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L’apertura dei primi quattro sigilli raffigurata a destra del catino dell’abside principale [© Paolo Galosi]

L’apertura dei primi quattro sigilli raffigurata a destra del catino dell’abside principale [© Paolo Galosi]

Cristo è il mostrarsi di una forza vittoriosa sul mondo

Al centro di tutto il programma pittorico, nel cuore del catino absidale, in mezzo ai quattro esseri viventi e ai ventiquattro vegliardi, sta il vincitore, l’Agnello nell’atto di aprire i sette sigilli che chiudevano il libro che nessuno prima della sua vittoria era in grado di aprire. Cosa che faceva piangere Giovanni, e che fa piangere sempre di nuovo anche noi di fronte al mistero umanamente inesplicabile della storia. Ma «ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di David e aprirà il libro» (Ap 5, 5), si legge sulle pagine spalancate del libro. Non piangere più!

A destra e a sinistra dell’abside centrale, su un atipico arco trionfale e su volte e archi ad esso adiacenti, sono rappresentate le scene che corrispondono all’apertura dei singoli sigilli. A partire, a destra, dalla rappresentazione dei quattro cavalieri, che fuoriescono all’apertura dei primi quattro sigilli.

Cavalieri ben poco apocalittici, nel senso che non fungono da simbolo di quattro forze equivalenti e sovrane di distruzione. Quasi che lo svelamento finale coincida con una finale distruzione, quasi che il fine sia la fine. No. A differenza di quello che continua a dire una critica timorosa finanche di osservare la realtà, tanto ha paura di perdersi perdendo i suoi preconcetti, si tratta in realtà, secondo l’interpretazione tradizionale basata sul coordinamento dei versetti Ap 6, 1-2 con Ap 19, 11-16, della lotta instaurata dal primo cavaliere contro gli altri tre. Il primo dei quattro cavalieri (che monta un cavallo bianco, è coronato e dotato di un arco, secondo la lettera di Ap 6, 2) è anche rivestito di un mantello, rosso del suo stesso sangue, ed è circondato dall’aureola della gloria divina, secondo la lettera di Ap 19, 13: è il Verbo di Dio, il Re dei Re, il Signore dei Signori che, secondo quel che recita la Vulgata (Ap 6, 2), exivit vincens ut vinceret, è uscito vittorioso per vincere quel che resta da vincere. Cristo ha vinto, è Cristo che vince ancora. «Da dove uscì se non dal sigillo aperto?», scriveva Ambrogio Autperto, l’abate del grande monastero carolingio di San Vincenzo al Volturno, la cui cripta racchiude un altro stupendo ciclo affrescato altomedievale ispirato al suo commento sull’Apocalisse. Il cavallo bianco infatti sembra quasi uscire dal­l’abside principale, dove l’Agnello apre i sigilli, e sta per scoccare una freccia in direzione del secondo cavaliere che fuggendo si volta atterrito.


Per il primo cavaliere si tratta di dare corso a una inesorabile vittoria. Il cavallo è al passo, nessuna concitazione nel tendere l’arco, fermezza, ma nessuna aggressività nello sguardo. Al secondo cavaliere non rimane che galoppare via. Non è la guerra ad atterrire, è essa che appare atterrita e deve fuggire roteando a difesa lo spadone con le due mani. Ma lo spadone, per quanto mastodontico, non difende, e infatti gli era stato concesso per l’offesa, per «togliere la pace dalla terra in modo che gli uomini si scannino gli uni con gli altri» (Ap 6, 4). Come difendersi ora contro una freccia?  

Nel taglio basso dello stesso riquadro anche la morte ha lo stesso sguardo atterrito della guerra. Cavalca via al galoppo su un cavallo di colore terreo inseguita dal demonio nudo e alato, che cavalca lo scuro inferno reggendo una grande bilancia che pesa senza pietà. Come la guerra è inseguita e cerca di fuggire davanti al Re vittorioso, così la morte è inseguita e tenta di sfuggire all’inferno, alla seconda morte. Chi ha programmato il ciclo spiega diligentemente, con un verso trascritto al di sotto del riquadro, che si tratta di due coppie di cavalieri: Has per picturas bis binas disce figuras (a due a due comprendi le figure rappresentate in queste pitture). Ma il parallelo è parziale: anche l’inferno e la morte sono a loro volta inseguiti dal primo cavaliere: il loro destino è quello di finire nello stagno di fuoco (Ap 20, 14).

