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La raffigurazione dell’apertura del quinto sigillo: Gesù Cristo dona le stole della gloria alle anime dei martiri [© Paolo Galosi]

La raffigurazione dell’apertura del quinto sigillo: Gesù Cristo dona le stole della gloria alle anime dei martiri [© Paolo Galosi]

Un tempo breve

Simmetricamente rispetto a questo complesso di scene, sull’altra parte dell’arco trionfale che incornicia l’abside principale, viene rappresentata l’apertura del quinto e del sesto sigillo.
Il tempo è dato ancora, non solo perché siano segnati col sigillo battesimale quanti ne chiamerà il Signore, ma anche perché sia completato il numero di coloro che devono essere uccisi propter Verbum Dei et propter testimonium quod habebant.

Infatti, alle anime di coloro che furono immolati, che hanno cioè ricevuto il battesimo di sangue nel martirio, e che gridano che giustizia finalmente sia fatta, viene detto «di pazientare ancora un poco [tempus modicum] finché sia completato il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro» (Ap 6, 11). Perché possano pazientare, Colui che siede sul trono le riveste intanto di stole di gloria rese candide nel sangue dell’Agnello. Ricevutele, potranno attendere nella pace che altri vengano a completare il numero dei martiri, affrettando così il riscatto definitivo.   
 

Il tempo del­l’attesa è comunque breve, è comunque un tempus modicum il tempo della storia: «Il Signore non ritarda il compimento della sua promessa [...]. Questo breve intervallo di tempo a noi sembra lungo perché dura ancora; allorché sarà finito, ci accorgeremo quanto sia stato breve» (sant’Agostino, Commento al vangelo di Giovanni CI, 6). Il tempo ormai si è fatto breve dopo la vittoria di Cristo. Infatti, all’apertura del sesto sigillo, il sole e la luna sulla fronte dell’arco di sinistra cambiano colore e un angelo si accinge a soffiare un vento che precipita le stelle dal cielo come fa la bufera con i fichi dalla pianta; e un altro angelo reca l’incensiere d’oro attraverso cui, come sale il profumo delle preghiere dei santi, scenderà di lì a poco sulla terra il fuoco dell’ira di Colui che siede sul trono e dell’Agnello.

Se la brevità del tempo esercita la pazienza di coloro che aspettano giustizia, suscita invece nel drago una «rabbiosa volontà di potenza che nasce dall’ansia del tempo che gli sfugge», scriveva Schlier nel saggio citato. Accanto al drago dell’absidiola di destra, un tempo era anche ad Anagni, come nello stupendo affresco della controfacciata della chiesa di Civate sul Monte Pedale non lontano da Lecco, una raffigurazione ora perduta dell’Ascensione del Signore, cioè di quello che l’Apocalisse chiama «il rapimento del figlio verso Dio e il suo trono» (cfr. Ap 12, 5).  È infatti «con l’Ascensione di Gesù Cristo al cielo», continua Schlier, «che il drago, figura ideale di ciò che è satanico, dell’assoluta potenza dell’egoismo, vien gettato a terra».

Precipitato ormai sulla terra in forza dell’Ascensione del Signore, il drago «si avventa contro la donna» (Ap 12, 13), che però gli sfugge su ali d’aquila (la ritroviamo infatti col figlio e vicino a Giovanni nell’absidiola di sinistra). Allora il drago va «a far guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e hanno la testimonianza di Gesù» (Ap 12, 17). In effetti il drago, ad Anagni, viene a trovarsi dalla parte di 18 santi martiri, cioè di coloro che conservano la testimonianza di Gesù, essendo, come ripetono tutti i Padri e gli scrittori medievali, 18 il valore numerico delle iniziali IE del nome Iesus (di cui il numero della bestia è una pacchiana contraffazione: 666). Anche a Civate 18 sono i santi martiri affrescati nell’interno del cupolino del ciborio: «Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro» (Ap 7, 15).

Ma non sono solo i martiri a morire cioè a svelare in modo reale, come scrive Schlier, «l’anacronismo di un mondo che ancora adesso pretende di affermare sé stesso» e, con la loro morte, «a rendere accessibile, anche ai loro nemici, il futuro dischiuso da Cristo». Anche i vergini muoiono, obbedendo. A loro è dedicata tutta la zona dell’absidiola di sinistra attorno a Maria, Vergine dei vergini. Te nimis implorant virgo iubilant et adorant. Dum tibi subduntur natum moriendo secuntur. Questi versi, che riecheggiano l’inno ambrosiano “Iesu corona virginum”, corrono nell’absidiola di sinistra sulla fascia che divide la Madonna col bambino (attorniata da due sante vergini e dai due Giovanni, in alto), dalla storia di verginità e martirio di Secondina, in basso. «Quanto ti implorano, quanto ti lodano e ti venerano, o Vergine. Mentre a te si sottomettono, morendo seguono il tuo Figlio».

Che poi è quanto desidera e vive qualunque povero peccatore né vergine né martire che, partecipe del vittorioso amore di Cristo, ha guardato per secoli pentito e devoto i volti della cripta di Anagni. «Quando penso che un uomo, un giovane, un individuo, non può sposare una donna se non per amore di Cristo – mi pare di aver già detto questa frase: se non per l’amore di Cristo –, quando si dice questo, si sente tutta l’immensità – immensità vuol dire non commensurabile –, l’incommensurabilità di un punto di vista, che è il punto di vista, ma anche il punto di rinascita, di nascita della rinascita» (Luigi Giussani).


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)