00 17/08/2012 21:50

Il futuro del cristianesimo

 

Ognuno ha un ruolo nel dramma eterno. Anticipiamo ampi stralci di uno degli articoli contenuti nel numero in uscita della rivista dei gesuiti italiani "La Civiltà Cattolica".

di Giandomenico Mucci

Il futuro del cristianesimo è stato oggetto della riflessione di due illustri storici francesi, cattolici, accademici di Francia, che sono stati titolari di cattedre prestigiose e autori di opere note a livello internazionale:  Jean Delumeau e René Rémond.
Delumeau è preoccupato per il corso sul quale si è avviata la déchristianisation, ma spera in quella evangelizzazione che saprà coniugare le tre grandi componenti della mentalità moderna:  il retaggio religioso, le conquiste scientifico-tecniche e l'aspirazione alla partecipazione realizzabile sul piano politico dalla democrazia pluralista.

Quindi, il cristianesimo non sta affatto per morire, a patto però che sappia constatare che oggi, nella storia dell'umanità, esistono due grandi culture di progresso:  il cristianesimo stesso e l'illuminismo. Non è per caso che i valori dei diritti dell'uomo, della tolleranza, della democrazia pluralista, portati avanti dalla cultura illuminista, siano germinati o emersi in modo significativo in terra cristiana. 

Non va sottovalutata l'importanza della condizione che regola la concezione sostanzialmente ottimista di Delumeau sul futuro del cristianesimo. Questa concezione muove dal giudizio negativo sulla "cristianità di una volta (che) è stata troppo spesso una caricatura del cristianesimo":  "quanto essa è stata al potere, tanto ha smentito costantemente il Vangelo". Pertanto occorre sfatare "il mito tenace della cristianità". Allora la speranza mostrerà che il presente è meno buio di quanto spesso si immagina e il futuro è aperto a un cristianesimo configurabile come "un libero raggruppamento di cristianità particolari disseminate in società religiosamente neutrali (o ostili)".

A noi pare che una tale speranza sia copertamente debitrice al mito tenace dell'illuminismo. Come non leggere sotto questo testo dell'autore il progetto non cattolico di un cristianesimo ridotto nei limiti del privato, individuale o comunitario, e svestito del carattere che gli è proprio dell'universalità? Se così avvenisse, il cristianesimo  starebbe certamente per morire.

Con Rémond siamo in ben altra, più profonda, sensibilità ecclesiologica. La sua analisi parte dal riconoscimento della ridotta influenza del fattore religioso e dell'autorità della Chiesa, ma dichiara subito la distinzione tra la secolarizzazione della società civile e la déchristianisation. La secolarizzazione non pregiudicava i sentimenti personali e le credenze dei singoli. La déchristianisation invece incide sulle credenze intime e i comportamenti personali e ha fatto sì che, nelle società moderne, ingenti masse di uomini si siano disaffezionate da qualsiasi fede religiosa.

All'ostilità anticlericale di un tempo sono succeduti l'indifferenza e il disinteresse. Rémond fa carico al clero di non aver studiato e valutato nel suo giusto valore il pensiero dell'età moderna. Ciò non toglie tuttavia che, secondo l'illustre storico, il fatto religioso ha continuato a essere l'espressione comune di molte società, comprese quelle nelle quali si è cercato per decenni di estinguerne l'influenza.

Tutto questo "dimostra non soltanto che il fatto religioso non ha detto la sua ultima parola, ma che conserva un'importanza sociale e continua a svolgere un ruolo nel divenire delle società politiche. Ci si potrebbe anche chiedere da certi segni se non sia in procinto di occupare nel campo della coscienza collettiva un posto più ampio:  ne è prova il successo dell'informazione religiosa".
Non è tutto. Il Rémond nota che, sì, in Occidente regredisce la pratica religiosa, ma su scala globale le Chiese non hanno perduto nulla della loro influenza. "Il fattore religioso resta una componente maggiore della vita dell'umanità e le Chiese si sono impegnate molto più direttamente da una trentina d'anni, particolarmente la Chiesa cattolica dopo il Vaticano ii, per il riavvicinamento dei popoli e lo sviluppo. Le Giornate mondiali della gioventù sono il più grande assembramento di giovani di ogni razza e nazione".

