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[SM=g1740758] L’una e l’altra chiave del Regno. Una breve storia dei conclavi

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CONCLAVE:

per conoscerlo meglio, per scoprire che il vero “mistero” non sta nelle alleanze umane, ma in quell’altrove… dove Qualcuno “atterra e suscita”

L’evento di un Conclave ha sempre richiamato l’attenzione di tutto il mondo fin dal primo secolo. Come avveniva nei primi tempi? Come riuscivano uomini, compromessi e talora intrighi di palazzo ad eleggere pontefici che poi, spesso, diventavano grandi santi? In tutta questa storia qui, si intravede davvero il soffio dello Spirito Santo. Laddove gli uomini imponevano spesso i propri prescelti, alla fine è sempre prevalso il vero Capo, Gesù Cristo, che ha dato alla sua Chiesa pontefici che hanno saputo infine rigare diritti, al di là delle elezioni controverse. Lunghe ed estenuanti sedi vacanti superate con i più semplici espedienti, come quello di mettere letteralmente a pane e acqua i cardinali, o scoperchiare il tetto a Viterbo, o scomunicare quanti si dedicavano alle scommesse sul futuro Papa. Il Conclave si rivela così in tutta la sua grandezza: ha sempre sapientemente unito l’umano al divino, docili al soffio dello Spirito. Che avrebbe innalzato l’umano.

di Tea Lancellotti dal sito papalepapale.com

Di storie e storiografie sul Conclave ce n’è a palate: perciò non vogliamo  ripetere qui cose risapute. Ma un breve excursus sarà utile a tutti, cercando di offrire magari qualche particolare inedito.

Partiamo dal fatto che il Conclave, così come lo conosciamo oggi, non risale a duemila anni fa e il fatto che questa struttura si sia ben articolata nel tempo, cambiando in meglio e offrendo maggior sicurezza e garanzie, non toglie nulla al concetto di Tradizione attraverso la quale abbiamo ancora oggi un Conclave per l’elezione del Successore di Pietro.

Nei primi 400 anni della Chiesa – afflitta da dure persecuzioni e quando i papi si succedevano perché sovente venivano fatti prigionieri, esiliati o uccisi -  l’elezione era piuttosto spicciola e se ne occupava direttamente il clero di Roma con il popolo romano, il quale aveva anche una profonda familiarità con il proprio vescovo, sia quando lo rispettava sia quando lo accusava di qualche malefatta.

Molte volte questa elezione non avveniva affatto in modo pacifico. Tuttavia, ciò che ci racconta la storia è proprio l’importanza che questa elezione aveva a tutti i livelli e per tutto il mondo allora conosciuto. L’eco dell’elezione del papa raggiungeva inspiegabilmente tutti i confini della terra: lo stesso mondo pagano da subito riconobbe l’importanza dell’elezione del Vescovo di Roma. Il tutto avveniva in modo, diremmo, rudimentale, spesso senza regole, e tante volte viziato da interessi politici. E proprio l’assenza di regole rigide fu spesso la causa principale dei frequenti scismi e del moltiplicarsi di antipapi.

Nei primi secoli, l’elezione del “Sommo Pontefice” non differiva di molto dalle elezioni dei vescovi nelle proprie sedi vescovili. Dall’epistolario di San Cipriano, per esempio, abbiamo notizia dell’elezione di Cornelio avvenuta nel marzo del 251, fra tumulti e guerriglia provocati da Novaziano che si era autoproclamato papa. Cornelio venne proclamato papa dal Clero Romano e dal popolo, con i vescovi che si limitarono a confermare la scelta.

 RE E IMPERATORI SI IMPICCIANO DELL’ELEZIONE DEL PAPA

Carlo Magno: da lui in poi l’interesse per l’elezione del papa crebbe a dismisura presso l’autorità imperiale.

I primi cambiamenti li troviamo a partire dal quarto secolo, dopo il Concilio di Nicea, quando si diede la regola che il papa dovesse essere eletto esclusivamente dal clero romano e che il popolo e l’aristocrazia avrebbero potuto confermare tale elezione.

