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Capitolo I

IDENTITÀ E MISSIONE DEL VESCOVO
NEL MISTERO DI CRISTO E DELLA CHIESA

“Io sono il Buon Pastore,
conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”
(Gv 10, 14).

“Le mura della città poggiano su dodici basamenti,
sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici Apostoli dell’Agnello”
(Ap 21, 14).

 

I. Il Vescovo nel Mistero di Cristo

1. Identità e missione del Vescovo. Il Vescovo, nel considerare se stesso ed i suoi compiti, deve tener presente come centro che delinea la sua identità e la sua missione il mistero di Cristo e le caratteristiche che il Signore Gesù volle per la sua Chiesa, “popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (5). è, infatti, alla luce del mistero di Cristo, Pastore e Vescovo delle anime (cf. 1 Pt 2, 25), che il Vescovo comprenderà sempre più profondamente il mistero della Chiesa, nella quale la grazia della consacrazione episcopale lo ha posto come maestro, sacerdote e pastore per guidarla con la sua stessa potestà.

Vicario (6) del “Pastore grande delle pecore” (Eb 13, 20), il Vescovo deve manifestare con la sua vita e con il suo ministero episcopale la paternità di Dio, la bontà, la sollecitudine, la misericordia, la dolcezza e l’autorevolezza di Cristo, che è venuto per dare la vita e per fare di tutti gli uomini una sola famiglia, riconciliata nell’amore del Padre. Il Vescovo deve manifestare anche la perenne vitalità dello Spirito Santo, che anima la Chiesa e la sostiene nell’umana debolezza. Questa indole trinitaria dell’essere e dell’agire del Vescovo ha la sua radice nella vita stessa di Cristo. Egli è il Figlio eterno ed unigenito del Padre da sempre nel suo seno (cf. Gv 1, 18) e l’unto di Spirito Santo, mandato nel mondo (cf. Mt 11, 27; Gv 15, 26; 16, 13-14) (7).

2. Immagini espressive del Vescovo. Alcune immagini vive del Vescovo tratte dalla Scrittura e dalla Tradizione della Chiesa, quali quella del pastore, del pescatore, del padre, del fratello, dell’amico, del portatore di conforto, del servitore, del maestro, dell’uomo forte, del sacramentum bonitatis, rimandano a Gesù Cristo e mostrano il Vescovo come uomo di fede e di discernimento, di speranza e di impegno reale, di mitezza e di comunione. Tali immagini indicano che entrare nella successione apostolica significa entrare in combattimento per il Vangelo (8).

Tra le diverse immagini quella del pastore, con particolare eloquenza, illustra l’insieme del ministero episcopale, in quanto manifesta il suo significato, il suo fine, il suo stile, ed il suo dinamismo evangelizzatore e missionario. Cristo Buon Pastore indica al Vescovo la quotidiana fedeltà alla propria missione, la piena e serena dedizione alla Chiesa, la gioia di condurre verso il Signore il Popolo di Dio che gli viene affidato e la felicità nell’accogliere nell’unità della comunione ecclesiale tutti i figli di Dio dispersi (cf. Mt 15, 24; 10, 6). Nella contemplazione dell’icona evangelica del Buon Pastore, il Vescovo trova il senso del dono continuo di sé, ricordando che il Buon Pastore ha offerto la vita per il gregge (cf. Gv 10, 11) ed è venuto per servire e non per essere servito (cf. Mt 20, 28) (9); inoltre vi trova la fonte del ministero pastorale per cui le tre funzioni di insegnare, santificare e governare debbono essere esercitate con i tratti caratteristici del Buon Pastore. Per svolgere, dunque, un fecondo ministero episcopale, il Vescovo è chiamato ad uniformarsi a Cristo in maniera tutta speciale nella sua vita personale e nell’esercizio del ministero apostolico, così che il “pensiero di Cristo” (1 Cor 2, 16) pervada totalmente le sue idee, i suoi sentimenti e i suoi comportamenti, e la luce che promana dal volto di Cristo illumini “il governo delle anime che è l’arte delle arti” (10). Questo impegno interiore ravviva nel Vescovo la speranza di ricevere da Cristo, che verrà a radunare e a giudicare tutte le genti come pastore universale (cf. Mt 25, 31-46), la “corona di gloria che non appassisce” (1 Pt 5, 4). Sarà questa speranza a guidare il Vescovo lungo il suo ministero, ad illuminare le sue giornate, ad alimentare la sua spiritualità, a nutrire la sua fiducia, a sostenere la sua lotta contro il male e l’ingiustizia, nella certezza che insieme ai fratelli contemplerà l’Agnello immolato, il Pastore che conduce tutti alle fonti della vita e della beatitudine di Dio (cf. Ap 7, 17).

