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Anche l'amore di Dio è gratuito: di per Sé Egli dona, e ciò non importa necessariamente una reciprocità, perché Dio ama anche se noi non l'amiamo. Però, effettivamente, si può dire che l'amore di Dio debba terminare in questo amore gratuito che è un'offerta non ricevuta da alcuno? I Protestanti dicono di sì: perciò il carattere dell'amore divino è, per il Protestantesimo, la gratuità e l'universalità dell'amore così come si esprime in San Paolo: Dio dona Se stesso, tutto Se stesso, ai peccatori, a tutti i peccatori dona Se stesso. Questo ci insegna San Paolo. Ma San Giovanni corregge: all'amore di Dio che si volge ai peccatori sostituisce l'amore che crea ed esige una comunione, l'amore tra i fratelli. Diligite alterutrum. E l'amore di Dio crea la comunità, la societas, la koinonìa dei credenti col Padre e col Figlio, come si ha dalla Prima Lettera (di Giovanni).


L'amore si manifesta veramente operante e veramente anche cristiano in quanto è efficace, perché veramente l'amore – che è creatore – si manifesta precisamente creando la comunità. Prima ancora e più grande è l'amore nostro con cui ci amiamo fra noi che l'amore con cui ci volgiamo agli altri, perché l'amore che crea una comunità si manifesta veramente più cristiano dell'altro. Cristiano è anche l'altro – non è detto che per essere cristiano questo amore possa dipendere dagli altri: l'amore è il mio atto, non è chi lo riceve che gli può conferire perfezione; è in me che amo che l'amore è perfetto o imperfetto. Ma prescindendo dal soggetto che ama, l'amore è perfetto solo in quanto crea una comunità, in quanto opera una comunità.

L'amore di Dio crea la Chiesa, comunità dei credenti. Ma l'amore di Dio, pur donandosi gratuitamente, cioè senza che in noi supponga alcun bene, non è gratuito nel senso che Dio non esiga nulla dall'uomo: Dio esige dall'uomo quanto gli dona, come dice San Giovanni della Croce.

In fondo, se consideriamo bene, se non vogliamo la reciprocità neppure amiamo. Di fatto, tu puoi dare tutte le tue cose a uno che sta per la strada e che non conoscerai mai, ma fin tanto che doni senza volere la reciprocità, di fatto non donerai mai te stesso: esigi cioè che ci sia una separazione fra te e il mondo, ti difendi comunque dall'amore. Dio vuole la reciprocità.


Bisogna rendersi conto che l'amore non è dare ciò che si ha, ma ciò che si è; allora si vuole anche ciò che gli altri sono, non le loro cose. Non il dono delle proprie cose è amore, ma il dono di sé. Non per nulla nella Sacra Scrittura l'amore è identificato all'obbedienza, perché l'obbedienza è il dono di sé. Se mi amate, osservate i miei comandamenti… Chi osserva i miei comandamenti, quello è colui che mi ama, dice Gesù nell'Ultima Cena. L'amore è il dono di sé, e il dono di sé a un certo momento ha una sua riprova in questo: tu non puoi possedere più nulla dal momento che non possiedi te stesso.
La comunità si realizza precisamente da questa reciprocità che dice l'efficacia, la perfezione dell'amore cristiano, onde tutti diveniamo uno. Non una sola ricchezza e non una sola vita, ma un essere solo: il Corpus Christi mysticum. Un corpo solo, un'anima sola. Cor unum et anima una, come dicono gli Atti a proposito della prima comunità cristiana. Non erano un solo corpo perché tutti mettevano in comune i loro beni materiali: mettere in comune i beni materiali era l'espressione concreta di un dono molto maggiore che era il dono di sé; dono di sé che però veramente realizzava una unità fra tutti. Non era il dono fatto a un povero che poi va per la sua strada e che poi non conosci più, era fatto invece ai tuoi fratelli, i quali entravano nella tua vita e divenivano la tua vita, come per loro tu entravi nella loro vita e divenivi la loro vita.
Se io di fatto non vi conoscessi e non vi amassi personalmente, non mi interessassi della vostra vita, non mi donassi interamente a voi, ma anche non ricevessi il peso della vostra sofferenza, delle vostre gioie, di fatto il mio amore non sarebbe perfetto e la comunità non sarebbe creata.