All’opposto, dunque, di un panorama di distruzione e di paura che tutto travolge (con cui comunemente si designa la concezione apocalittica del pieno Medioevo e che invece coincide semmai col successivo prevalere della lettura millenaristica e gnosticheggiante mutuata da Gioacchino), qui siamo di fronte alla rappresentazione di una forza vittoriosa sul mondo che, vincendo ancora, protegge anzitutto la pace.  
Questo tema prosegue e si precisa nella volta che sovrasta la rappresentazione dei quattro cavalieri. Qui quattro angeli, posti ai quattro lati di un riquadro punteggiato da spore, atterrano quattro figure cornute e alate. Non si tratta della allegorica lotta del bene e del male, come tante volte la critica ha ripetuto credendo realtà i fantasmi della sua precomprensione manichea, ma della salvaguardia dai venti di distruzione delle condizioni che permettono la vita su questa terra, secondo la lettera di Ap 7, 1.

Come la pace, così la realtà naturale è preservata dal Re vittorioso e misericordioso: Tu, victor Rex, mise­rere. Quale distanza fra la lettera di Apocalisse e le allucinate elucubrazioni che pretende assegnarle chi ha in testa fantasmi e l’odio nel cuore: «Vidi quattro angeli che stavano ai quattro angoli della terra e trattenevano i quattro venti perché non soffiassero sulla terra né sul mare né su alcuna pianta. Vidi poi un altro angelo che saliva dall’oriente e aveva il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli a cui era stato concesso il potere di devastare la terra e il mare: “Non devastate né la terra né il mare né le piante finché non abbiamo impresso il sigillo del nostro Dio sulla fronte dei suoi servi”» (Ap 7, 1-2). In effetti un altro angelo, quasi salendo dalla spalla dell’arco sottostante, indica un cartiglio contenente quelle parole e regge una croce astile da cui pendono l’alpha e l’omega.


Quest’ultimo è solo l’attributo iconografico identificativo dell’angelo? Un puro dettaglio? No, quella croce sottile (che «è il segno della Trinità che tutti riceviamo nel battesimo», scriveva san Bruno vescovo di Segni a commento di questo versetto di Apocalisse), è la ragione ultima di tutto quel che è rappresentato. Lo scopo della guerra che il Re vittorioso muove alla guerra, come anche dell’ordine perentorio di sospendere ogni distruzione dato dall’angelo col sigillo (che poi non è che un altro modo di dire di nuovo “Cristo risorto”, come affermano Beda, Ambrogio Autperto e tanti altri), è permettere, grazie al battesimo, che una sublime discendenza, numerosa come le stelle, secondo la promessa, goda di una felicità celeste, incommensurabile: promissa posteritas caelesti felicitate sublimis scrive Agostino (De civitate Dei  XVI, 23).

Più volte (almeno tre) ritorna nella cripta anagnina il sigillo battesimale in forma di monogramma del nome di Cristo, eppure nessun critico lo ha mai ritenuto degno di nota. Quasi che la promessa fatta ad Abramo di essere padre di molti popoli, di una discendenza grande quanto le stelle del cielo (neanche questa promessa, d’altra parte, è mai stata riconosciuta dalla critica  nella volta VIII di Anagni, facendo saltare tutto il «meccanismo» del cristianesimo, direbbe Péguy), abbia compimento in qualcosa d’altro che non sia il battesimo; come a Gerusalemme Gesù bisbigliò quella notte a Nicodemo e come Pietro ripeté ad alta voce dopo la morte e la resurrezione del Signore: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore» (At 2, 38s).

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)