto di partenza dell’interpretazione teologica del ministero ecclesiale. Il documento cita Lumen gentium, n.21: «Insegna il santo Concilio che con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’ordine (…) [che] conferisce pure, con l’ufficio di santificare, gli uffici di insegnare e governare, i quali però per loro natura non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica col capo e colle membra del collegio» (EV 1/335, citato in The apostolicity, 243).


188. Il concilio Vaticano II ha riaffermato la concezione «che i vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli apostoli, quali pastori della Chie sa: chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e colui che ha mandato Cristo» (LG 20; EV 1/333). Nondimeno è dottrina cattolica «che un singolo vescovo non sia in successione apostolica in virtù del suo essere parte di una catena storicamente documentabile e ininterrotta di imposizioni delle mani attraverso i suoi predecessori risalendo fino a uno degli apostoli», ma che sia invece «in comunione con tutto l’ordine dei vescovi il quale, nel suo complesso, succede al collegio apostolico e alla sua missione» (The apostolicity, 291).  


189. Questa prospettiva sul ministero, che comincia con l’episcopato, rappresenta un cambiamento rispetto all’accento che il concilio di Trento aveva posto sul sacerdozio e sottolinea l’importanza del tema della successione apostolica, anche se la Lumen gentium poneva in evidenza l’aspetto ministeriale di questa successione senza negarne la dimensione dottrinale, missionaria ed esistenziale (The apostolicity, 240). È per questo che i cattolici identificano la Chiesa locale con la diocesi, ritenendo che gli elementi essenziali della Chiesa devono essere la Parola, il sacramento e il ministero apostolico nella persona del vescovo (The apostolicity, 284).


Sacerdozio


190. I cattolici differiscono dai luterani nella loro interpretazione dell’identità sacramentale del sacerdote e del rapporto tra il sacerdozio sacramentale e il sacerdozio di Cristo; essi affermano che i sacerdoti sono «resi partecipi in modo speciale del sacerdozio di Cristo [in modo che] nelle sacre celebrazioni agiscono come ministri di colui che ininterrottamente esercita la sua funzione sacerdotale in favore nostro nella liturgia » (PO 5; EV 1/1252).  


Pienezza del segno sacramentale


191. Per i cattolici, le ordinazioni luterane sono prive della pienezza del segno sacramentale. Secondo la dottrina cattolica, «la pratica e la dottrina della successione apostolica nell’episcopato è, insieme al triplice ministero, parte della struttura integrale della Chiesa. Questa successione viene realizzata in una maniera collegiale in quanto i vescovi vengono assunti all’interno del collegio dei vescovi cattolici e quindi hanno il potere di ordinare. Di conseguenza, è dottrina cattolica anche che nelle Chiese luterane il segno sacramentale dell’ordinazione non sia pienamente presente perché coloro che conferiscono l’ordine non agiscono in comunione con il collegio episcopale cattolico. Perciò il concilio Vaticano II parla di un defectus sacramenti ordinis (UR 22) in queste Chiese» (The apostolicity, 283).[lxx]  


Il ministero universale


192. Infine i cattolici e i luterani differiscono sia negli uffici che nell’autorità del ministero e della guida pastorale esercitata al di sopra del livello regionale. Per i cattolici il romano pontefice ha sulla Chiesa «una potestà piena, suprema e universale» (LG 22; EV 1/337). Anche il collegio dei vescovi esercita una potestà piena e suprema sulla Chiesa universale «insieme col suo capo il romano pontefice, e mai senza di esso» (ivi). The apostolicity of the Church osserva che vi sono varie concezioni tra i luterani riguardo alla «competenza degli organi di direzione oltre il livello delle singole Chiese e alla forza vincolante delle loro decisioni» (The apostolicity, 287).


Considerazioni


193. Nel dialogo si è spesso rilevato che il rapporto dei vescovi con i presbiteri agli inizi del XVI secolo non era inteso come fu inteso successivamente dal concilio Vaticano II. L’ordinazione presbiterale al tempo della Riforma dovrebbe quindi essere considerata in riferimento alle condizioni di quel periodo. È significativo anche il fatto che i compiti dei titolari cattolici e luterani di un ufficio coincidessero ampiamente tra loro.


