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E questo è vero indubbiamente per ciascuno di noi; ma lo vediamo vero tanto più in coloro che realizzano o tendono a realizzare sempre di più questo impegno di donazione, di dedizione di sé: quanto la loro vita acquisterà di potenza, di efficacia, di forza, di forza interiore, soprannaturale, di forza divina! Mettendo in comune la propria esistenza con gli altri, la nostra vita diviene feconda.


Il primo dono, il primo modo di vivere per cui giungere a liberarsi del proprio egoismo, Dio ha voluto che fosse il matrimonio. Ebbene, è nel matrimonio che l'uomo veramente acquista una paternità, una maternità. Fin tanto che l'uomo vive del tutto indisponibile agli altri, è veramente anche sterile. È invece nella misura che mette in comune la propria vita e la dona, che la sua vita acquista di fecondità e di efficacia.

Col voto di obbedienza non solo metto in comune con gli altri la mia vita, ma in qualche modo la metto in comune con Dio: l'obbedienza sarebbe sempre una cosa immorale se non fosse dovuta a Dio solo, perché se è dovuta a un'altra creatura è sempre servitù, abiezione; non è una virtù, è qualcosa che avvilisce. Nel Cristianesimo l'obbedienza è dovuta soltanto a Dio. Il voto di obbedienza crea una comunione di vita con Dio, perché realizza un superamento della nostra vita umana: la nostra vita umana si trasfigura, viene consacrata, consacrata nel senso che si trasforma, e da umana diviene divina, come l'acqua che si cambia in vino nelle Nozze di Cana.
Cos'è che fa umano il mio atto? La piena coscienza che ho nel compierlo e la piena libertà onde io lo compio. Un atto in cui non ci sia questa consapevolezza né questa coscienza né questa libertà non è più un atto umano, anche se è compiuto da uomini: quanto più libero è l'atto e quanto più è consapevole, tanto più è umano. E quando non è più la volontà umana che realizza un atto, che si incarna in un atto, ma è la volontà di Dio, l'atto dell'uomo diviene atto divino. E che cos'è la santità se non questa trasfigurazione dell'uomo onde tuta la sua attività diviene attività di Dio, vita di Dio? È un Dio che in qualche modo si incarna nel tuo atto, che prende vita nella tua vita.


Se gli altri voti realizzano una comunione fra gli uomini e potenziano l'uomo, l'arricchimento di tutta la ricchezza degli altri uomini con i quali vive e si stringe in comunione di amore, la virtù, l'atto dell'obbedienza, creano invece una comunione con Dio, realizzano la comunità dell'uomo con Lui. Nasce da qui che l'aspetto fondamentale del Cristianesimo è possibile viverlo nella misura che realizziamo un senso comunitario fra noi. Dobbiamo sentire veramente che non abbiamo nulla da difendere! Noi possediamo solo quello che mettiamo in comune.
Dobbiamo sentire davvero che quello che abbiamo lo abbiamo per donarlo, perché sia di tutti, non perché sia nostro. È nostro solo perché ne facciamo quest'uso che è la donazione, l'offerta. In fondo, non è in questo che si consuma tutta la vita dell'uomo e dell'universo: nel sacrificio? E che cos'è il sacrificio se non la donazione, l'offerta? La mia attività si consuma in un'offerta, in una dedizione, in un dono: dono di quello che sono, dono di quello che ho. Quello che abbiamo sono i beni spirituali e sono tutti i beni, e tutti noi dobbiamo metterli a disposizione. Nulla da conservare per noi. L'uso di questi beni è per la comunità e per tutti nella comunità. Pure in potenza possedendo ogni cosa, di fatto noi rimaniamo veramente di ogni cosa padroni e non schiavi, nella misura che noi ne usiamo quanto ci è necessario. Dobbiamo sempre ricordarci che le creature, le cose, sono un mezzo di cui dobbiamo servirci e non il fine a cui dobbiamo tendere e nel quale possiamo restare. L'anima deve rendersi conto che non è al servizio delle cose che possiede, ma queste sono al suo servizio. Deve rendersi conto che non deve soltanto conservare il proprio patrimonio, accrescerlo, amministrarlo bene… deve pensare che tutto quello che possiede è a disposizione per la carità. Questo che ho, ecco, mi è stato dato oggi solo per usarne: indubbiamente io debbo usarne nella misura che sono sollecitato da vera carità.


Dobbiamo renderci conto che quello che abbiamo è per l'amore: è dunque un uso per te, non è la proprietà di cui tu sia schiavo. Nel Cristianesimo la proprietà è, in fondo, sempre in funzione di un uso, uso che deve sempre rispondere a un impegno di amore, a una volontà di amore. Volontà di amore che non importa immediatamente che in questo uso tutto quello che possiedi venga consumato, perché il tuo dono deve rispondere al bisogno degli altri, non di più, altrimenti non è atto di amore. Non è detto che si debba in ogni modo liberare da ogni sofferenza, perché può darsi benissimo che la sofferenza sia un grandissimo dono per l'uomo che soffre, perché egli comprenda di più il mistero della vita e sia capace, anche lui, di amare gli altri.
Si deve considerare che bene comune non è soltanto quello che noi possiamo portare di ricchezza, di denaro, ma bene comune è la nostra cultura, la nostra preghiera, la nostra virtù… La nostra vita, i nostri beni, tutto l'essere nostro deve essere in comune. Come si diceva, il dono che facciamo non ci spoglia, ma ci arricchisce anche dei beni che gli altri ci danno: tutto mettiamo insieme e tutti siamo uno.
Dobbiamo anche stare attenti a un grande errore che commettiamo quando si pensa all'amore come qualche cosa che è soltanto donato e non ricevuto: l'amore è reciprocità; l'amore, tanto nel Vecchio Testamento come nel Nuovo, risponde sempre al tema nuziale che dice precisamente un dare e un ricevere. Non è mai un dare soltanto: dare soltanto può essere orgoglio che ci mantiene chiusi per noi. Dare e ricevere: il senso comunitario deve realizzare tutto questo.