 

II. Il Vescovo nel Mistero della Chiesa

3. La Chiesa, Corpo mistico di Cristo e Popolo di Dio. La Costituzione Dogmatica “Lumen Gentium” riporta alcune immagini che illustrano il mistero dellaChiesa e ne evidenziano le note caratteristiche rivelando l’inscindibile legame che il Popolo di Dio ha con Cristo. Tra queste spiccano quella del Corpo mistico, di cui Cristo è il capo (11), e quella di Popolo di Dio, che raccoglie in sè tutti i figli di Dio, sia pastori che fedeli, uniti intimamente dallo stesso Battesimo. Questo popolo ha per capo Cristo, il quale è stato “messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (Rm 4, 25); ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cui cuore come in un tempio dimora lo Spirito Santo; ha per legge il nuovo comandamento dell’amore e per fine il Regno di Dio iniziato già sulla terra (12).

Questa sua Chiesa, una e unica, il nostro Salvatore la diede da pascere a Pietro (cf. Gv 21, 17) e agli altri Apostoli affidando loro la diffusione e il governo (cf. Mt 28, 18-20) e la costituì per sempre colonna e sostegno della verità (cf. 1 Tim 3, 15).

4. Sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale. Tutti i membri di questo popolo, che Cristo ha dotato di doni gerarchici e carismatici, costituito in una comunione di vita, di carità e di verità, insignito della dignità sacerdotale (cf. Ap 1, 6; 5, 9-10) sono stati da Lui consacrati mediante il Battesimo perché offrano sacrifici spirituali mediante tutta la loro attività, e inviati come luce del mondo e sale della terra (cf. Mt 5, 13-16) per proclamare le opere meravigliose di Colui che li ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce (cf. 1 Pt 2, 4-10). Alcuni membri del Corpo di Cristo, tuttavia vengono consacrati, mediante il sacramento dell’Ordine, per esercitare il sacerdozio ministeriale. Il sacerdozio comune e quello ministeriale o gerarchico differiscono essenzialmente tra loro, anche se sono ordinati l’uno all’altro, poiché ciascuno di essi partecipa a titolo differente all’unico sacerdozio di Cristo. “Il sacerdozio ministeriale, con la potestà sacra con cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico ‘in persona Christi’ e l’offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio, concorrono all’oblazione dell’Eucaristia e lo esercitano con il ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e l’operosa carità”(13).

5. Le Chiese particolari. Il Popolo di Dio non è solo una comunità di genti diverse, ma nel suo stesso interno si compone anche di diverse parti, le Chiese particolari, formate ad immagine della Chiesa universale, nelle quali e dalle quali è costituita l’una ed unica Chiesa Cattolica (14). La Chiesa particolare è affidata al Vescovo (15), che è principio e fondamento visibile di unità (16), ed è attraverso la sua comunione gerarchica con il capo e gli altri membri del Collegio episcopale che la Chiesa particolare si inserisce nella “plena communio ecclesiarum” dell’unica Chiesa di Cristo.

Per questo, l’intero Corpo mistico di Cristo è anche un corpo di Chiese (17), tra le quali si genera un’ammirevole reciprocità, giacché la ricchezza di vita e di opere di ciascuna ridonda nel bene di tutta la Chiesa e all’abbondanza soprannaturale di tutto il Corpo partecipano lo stesso pastore e il suo gregge.

Queste Chiese particolari sono anche “nella” e “a partire dalla” Chiesa, che in esse “si trova e opera veramente”. Per questo motivo, il Successore di Pietro, Capo del Collegio episcopale, ed il Corpo dei Vescovi sono elementi propri e costitutivi di ciascuna Chiesa particolare (18). Il governo del Vescovo e la vita diocesana debbono manifestare la reciproca comunione con il Romano Pontefice e con il Collegio episcopale, nonché con le Chiese particolari sorelle, particolarmente con quelle che sono presenti nello stesso territorio.