Il candidato doveva avere i requisiti richiesti dal Vangelo: doveva essere un uomo pio e di sani principi e aver passato i gradi della gerarchia. La prassi voleva anche che l’elezione del nuovo papa avvenisse dopo tre giorni dalla morte del predecessore e che la consacrazione dovesse avvenire la domenica successiva. Naturalmente tali termini erano ben lungi dal poter essere rispettati e questo per molti ed ovvi motivi.

Certo è che la prassi ha sempre favorito una brevissima anziché lunga ed estenuante Sede Vacante e questo proprio a causa dei tumulti, degli interessi che crescevano dietro una elezione, delle faziosità, nonché del rischio di avere degli antipapi. E’ proprio le lunghissime sedi senza pontefice furono causa dei maggiori problemi per la Chiesa, al punto da dover sollecitare l’intervento dell’autorità imperiale per convalidare un’elezione o per contrastarla nel caso di antipapi. Ma la stessa autorità imperiale ben presto dimostrò di non essere in grado di occuparsi di un’elezione così particolare: è il caso dell’imperatore Costanzo che, nell’anno 355, mandò in esilio il papa legittimo Liberio, patrocinando lui stesso l’elezione dell’antipapa Felice.

L’autorità imperiale intervenne anche, nell’anno 418, quando Bonifacio I chiese all’imperatore Onorio che lo aiutasse a liberarsi dell’antipapa Eulalio. O ancora quando l’eletto – e questo avvenne più volte – dovette chiedere all’imperatore la “iusso” per l’ordinazione, versando alla cancelleria una congrua tassa, e il benestare dell’Esarca di Ravenna. Tutte ingerenze che cessarono con Gregorio III nell’anno 731.

Con Carlo Magno e la nascita del Sacro Romano Impero le cose non andarono meglio. Cominciarono a scendere in campo anche fazioni cittadine, capitanate dalle grande famiglie romane, che imponevano i propri rampolli sul Soglio. Senza dubbio,  molti di loro furono anche eccellenti pontefici, tanto da diventare Santi, ma è anche vero che l’esigenza e la necessità di dare delle regole al Conclave si facevano sempre più pressanti.

All’atto pratico, diciamoci la verità, la battaglia per l’elezione del pontefice si faceva sempre più agguerrita e senza esclusioni di colpi: inutile nascondere che non di rado si finiva per eliminare il pontefice eletto attraverso l’uso di potenti veleni… (o almeno così vogliono le leggende nere dell’epoca, quasi sempre senza fondamento storico).

UN PRIMO TENTATIVO DI SOLUZIONE: L’ELEZIONE PER MAGGIORANZA. LE TRIBOLAZIONI DI UN “ELETTO A FUROR DI POPOLO”

Papa Gregorio VII: eletto a furor di popolo… e poi cacciato, da incolpevole, con il benestare del popolo. Quando si dice “la coerenza…”

Dunque, nel quinto secolo, abbiamo un primo tentativo da parte di Papa Simmaco, sardo di origine, e pontefice dal 498 all’anno 514, divenuto poi santo, di stabilire delle regole per l’elezione del Successore di Pietro. In sostanza ottenne solo che il sinodo romano non trattasse della successione del Papa mentre questi era ancora in vita e regnante e che, qualora i pareri sulla candidatura fossero diversi, prevalesse “sententia plurimorum”, ossia la decisione della maggioranza. Due norme che, come la storia ci dimostrerà, furono  regolarmente disattese.

Si deve attendere così Niccolò II, di origine francese e vescovo di Firenze, che, diventato papa  nel 1058 e avendo dovuto spodestare un antipapa, per avanzare opportunamente con delle regole più vincolanti per l’elezione del Pontefice.

Nel sinodo lateranense del 1059, egli promulgò il primo ed importante decreto elettorale: si stabiliva che le elezioni papali dovevano essere conformi ai principi dei riformatori. Per evitare poi la simonia dovevano essere per primi i cardinali vescovi, con piena efficacia giuridica, a scegliere il nuovo Papa; dopo dovevano essere interpellati tutti gli altri cardinali e infine potevano esprimere il proprio consenso tutti gli altri ecclesiastici e il popolo. Se le circostanze lo avessero reso opportuno, e si fossero verificate condizioni talmente gravi da non trovare fra i candidati prelati il futuro papa, i cardinali vescovi potevano scegliere un chierico non romano e tenere persino le elezioni fuori Roma. Nel decreto era scritta anche la clausola che concedeva all’imperatore il diritto di esprimere la sua approvazione; tale diritto tuttavia, per evitare ingerenze politiche, doveva rinnovarsi ad ogni nuovo imperatore e, in caso di abuso, la Chiesa stessa poteva revocarlo.