Il discorso del Rémond si fa più puntuale, più critico, quando inserisce nel quadro generale del fatto religioso di oggi il caso del cristianesimo. La sua attenzione si concentra con preoccupazione, sul fenomeno prodottosi nelle società cristiane occidentali intorno agli anni Sessanta del secolo scorso:  la cesura nella trasmissione da una generazione all'altra di tutto un complesso di nozioni, idee e valori.

Fino ad allora, il patrimonio culturale religioso entrava a pieno titolo nella cultura generale. Non era contestato, in quanto tale, neppure dagli anticlericali. Letteratura, filosofia, storia concorrevano indirettamente affinché nello spirito del bambino e dell'adolescente avesse uno spazio proprio l'elemento spirituale. La Chiesa poteva appoggiarsi alla scuola per assicurare la trasmissione dei suoi valori. Oggi la Chiesa è sola. Ma il cristianesimo e il cattolicesimo, pur nelle presenti difficoltà, non stanno vivendo la loro fase terminale. Si evolveranno, si metamorfizzeranno, come è accaduto già tante volte lungo i secoli. Quali che saranno le epoche e i contesti, gli uomini continueranno a cercare e aprire nuovi cammini di libertà e di speranza. "Perché non dovrebbero farlo sotto l'impulso e l'ispirazione del cristianesimo?".

Cinquant'anni fa, non erano attuali né l'interrogativo che Delumeau ha posto a capo del suo libro né le analisi e le previsioni di Rémond. La cultura dell'epoca, che pure era anticlericale più di quella che ci è contemporanea, lo sviluppo delle scienze e gli inizi dell'era tecnologica non erano tali da porre ai credenti il problema del futuro del cristianesimo nei termini drammatici nei quali non pochi lo avvertono oggi.

Ma l'anima presaga di François Mauriac ricordava ai cristiani che la Chiesa, in ogni epoca della storia, deve, per una misteriosa necessità, ripetere in se stessa la passione del Signore che l'ha costituita, salvata e posta come segno suo tra gli uomini. In questa pagina, parla ed esorta un autentico credente, la sua fede non priva di tentazioni e tuttavia salda nella meditazione di una speranza che non può morire perché guarda alla Chiesa come prolungamento e dispiegamento nel mondo del dolore vittorioso di Cristo.

La riproponiamo al nostro lettore.

"Ma che cosa ci riserva il futuro? Quando si tratta della Chiesa, le parole di vittoria e di disfatta non hanno più il loro senso abituale. Mai la sentiamo così inerme come nei suoi trionfi né così potente come nelle sue umiliazioni. Fino alla consumazione dei secoli vi saranno intorno alla croce lo stesso tumulto, lo stesso fermento d'insulti e di scherni, soprattutto la stessa indifferenza di Pilato, lo stesso colpo di lancia nel Cuore di Cristo inferto da una mano qualunque; ma vi saranno anche la stessa supplica del ladrone pentito, le stesse lacrime della Maddalena; e dinanzi al Cristo agonizzante l'atto di fede del centurione pentito e l'amore silenzioso del discepolo prediletto. A ciascuno di noi conoscere la parte che vuole fare in questo dramma eterno. A nessuno è concesso di non prendervi parte. Rifiutare di scegliere vuol dire aver già scelto".


