00 17/08/2012 23:01
[SM=g1740722] Il nuovo prete americano: 31 anni, dice il rosario e fa l'adorazione eucaristica
 
 

Dal sito web “Catholic Culture.org”, apprendiamo che la Chiesa cattolica negli Stati Uniti ha promosso un interessante sondaggio sull’identikit dei giovani candidati al sacerdozio in questo anno 2011. Eccone la traduzione.

 

Secondo un sondaggio di 329 giovani su 480 candidati all’Ordinazione presbiterale negli Stati Uniti in questo anno 2011, si apprende che il nuovo sacerdote tipo americano ha l’età media di 31 anni, è cattolico dalla nascita e che, prima di entrare in seminario, pregava regolarmente con il Rosario e faceva Adorazione Eucaristica.

Il sondaggio è stato condotto dal Centro di Ricerca Applicata all’Apostolato. Ecco alcuni dei risultati:

- l’età media degli ordinandi è dai 31 ai 34 anni
- l’età media degli ordinandi diocesani è di 30 anni; per gli ordinandi religiosi, di 36
- l’ordinando diocesano tipo vive nella sua diocesi da almeno 15 anni
- il 69% sono bianchi, il 15% latini, il 10% asiatici e il 5% afro-americani
- il 33% è nato fuori dagli USA, mediamente entrato negli USA nel 1998 a 25 anni; i Paesi di origine più comuni sono la Colombia, il Messico, le Filippine, la Polonia e il Vietnam
- il 52% degli ordinandi religiosi è nato fuori dagli USA
- l’8% è costituito da giovani convertiti, mediamente entrati nella Chiesa a 25 anni
- il 60% ha completato gli studi prima di entrare in seminario
- il 47% ha frequentato una scuola elementare cattolica, il 39% ha frequentato una scuola superiore cattolica e ancora il 39% era studente di università cattoliche; il 4% ha ricevuto un’istruzione a casa propria
- il 34% ha un parente sacerdote diocesano o religioso
- nell’82% dei casi, entrambi i genitori sono cattolici
- il 37% ha quattro o più fratelli e sorelle; il 16% ha tre fratelli e/o sorelle
- il 94% aveva un lavoro a tempo pieno, prima di entrare in seminario
- l’8% ha fatto esperienza militare, e il 19% ha un genitore in carriera militare
- il 66% ha avuto un parroco a incoraggiarlo nella vocazione sacerdotale; il 42% è stato incoraggiato dalla propria madre, e il 27% dal proprio padre
- il 52% ha avuto un genitore che lo ha scoraggiato nella vocazione; il 20% è stato scoraggiato da un sacerdote diocesano e l’8% scoraggiato da un religioso
- a 16 anni mediamente, gli ordinandi hanno cominciato a pensare per la prima volta al sacerdozio
- il 48%, prima di entrare in seminario, ha fatto parte di un gruppo giovanile parrocchiale, il 30% era nei Boy Scout e il 23% era nei Cavalieri di Colombo
- il 21% ha partecipato alla Giornata Mondiale della Gioventù e l’8% ha frequentato una Conferenza giovanile dell’Università francescana di Steubenville (n.d.t: prestigiosa accademia universitaria nello Stato dell’Ohio, di forte impronta cattolica)
- il 71% ha servito all’altare da ministrante, e il 55% da lettore durante la Liturgia della Parola nella Santa Messa
- il 70%, prima di entrare in seminario, pregava regolarmente con il Rosario, e il 65% faceva Adorazione Eucaristica.

 

traduzione a cura di don Giorgio Rizzieri
 

> ARTICOLO ORIGINALE <


****************************************************

Costruire una cultura delle vocazioni

Intervista al Cardinale Timothy Dolan, Arcivescovo di New York

di Matthew E. Bunson

 

 

 

Tra noi cattolici si sente sempre dire che c'è "una crisi delle vocazioni". Generalmente ci si riferisce alle vocazioni per il sacerdozio. Ma l'impegno per discernere una vocazione non è limitato al sacerdozio.
 
Tutti siamo chiamati a discernere ciò che Dio vuole che facciamo della nostra vita - sia un giovane che medita sul sacerdozio, o giovani uomini e donne che pensano di entrare nella vita religiosa, o un uomo che si sente chiamato al diaconato permanente, o una coppia che decide per il matrimonio, o qualcuno che si orienta verso una vita secolare consacrata. Tuttavia oggi, ci sono molti ostacoli per ascoltare la chiamata di Dio, e il compito della Chiesa è quello di assistere uomini e donne nel discernere la via che li condurrà alla vera felicità e alla vita eterna.
 