194. Nel corso della storia l’ufficio ministeriale luterano è stato in grado di adempiere al suo compito di mantenere la Chiesa nella verità, così che quasi 500 anni dopo l’inizio della Riforma è stato possibile attestare un consenso cattolico-luterano sulle verità fondamentali della dottrina della giustificazione. Se, secondo il giudizio del concilio Vaticano II, lo Spirito Santo si serve delle «comunità ecclesiali» come mezzi di salvezza, sembra si possa dire che quest’opera dello Spirito abbia delle implicazioni per un qualche riconoscimento reciproco del ministero. Pertanto l’ufficio del ministero presenta a un tempo sia notevoli ostacoli a una comprensione comune, sia anche prospettive incoraggianti per una riconciliazione.[lxxi] 


Scrittura e Tradizione


Concezione di Lutero sulle scritture, la loro interpretazione e le tradizioni umane


195. La controversia che scoppiò in relazione alla diffusione delle 95 tesi di Lutero sulle indulgenze sollevò molto rapidamente la questione di quali fossero le autorità a cui ci si può fare appello in tempo di conflitto. Il teologo della corte papale Silvestro Mazzolini da Prierio sostenne nella sua prima risposta alle tesi di Lutero sulle indulgenze: «Chiunque non si attenga alla dottrina della Chiesa romana e al magistero del papa in quanto infallibile regola di fede da cui anche la sacra Scrittura deriva la sua forza e la sua autorità, è un eretico».[lxxii] E Johannes Eck replicò a Lutero: «La Scrittura non è autentica senza l’autorità della Chiesa».[lxxiii] Il conflitto passò molto rapidamente da una controversia su questioni dottrinali (la giusta interpretazione delle indulgenze, della penitenza e dell’assoluzione) a una controversia sull’autorità nella Chiesa. In casi di conflitto tra autorità diverse, Lutero poteva considerare solo la Scrittura come giudice di ultima istanza, perché si era dimostrata un’autorità efficace e potente, mentre le altre autorità traevano semplicemente da essa la loro forza.  


196. Lutero considerava la Scrittura come il principio primo (primum principium),[lxxiv] sul quale tutte le affermazioni teologiche devono direttamente o indirettamente fondarsi. Come professore, predicatore, consigliere e partner di dialoghi, egli praticava la teologia come interpretazione coerente e complessa della Scrittura. Era convinto che i comuni cristiani e i teologi dovessero non solo attenersi alla Scrittura, ma anche vivere e rimanere in essa. Egli la chiamava «la matrice di Dio nella quale egli ci concepisce, ci porta in grembo e ci dà alla luce».[lxxv] 


197. Il giusto modo per studiare la teologia, secondo Lutero, è un processo che si compone di tre fasi: oratio (preghiera), meditatio (meditazione) e tentatio (sofferenza o prova).[lxxvi] Invocando lo Spirito Santo perché sia lui il maestro, si dovrebbe leggere la Scrittura alla presenza di Dio, in preghiera, e meditando nel contempo sulle parole della Bibbia, si dovrebbe essere attenti alle situazioni della vita che spesso sembrano contraddire quello che là viene trovato. Attraverso questo processo, la Scrittura dimostra la sua autorità vincendo quelle tentazioni. Come disse Lutero, «prestate attenzione al fatto che la forza della Scrittura sta in questo: che non viene cambiata in colui che la studia, ma che essa trasforma assimilandolo a sé e alla sua forza colui che la ama».[lxxvii] In questo contesto esperienziale diventa ovvio che una persona non solo interpreta la Scrittura ma viene anche interpretata da essa, e questo è ciò che dimostra la sua potenza e la sua autorità.


198. La Scrittura rende testimonianza alla rivelazione di Dio; quindi un teologo dovrebbe seguire con attenzione il modo in cui la rivelazione di Dio è espressa nei libri biblici (modus loquendi Scripturae), altrimenti la rivelazione di Dio non sarebbe pienamente considerata. Le molteplici voci della Scrittura sono integrate in un insieme unitario mediante il loro riferimento a Gesù Cristo: «Togliete Cristo dalle Scritture, e cos’altro vi troverete?».[lxxviii] In tal modo «quello che insegna Cristo» (was Christum treibet) è il criterio col quale affrontare il problema della canonicità e dei limiti del canone. È un criterio sviluppato dalla Scrittura stessa e, in alcuni casi, applicato in maniera critica a libri particolari, come la Lettera di Giacomo.  