Se l'amore importa una reciprocità, se il mio dono non mi deve impoverire, spogliare di quello che dono, ma arricchire anche di quello che ricevo, per stabilire una comunione reale con coloro che io amo ne viene necessariamente che una comunità non si crea che attraverso una conoscenza reciproca, prima di tutto. Bisogna conoscerci: non posso io donare agli altri senza entrare nella loro vita, senza che la loro vita venga in qualche modo ad appartenermi. Io la vengo a conoscere intimamente, non per una conoscenza astrattiva, ma ne vengo a far parte per una conoscenza diretta, vengo a inserirmi io stesso negli altri e gli altri in me. Io vivo negli altri e gli altri in me. C'è veramente una somma, non una sottrazione: l'amore non crea una sottrazione, mai, opera invece un'addizione. La opera perfino anche fra Dio e l'uomo! Quanto più la opera fra l'uomo e l'uomo! Dio amando si fa uomo; non che l'umanità si addizioni alla natura divina, come dice San Tommaso d'Aquino, e tuttavia Egli è Uomo e Dio, Dio e Uomo. Ma questo addizionarsi di vite, di beni interiori, spirituali, morali, anche materiali, questo addizionarsi è un fatto reale quando veramente l'amore crea la comunità.


E l'amore tende di per sé alla comunità. L'amore non è soltanto l'atto onde uno si spoglia: esige reciprocità, non immediatamente con tutti gli uomini, ché tutti non li conosco, mi sfuggono e io non posso donarmi a tutti in modo concreto, né tutti li posso ricevere in modo concreto. L'amore si realizza già intanto in una comunità meno vasta, partendosi dal poco.

Ecco perché, pur non vivendo altro che la vita della Chiesa, ci siamo raccolti in una comunità più piccola, in una proporzione adatta alla nostra piccolezza, alla nostra povera esperienza, anche alla nostra carità che all'inizio è così misera!

Allora, quello che importa è stabilire intanto una vera comunione, un vero senso comunitario fra noi: conoscerci, non essere più estranei l'uno all'altro. E questo è bello, perché altrimenti ci sarebbe un'altra forma di egoismo. È bello che nella nostra comunità non dobbiamo mettere tutti sul piatto della bilancia i medesimi beni, ma uno porterà l'esperienza della povertà, di una vita di lavoro; un altro l'esperienza di una vita di cultura; un altro beni di ordine spirituale fondamentalmente; altri, dei beni materiali. Tutto è uno, ed è in questa unità di beni così diversi che la comunità può veramente vivere. Se i beni che si mettono in comune fossero tutti gli stessi, più difficilmente la comunità che si crea è una comunità di ordine soprannaturale, creata dalla carità divina.

I soci di un'azienda mettono in comune le proprie esperienze e anche i propri beni economici, ma per una comunità di lavoro. Un'azienda non è certo una comunità religiosa, e una comunità religiosa non è un'azienda, e non è nemmeno una certa scuola, un'accolta di persone d'intelligenza impegnate a fare scoperte. La comunità religiosa ha invece il suo fine nell'amore e anche il suo impegno ultimo nell'amore, nella carità soprannaturale. Questa comunità si realizza col mettere in comune tutto quello che si possiede a servizio di questo bene supremo che è la carità. Per questo, in una comunità religiosa non possiamo – senza pericolo che venga più o meno contraffatto l'ideale religioso – escludere nessuna persona: né una persona di censo, se la comunità è in maggioranza di anime molto povere; né una persona semplice, se la comunità è invece di anime intelligenti, laureati, grandi personalità. Non possiamo escludere alcuno quando vi sia in ogni anima questo impegno di amore. Il senso comunitario si svilupperà sempre più quanto più si sentirà di aver rinunziato in favore degli altri a tutto quello che possediamo e che siamo. Quanto più veramente realizziamo il dono delle nostre cose e di noi stessi, entro la comunità e attraverso la comunità, realizziamo questo dono anche a tutti gli altri fratelli.

Dobbiamo renderci conto che siamo tenuti a una conoscenza sempre più profonda delle divine esigenze, e ad una risposta sempre più piena e concreta a queste divine esigenze. Non si possono fare differenze di persone: l'impegno rimane sempre lo stesso, per tutti, perché la legge divina è uguale per tutti: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore". Certo, però, che in concreto l'anima potrà rispondere a questo impegno nella misura della sua disponibilità.


I voti religiosi ci rendono più disponibili, rendono possibile prima, e più facilmente, l'esercizio di questo amore totale, di questa totale dedizione di sé. Nel matrimonio non è possibile rispondere a questo impegno totale: ci sono dei legami che in qualche modo sono restrittivi alla carità soprannaturale (non necessariamente di per sé, ma in concreto è sempre così). Questi legami però possono essere trasfigurati, può essere trasfigurato ogni impegno della vita famigliare in un atto di carità.
Quello che importa è vivere la carità, vivere unicamente di amore. E l'amore esige il dono di noi stessi, dono di noi stessi che, come si diceva, esige però reciprocità. Non è certo detto che il nostro non sia atto d'amore se l'altro non risponde, ma di per sé l'amore esige la risposta dell'altro, ed effettivamente il nostro amore sarebbe sempre imperfetto, non da parte nostra, ma sarebbe ugualmente imperfetto se non creasse una reciprocità e una comunione.

 

[SM=g1740771]continua....

 

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)