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Papa: massacro armeni, gesti di pace per risanare ogni ferita




Il Patriarca della Chiesa Armeno-cattolica, Nerses Bedros XIX - RV





09/04/2015 



Solo con “gesti  concreti di riconciliazione e di pace” sarà possibile avere una “lettura” condivisa del massacro del popolo armeno avvenuto 100 anni fa. È la considerazione principale del discorso che Papa Francesco rivolto al Sinodo patriarcale della Chiesa Armeno-Cattolica, a tre giorni dalla Messa che domenica prossima, nella Basilica di San Pietro, il Papa presiederà per commemorare quella drammatica pagina di storia. Il servizio di Alessandro De Carolis:


“Metz Yeghern”, il “Grande Male”: è scarno il nome attribuito a un dolore devastante, piantato esattamente da 100 anni nel cuore di un popolo antichissimo, quello armeno. È l’epoca dell’Impero Ottomano quando la storia registra il massacro di un milione e mezzo di cristiani armeni, che si rifiutano di rinnegare la propria fede. Un dolore che Francesco intende condividere con i vescovi della Chiesa armeno-cattolica, un anticipo del momento più ampio e pubblico che vedrà il Papa sull’altare di Piazza San Pietro domenica prossima:


“Invocheremo la Divina Misericordia perché ci aiuti tutti, nell’amore per la verità e la giustizia, a risanare ogni ferita e ad affrettare gesti concreti di riconciliazione e di pace tra le Nazioni che ancora non riescono a giungere ad un ragionevole consenso sulla lettura di tali tristi vicende”:


Antiche diaspore e moderne insicurezze
La strage di un secolo fa innesca l’esodo e la diaspora di una Chiesa e di una popolazione oggi sparsa dagli Stati Uniti, alla Russia, dal Sudamerica all’Ucraina, passando per l’Europa. E le conseguenze del passato per la popolazione armena sono acuite oggi, , specie nella “Madrepatria”, riconosce Francesco, dai rivolgimenti che stanno modificando gli assetti mediorientali:

“Penso con tristezza in particolare a quelle zone, come quella di Aleppo - il vescovo mi ha detto 'la città martire' - che cento anni fa furono approdo sicuro per i pochi sopravvissuti. Tali regioni, in questo ultimo periodo, hanno visto messa in pericolo la permanenza dei cristiani e non solo armeni”.

Forze oscure, Passione redentrice
Lo sguardo del Papa si appunta poi sulla sanguinosa pagina della storia armena. “È importante – afferma – chiedere a Dio il dono della sapienza del cuore: la commemorazione delle vittime di cento anni fa ci pone infatti dinanzi alle tenebre del ‘mysterium iniquitatis’. Non si capisce se non con questo”:

“Come dice il Vangelo, dall’intimo del cuore dell’uomo possono scatenarsi le forze più oscure, capaci di giungere a programmare sistematicamente l’annientamento del fratello, a considerarlo un nemico, un avversario, o addirittura individuo privo della stessa dignità umana. Ma per i credenti la domanda sul male compiuto dall’uomo introduce anche al mistero della partecipazione alla Passione redentrice”.

Fare memoria per testimoniare la carità
Francesco ricorda i martiri di 100 anni fa e lega la solidità della loro fede anzitutto alla storia bimillenaria degli armeni, i primi a convertirsi al cristianesimo nel 301. “Le pagine sofferte della storia del vostro popolo continuano, in certo senso, la passione di Gesù, ma in ciascuna di esse – sottolinea il Papa – è posto il germoglio della sua Resurrezione”:

“Non venga meno in voi Pastori l’impegno di educare i fedeli laici a saper leggere la realtà con occhi nuovi, per giungere a dire ogni giorno: il mio popolo non è soltanto quello dei sofferenti per Cristo, ma soprattutto dei risorti in Lui. Per questo è importante fare memoria del passato, ma per attingere da esso linfa nuova per alimentare il presente con l’annuncio gioioso del Vangelo e con la testimonianza della carità”.