In vista della celebrazione della Settimana Nazionale di Consapevolezza sulla Vocazione (dal 9 al 14 gennaio 2012), la rivista "Catholic Answer" ha intervistato l'Arcivescovo di New York, Timothy M. Dolan, su come costruire una "cultura delle vocazioni".
 
Il Cardinal Dolan è stato rettore del Collegio nord-americano, il seminario per i giovani americani a Roma, dal 1994 al 2001; arcivescovo di Milwaukee dal 2002 al 2009, e nominato arcivescovo di New York nel 2009. Nel 2010, è stato eletto presidente della Conferenza Episcopale Cattolica degli Stati Uniti. Ha anche un suo blog: http://blog.archny.org/.

 

 

THE CATHOLIC ANSWER: Eminenza, forse il modo migliore per incominciare è con una domanda di fondo: qual è la comprensione della Chiesa sulla vocazione?
 

CARD. TIMOTHY DOLAN: C'è un senso generico di vocazione e c'è un senso preciso di vocazione. E non credo che possiamo parlare del senso preciso, se prima non capiamo il senso generico. Noi crediamo - fa parte della visione complessiva della Chiesa - che Dio ha un progetto su ciascuno di noi. Egli ci invita a vivere un'esistenza che ci riporti a Lui. Ci chiama per questo. La parola latina per chiamata è vocatio. Perciò, in un senso generale, l'intero siginificato del discepolato, l'intero significato della Divina Provvidenza, l'intero senso che Dio ha un progetto per noi, discende da ciò che si potrebbe chiamare il senso generico della vocazione.
 
E in qualche modo, questa è la domanda più decisiva alla quale si deve rispondere: come vuole Dio che io spenda la mia vita? In modo generico, sappiamo che Dio vuole che percorriamo una via che ci riconduca a Lui.
 
Un senso preciso di vocazione è la maniera particolare attraverso la quale Dio vuole che la percorriamo. Ecco allora il sacerdozio, la vita consacrata, la vita religiosa, la vita coniugata e la vita secolare consacrata.
 
Penso sempre che perdiamo il treno se noi non parliamo del matrimonio come vocazione. Voglio dire, questa è la crisi più grande nella Chiesa oggi, se me lo chiede. Quando soltanto la metà dei nostri cattolici si sposano, non ci stupiamo se abbiamo una crisi nei numeri delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa.
 
Appena l'altro giorno, una giovane coppia di fidanzati mi ha detto che avevano chiesto al loro parroco - e lui ha voluto che venissero a chiederlo al loro Arcivescovo - se andava bene, per le loro nozze in chiesa, prostrarsi entrambi sul pavimento e cantare insieme la Litania dei Santi. Ho pensato, "Wow, perché no?".
 
Ora, quella giovane coppia: parliamo di avere un senso della vocazione; loro sigillano la loro vocazione. Noi diciamo alle coppie che si sposano: "Ciò che voi due state facendo, è dire che insieme volete andare in Cielo. Volete aiutarvi l'un l'altra per raggiungere il vostro destino eterno. E, ovviamente, volete farlo attraverso la vocazione al matrimonio".

 

 

TCA: Perché è così difficile per noi scoprire la volontà di Dio e sapere come vivere in accordo a quella volontà?
 

CARD. DOLAN: Beh, perché, penso, come S. Tommaso d'Aquino ci ricorderebbe, che l'impulso più naturale e costitutivo che tutti abbiamo nella nostra vita, è di essere felici.  Noi nasciamo volendo essere felici. E sappiamo, dalla Rivelazione di Dio, che l'unico modo per essere veramente felici in questa vita e nell'altra, è fare la volontà di Dio. Dio desidera ardentemente la nostra felicità e ci ha insegnato la via per essere felici. Perciò, nel seguire il Suo progetto, nel discernere la Sua volontà, nell'obbedire alla Sua legge, noi giungeremo alla felicità in questa vita e nell'altra.
 
Molti credono che la Chiesa dica di no a tutto, ma noi non diciamo no, la Chiesa è un grande "sì". Sì a tutto ciò che ci rende felici in questa vita e nell'altra. E noi sappiamo da lunga esperienza - e il Signore sa che la Santa Madre Chiesa è saggia e ha imparato lungo il cammino - che se tu vai contro la volontà di Dio, alla fine non sarai felice. Col passare degli anni, ce ne accorgiamo sempre di più, no? E' quello che dicono i Salmi, la letteratura sapienziale del Vecchio Testamento. Scuoti la testa e dici che in quel modo si andrà incontro al disastro.