199. Lutero stesso solo di rado usò l’espressione «sola Scriptura». La sua preoccupazione primaria fu che nulla potesse rivendicare un’autorità più alta della Scrittura, ed egli si rivoltò con la più grande severità contro chiunque e qualsiasi cosa alterasse o sostituisse le affermazioni della Scrittura. Ma anche quando asseriva l’autorità della sola Scrittura, egli non leggeva la Scrittura da sola, ma lo faceva con riferimenti a contesti particolari e in relazione alle professioni di fede cristologiche e trinitarie della Chiesa antica, che per lui esprimevano l’intento e il significato della Scrittura. Continuò ad apprendere la Scrittura attraverso il Piccolo e il Grande catechismo, che egli considerava come brevi sintesi della Scrittura, e svolse la propria interpretazione facendo riferimento ai padri della Chiesa, in special modo Agostino. Fece anche ampio uso di altre interpretazioni più antiche e attinse a tutti gli strumenti disponibili della filologia umanistica. Elaborò la propria interpretazione della Scrittura in diretto dibattito con le concezioni teologiche del suo tempo e con quelle delle generazioni precedenti. La sua lettura della Bibbia era basata sul l’esperienza e praticata coerentemente all’interno della comunità dei credenti.  


200. Secondo Lutero la sacra Scrittura non si contrappone all’intera tradizione, ma solo alle cosiddette tradizioni umane. Di queste egli dice: «Noi deploriamo le dottrine degli uomini non perché degli uomini le abbiano pronunciate, ma perché non sono altro che menzogne e bestemmie contro le Scritture. E le Scritture, benché siano state scritte anch’esse da uomini, non sono né di uomini né da uomini ma da Dio».[lxxix] Quando Lutero valutava un’altra autorità, la questione decisiva per lui era se questa autorità oscura la Scrittura o ne coglie il messaggio e, in tal modo, lo rende significativo in un particolare contesto. Grazie alla sua chiarezza esteriore, il significato della Scrittura può essere individuato; grazie alla potenza dello Spirito Santo, la Scrittura può convincere il cuore umano della propria verità, la chiarezza interiore della Scrittura. In questo senso la Scrittura è interprete di se stessa.


Preoccupazioni cattoliche sulla Scrittura, le tradizioni e l’autorità


201. In un periodo in cui nascevano nuovi interrogativi riguardo al discernimento delle tradizioni e all’autorità di interpretare la Scrittura, il concilio di Trento e i teologi dell’epoca cercarono di dare una risposta equilibrata. L’esperienza cattolica era che la vita ecclesiale è arricchita e determinata da vari fattori riducibili alla sola Scrittura. Il concilio identificò la Scrittura e le tradizioni apostoliche non scritte come due mezzi per trasmettere il Vangelo. Questo richiede di distinguere le tradizioni apostoliche dalle tradizioni della Chiesa, le quali sono valide, ma secondarie e variabili. I cattolici erano anche preoccupati per il potenziale pericolo di conclusioni dottrinali tratte da interpretazioni bibliche private. Alla luce di questo, il concilio di Trento asserì che l’interpretazione delle Scritture doveva essere guidata dall’autorità magisteriale della Chiesa.  


202. Studiosi cattolici come Melchior Cano svilupparono l’idea che valutare l’autorità degli insegnamenti della Chiesa è un’operazione complessa. Cano elaborò un sistema di dieci loci, o fonti teologiche, trattando in successione l’autorità della Scrittura, la tradizione orale, la Chiesa cattolica, i concili, i padri della Chiesa, i teologi scolastici, il valore della natura, la ragione come si manifesta nella scienza, l’autorità dei filosofi e l’autorità della storia. Infine esaminò l’uso e l’applicazione di questi loci o fonti nel dibattito scolastico o nelle polemiche teologiche.[lxxx] 


203. Durante i secoli successivi, tuttavia, vi fu la tendenza a isolare dagli altri loci teologici il magistero come autorità interpretativa vincolante. A volte le tradizioni ecclesiastiche vennero confuse con le tradizioni apostoliche e vennero perciò trattate come fonti materiali equivalenti per la fede cristiana. Vi fu anche riluttanza a riconoscere la possibilità di criticare le tradizioni ecclesiastiche. La teologia del concilio Vaticano II, nel complesso, presenta una visione più equilibrata delle diverse autorità presenti nella Chiesa e della relazione che intercorre fra la Scrittura e la tradizione. In Dei verbum n.10, un testo magisteriale afferma per la prima volta che la funzione magisteriale della Chiesa «non è superiore alla parola di Dio ma la serve» (EV 1/887).  


204. Il ruolo della sacra Scrittura nella vita della Chiesa viene sottolineato con forza quando ilconcilio Vaticano II dichiara: «Nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell’anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale».[lxxxi] Pertanto i fedeli vengono esortati a praticare la lettura della Scrittura, in cui Dio parla a essi, lettura che deve essere accompagnata dalla preghiera (DV 25).  