Questo era un buon decreto di passaggio fra il vecchio sistema e quello nuovo, ma che non raggiunse lo scopo che Niccolò si era proposto. Fu, infatti, letteralmente ignorato e proprio per l’elezione del suo successore, nel 1061, Alessandro II, il quale dovette presentarsi, nel 1064, davanti al sinodo di Mantova, e paradossalmente presiederlo, per discolparsi dall’accusa di simonia; riuscì così a far riconoscere la sua innocenza e prestò un giuramento di purificazione…

Una curiosità: dopo la morte di Alessandro II, il 22 aprile del 1073 viene eletto a furor di popolo il priore del Monastero dell’abbazia di san Paolo, tale Ildebrando, grande timorato di Dio nei costumi. Tale elezione non rispettò il decreto emanato da Niccolò, ma come non approvare una tale elezione? Ildebrando di Soana divenne Papa con il nome di Gregorio VII e fu anche santo, dopo aver regnato per 12 anni portando grandi riforme nella Chiesa. A lui si deve la prima grande opera sulla difesa del Primato Petrino, i “Dictatus Papae, nei quali  contemplava non solo la santità del Papa nel suo specifico ruolo derivante direttamente da san Pietro, ma anche la sua supremazia su tutte le autorità tanto temporali quanto spirituali, e perfino il diritto di deporle. Inoltre, emanò un decreto con il quale si vietava ai laici l’ingerenza nella elezione dei vescovi. Questo provocò polemiche ma non certo nel popolo: le rimostranze furono dei politici e, soprattutto, di re Enrico IV che vedeva sfumare la possibilità di nominare vescovi a lui compiacenti. Così i vescovi lombardi, con il re ed altri vescovi tedeschi, elessero nel 1080 l’antipapa Clemente III.

E il popolo? Facilmente persuadibile, inneggiava ora all’uno ora all’atro. Come abbiamo detto, Ildebrando fu eletto a furor di popolo. Ma, alla discesa di Enrico nel 1084 a Roma, Papa Gregorio fu costretto a rifugiarsi a Castel Sant’Angelo, altrettanto a furor di popolo (forse perché messo sotto scacco), e Papa Clemente III fu dichiarato legittimo. Clemente incoronò Enrico imperatore in san Pietro. Tutto ciò si consumò nel giro di un mese, quando le truppe del Duca di Puglia, Roberto il Guiscardo, insieme alle truppe normanne, fecero sentire il loro arrivo. Enrico allora abbandonò immediatamente Roma e l’antipapa, dato che era anche arcivescovo di Ravenna – che nel frattempo era diventato luogo di libelli contro Papa Gregorio – fece ritorno alla sua sede.

Infine, Papa Gregorio pagò a duro prezzo la sua liberazione perché, a causa delle violenze commesse dalle truppe del Guiscardo, il popolo si accanì contro di lui ed egli dovette andare in esilio a Salerno, dove morì attestando che aveva amato la giustizia e odiato l’iniquità “e perciò muoio in esilio”. Anche se i suoi sforzi sembrarono sfociare in un completo fallimento, le idee per cui lottò erano destinate a prevalere, grazie all’opera dei suoi successori, e servirono a modellare un’autentica riforma del cristianesimo occidentale, a cui più tardi contribuirono anche altri grandi santi.

Abbiamo divagato, ma queste pagine di storia sono comunque collegate ad uno sviluppo delle norme dei conclavi successivi e alle modalità di scelta del pontefice. Come ha ribadito giustamente Benedetto XVI, lo Spirito Santo non sta lì a dettare il nome del futuro Vicario di Cristo, Egli illumina nella scelta, dirige in molti modi le Sue azioni e i cardinali devono prestarvi attenzione attraverso un clima di preghiera, rispetto, giustizia nei confronti della Chiesa e del gregge, dialogo e confronto con gli altri, alimentando l’onestà nella scelta e lasciandosi guidare appunto dal Suo soffio vivificante.