6. La Chiesa Sacramento di salvezza. La Chiesa è Sacramento di salvezza in quanto, per mezzo della sua visibilità, Cristo è presente tra gli uomini e continua la sua missione, donando ai fedeli il suo Spirito Santo. Il corpo della Chiesa si distingue pertanto da tutte le società umane; infatti, non sulle capacità personali dei suoi membri essa si regge, ma sull’intima unione con Cristo, da cui riceve e comunica agli uomini la vita e l’energia. La Chiesa non solo significa l’intima unione con Dio e l’unità di tutto il genere umano, ma ne è segno efficace e per questo è sacramento di salvezza (19).

7. La Chiesa comunione e missione. In pari tempo La Chiesa è comunione. Le immagini della Chiesa e le note essenziali che la definiscono rivelano che essa nella sua dimensione più intima, è un mistero di comunione, innanzitutto nella Trinità, perché come insegna il Concilio Vaticano II “i fedeli, uniti al Vescovo, hanno accesso a Dio Padre per mezzo del Figlio, Verbo incarnato, morto e glorificato, nell’effusione dello Spirito Santo, ed entrano in comunione con la Santissima Trinità” (20). La comunione sta nel cuore dell’autoconoscenza della Chiesa (21) ed è il legame che la esprime come realtà umana, come comunità dei Santi e come corpo di Chiese; la comunione infatti esprime anche la realtà della Chiesa particolare.

La comunione ecclesiale è comunione di vita, di carità e di verità (22) e, in quanto legame dell’uomo con Dio, fonda una nuova relazione tra gli uomini stessi e manifesta la natura sacramentale della Chiesa. La Chiesa è “la casa e la scuola della comunione” (23) che si edifica intorno all’Eucaristia, sacramento della comunione ecclesiale, dove “partecipando realmente del corpo del Signore, siamo elevati alla comunione con Lui e tra di noi” (24); allo stesso tempo, l’Eucaristia è l’epifania della Chiesa, dove viene manifestato il suo carattere trinitario.

La Chiesa ha la missione di annunziare e propagare il Regno di Dio fino agli estremi confini della terra, affinché tutti gli uomini credano in Cristo e così conseguano la vita eterna (25). La Chiesa è pertanto anche missionaria. Infatti, “la missione propria, che Cristo ha affidato alla sua Chiesa, non è di ordine politico o economico e sociale: il fine, infatti, che le ha prefisso è di ordine religioso. Eppure proprio da questa missione religiosa scaturiscono dei compiti, della luce e delle forze che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la Legge divina” (26).

8. Il Vescovo visibile principio di unità e di comunione. Il Vescovo, visibile principio di unità nella sua Chiesa, è chiamato a edificare incessantemente la Chiesa particolare nella comunione di tutti i suoi membri e, di questi, con la Chiesa universale, vigilando affinchè i diversi doni e ministeri contribuiscano alla comune edificazione dei credenti ed alla diffusione del Vangelo.

Quale maestro della fede, santificatore e guida spirituale, il Vescovo sa di poter contare su una speciale grazia divina, conferitagli nell’ordinazione episcopale. Tale grazia lo sostiene nel suo spendersi per il Regno di Dio, per la salvezza eterna degli uomini e anche nel suo impegno per costruire la storia con la forza del Vangelo, dando senso al cammino dell’uomo nel tempo.

 

 

III. Il Collegio dei Dodici e il Collegio dei Vescovi

9. La missione pastorale dei Dodici. Il Signore Gesù, all’inizio della sua missione, dopo aver pregato il Padre, costituì dodici Apostoli perché stessero con lui e per mandarli a predicare il Regno di Dio e a scacciare i demoni (27). I Dodici furono voluti da Gesù come un collegio indiviso con a capo Pietro, e proprio come tale adempirono la loro missione, cominciando da Gerusalemme (cf. Lc 24, 46), poi, come testimoni diretti della sua risurrezione verso tutti i popoli della terra (cf. Mc 16, 20). Tale missione, che fu sottolineata come essenziale dall’apostolo Pietro davanti alla prima comunità cristiana di Gerusalemme (cf. At 1, 21-22), fu attuata dagli Apostoli annunciando il Vangelo e facendo discepole tutte le genti (cf. Mt 28, 16-20). Si continuava così l’opera stessa che il Risorto affidò loro la sera stessa di Pasqua: “come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi” (Gv 20, 21) (28).

