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[SM=g1740733] La pretesa del cristianesimo di essere la religione vera sarebbe dunque superata dal progresso della razionalità? È dunque costretto ad abbassare le sue pretese e a inserirsi nella visione neoplatonica o buddista o indù della verità e del simbolo, a contentarsi, come aveva proposto Ernst Troeltsch, di mostrare della faccia di Dio la parte rivolta verso l’Europa?

Si deve forse fare un passo in più di Troeltsch, che considerava ancora il cristianesimo la religione adatta all’Europa, tenendo conto del fatto che oggi l’Europa stessa dubita che sia adatta? Questa è la vera domanda alla quale oggi la Chiesa e la teologia devono far fronte. Tutte le crisi all’interno del cristianesimo che osserviamo ai giorni nostri si basano di fatto solo secondariamente su problemi istituzionali.


I problemi delle istituzioni così come delle persone nella Chiesa derivano ultimamente da questa questione, e dall’enorme peso che essa ha. Nessuno si aspetterà, alla fine del secondo millennio cristiano, che questa provocazione fondamentale trovi, anche solo lontanamente, risposta definitiva in una conferenza. Non può assolutamente trovare risposte puramente teoriche, così come la religione, in quanto attitudine ultima dell’uomo, non è mai solo teoria. Esige quella combinazione di conoscenza e di azione, su cui era fondata la forza persuasiva del cristianesimo dei Padri.

Gesù risorto e gli apostoli sul lago di Tiberiade

Gesù risorto e gli apostoli sul lago di Tiberiade

Ciò non significa in nessun modo che ci si possa sottrarre all’urgenza che il problema ha dal punto di vista intellettuale, rinviando alla necessità della prassi. Cercherò, per finire, solo di aprire una prospettiva che potrebbe indicare la direzione.

Abbiamo visto che l’originaria unità relazionale, tuttavia mai completamente acquisita, tra razionalità e fede, alla quale infine Tommaso d’Aquino dette una forma sistematica, è stata lacerata meno dallo sviluppo della fede che dai nuovi progressi della razionalità.
Come tappe di questa mutua separazione si potrebbero citare Descartes, Spinoza, Kant. La nuova sintesi inglobante che Hegel tenta non restituisce alla fede il suo posto filosofico, ma tende a convertirla in ragione ed eliminarla come fede. A questa assolutizzazione dello spirito, Marx oppone l’unicità della materia; la filosofia deve allora essere completamente ricondotta alla scienza esatta. Solo l’esatta conoscenza scientifica è conoscenza. Con ciò è congedata l’idea del divino.


La profezia di Auguste Comte, che disse che un giorno ci sarebbe stata una fisica dell’uomo e che le grandi domande finora lasciate alla metafisica in futuro sarebbero state trattate “positivamente” come tutto ciò che già oggi è scienza positiva, ha lasciato un’eco impressionante nel nostro secolo, nelle scienze umane. La separazione tra la fisica e la metafisica operata dal pensiero cristiano è sempre più abbandonata. Tutto deve ridiventare “fisica”.

La teoria evoluzionistica si è andata cristallizzando come la strada per far sparire definitivamente la metafisica, per rendere superflua l’«ipotesi di Dio» (Laplace) e formulare una spiegazione del mondo strettamente “scientifica”. Una teoria evoluzionistica che spieghi in modo inglobante l’insieme di tutto il reale è diventata una specie di “filosofia prima” che rappresenta per così dire l’autentico fondamento della comprensione razionale del mondo.
Ogni tentativo di fare entrare in gioco cause diverse da quelle che una teoria “positiva” elabora, ogni tentativo di “metafisica” appare necessariamente come una ricaduta al di qua della ragione, come un decadere dalla pretesa universale della scienza. Anche l’idea cristiana di Dio è necessariamente considerata come non scientifica.

A quest’idea non corrisponde più nessuna
theologia physica: l’unica theologia naturalis è, in questa visione, la dottrina evoluzionistica, ed essa non conosce proprio alcun Dio, né alcun Creatore nel senso del cristianesimo (del giudaismo e dell’islam), né alcuna anima del mondo o dinamismo interiore nel senso della Stoa. Eventualmente si potrebbe, in senso buddista, considerare il mondo intero come un’apparenza, e il nulla come l’autentica realtà, e giustificare in questo senso le forme mistiche di religione che almeno non sono in diretta concorrenza con la ragione.