Gregorio di Narek, Dottore della Chiesa
Fu Benedetto XV a intervenire “presso il Sultano Mehmet V per far cessare i massacri degli armeni” e lo stesso Pontefice, rammenta ancora Francesco, volle iscrivere Sant’Efrem il Siro tra i Dottori della Chiesa Universale. Domenica prossima Francesco compirà un gesto analogo con San Gregorio di Narek e questa decisione “inaspettata” è stata salutata con gratitudine dal Cathlicos armeno, Nerses Bedros XIX. “Ve ne siamo immensamente riconoscenti”, ha detto. Gregorio di Narek, vissuto mille anni fa, è “il Santo armeno più amato e più letto”, il cui “Libro delle Lamentazioni” ha affermato il Patriarca degli armeni, era al “capezzale di ogni famiglia armena accanto al Santo Vangelo”.

È stato anche reso noto che il 12 aprile Papa Francesco celebrerà, nella Basilica di San Pietro, la Messa in occasione del centenario del genocidio armeno.




DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
AL SINODO PATRIARCALE DELLA CHIESA ARMENO-CATTOLICA

Giovedì, 9 aprile 2015

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Beatitudine, Eccellenze!

Vi saluto fraternamente e vi ringrazio per questo incontro, che si colloca nell’imminenza della celebrazione di domenica prossima nella Basilica Vaticana. Eleveremo la preghiera del suffragio cristiano per i figli e le figlie del vostro amato popolo, che furono vittime cento anni orsono. Invocheremo la Divina Misericordia perché ci aiuti tutti, nell’amore per la verità e la giustizia, a risanare ogni ferita e ad affrettare gesti concreti di riconciliazione e di pace tra le Nazioni che ancora non riescono a giungere ad un ragionevole consenso sulla lettura di tali tristi vicende.

In voi e attraverso di voi saluto i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i fedeli laici della Chiesa Armeno-Cattolica: so che in tanti vi hanno accompagnato in questi giorni qui a Roma, e che molti di più saranno uniti spiritualmente a noi, dai Paesi della Diaspora, come gli Stati Uniti, l’America Latina, l’Europa, la Russia, l’Ucraina, fino alla Madrepatria. Penso con tristezza in particolare a quelle zone, come quella di Aleppo - il Vescovo mi ha detto "la città martire" - che cento anni fa furono approdo sicuro per i pochi sopravvissuti.  Tali regioni, in questo ultimo periodo, hanno visto messa in pericolo la permanenza dei cristiani, non solo armeni.

Il vostro popolo, che la tradizione riconosce come il primo a convertirsi al cristianesimo nel 301, ha una storia bimillenaria e custodisce un ammirevole patrimonio di spiritualità e di cultura, unito ad una capacità di risollevarsi dopo le tante persecuzioni e prove a cui è stato sottoposto. Vi invito a coltivare sempre un sentimento di riconoscenza al Signore, per essere stati capaci di mantenere la fedeltà a Lui anche nelle epoche più difficili. È importante, inoltre, chiedere a Dio il dono della sapienza del cuore: la commemorazione delle vittime di cento anni fa ci pone infatti dinanzi alle tenebre del mysterium iniquitatis. Non si capisce se non con questo atteggiamento.

Come dice il Vangelo, dall’intimo del cuore dell’uomo possono scatenarsi le forze più oscure, capaci di giungere a programmare sistematicamente l’annientamento del fratello, a considerarlo un nemico, un avversario, o addirittura individuo privo della stessa dignità umana. Ma per i credenti la domanda sul male compiuto dall’uomo introduce anche al mistero della partecipazione alla Passione redentrice: non pochi figli e figlie della nazione armena furono capaci di pronunciare il nome di Cristo sino all’effusione del sangue o alla morte per inedia nell’esodo interminabile cui furono costretti.

Le pagine sofferte della storia del vostro popolo continuano, in certo senso, la passione di Gesù, ma in ciascuna di esse è posto il germoglio della sua Resurrezione. Non venga meno in voi Pastori l’impegno di educare i fedeli laici a saper leggere la realtà con occhi nuovi, per giungere a dire ogni giorno: il mio popolo non è soltanto quello dei sofferenti per Cristo, ma soprattutto dei risorti in Lui. Per questo è importante fare memoria del passato, ma per attingere da esso linfa nuova per alimentare il presente con l’annuncio gioioso del Vangelo e con la testimonianza della carità. Vi incoraggio a sostenere il cammino di formazione permanente dei  sacerdoti e delle persone consacrate. Essi sono i vostri primi collaboratori: la comunione tra loro e voi sarà rafforzata dall’esemplare fraternità che essi potranno scorgere in seno al Sinodo e col Patriarca.