ARRIVANO LE COSTITUZIONI PER IL CONCLAVE CON REGOLE VALIDE ANCORA OGGI

Papa Alessandro III: propose un ottima Costituzione contro la piaga degli antipapi, ma proprio nel suo periodo ce ne furono ben quattro.

Arriviamo così al Concilio lateranense del 1179, con Papa Alessandro III che emana la Costituzione “Licet de vitanda”, con la quale si decide di eliminare ogni ulteriore ingerenza ed intromissione nell’elezione del pontefice da parte del popolo. Quest’ultimo, infatti, non sempre aveva dimostrato fedeltà, ma piuttosto aveva spesso fatto vedere il suo essere volubile alle mode del momento e facilmente circuibile dalle pressioni dei potenti e prepotenti del momento. La Costituzione stabilisce che l’elezione del pontefice passa direttamente all’esclusiva competenza dei cardinali.

E’ la prima norma basilare ancora oggi valida, tranne che per l’introduzione del limite dell’età dei porporati ammessi al Conclave disposta da Paolo VI. Nel decreto, Papa Alessandro III stabiliva anche, migliorandola,  la norma che fissava la maggioranza di due terzi dei voti quale soglia minima per essere eletti, norma ancora oggi riconfermata.

Queste norme non impedivano certo l’elezione di antipapi – proprio in questo pontificato ce ne furono ben quattro – ma almeno davano più garanzia al legittimo pontefice e responsabilizzavano di più il Collegio Cardinalizio.

La Licet de vitanda fu molto efficace contro gli scismi: nonostante gli antipapi, di fatto non si verificarono gravi rotture. Questo, naturalmente, fino al grande scisma d’Occidente, avvenuto in condizioni eccezionali e storicamente diverse, senza alcuna responsabilità storica della Costituzione di Alessandro III che, ripetiamo, mantiene tuttora il suo fondamento.

Si discute ancora oggi dell’efficacia della maggioranza dei due terzi richiesta per l’elezione del pontefice poiché questa rendeva ancora più difficile l’elezione del Papa in tempi ristretti, laddove il coagulo dei consensi era lontano. Sui lunghi periodi trascorsi dai cardinali in Conclave nell’indecisione più totale, la storia è talmente ricca da aver dato origine a molti aneddoti e estenuanti Sedi Vacanti.

CONCLAVI ESTREMI? ESTREMI RIMEDI

San Bonaventura: fu lui a suggerire di chiudere a chiave i cardinali. Crudeltà? No. Sapienza cristiana.

L’aneddoto più famoso di tutti è certamente quello accaduto dopo la morte di Clemente IV, il 29 novembre del 1268. I diciotto cardinali che componevano allora il Sacro Collegio e che si erano riuniti a Viterbo, non riuscivano a trovare una intesa per il successore. Dopo ben diciotto mesi dovette intervenire un santo, Bonaventura, che suggerì ai cittadini di chiudere a chiave i cardinali riuniti. Da qui il termine con-clave (=chiusi a chiave) affinché, isolati e al di fuori dalle influenze di fazione, e avendo anche più tempo per stare in preghiera, potessero finalmente dare alla Chiesa il suo Pontefice. Neppure questo, però, valse a risolvere il problema. Così, trascorso un altro anno, il podestà e il capitano delle milizie, che erano custodi del Conclave, scoperchiarono il palazzo e misero i cardinali letteralmente a “pane e acqua”.

Finalmente dopo due anni, nove mesi e due giorni, fu eletto Gregorio X.

Anche lui apportò delle norme per il Conclave con la Costituzione Ubi periculum del 7 luglio 1274, con la quale si ordina che, dopo la morte del papa, i cardinali attendano dieci giorni gli assenti. Oggi questa norma è stata modificata e da dieci si è passati a quindici giorni. Inoltre, in questo periodo, per nove giorni dovevano essere tributate solenni esequie al pontefice scomparso. Sono i “novendiali” ancora oggi mantenuti nelle regole della Sede Vacante.