10. Gli Apostoli fondamenti della Chiesa. Gli Apostoli, con a capo Pietro, sono il fondamento della Chiesa di Cristo, i loro nomi sono scritti sulle fondamenta della Gerusalemme celeste (cf. Ap 21, 14); in quanto architetti del nuovo Popolo di Dio, essi ne garantiscono la fedeltà a Cristo, pietra fondamentale dell’edificio, e al suo Vangelo; insegnano con autorità, dirigono la comunità e ne tutelano l’unità. Così la Chiesa, “costruita sul fondamento degli Apostoli” (Ef 2, 20), ha in sè la nota dell’apostolicità, in quanto conserva e trasmette integro quel buon deposito che attraverso gli Apostoli ha ricevuto da Cristo stesso. L’apostolicità della Chiesa è garanzia di fedeltà al Vangelo ricevuto e al sacramento dell’Ordine che rende permanente nel tempo l’ufficio apostolico.

11. Continuità della missione dei Dodici nel Collegio episcopale. La missione pastorale del Collegio Apostolico perdura nel Collegio episcopale, come nel Romano Pontefice perdura l’ufficio primaziale di Pietro. Il Concilio Vaticano II insegna che “i Vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli quali pastori della Chiesa, e chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e colui che ha mandato Cristo” (cf. Lc 10, 16) (29).

Il Collegio episcopale, con a capo il Romano Pontefice e mai senza di esso, è “soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale” (30), mentre lo stesso Pontefice, in quanto “Vicario di Cristo e pastore di tutta la Chiesa” (31), ha la “potestà ordinaria, suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa che può sempre esercitare liberamente” (32). Questo comporta che il Romano Pontefice ottiene anche il primato della potestà ordinaria su tutte le Chiese particolari e i loro raggruppamenti (33). L’episcopato, uno e indiviso, si presenta unito nella stessa fraternità intorno a Pietro, per attuare la missione di annunciare il Vangelo e di guidare pastoralmente la Chiesa, affinché cresca in tutto il mondo e, pur nella diversità di tempo e di luogo, continui ad essere comunità apostolica.

12. Appartenenza e forme di azione del Vescovo nel Collegio episcopale. Il Vescovo diviene membro del Collegio episcopale in forza della consacrazione episcopale, che conferisce la pienezza del sacramento dell’Ordine e configura ontologicamente il Vescovo a Gesù Cristo come pastore nella sua Chiesa. In forza della consacrazione episcopale, il Vescovo diviene sacramento di Cristo stesso presente ed operante nel suo popolo, che mediante il ministero episcopale annunzia la Parola, amministra i sacramenti della fede e guida la sua Chiesa (34). Il “munus” episcopale per poter essere esercitato ha bisogno della “missione canonica” concessa dal Romano Pontefice. Con essa il Capo del Collegio episcopale, affida una porzione del Popolo di Dio o un ufficio a beneficio della Chiesa universale (35). Pertanto, le tre funzioni, che costituiscono il “munus pastorale” ricevuto dal Vescovo nella consacrazione episcopale, debbono essere esercitate nella comunione gerarchica, anche se, per la loro diversa natura e finalità, la funzione di santificare è esercitata in modo distinto da quelle di insegnare e di governare (36). Queste ultime due funzioni, infatti, non possono essere esercitate se non nella comunione gerarchica per la loro intrinseca natura (natura sua), altrimenti gli atti compiuti non sono validi.

La collegialità affettiva fa del Vescovo un uomo che non è mai solo perché sempre e continuamente è con i suoi fratelli nell’episcopato e con colui che il Signore ha scelto come Successore di Pietro. La collegialità affettiva si esprime come collegialità effettiva nel Concilio Ecumenico o con l’azione congiunta dei Vescovi sparsi nel mondo, promossa dal Romano Pontefice o recepita da esso, in modo che si realizzi un vero atto collegiale. L’affetto collegiale, che non è un semplice sentimento di solidarietà, si attua in gradi diversi e gli atti che ne derivano, possono avere conseguenze giuridiche. Tale affetto si concretizza in vari modi, quali ad esempio, il Sinodo dei Vescovi, la Visita ad limina, l’inserimento dei Vescovidiocesani nei Dicasteri della Curia Romana, la collaborazione missionaria, i Concili particolari, le Conferenze episcopali, l’impegno ecumenico, il dialogo interreligioso (37).


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)