Il nostro pensiero riconoscente va in questo momento a quanti si adoperarono per recare qualche sollievo al dramma dei vostri antenati. Penso specialmente a Papa Benedetto XV che intervenne presso il Sultano Mehmet V per far cessare i massacri degli armeni. Questo Pontefice fu grande amico dell’Oriente cristiano: egli istituì la Congregazione per le Chiese Orientali e il Pontificio Istituto Orientale, e nel 1920 iscrisse Sant’Efrem il Siro tra i Dottori della Chiesa Universale. Sono lieto che questo nostro incontro avvenga alla vigilia dell’analogo gesto che domenica avrò la gioia di compiere con la grande figura di San Gregorio di Narek.

Alla sua intercessione, affido specialmente il dialogo ecumenico tra la Chiesa Armeno-Cattolica e la Chiesa Armeno-Apostolica, memori del fatto che cento anni fa come oggi, il martirio e la persecuzione hanno già realizzato “l’ecumenismo del sangue”. Su di voi e sui vostri fedeli invoco ora  la benedizione del Signore, mentre vi chiedo di non dimenticare di pregare per me! Grazie!


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
AGLI ARMENI

 

Cari fratelli e sorelle armeni,

un secolo è trascorso da quell’orribile massacro che fu un vero martirio del vostro popolo, nel quale molti innocenti morirono da confessori e martiri per il nome di Cristo (cfr Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001). Non vi è famiglia armena ancora oggi, che non abbia perduto in quell’evento qualcuno dei suoi cari: davvero fu quello il “Metz Yeghern”, il “Grande Male”, come avete chiamato quella tragedia. In questa ricorrenza provo un sentimento di forte vicinanza al vostro popolo e desidero unirmi spiritualmente alle preghiere che si levano dai vostri cuori, dalle vostre famiglie, dalle vostre comunità.

Ci è data un’occasione propizia di pregare insieme nell’odierna celebrazione, in cui proclamiamo Dottore della Chiesa san Gregorio di Narek. Esprimo viva gratitudine per la loro presenza a Sua Santità Karekin II, Supremo Patriarca e Catholicos di Tutti gli Armeni, a Sua Santità Aram I, Catholicos della Grande Casa di Cilicia, e a Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX, Patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici.

San Gregorio di Narek, monaco del X secolo, più di ogni altro ha saputo esprimere la sensibilità del vostro popolo, dando voce al grido, che diventa preghiera, di un’umanità dolente e peccatrice, oppressa dall’angoscia della propria impotenza ma illuminata dallo splendore dell’amore di Dio e aperta alla speranza del suo intervento salvifico, capace di trasformare ogni cosa. «In virtù della sua potenza, io credo con una speranza che non tentenna, in sicura attesa, rifugiandomi nelle mani del Potente ... di vedere Lui stesso, nella sua misericordia e tenerezza e nell’eredità dei Cieli» (San Gregorio di Narek, Libro delle Lamentazioni, XII).

La vostra vocazione cristiana è assai antica e risale al 301, anno in cui san Gregorio l’Illuminatore guidò alla conversione e al battesimo l’Armenia, la prima tra le nazioni che nel corso dei secoli hanno abbracciato il Vangelo di Cristo. Quell’evento spirituale ha segnato in maniera indelebile il popolo armeno, la sua cultura e la sua storia, nelle quali il martirio occupa un posto preminente, come attesta in modo emblematico la testimonianza sacrificale di san Vardan e dei suoi compagni nel V secolo.

Il vostro popolo, illuminato dalla luce di Cristo e con la sua grazia, ha superato tante prove e sofferenze, animato dalla speranza che deriva dalla Croce (cfr Rm 8,31-39). Come ebbe a dirvi san Giovanni Paolo II: «La vostra storia di sofferenza e di martirio è una perla preziosa, di cui va fiera la Chiesa universale. La fede in Cristo, redentore dell’uomo, vi ha infuso un coraggio ammirevole nel cammino, spesso tanto simile a quello della croce, sul quale avete avanzato con determinazione, nel proposito di conservare la vostra identità di popolo e di credenti» (Omelia, 21 novembre 1987).