 

 

TCA: Come vede il ruolo della famiglia per il discernimento di una vocazione?
 

CARD. DOLAN: Sa quanto è triste parlare con un giovane del suo desiderio di diventare sacerdote, mettersi a chiacchierare e vedere che ha un vero interesse, che ha ingegno, conoscenza, entusiasmo e sincerità, e a un certo punto gli chiedo: "Posso seguirti? Chiamarti qualche volta al telefono?" E talvolta - ti si spezza il cuore - il giovane risponde, "Non chiami in casa, perché i miei genitori si arrabbieranno se sentono che io sto pensando a diventare prete".
 
E' quella che potremmo definire la parte negativa della famiglia. Posso ammettere che vi sia una spiegazione benevola a tale reazione, perché i genitori in fondo vogliono solo che i loro ragazzi siano felici, e pensano che i preti non siano felici. E se credono che i preti siano acidi e lamentosi, non vogliono che i loro figli siano così. Per questo, dico sempre ai sacerdoti: "Dobbiamo essere uomini di gioia, altrimenti quale genitore vorrà che suo figlio diventi sacerdote?".
 
Penso che le cose stiano cambiando, e noi abbiamo un'influenza positiva. Quando la famiglia è luminosa, quando la famiglia incoraggia, quando la famiglia favorisce. Mi vedete spesso scrivere o parlare di una "cultura delle vocazioni". Quello che intendo per cultura delle vocazioni è che quando i nostri giovani crescono in una cultura che incoraggia a fare la volontà di Dio e che conforti chiunque desideri diventare sacerdote, non c'è dubbio che si diventa sacerdoti. Io sono cresciuto in questa cultura. Quando dissi ai miei insegnanti alla scuola elementare: "Penso di voler diventare sacerdote", si illuminarono e fecero il possibile per incoraggiarmi. E anche il mio parroco. E i miei. E i vicini. E la parrocchia. Ricordo che un giorno - avrò avuto 9 o 10 anni - ero a farmi tagliare i capelli, e il barbiere mi chiese: "Ehi, ometto, cosa vuoi diventare da grande?", e io risposi: "Voglio diventare sacerdote". Il barbiere non era nemmeno cattolico, ma mi disse: "Ehi, non è fantastico?". Ora, questa è la cultura delle vocazioni di cui la Chiesa ha bisogno.
 
Temo che, per un certo tempo, abbiamo avuto una cultura che ha scoraggiato le vocazioni. E a volte ne han fatto parte anche le famiglie. Rimango sempre meravigliato, tutte le volte che celebro l'ordinazione di un sacerdote, di come spesso essa diventi l'occasione di un recupero alla fede della famiglia che si era allontanata. E talvolta oggi nella Chiesa, abbiamo dei giovani ordinati che sono neo-convertiti. Erano stati allevati da cattolici in modo men che entusiastico, avevano abbandonato la fede, in genere al tempo della scuola superiore e all'università, e poi ritrovano la fede e la abbracciano verso i 20 anni, e da qui la vocazione. Per la famiglia, intanto, la fede è nel dimenticatoio, per lo più non sono contrari, ma indifferenti. E molto spesso, quando incontro i seminaristi, mi dicono: "La mia famiglia è alquanto sconvolta della mia scelta", o "La mia famiglia non sa come gestire la cosa", o "La mia famiglia continua a tentare di farmi cambiare idea". Ma assai spesso l'ordinazione è un'occasione di unità familiare e la famiglia ritorna alla pratica della fede e sono gioiosi per la scelta del loro figlio, soprattutto quando vedono una cultura delle vocazioni in seminario; quando vedono il proprio figlio felice; quando vedono delle buone persone attorno a lui che condividono i suoi valori e il senso di quella chiamata. E questo è un miracolo che avviene.

 

 

TCA: Si usa a volte l'espressione che stiamo vivendo una nuova primavera nelle vocazioni sacerdotali. Lei è d'accordo?
 

CARD. DOLAN: Beh, lo vediamo nella Chiesa universale. Lo vediamo in Africa; lo vediamo in Asia; lo vediamo in parti dell'America centrale e dell'Europa orientale. Lo vediamo in diversi movimenti. Credo che dobbiamo essere realistici. Penso che siamo ancora ai primi di marzo, per cui è un po' presto per dire che è primavera. La Chiesa vive sapendo sempre che la primavera arriva. Ma dobbiamo essere realistici.
 