Questa Costituzione di Papa Gregorio composta da 15 articoli, annovera al V° articolo questa curiosità: “Passati i tre giorni dopo l’ingresso dei cardinali in Conclave, se non sarà fatta l’elezione del nuovo Pontefice, i prelati e gli altri deputati alla guardia del Conclave dovranno impedire che nei seguenti cinque giorni si imbandisca la tavola dei cardinali con più di un piatto sì al desinare come alla cena e, decorsi questi cinque giorni, da allora in poi non permetteranno loro altro che pane e acqua sino a tanto che termineranno di fare l’elezione”.

I pontefici che man mano tentarono di migliorare le regole per il Conclave erano mossi non soltanto da una estenuante esperienza diretta, ma soprattutto da amore verso la Chiesa. Immensi danni, infatti, derivavano da queste lotte intestine, per il prolungamento di Sede Vacanti, durante la quale la Chiesa non poteva lavorare a pieno ritmo e promulgare atti solenni.

Così Papa Gregorio dava otto giorni di tempo per eleggere il nuovo papa: dopodiché, messi a pane e acqua, i cardinali sarebbero stati “ispirati” dallo Spirito… per mezzo della fame.

NESSUNO SI AVVICINI AI CARDINALI IN CONCLAVE

Papa Celestino V: il papa del “gran rifiuto”, paradossalmente, si preoccupò molto delle modalità di elezione del pontefice.

Questa Costituzione è stata poi sostanzialmente la base dell’elezione del Sommo Pontefice per sei secoli e anche le attuali e moderne Costituzioni, da Pio XII fino a Benedetto XVI, sono riprese in gran parte da quella di Gregorio X: finanche il medesimo spirito non è stato disatteso.

Infatti alla regola tre dell’ Ubi periculum Gregorio X imponeva quanto segue: “Non vi sia accesso alcuno ai cardinali rinchiusi in Conclave; niuno con questi possa parlare segretamente, né questi possono ricevere veruno fuori di quelli che col permesso di tutti i presenti vi saranno chiamati per il solo fine dell’elezione; niuno possa mandare ambasciatori o scritture ai cardinali, né ad alcuno dei conclavisti, sotto pena di scomunica”.

Si concedeva esclusivamente che si lasciasse una finestra aperta “per la quale si possa introdurre comodamente il vitto ai cardinali, ma non vi possa essere l’ingresso ad essi per chicchessia”.

Insomma, se le regole precedenti venivano disattese, qui il cambiamento radicale fu dato da quella parola importante: “sotto pena di scomunica”. Con questa affermazione non si dava più un’interpretazione liberale o opzionale al decreto di elezione. La sua applicazione diventava vincolante ed obbligatoria: una vera svolta per l’elezione del Pontefice.

Tuttavia ci vollero vent’anni prima che questa Costituzione entrasse a buon diritto nel Diritto Canonico. Infatti, dopo la morte di Gregorio X, cadde sulla Chiesa un anno nefasto. Morirono uno dietro l’altro bene tre papi: Innocenzo V, che fu eletto dopo un solo giorno di Conclave e durò cinque mesi; Adriano V, che visse trentotto giorni dopo l’elezione; Giovanni XXI, portoghese, che durò pochi mesi.

Sia Adriano che Giovanni sospesero la Ubi periculum, ritenendo che ci fosse bisogno di più tempo per eleggere un nuovo papa e si ritornò ai conclavi di non breve durata, come per Niccolò IV in cui furono impiegati dieci mesi e mezzo e alla sua morte, avvenuta il 4 aprile 1292, la Sede fu vacante per due anni e tre mesi, ripetendo la medesima vicenda avvenuta per l’elezione di Gregorio X.

Così Celestino V (successore di Niccolò IV e il Papa che fece il “gran rifiuto”) non esitò con tre Bolle a far ritornare in pieno vigore la Ubi periculum:

- Quia in futurum 28.9.1294; la Pridem del 27.10.1294 e la Costitutionem del 10.12.1294.

E’ curioso: il Papa del “gran rifiuto”, che dopo appena cinque mesi dall’insediamento operò la rinuncia, non se ne andò senza prima aver sistemato l’urgente problema dell’elezione del pontefice e agendo con grande coraggio e determinazione. Il suo successore, Bonifacio VIII, venne eletto dopo un giorno di Conclave. A lui si deve non solo la conferma della Ubi periculum, ma persino il suo inserimento nel libro del Corpus iurus canonici, dandole così definitiva validità. Una validità giunta fino ai giorni nostri e che non ebbe scossoni neppure nel tormentato periodo della cattività avignonese.

