00 25/08/2012 21:40
Stando così le cose, è necessario riproporre la domanda fuori moda della verità del cristianesimo, per quanto a molti possa apparire superflua e insolubile. Ma come? Di sicuro, la teologia cristiana dovrà esaminare attentamente, senza timore di esporsi, le diverse istanze che sono state sollevate contro la pretesa del cristianesimo alla verità nel campo della filosofia, delle scienze naturali, della storia naturale. Ma d’altra parte occorre anche che essa cerchi di acquisire una visione di insieme del problema concernente l’essenza autentica del cristianesimo, la sua collocazione nella storia delle religioni e il suo posto nell’esistenza umana. Vorrei fare un passo in questa direzione, mettendo in luce come, alle sue origini nel kosmos delle religioni, il cristianesimo stesso ha visto questa sua pretesa.

Che io sappia non esiste alcun testo del cristianesimo antico che getti sulla questione tanta luce quanto la discussione di Agostino con la filosofia religiosa del «più erudito tra i romani», Marco Terenzio Varrone (116-27 a. C.). Varrone condivideva l’immagine stoica di Dio e del mondo; definì Dio come animam motu ac ratione mundum gubernantem (come «l’anima che regge il mondo tramite il movimento e la ragione»), in altri termini: come l’anima del mondo che i Greci chiamano kosmos: hunc ipsum mundum esse deum. Questa anima del mondo, tuttavia, non riceve culto. Non è oggetto di religio. In altri termini: verità e religione, conoscenza razionale e ordine cultuale sono situati su due piani totalmente diversi. L’ordine cultuale, il mondo concreto della religione, non appartiene all’ordine della res, della realtà come tale, ma a quello dei mores – dei costumi.

Non sono gli dei che hanno creato lo Stato, è lo Stato che ha istituito gli dei, la cui venerazione è essenziale per l’ordine dello Stato e per il buon comportamento dei cittadini.

La religione è nella sua essenza un fenomeno politico. Varrone distingue così tre tipi di “teologia”, intendendo per teologia la
ratio, quae de diis explicatur – la comprensione e la spiegazione del divino, potremmo tradurre. Tali sono la theologia mythica, la theologia civilis e la theologia naturalis. Tramite quattro definizioni egli spiega poi cosa si debba intendere per queste “teologie”. La prima definizione fa riferimento ai tre teologi associati a queste tre teologie: i teologi della teologia mitica sono i poeti, perché hanno composto canti sugli dei e sono così cantori della divinità. I teologi della teologia fisica (naturale) sono i filosofi, cioè gli eruditi, i pensatori, che, andando al di là delle abitudini, si interrogano sulla realtà, sulla verità; i teologi della teologia civile sono i “popoli”, che hanno scelto di non allearsi ai filosofi (alla verità), ma ai poeti, alle loro visioni poetiche, alle loro immagini e alle loro figure.


Gesù risorto e Maria Maddalena

Gesù risorto e Maria Maddalena

La seconda definizione riguarda i luoghi a cui nella realtà sono associate le singole teologie. Alla teologia mitica corrisponde il teatro, che aveva di fatto un rango religioso, cultuale; secondo l’opinione comune, gli spettacoli erano stati istituiti a Roma per ordine degli dei. Alla teologia politica corrisponde la urbs. Lo spazio della teologia naturale sarebbe il kosmos.

La terza definizione designa il contenuto delle tre teologie: la teologia mitica avrebbe per contenuto le favole sugli dei, create dai poeti; la teologia di Stato il culto; la teologia naturale risponderebbe alla domanda su chi sono gli dei. Vale la pena ora di prestare maggiore attenzione: «Se – come in Eraclito – essi [gli dei] sono fatti di fuoco o – come in Pitagora – di numeri, o – come in Epicuro – di atomi, e altre cose ancora che le orecchie possono sopportare più facilmente all’interno delle mura scolastiche piuttosto che fuori, sulla pubblica piazza», ne deriva con assoluta chiarezza che questa teologia naturale è una demitologizzazione, o meglio una razionalità, che guarda criticamente cosa c’è dietro l’apparenza mitica e la dissolve attraverso la conoscenza scientifico-naturale.
Culto e conoscenza risultano separati l’uno dall’altra. Il culto resta necessario fintanto che è una questione di utilità politica; la conoscenza ha un effetto distruttore sulla religione e non dovrebbe quindi essere messa sulla pubblica piazza.