(©L'Osservatore Romano - 3 aprile 2010)




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Le vere cause e il vero rimedio dei mali odierni della Chiesa

 

 

Nel 1985 apparve un libro che fece scalpore: il Rapporto sulla fede del cardinale Joseph Ratzinger, in cui, l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sotto forma di intervista a Vittorio Messori, metteva in luce la crisi religiosa seguita al Concilio Vaticano II.

di Roberto de Mattei


Nel 1985 apparve un libro che fece scalpore: il Rapporto sulla fede del cardinale Joseph Ratzinger, in cui, l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sotto forma di intervista a Vittorio Messori, metteva in luce la crisi religiosa seguita al Concilio Vaticano II. «È incontestabile – diceva il cardinale Ratzinger – che gli ultimi vent’anni sono stati decisamente  sfavorevoli per la Chiesa Cattolica. I risultati che hanno seguito il Concilio sembrano crudelmente opposti alle attese di tutti, a cominciare da quelle di Giovanni XXIII e di Paolo VI». 

Passarono altri vent’anni e lo stesso cardinale Ratzinger, il Venerdì santo del 2005, alla vigilia della sua elezione al pontificato, fece un’altra affermazione che colpì per la sua forza: «Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! [Gesù]». 

Oggi, nella sua Lettera ai cattolici di Irlanda del 19 marzo 2010, Benedetto XVI è ancora più esplicito: ricorda che negli anni Sessanta del Novecento fu «determinante (…) la tendenza, anche da parte di sacerdoti e religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo. Il programma di rinnovamento del Concilio Vaticano fu a volte frainteso» e vi fu «una tendenza, dettata da retta intenzione ma errata, ad evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari». «È in questo contesto generale» di «indebolimento della fede» e di «perdita del rispetto per la Chiesa e per i suoi insegnamenti (…) che dobbiamo cercare di comprendere lo sconcertante problema dell’abuso sessuale dei ragazzi».

La visione degli scandali morali che emerge da queste parole è esattamente antitetica a quella che affiora dalla stampa progressista internazionale. Chi oggi mette sotto accusa il Papa e le gerarchie ecclesiastiche pretende che la causa degli abusi dei sacerdoti stia nell’istituzione del celibato e nella “repressione” cattolica della sessualità. Ma i fatti sotto i nostri occhi dimostrano esattamente il contrario: la decadenza morale del clero ha avuto origine, negli anni del post-concilio, proprio quando la “nuova teologia” rifiutò la morale tradizionale per far propria la mitologia della “Rivoluzione sessuale”. 

Occorre ricordare infatti che, durante i lavori del Vaticano II prese forma l’idea di una Chiesa non più militante, ma peregrinante, in ascolto dei segni dei tempi, pronta a rinunziare alla verginità della sua dottrina, per lasciarsi fecondare dai valori del mondo. Offrirsi ai valori del mondo significava rinunziare ai propri valori, a cominciare da quello che è più intrinseco al Cristianesimo: l’idea del Sacrificio, che dal mistero della Croce discende in ogni aspetto della vita ecclesiale, fino alla dottrina morale, che un tempo ispirava la vita di ogni battezzato, chierico o laico che fosse.

Il Concilio impose ai vescovi, come un dovere, la “sociologia pastorale”, raccomandando di aprirsi alle scienze del mondo, dalla sociologia alla psicanalisi. In quegli anni era stato riscoperto lo psicanalista austriaco Wilhelm Reich, morto quasi del tutto dimenticato in un manicomio americano nel 1957. Herbert Marcuse ed Eric Fromm ne seguirono la musica.

Nel suo libro-manifesto La Rivoluzione sessuale, Reich aveva sostituito alle categorie della borghesia e del proletariato quelle di repressione e di liberazione, intendendo con questo ultimo termine la pienezza della libertà sessuale. Ciò implicava la riduzione dell’uomo a un insieme di bisogni fisici e, in ultima analisi, ad energia sessuale. La famiglia, fondata sul matrimonio monogamico indissolubile tra un uomo e una donna, era vista come l’istituto sociale repressivo per eccellenza: nessuna considerazione sociologica poteva autorizzarne la sopravvivenza.

Una nuova morale, basata sull’esaltazione del piacere, avrebbe presto spazzato via la morale tradizionale cristiana, che attribuiva un valore positivo all’idea di sacrificio e di sofferenza. 