LA SEGRETEZZA E LO STOP ALLE SCOMMESSE

Scommettere sull’elezione del papa: ieri come oggi.

La “segretezza” del Conclave è una regola successiva, entro la quale era compresa anche la questione del “luogo” più adatto a queste e più sicuro per riunire l’assise.

Non c’è una data precisa, ma ci aggiriamo intorno agli inizi del XIV secolo. Tuttavia da un Ordo Romanus attribuito al cardinale Cencio Savelli, futuro Onorio III, sappiamo che per oltre un millennio il luogo abituale per l’elezione del Pontefice, a parte i casi particolari o le trasferte spesso forzate, era una chiesa. Una chiesa nella quale, il terzo giorno dopo la tumulazione del pontefice, dovevano recarsi per celebrare la Messa “dello Spirito Santo”, e quindi procedere all’elezione. Si votava oralmente e a voce. L’atto che poi consacrava la scelta dei cardinali e dava così il valore canonico, era costituito dall’imposizione all’eletto del piviale rosso accompagnato dal canto del Te Deum.

Per ogni situazione venutasi a creare, difficile stabilire date precise se non dietro ciò che chiamiamo documenti, Costituzioni, Bolle… materiale ufficiale della Chiesa e perciò più sicuro che non le mille interpretazioni o supposizioni.

Per esempio, da una autobiografia di Papa Innocenzo III (1198-1216), apprendiamo che i cardinali riuniti in Conclave ascoltavano prima una esortazione, una sorta di predicazione sul grave Ufficio al cui adempimento si stavano apprestando, con l’invito a provvedervi in spirito di concordia, ecclesialità e amore per la Chiesa e il gregge che attendeva un pastore; manifestando tale impegno con la preghiera in ginocchio e con il bacio di pace che essi si dovevano dare. Qui, spiega Innocenzo, si votò per iscritto. Vi si trovano tracce delle schede elettorali nella citazione di particolari, come quella in cui si legge che i suffragi dei singoli cardinali furono raccolti “in scriptis redactis”.

Innocenzo descrive anche il dopo dell’annuncio dell’elezione del nuovo pontefice: “…. si era raccolta una moltitudine di gente fra clero e popolo, che con grande gioia accolsero la notizia dell’elezione, dopo di ché accompagnò in corteo il nuovo Papa al palazzo del Laterano, dove si svolse la cerimonia detta “ammantatio”, ossia la vestizione con il piviale rosso e il canto del Te Deum”

Possiamo dire che la clausura dei cardinali divenne abituale dal XIII secolo e che la Costituzione Ubi periculum la sancì in via definitiva, tant’è che ancora oggi è non solo complessivamente valida, ma per certi aspetti applicata con norme più severe e sempre con il rischio di essere scomunicati.

Un’altra curiosità è data dalle “scommesse” sul futuro Papa. Oseremo dire “nulla di nuovo”: laddove c’è olezzo di danaro, lasciarsi contagiare è spesso inesorabile.

Nel 1562, con Papa Pio IV, ci si rese conto che le Costituzioni per l’elezione del Pontefice erano davvero centuplicate a tal punto che il Papa decise di fare un’unica Costituzione dal titolo In elegendis. In essa vennero raccolte, unificate tutte le varie regole sparse in altri documenti. Egli vi aggiunse il meccanismo per l’elezione, ossia i tre modi principali, o criteri, con i quali votare: per ispirazione (quindi pregando); per compromesso, laddove la maggioranza dei due terzi non venisse raggiunta; per scrutinio segreto. Infine condannava senza mezzi termini il malcostume scandaloso di fare scommesse sul futuro Papa, da parte dei nobili ma anche del popolino.

Le scommesse erano arrivate a livelli inaccettabili tanto che taluni scommettitori, pur di non perdere le ingenti somme puntate, arrivavano a premere sui cardinali, spesso anche con il ricatto o con promesse di futuri favori, pur di vincere le scommesse.