Infine c’è la quarta definizione. Il contenuto delle diverse teologie da che tipo di realtà è costituito? La risposta di Varrone è questa: la teologia naturale si occupa della “natura degli dei” (che di fatto non esistono), le altre due teologie trattano dei divina instituta hominum – delle istituzioni divine degli uomini. Ne consegue che tutta la differenza si riduce a quella che c’è tra la fisica nel suo significato antico e la religione cultuale dall’altra parte. «La teologia civile non ha in ultima analisi alcun dio, soltanto la “religione”; la “teologia naturale” non ha religione, ma solo una divinità». Certo, non può avere nessuna religione, perché al suo dio (fuoco, numeri, atomi) non può essere rivolta la parola in termini religiosi. Così religio (termine che designa essenzialmente il culto) e realtà, la conoscenza razionale del reale, si configurano come due sfere separate, l’una accanto all’altra. La religio non trae la sua giustificazione dalla realtà del divino, ma dalla sua funzione politica. È un’istituzione di cui lo Stato ha bisogno per la sua esistenza.

Indubbiamente ci troviamo qui di fronte ad una fase tardiva della religione, nella quale è infranta l’ingenuità dell’atteggiamento religioso ed è quindi innescata la sua dissoluzione. Ma il legame essenziale della religione con la compagine statale penetra decisamente molto più in profondità. Il culto è in ultima istanza un ordine positivo che come tale non può essere commisurato al problema della verità. Mentre Varrone, nel suo tempo, in cui la funzione politica della religione era ancora sufficientemente forte, per giustificarla come tale poteva ancora difendere una concezione piuttosto cruda della razionalità e dell’assenza di verità del culto motivato politicamente, il neoplatonismo cercherà presto un’altra via di uscita dalla crisi, su cui l’imperatore Giuliano basò poi il suo sforzo per ristabilire la religione romana di Stato.
Quello che i poeti dicono sono immagini che non si devono intendere fisicamente; ma sono comunque immagini che esprimono l’inesprimibile per tutti quegli uomini ai quali la via maestra dell’unione mistica è sbarrata. Benché non siano vere come tali, le immagini sono giustificate come approcci a qualcosa che sempre deve restare inesprimibile.


Gesù risorto e le pie donne

Gesù risorto e le pie donne

Con ciò abbiamo anticipato qualcosa di quel che diremo. La posizione neoplatonica, infatti, da parte sua è già una reazione contro la presa di posizione cristiana sul problema della fondazione cristiana del culto e del posto della fede che ne è alla base, nella tipologia delle religioni. Torniamo dunque ad Agostino. Dov’è che egli situa il cristianesimo nella triade varroniana delle religioni? Quello che stupisce è che senza la minima esitazione Agostino attribuisce al cristianesimo il suo posto nell’ambito della “teologia fisica”, nell’ambito della razionalità filosofica. Si trova così in perfetta continuità con i primi teologi del cristianesimo, gli Apologisti del II secolo, e anche con la posizione che Paolo assegna al cristianesimo nel primo capitolo della Lettera ai Romani che, da parte sua, si basa sulla teologia veterotestamentaria della Sapienza e risale, al di là di essa, fino ai Salmi che scherniscono gli dei.

Il cristianesimo ha, in questa prospettiva, i suoi precursori e la sua preparazione nella razionalità filosofica, non nelle religioni. Il cristianesimo non è affatto basato, secondo Agostino e la tradizione biblica, che per lui è normativa, su immagini e presentimenti mitici, la cui giustificazione si trova ultimamente nella loro utilità politica, ma si richiama invece a quel divino che può essere percepito dall’analisi razionale della realtà.

In altri termini: Agostino identifica il monoteismo biblico con le vedute filosofiche sulla fondazione del mondo che si sono formate, secondo diverse varianti, nella filosofia antica. È questo che si intende quando il cristianesimo, a partire dal discorso paolino dell’Areopago in poi, si presenta con la pretesa di essere la
religio vera. Il che significa: la fede cristiana non si basa sulla poesia e la politica, queste due grandi fonti della religione; si basa sulla conoscenza. Venera quell’Essere che sta a fondamento di tutto ciò che esiste, il “vero Dio”. Nel cristianesimo, la razionalità è diventata religione e non più il suo avversario. Perché ciò avvenisse, perché il cristianesimo si comprendesse come la vittoria della demitologizzazione, la vittoria della conoscenza e con essa della verità, doveva necessariamente considerarsi come universale ed essere portato a tutti i popoli: non come una religione specifica che ne reprime altre in forza di una specie di imperialismo religioso, ma come la verità che rende superflua l’apparenza.
Ed è proprio questo che nella vasta tolleranza dei politeismi doveva necessariamente apparire come intollerabile, addirittura come nemico della religione, come “ateismo”. Non si fondava sulla relatività e sulla convertibilità delle immagini, disturbava perciò soprattutto l’utilità politica delle religioni, e metteva così in pericolo i fondamenti dello Stato, nel quale non voleva essere una religione tra le altre, ma la vittoria dell’intelligenza sul mondo delle religioni.





[SM=g1740771]  continua.....
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)