205. Il dialogo ecumenico aiuta luterani e cattolici ad arrivare a una visione più differenziata dei distinti punti di riferimento e delle specifiche autorità che hanno un ruolo nel processo di comprensione di ciò che significa fede cristiana e di come essa dovrebbe dare forma alla vita della Chiesa.  


Il dialogo luterano-cattolico su Scrittura e Tradizione


206. Come conseguenza del rinnovamento biblico che ispirò la costituzione dogmatica Dei verbumdel concilio Vaticano II, è divenuta possibile una comprensione ecumenica nuova del ruolo e dell’importanza della sacra Scrittura. Come afferma il documento ecumenico The apostolicity of the Church, «la dottrina cattolica, quindi, non contiene ciò che la teologia della Riforma teme e che a tutti i costi vuole evitare, e cioè una derivazione dell’autorità biblica come canonica e vincolante dall’autorità della gerarchia della Chiesa che rende noto il canone» (The apostolicity, 400).


207. Nel dialogo i cattolici hanno posto l’accento sulle convinzioni che essi hanno in comune con la Riforma, come l’efficacia del testo biblico ispirato dallo Spirito «nel trasmettere le verità rivelate che formano le menti e i cuori, come affermato in 2 Tm 3,16 e dichiarato dal concilio Vaticano II(DV 21-25)» (The apostolicity, 409). I cattolici aggiungono che «questa efficacia è stata operativa nella Chiesa nel corso del tempo, non solo in singoli credenti ma anche nella tradizione ecclesiale, sia in espressioni dottrinali ad alto livello, come la regola della fede, le professioni di fede e il magistero conciliare, sia nelle principali strutture della liturgia comunitaria (…). La Scrittura si è resa presente nella tradizione, che è quindi in grado di svolgere un essenziale ruolo ermeneutico. Ilconcilio Vaticano II non dice che la tradizione dà origine a nuove verità oltre la Scrittura, ma che essa esprime la certezza circa la rivelazione attestata dalla Scrittura» (The apostolicity, 410).  


208. Un frutto del dialogo ecumenico è, per la teologia luterana, la sua apertura verso la convinzione cattolica che l’efficacia della Scrittura è operante non solo nei singoli individui, ma anche nella Chiesa nella sua interezza. Ne è prova il ruolo che hanno le Confessioni luterane nelle Chiese luterane.  


Scrittura e tradizione


209. Oggi il ruolo e l’importanza della sacra Scrittura e della tradizione sono dunque intesi in maniera differente nella Chiesa cattolica romana rispetto a come li intendevano gli avversari teologici di Lutero. Riguardo alla questione dell’interpretazione autentica della Scrittura, i cattolici hanno spiegato che «quando la dottrina cattolica sostiene che il “giudizio della Chiesa” svolge un ruolo importante nell’interpretazione autentica della Scrittura, essa non attribuisce al magistero della Chiesa un monopolio sull’interpretazione, che i seguaci della Riforma giustamente temono e rifiutano. Prima della Riforma, figure di primo piano avevano indicato la pluralità ecclesiale degli interpreti (…). Quando il concilio Vaticano II afferma che il “modo di interpretare la Scrittura è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa” (DV 12), esso evita chiaramente una pretesa monopolistica riguardo al fatto che il magistero sia l’unico organo di interpretazione, cosa che è confermata sia dalla secolare promozione ufficiale di studi biblici cattolici, sia dal riconoscimento inDV 12 del ruolo dell’esegesi nella maturazione dell’insegnamento magisteriale» (The apostolicity, 407).  


210. In tal modo luterani e cattolici sono in grado di concludere congiuntamente: «Perciò riguardo alla Scrittura e alla tradizione luterani e cattolici sono a un livello così ampio di accordo, che le loro differenti accentuazioni di per sé non richiedono di mantenere l’attuale separazione delle Chiese. In questo ambito vi è unità in una diversità riconciliata» (The apostolicity, 448).[lxxxii] 


Guardare avanti: il Vangelo e la Chiesa


211. Oltre a offrire ai cattolici una comprensione migliore della teologia di Martin Lutero, il dialogo ecumenico, insieme alle ricerche storiche e teologiche, dona sia ai luterani sia ai cattolici una migliore comprensione delle rispettive dottrine, dei loro maggiori punti di accordo e delle questioni che hanno ancora bisogno di ulteriore confronto. Il tema della Chiesa è stato un argomento importante in queste discussioni.  