La nuova teologia, spinta dal suo abbraccio ecumenico ai valori del mondo, cercò l’impossibile dialogo tra la morale cristiana e i suoi nemici. I corifei della “nuova morale”, definiti da qualcuno “pornoteologi”, sostituivano alla oggettività della legge naturale, la “persona”, intesa come volontà progettante, sciolta da ogni vincolo normativo e immersa nel contesto storico-culturale, ovvero nell’“etica della situazione”. E poiché il sesso costituisce parte integrante della persona, rivendicavano il ruolo positivo della sessualità, anche perché, a dir loro, il Concilio insegnava che solo nel rapporto dialogico con l’altro, la persona umana si realizza.
Citavano a questo proposito il concetto secondo cui «ho bisogno dell’altro per essere me stesso», fondato sul n. 24 della Gaudium et Spes, “magna charta” del progressismo postconciliare. Basta purtroppo entrare in qualsiasi libreria cattolica per trovare sugli scaffali i libri di questi pseudo-moralisti stampati dalle principale case editrici cattoliche.

Oggi però registriamo il fallimento della “porno-teologia” e la necessità di ritornare agli insegnamenti della morale tradizionale, riscoprendo i valori della penitenza e del sacrificio. Va ribadito dunque che, malgrado i peccati di tanti suoi figli, la Chiesa Cattolica non è mai “peccatrice”, ma resta sempre santa e immacolata nella sua natura e nella sua essenza.

La ragione di questa santità integrale della Chiesa è la santità stessa di Dio, Uno e Trino, e di Gesù Cristo Capo e fondatore del Corpo Mistico. Santo è il Vangelo della Chiesa, santa la sua verità, santi e salvifici sono i suoi sacramenti. Le colpe morali dei membri della Chiesa non ne distruggono la santità morale, perché le mancanze dipendono dall’abuso del libero arbitrio degli uomini, non dall’insufficienza dei suoi mezzi di salvezza.
Anche nei periodi di crisi morale registrati nella sua storia, la dottrina e la legge della Chiesa rimangono identiche nella loro intrinseca santità, operando nelle anime di buona volontà gli stessi benefici effetti  dei tempi di splendore.

L’unica soluzione alla gravissima crisi morale dei nostri tempi sta nello spirito di vera riforma della Chiesa indicato da Benedetto XVI nella Lettera ai cattolici di Irlanda. Il richiamo alla penitenza che costituisce il filo conduttore del documento non è mai disgiunto dall’appello «agli ideali di santità, di carità e di sapienza trascendente» che nel passato resero grande l’Irlanda e l’Europa e che ancora oggi possono rifondarla (n. 3).
L’invito ai fedeli irlandesi «ad aspirare ad alti ideali di santità, di carità e di verità e a trarre ispirazione dalle ricchezze di una grande tradizione religiosa e culturale» (n. 12) suona come un appello a tutti i cattolici e agli uomini di buona volontà per ritrovare l’unico fondamento della ricostruzione morale e sociale in Gesù Cristo, «che è lo stesso ieri, oggi e sempre» (Eb. 13,8) .

(RADICI CRISTIANE n. 54 - Maggio 2010)

 

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La mezzaluna subentra al Sacro Cuore

 

di Gianfranco Amato

Le grandi trasformazioni avvengono sempre attraverso piccoli ma significativi segnali. Uno di questi è rappresentato dalla vicenda della scuola elementare cattolica del Sacro Cuore di Blackburn nel Lancashire inglese.
La Sacred Heart Roman Catholic Primary School Blackburn, questo il nome ufficiale della scuola, vanta origini storiche più che dignitose, risalenti a centodieci anni fa.