Credo che la vera risposta sia  il discorso che abbiamo fatto all'inizio: il rinnovamento di un significato di vocazione nel più ampio senso dato dalla Chiesa. Ma, in qualche modo, non intendo quel denominatore minimo generico di predicare che "tutti hanno una vocazione". Dico sempre ai miei preti che quando devono predicare sulle vocazioni al sacerdozio, lo devono fare in modo diretto, non apologetico - non annacquandolo, dicendo "non voglio svalutare le altre vocazioni", o "come sarebbe bello ordinare uomini sposati", roba del genere. Alla fine, la gente è confusa: come si fa poi a dare un messaggio forte sulle vocazioni sacerdotali?
 
Dobbiamo parlare delle vocazioni presbiterali in modo diretto e immediato. Sì. Ma, allo stesso tempo, non dobbiamo mai dimenticare nella nostra predicazione ordinaria di sviluppare un senso della Provvidenza di Dio, che Dio ha un progetto su tutti noi, che la questione più importante nella vita, come ci ricorda S. Ignazio di Loyola, è che tutto ciò che facciamo sia ordinato alla nostra salvezza eterna. Abbiamo la Provvidenza, abbiamo il nostro destino eterno e sviluppiamo un senso del nostro essere amministratori.
 
Per amministratori, intendo che Dio ci ha dato tutto, compreso il prossimo respiro che facciamo, come dono abbondante e totalmente immeritato. Vogliamo perciò vivere una risposta di umile gratitudine ed esercitare una adeguata cura di quei doni, affinché siano usati per raggiungere sia il loro destino eterno che l'amore e il servizio verso il prossimo. Se noi acquisiamo queste tre cose... senso della Provvidenza, senso della nostra eterna salvezza e senso di essere amministratori, queste sono le tre virtù bibliche dalle quali sono convinto sgorgheranno le vocazioni. A queste dunque si deve sempre allacciare la nostra predicazione. Ed è questo che ci condurrà alla primavera.

 

 

TCA: Che consiglio dà a un giovane che pensa al sacerdozio?
 

CARD. DOLAN: Per prima cosa, senso del discepolato. Si comincia coltivando un rapporto con Gesù Cristo. Vogliamo conoscere Gesù, Gli parliamo, Gli diciamo che abbiamo bisogno di Lui, che Lo amiamo, che senza di Lui non possiamo fare nulla. Gli diciamo che Egli è il nostro Signore e Salvatore, ma Gli diciamo anche che Lo consideriamo il nostro migliore amico. Gli diciamo che vogliamo passare il resto della nostra vita, qui e nell'eternità, con Lui. Gli chiediamo la Sua grazia e misericordia e virtù. Leggiamo il Suo Vangelo. Stiamo davanti a Lui nella Sua presenza eucaristica. Desideriamo con tutto il cuore riceverLo nella santa Comunione; desideriamo con tutto il cuore ascoltare la certezza della Sua misericordia nel sacramento della Riconciliazione; desideriamo con tutto il cuore condividere tutto ciò con buoni amici in una comunità sana; desideriamo con tutto il cuore incontrarLo nel volto dei poveri, nei nostri atti di servizio. Papa Benedetto XVI lo ha insegnato a tutti noi nella sua omelia inaugurale: "Io vi chiamo alla santità, che è l'amicizia con Gesù".
 
Se un ragazzo mi dice: "Penso davvero di voler diventare sacerdote, per questo farei meglio a lavorare sulla mia vita spirituale", io credo che sarà ripagato. Lavori sulla tua vita spirituale - fai del tuo meglio per pregare, partecipi frequentemente alla Messa, ami di ricevere nostro Signore nella santa Comunione e di trascorrere del tempo visitandoLo, ami le sacre Scritture, sei immerso nella vita dei santi, vuoi conoscere sempre meglio la tua fede cattolica, coltivi amicizia con coloro che condividono i tuoi valori, ami la Chiesa e la tua parrocchia, sei coinvolto in opere di servizio. Tutte queste cose intensificano una vita di amicizia con Gesù, che significa santità. Se facciamo tutto questo, se sviluppiamo la santità, se sviluppiamo il discepolato, allora la chiamata al sacerdozio verrà.

 

 

fonte: Our Sunday Visitor per The Catholic Answer, 01/01/2012
www.osv.com/tabid/7631/itemid/8752/Building-a-Culture-of-Vocations.aspx

trad. it. di d. Giorgio Rizzieri 

 

(12/12/2011)




[SM=g1740766]


[Modificato da Caterina63 17/08/2012 23:32]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)