212. La natura della Chiesa fu un tema dibattuto al tempo della Riforma. La questione principale era costituita dal rapporto tra l’azione salvifica di Dio e la Chiesa, che riceve e insieme comunica la grazia di Dio nella Parola e nel sacramento. Il rapporto tra il Vangelo e la Chiesa è stato il tema della prima fase del dialogo internazionale luterano - cattolico romano. Grazie al Rapporto di Malta, come pure ad altri successivi documenti ecumenici, oggi è possibile comprendere meglio le posizioni luterane e cattoliche e identificare sia le concezioni comuni sia le questioni che richiedono ulteriori riflessioni.  


La Chiesa nella tradizione luterana


213. Nella tradizione luterana, la Chiesa è intesa come «l’assemblea dei santi nella quale si insegna il Vangelo nella sua purezza e si amministrano correttamente i sacramenti» (Confessione di Augusta, VII). Ciò significa che la vita spirituale è incentrata sulla comunità locale riunita intorno al pulpito e all’altare. Questo include la dimensione della Chiesa universale, dal momento che ciascuna singola comunità è connessa con le altre mediante una predicazione pura e una corretta celebrazione dei sacramenti, per i quali è istituito il ministero nella Chiesa. Bisognerebbe ricordare che Lutero nel suo Grande catechismo chiamò la Chiesa «la madre che concepisce e porta in grembo ogni cristiano mediante la parola di Dio, che lo Spirito Santo rivela e inculca (…). Lo Spirito Santo rimane presso la santa comunità [Gemeine] o cristianità sino all’ultimo giorno, ci sostiene mediante essa e la utilizza per portare e inculcare la Parola».[lxxxiii] 


La Chiesa nella tradizione cattolica


214. L’insegnamento del concilio Vaticano II nella Lumen gentium è essenziale per comprendere la concezione cattolica della Chiesa. I padri conciliari hanno spiegato il ruolo della Chiesa all’interno della storia della salvezza in termini di sacramentalità: «La Chiesa è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1;EV 1/284).  


215. Un concetto basilare per spiegare questa visione sacramentale della Chiesa sta nella nozione di mistero e afferma l’inscindibile relazione tra gli aspetti visibili e invisibili della Chiesa. I padri conciliari hanno insegnato che «Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra e incessantemente sostenta la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, quale organismo visibile, attraverso il quale diffonde per tutti la verità e la grazia. Ma la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l’assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino» (LG 8; EV 1/304). 


Verso il consenso


216. Nei dialoghi luterano-cattolici è emerso un chiaro consenso sul fatto che la dottrina della giustificazione e la dottrina sulla Chiesa vanno di pari passo. Questa comprensione comune è affermata nel documento Chiesa e giustificazione: «Cattolici e luterani confessano unanimemente la salvezza, offerta solo in Cristo e solo per grazia e ricevuta nella fede. Insieme, essi pregano nel Credo: Crediamo “la Chiesa, una, santa, cattolica/universale e apostolica”. La giustificazione del peccatore e la Chiesa sono articoli di fede fondamentali» (Chiesa e giustificazione, n.4;EO 3/1234).


217. Chiesa e giustificazione inoltre afferma: «In senso stretto, noi non crediamo nella giustificazione e nella Chiesa, ma nel Padre, che ci usa misericordia e ci raduna nella Chiesa come suo popolo, in Cristo, che ci giustifica e il cui corpo è la Chiesa, e nello Spirito Santo, che ci santifica e che vive nella Chiesa. La nostra fede si estende alla giustificazione e alla Chiesa come opere del Dio trinitario che possono essere debitamente ricevute solo nella fede in lui» (Chiesa e giustificazione, n.5; EO 3/1235).  


218. Anche se i documenti Chiesa e giustificazione e Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione hanno apportato significativi contributi a un certo numero di questioni irrisolte tra cattolici e luterani, sono ancora necessari ulteriori dialoghi ecumenici su: il rapporto tra la visibilità e l’invisibilità della Chiesa, la relazione tra la Chiesa universale e la Chiesa locale, la Chiesa come sacramento, la necessità dell’ordinazione sacramentale nella vita della Chiesa e il carattere sacramentale della consacrazione episcopale. Le future discussioni dovranno tener conto del considerevole lavoro già compiuto in questi e in altri importanti documenti. Questo compito è molto urgente dal momento che cattolici e luterani non hanno mai cessato di confessare unanimemente la fede nella «Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». 



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)