La prima pietra fu posata il 5 maggio 1900 da Sua Eccellenza monsignor John Bilsborrow, Vescovo di Salford, ed il 14 gennaio 1901 la scuola fu ufficialmente inaugurata, accogliendo i primi ventotto alunni.
Perché questo centenario istituto scolastico cattolico sia diventato un segno dei tempi è presto detto.
Alla fine di settembre è stato dato l’annuncio che la Sacred Heart Roman Catholic Primary School di Blackbury sarà quasi certamente rilevata dalla locale moschea Masjid-e-Tauheedul, e diventerà una scuola islamica.
La presenza degli alunni cattolici, che dieci anni fa si attestava attorno al novanta per cento, oggi non raggiunge il tre per cento, rappresentando una sparuta minoranza rispetto agli altri studenti di origine asiatica quasi tutti musulmani.

Da qui la decisione delle autorità religiose di lasciare l’istituto.
La diocesi di Salford ha dichiarato, infatti, di non ritenere più appropriato definire come cattolica la scuola, che oggi ha 197 alunni, di cui solo cinque o sei appartenenti alla Chiesa di Roma. Geraldine Bradbury, responsabile diocesana dell’educazione, ha ammesso di «non aver mai assistito ad un cambiamento di tali dimensioni prima d’ora», ed ha comunque difeso la decisione di abbandonare le elementari del Sacro Cuore, ritenendo giusto «dare alle esigenze educative della comunità un’adeguata risposta».
Quindi, disco verde alla scuola musulmana.
Del resto, il consiglio di amministrazione delle elementari del Sacro Cuore si è già dimesso, adducendo la motivazione che l’orientamento cattolico dell’istituto da tempo non rispecchia più il sentire religioso della comunità locale.

A questo punto la legge impone all’amministrazione comunale di Blackburn l’obbligo di indire una gara pubblica per individuare l’organizzazione che dovrà gestire la scuola.

La moschea Masjid-e-Tauheedul appare in pole position per l’aggiudicazione, visto che, oltretutto, uno studio fatto eseguire dalla medesima amministrazione comunale ha rilevato come una scuola islamica rappresenti, in realtà, la migliore risposta alle istanze della popolazione locale, in maggioranza musulmana. La stessa moschea, peraltro, gestisce già un istituto superiore femminile a Blackburn, il Tauheedul Islam Girls’ High School, il cui preside, Hamid Patel, ha definito più che ragionevole il subentro nella gestione della scuola elementare del Sacro Cuore, visto quasi tutti gli allievi della scuola cattolica sono ormai musulmani.

Questa vicenda paradigmatica contiene in sé i due fattori che caratterizzano l’avanzata dilagante dell’islam in Gran Bretagna: il progressivo allontanamento dalla tradizionale fede religiosa cristiana, e la crescita demografica a ritmi esponenziali della comunità musulmana.
Ignorare questa evidenza, significa eludere la realtà, perdere il senso di ciò che accade, e cedere alla mortale logique de l’autruche. Non è nascondendo la testa sotto la sabbia che si affronta un fenomeno epocale come quello del rapporto con l’islam. Serve semmai un giudizio che, attraverso l’intelligenza, la coscienza e la ragione, sia in grado di comprendere la natura, l’essenza ed il significato di tale fenomeno.
Dando un’occhiata al sito web della diocesi di Salford, ed in particolare allo spazio dedicato all’educazione, si può leggere quanto segue a proposito delle scuole cattoliche:

Com’è noto, San Pietro una volta disse: «Siate sempre pronti a dare ragione della speranza che è in voi. Ma fate questo con dolcezza e rispetto» (1 Pietro 3,15). La Chiesa cattolica ha sempre mostrato una particolare attenzione all’educazione per essere in grado di testimoniare l’azione salvifica di Gesù Cristo in una maniera convincente e rispettosa. Tale compito richiede un’adeguata formazione delle menti e dei cuori. La diocesi di Salford fornisce i mezzi con cui i cristiani possono essere formati ed educati nella fede.

Beh, dopo la vicenda delle scuole elementari del Sacro Cuore di Blackburn forse sarebbe meglio che i responsabili diocesani facciano qualche riflessione in più. E non solo loro.

 

Fonte: CulturaCattolica.it
sabato 16 ottobre 2010


http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=19494&Pagina=1&fo=




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[Modificato da Caterina63 17/08/2012 22:20]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)