Più duro fu Papa Gregorio XIV con la Bolla Cogit nos del 1591 con la quale stabiliva la confisca della posta in gioco, anche se non fosse stata pagata, destinata a beneficio delle opere pie. Inoltre stabilì la pena della scomunica per quanti vi fossero coinvolti, una dura scomunica che solo il pontefice avrebbe potuto togliere e non una semplice confessione privata. Per gli ecclesiastici coinvolti la pena era, oltre la scomunica, anche la dismissione dal ruolo che occupavano e addirittura l’impossibilità di ricoprire altri incarichi in futuro.

Oggi come sappiamo ci sono i book-makers che puntano anche cifre esorbitanti, senza che la Chiesa possa più opporsi, ma per i fedeli scommettere è di per sé un peccato: la responsabilità di una coscienza retta dovrebbe indurli a desistere da questo malcostume.

Con la Costituzione Decet Romanum Pontificem del 12.3.1622 Papa Gregorio XV fissò definitivamente le regole del Conclave e il cerimoniale che doveva essere seguito. Due sono le disposizioni di rilievo: la disposizione tassativa di non procedere all’elezione se non all’interno del Conclave e il divieto assoluto ai cardinali di autovotarsi. Per verificare questa seconda disposizione, ogni scheda che comunque era segreta, aveva una speciale linguetta di controllo: solo il Papa eletto aveva l’obbligo di consentire ad un controllo per l’identificazione della scheda. Certo, era chiaro che un atteggiamento del genere denotava la scarsa fiducia che si aveva nei componenti del Collegio Cardinalizio: questa prassi poi lentamente venne tralasciata dai futuri pontefici.

A quanti poi accusano la Chiesa di ogni colpa, raccontiamo questo particolare curioso. Furti, omicidi, rapine, imbrogli… caratterizzavano spesso i momenti che precedevano l’elezione del nuovo Papa. Gli studiosi hanno osservato che questi fatti incresciosi aumentavano in quel periodo perché vi era la certezza dell’impunità, dal momento che con il nuovo Papa si era soliti concedere sempre una generosa amnistia. Giacinto Gigli, autore di un diario sull’elezione di Urbano VIII (1624), annota che: “i disordini erano quali niuno che viveva si ricordava di avere mai visto. Non passava giorno senza molte questioni, risse, omicidi, tradimenti. Trovavansi molti uomini e donne uccisi in diversi luoghi; et molti furono ritrovati e raccolti senza testa, che erano stati in quel modo gettati nel Tevere…”

LE RIVOLUZIONI NON FERMANO I CONCLAVI, CHE,  ANZI, MIGLIORANO

San Pio X: quando il Conclave fa perdere la pazienza pure ad un santo…

E veniamo così al nostro tempo, dopo l’unità d’Italia.

Effettivamente dal 1600, dopo Urbano VIII, non troviamo più modifiche importanti riguardanti il Conclave. Dobbiamo arrivare alle tre Costituzioni del beato Pio IX per risentire parlare del Conclave: In hac sublimi del 23.8.1871; Licet per apostolicas dell’8.9.1874; e la Consultari del 10.10.1877.

Data la situazione di quel momento e i rapporti interrotti tra il Vaticano e lo Stato italiano, si resero necessarie ulteriori norme dirette a garantire la libertà e l’integrità del Conclave. C’era intoltre da considerare la nuova situazione in cui veniva a trovarsi il Romano Pontefice “esiliato” in Vaticano e privato non solo della sua libertà ma anche dell’uso libero delle basiliche romane che servivano per le grandi celebrazioni liturgiche come il Laterano e la Scala Santa per la Settimana Santa.

A questa sacrosanta libertà miravano i nuovi decreti di Pio IX, il cui regolamento venne poi pubblicato da Leone XIII che lo unì alla sua Costituzione Praedecessores nostri del 24.5.1882. Era da risolvere definitivamente anche l’ingerenza dei laici, niente affatto inferiore per tracotanza e peso a quella dei regnanti, in materia ecclesiale e per l’elezione del Romano Pontefice. Da questo momento in poi, il conclave, come sappiamo, non uscirà più dal Vaticano mentre altri conclavi, come quello che elesse lo stesso Pio IX furono svolti al Quirinale, anche questo confiscato alla Chiesa.

