[Rev. Murray:] È così. Il Papa agisce nei limiti del Diritto Canonico, al pari di chiunque, ma con una enorme differenza, che lui stesso è il legislatore ed ha facoltà di cambiare il diritto. Se non lo cambia e se non promulga quello che potremmo chiamare un "precetto particolare", che è una particolare applicazione del diritto o un aiuto al diritto come è sancito, allora il Papa rimane sottomesso a questo diritto. Egli ha la facoltà di cambiarlo, ma in questo caso preciso non lo ha fatto. E la legge stabilisce che se qualcuno ha ritenuto di avere un grave motivo, una necessità imperiosa, nel compiere un atto illegale, costui non può essere sottoposto alle sanzioni latae sententiae. Io direi che il Papa stesso non è un legislatore del Diritto canonico: si sono pubblicati dei consigli che gli sono stati dati -l'Osservatore Romano presenta un comunicato in cui si dice che lo stato di necessità al quale fa appello il canone 1323 non era applicabile. Io ritengo che i suoi consiglieri abbiano sostenuto che Mons. Lefèbvre non avesse il diritto di avvalersi dei canoni 1323 e 1324; è per questo che il Papa non ne parla nella sua dichiarazione. Io sono convinto che i suoi consiglieri avessero torto, poiché, a mio avviso, il caso di Mons. Lefèbvre è proprio un esempio di quanto il nuovo diritto sia tanto meno rigoroso per quanto il precedente fosse del tutto chiaro. Secondo il precedente Diritto Canonico, se qualcuno compiva un atto illegale, veniva considerato colpevole fino a prova contraria. Il nuovo codice, invece, prevede che se qualcuno commette un atto illegale che ritiene soggettivamente necessario, non necessariamente incorre in una sanzione. Certo, il Papa potrebbe imporre una sanzione sulla base della sua autorità ed enunciarla come tale, ma è su questo punto che ci troviamo di fronte ad un dilemma. Mons. Lefèbvre ha fatto valere che egli doveva agire per il bene della Chiesa; noi potremmo replicare che egli ha agito per il suo bene, per il suo interesse; se ne può discutere. Ed è su questo punto che io penso ci si potrebbe rivolgere al Papa, in rispetto della sua funzione pontificale e della sua autorità, dicendo: "Santità, io penso che il canone 1324 si possa applicare a questo caso". Quindi Mons. Lefèbvre non può essere stato scomunicato, e a maggior ragione ritengo che nessuno dei suoi fedeli lo sia stato o lo sia. In questo caso si vede bene che tutto è partito dalla dichiarazione pubblica del Cardinale Gandin, secondo il quale i due canoni relativi allo scisma e alla consacrazione illegale sarebbero stati violati intenzionalmente. Infatti, la dichiarazione pubblica diceva che: "È accertato pubblicamente che costoro non solo hanno violato la legge, ma lo hanno fatto in maniera tale da incorrere nella relativa sanzione". Ora, il fatto di dichiarare questo non determina l'applicazione della sanzione, ma solo che quest'ultima esisteva già. È per questo che si può affermare il proprio disaccordo, dicendo: "Rispettosamente, io credo che la vostra applicazione della legge sia scorretta." Meglio ancora, Mons. Lefèbvre poteva dire: "Che il Cardinale Gandin sia o MENO dello stesso parere, io reputo di poter invocare il canone 1324", poiché il giudizio soggettivo delle circostanze è lasciato all'apprezzamento del singolo. Se colui che viola la legge afferma con sincerità: "Nel mio animo e nella mia coscienza non ho avuto l'intenzione di fare alcunché di male, poiché reputavo che era necessario che io agissi contro la lettera della legge", non gli occorre altro per invocare il canone 1324 ed evitare le sanzioni latae sententiae. Ora, il Papa potrebbe dire, come diceva lei: "Dimentichiamo questi canoni: io dichiaro che a partire da oggi, in virtù della mia autorità, queste persone sono scomunicate"; ma il Sovrano Pontefice non ha agito così. Egli si è lasciato guidare da i suoi consiglieri e dal codice in vigore. E io penso che si tratti di una lacuna del nuovo codice. Dal momento che si permette alle conclusioni soggettive di prevalere sulle sanzioni, si determina una incertezza giuridica e, in ogni caso, una mancanza di certezza generale. Naturalmente la maggior parte delle persone che violano una legge, ritiene che ciò sia stato un suo dovere, a meno che non si tratti di depravati o della volontà di farlo per contraddire l'autorità. Francamente, io non credo che Mons. Lefèbvre l'abbia fatto con queste intenzioni.
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