Se qualcuno non risponde all'amore, si esclude dalla comunità. Ma anche tu ti escludi se cessi di amare. La comunità è vivere una sola vita, in modo da non distinguerci più gli uni dagli altri, perché tutti siamo uno. Ci vuole da parte nostra una misura colma di carità, in modo da vincere le difese dell'egoismo.

Se poi non si riesce a superarle, si vivrà di meno la comunità, e la comunità si realizzerà di meno e porterà precisamente i pesi delle nostre imperfezioni. Dobbiamo renderci conto che nessuno di noi è pienamente trasformato dalla carità, perciò dobbiamo anche saper compatire. Noi dobbiamo continuare a dare, e sperare che da questa donazione d'amore le difese degli egoismi si aprano, non tanto per pretendere risposte, quanto perché fintanto che non c'è una risposta veramente un'anima non vive o vive meno nella comunità.
La comunità può essere fatta da noi, ma la Chiesa non è fatta da noi. Se noi, nella misura che partecipiamo alla comunità mediante la comunità vogliamo vivere la Chiesa, ci dobbiamo anche rendere conto che l'unità precede il nostro amore, e il nostro amore non fa altro che inserirsi in questa unità che precede tutto, ed è Cristo, Cristo che vive unico in tutti, che in Sé tutti veramente ci aduna. Il nostro amore tanto più sarà grande quanto più realizza l'unità, anche se l'altro si esclude, altrimenti la perfezione dell'amore dipenderebbe da noi, mentre l'efficacia dipende da Cristo, e in Cristo l'amore ha già realizzato una unità che è infrangibile.


La comunità dunque ha il suo fondamento nell'amore dell'Uomo-Dio che ha già creato l'unità, l'unità dell'uomo con Dio e degli uomini fra loro.
Si diceva che l'aspetto comunitario del Cristianesimo è legato, nel Vangelo, alle Nozze di Cana, al tema nuziale. Effettivamente è questa la comunità cristiana: una comunità che mette in comune soprattutto quello che si è; un amore che impegna ciascuno di noi totalmente; un amore che poi opera, in una reciprocità di dono, una perfetta unità spirituale.


Ora, un'unione nuziale è sempre esclusiva: l'uomo effettivamente non la compie che con Dio. La comunità non è di per sé un mezzo per raggiungere l'amore di Dio, per realizzare questa unione nuziale con Cristo. Non è un semplice mezzo. Nelle Nozze di Cana vi è lo sposo e vi è la sposa, ma lo sposo e la sposa vivono il loro rapporto di amore insieme ai convitati alle nozze. Sono due aspetti della vita cristiana che non possono andare disgiunti. Il vivere nella comunità deve essere anche legato alla vita di interiore rapporto con Dio, di un rapporto che rimane personale. Ma d'altra parte questo rapporto personale, esclusivo, dell'anima con Lui non soltanto non ci dispensa, ma ha la sua prova, la sua conferma, in una unità di fratelli.


Gesù e Maria, alle nozze, e con Gesù e Maria i discepoli: ecco, in poche parole, quella che è la vita cristiana: l'anima e Cristo. [SM=g1740722]

E l'anima e Cristo vivono un rapporto che è proprio di loro, e di loro soltanto. Un rapporto in cui veramente si realizza una unità piena e si deve realizzare una reciprocità perfetta di amore. Reciprocità e unità che non è mai perfetta invece con gli altri. Cioè, nella comunità con gli altri fratelli, io sono impegnato ad amare, a donare tutto, tutto quello che ho e tutto quello che sono; però questo mio amore, anche se è un impegno totale, non può effettivamente realizzare uno spogliamento totale di quello che ho e di quello che sono in favore degli altri, né d'altra parte ottiene una reciprocità piena e perfetta da parte degli altri.
È invece nella mia unione con Cristo che questa reciprocità è piena e perfetta. L'unione nuziale non si realizza altro che con Lui – unione nuziale che importa precisamente la consumazione di una unità. Dio veramente si dona, tutto, all'anima, in Cristo, e l'anima a Dio, tutta, deve donarsi.

[SM=g1740771] continua.....

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)