L’esempio più famoso e clamoroso di tale ingerenza si ebbe nel conclave successivo alla morte di Leone XIII, che si tenne appunto nel 1903, e che vide a sorpresa eletto il trevigiano Giuseppe Sarto, Patriarca di Venezia. L’Arcivescovo di Cracovia, cardinale Puzyna, si alzò per esercitare il diritto di veto su Rampolla, favorito, per conto dell’imperatore d’Austria e Re d’Ungheria, Francesco Giuseppe. Parlando in latino, il porporato si dichiarò investito di potere per “imporlo con sommo dolore”. Nonostante non fossero dei novellini a questi giochi, tutto il Collegio Cardinalizio si indignò di fronte a questa pretesa di ingerenza ai danni della Chiesa intera e della libera volontà del Sacro Collegio.

C’è da dire che tutte queste notizie non sarebbero mai dovute uscire fuori dal Conclave, e probabilmente anche noi qui non avremmo avuto nulla da scrivere a riguardo, ma il minuzioso diario del Cardinale Francois Desirè Mathieu, pubblicato in varie lingue  il 15.3.1904- con la firma anonima “Un testimone” -  fece perdere la pazienza persino al più pacifico e mite dei pontefici, diventato poi Santo, san Pio X, Giuseppe Sarto, che non solo si indignò per la fuoriuscita di particolari, che per altro avrebbero potuto mettere la Chiesa e i fedeli in gravissime difficoltà, ma si accinse a dare disposizioni immediate nella Costituzione Vacante Sede Apostolica del 25.12.1904, affinché un fatto del genere non potesse più verificarsi.

I successivi Pontefici appesantirono tali disposizioni tanto da ordinare e prescrivere che tutto il materiale riguardante il Conclave, compresi i foglietti, le schede e gli appunti, venisse bruciato prima che i cardinali uscissero dal Conclave.

Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II, mitigarono questo divieto, tolsero l’obbligo di bruciare tutto il materiale, ma si mantennero fermi sull’obbligo del silenzio pena la scomunica immediata e la perdita del ruolo ecclesiastico.

E GIOVANNI PAOLO II, IN VERSI, RIFLETTE SUL CONCLAVE

Trittico Romano: Papa Giovanni Paolo II, guardando la Capella Sistina, ha un pensiero anche per il Conclave.

Nel Trittico Romano, libro di poesie di Giovanni Paolo II ispirato alla Cappella Sistina, l’allora cardinale Ratzinger, nella prefazione, ricordando gli ultimi Conclavi e rivolto, quasi profeticamente, al conclave che poi lo avrebbe visto Successore di Pietro, così scriveva e di certo ammoniva nel 2003:

“Dagli occhi interiori del Papa emerge nuovamente il ricordo dei Conclave dell’agosto e dell’ottobre 1978.

Poiché anch’io ero presente, so bene come eravamo esposti a quelle immagini nelle ore della grande decisione, come esse ci interpellavano; come insinuavano nella nostra anima la grandezza della responsabilità.

Il Papa parla ai cardinali del futuro Conclave “dopo la mia morte” e dice che a loro parli la visione di Michelangelo. La parola Con-clave gli impone il pensiero delle chiavi, dell’eredità delle chiavi lasciate a Pietro. Porre queste chiavi nelle mani giuste: è questa l’immensa responsabilità in quei giorni.

Si ricordano così le parole di Gesù, il “guai” che ha rivolto ai dottori della legge: “avete tolto la chiave della scienza” (Lc 11, 52).

Non togliere la chiave, ma usarla per aprire affinché si possa entrare per la porta: a questo esorta Michelangelo”.

Al nuovo Pontefice assicuriamo Preghiere

Ad maiorem Dei gloriam

 

NOTA

* Invitiamo a leggere l’ultima Costituzione sul Conclave, la Universi Dominici Gregis di Giovanni Paolo II, al cui interno si trovano le ultime aggiunte fatte da Benedetto XVI.

* le fonti dalle quali abbiamo attinto per l’articolo sono due:

1. Grande Dizionario dei Papi – Oxford University Press di John N.D. Kelly

2. P. Francia – il Conclave del 2005


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)