Questa fede ha accompagnato e sorretto il vostro popolo anche nel tragico evento di cento anni fa che «generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo» (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione Comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001). Il Papa Benedetto XV, che condannò come «inutile strage» la Prima Guerra Mondiale (AAS, IX [1917], 429), si prodigò fino all’ultimo per impedirlo, riprendendo gli sforzi di mediazione già compiuti dal Papa Leone XIII di fronte ai «funesti eventi» degli anni 1894-96. Egli scrisse per questo al sultano Maometto V, implorando che fossero risparmiati tanti innocenti (cfr Lettera del 10 settembre 1915) e fu ancora lui che, nel Concistoro Segreto del 6 dicembre 1915, affermò con vibrante sgomento: «Miserrima Armenorum gens ad interitum prope ducitur»,  (AAS, VII [1915], 510).

Fare memoria di quanto accaduto è doveroso non solo per il popolo armeno e per la Chiesa universale, ma per l’intera famiglia umana, perché il monito che viene da questa tragedia ci liberi dal ricadere in simili orrori, che offendono Dio e la dignità umana. Anche oggi, infatti, questi conflitti talvolta degenerano in violenze ingiustificabili, fomentate strumentalizzando le diversità etniche e religiose. Tutti coloro che sono posti a capo delle Nazioni e delle Organizzazioni internazionali sono chiamati ad opporsi a tali crimini con ferma responsabilità, senza cedere ad ambiguità e compromessi.

Questa dolorosa ricorrenza diventi per tutti motivo di riflessione umile e sincera e di apertura del cuore al perdono, che è fonte di pace e di rinnovata speranza. San Gregorio di Narek, formidabile interprete dell’animo umano, sembra pronunciare per noi parole profetiche: «Io mi sono volontariamente caricato di tutte le colpe, da quelle del primo padre fino a quello dell’ultimo dei suoi discendenti, e me ne sono considerato responsabile» (Libro delle Lamentazioni, LXXII). Quanto ci colpisce questo suo sentimento di universale solidarietà! Come ci sentiamo piccoli di fronte alla grandezza delle sue invocazioni: «Ricordati, [Signore,] … di quelli che nella stirpe umana sono nostri nemici, ma per il loro bene: compi in loro perdono e misericordia (...) Non sterminare coloro che mi mordono: trasformali! Estirpa la viziosa condotta terrena e radica quella buona in me e in loro» (ibid., LXXXIII).

Dio conceda che si riprenda il cammino di riconciliazione tra il popolo armeno e quello turco, e la pace sorga anche nel Nagorno Karabakh. Si tratta di popoli che, in passato, nonostante contrasti e tensioni, hanno vissuto lunghi periodi di pacifica convivenza, e persino nel turbine delle violenze hanno visto casi di solidarietà e di aiuto reciproco. Solo con questo spirito le nuove generazioni possono aprirsi a un futuro migliore e il sacrificio di molti può diventare seme di giustizia e di pace.

Per noi cristiani, questo sia soprattutto un tempo forte di preghiera, affinché il sangue versato, per la forza redentrice del sacrificio di Cristo, operi il prodigio della piena unità tra i suoi discepoli. In particolare rinsaldi i legami di fraterna amicizia che già uniscono la Chiesa Cattolica e la Chiesa Armena Apostolica. La testimonianza di tanti fratelli e sorelle che, inermi, hanno sacrificato la vita per la loro fede, accomuna le diverse confessioni: è l’ecumenismo del sangue, che condusse san Giovanni Paolo II a celebrare insieme, durante il Giubileo del 2000, tutti i martiri del XX secolo. Anche la celebrazione di oggi si colloca in questo contesto spirituale ed ecclesiale. A questo evento partecipano rappresentanze delle nostre due Chiese e si uniscono spiritualmente numerosi fedeli sparsi nel mondo, in un segno che riflette sulla terra la comunione perfetta che esiste tra gli spiriti beati del cielo. Con animo fraterno, assicuro la mia vicinanza in occasione della cerimonia di canonizzazione dei martiri della Chiesa Armena Apostolica, che avrà luogo il 23 aprile prossimo nella Cattedrale di Etchmiadzin, e alle commemorazioni che si terranno ad Antelias in luglio.

Affido alla Madre di Dio queste intenzioni con le parole di san Gregorio di Narek:

«O purezza delle Vergini, corifea dei beati,
Madre dell’edificio incrollabile della Chiesa,
Genitrice del Verbo immacolato di Dio,
(…)
rifugiandoci sotto le ali sconfinate di difesa della tua intercessione,
innalziamo le nostre mani verso di te,
e con indubitata speranza crediamo di essere salvati».
(Panegirico alla Vergine)

Dal Vaticano, 12 aprile 2015

Francesco


 


[Modificato da Caterina63 12/04/2015 14:35]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)