È così detta l’ultima parola? La ragione e il cristianesimo sono così definitivamente separati l’una dall’altro? Comunque stiano le cose, non viene discussa la portata della dottrina evoluzionistica come filosofia prima e l’esclusività del metodo positivo come unico tipo di scienza e di razionalità. Occorre che questa discussione venga iniziata da entrambe le parti con serenità e disponibilità ad ascoltare, cosa che finora è accaduta solo in modo debole. Nessuno potrebbe mettere seriamente in dubbio le prove scientifiche dei processi microevolutivi. Reinhard Junker e Sieghfried Scherer dicono a questo proposito nel loro Kritisches Lehrbuch sull’evoluzione: «Tali fenomeni [i processi microevolutivi] sono ben conosciuti a partire dai processi naturali di variazione e di formazione. Il loro esame per mezzo della biologia evolutiva portò a conoscenze significative a proposito della capacità strabiliante di adattamento dei sistemi viventi». Dicono in questo senso che si può a ragione caratterizzare la ricerca sull’origine come la disciplina regina della biologia.

La domanda che un credente può porsi di fronte alla ragione moderna non è su questo, ma sull’estensione di una
philosophia universalis che ambisce a diventare una spiegazione generale del reale e tende a non consentire più nessun altro livello di pensiero. Nella stessa dottrina evoluzionistica il problema si presenta quando si passa dalla micro alla macroevoluzione, passaggio a proposito del quale Szamarthy e Maynard Smith, entrambi sostenitori di una teoria evoluzionistica ricomprensiva, ammettono anche loro: «Non ci sono motivi teorici che lascino pensare che delle linee evolutive aumentino in complessità col tempo; non ci sono neanche prove empiriche che ciò avvenga».


La domanda che ora bisogna porre va più in profondità: si tratta di sapere se la dottrina evoluzionistica può presentarsi come una teoria universale di tutto il reale, al di là della quale le ulteriori domande sull’origine e la natura delle cose non sono più lecite né necessarie, o se domande ultime del genere non superino il campo della pura ricerca scientifico-naturale. Vorrei porre la domanda in modo ancora più concreto. Dice veramente tutto una risposta come quella che troviamo, per esempio, nella seguente formulazione di Popper: «La vita, come noi la conosciamo, consiste di “corpi” fisici (meglio: di processi e strutture) che risolvono problemi. Che le diverse specie hanno “imparato” tramite la selezione naturale, cioè tramite il metodo di riproduzione più variazione; metodo che, da parte sua, fu imparato secondo lo stesso metodo. È una regressione, ma non è infinita…»?

Non credo proprio.

In fin dei conti si tratta di un’alternativa che non si può più risolvere semplicemente né a livello delle scienze naturali e in fondo neanche della filosofia. Si tratta di sapere se la ragione, o il razionale, si trova o no al principio di tutte le cose e a loro fondamento. Si tratta di sapere se il reale è nato sulla base del caso e della necessità (o, con Popper, d’accordo con Butler del
Luck and Cunning [caso felice e previsione]), e quindi da ciò che è senza ragione, se, in altri termini, la ragione è un casuale prodotto marginale dell’irrazionale, insignificante, alla fine, nell’oceano dell’irrazionale, o se resta vera quella che è la convinzione fondamentale della fede cristiana e della sua filosofia: In principio erat Verbum – al principio di tutte le cose c’è la forza creatrice della ragione.
La fede cristiana è oggi come ieri l’opzione per la priorità della ragione e del razionale.
Questa domanda ultima non può più, come già si è detto, essere risolta tramite argomenti tratti dalle scienze naturali, e il pensiero filosofico stesso qui si blocca.

In questo senso non si può fornire alcuna prova ultima dell’opzione cristiana fondamentale. Ma la ragione può, ultimamente, senza rinnegare se stessa, rinunciare alla priorità del razionale sull’irrazionale, al
Logos come principio primo? Il modello ermeneutico offerto da Popper, che rientra sotto diverse forme in altre presentazioni della “filosofia prima”, dimostra che la ragione non può che pensare anche l’irrazionale secondo la sua misura, e quindi razionalmente (risolvere problemi, elaborare metodi!), ristabilendo così implicitamente proprio il primato contestato della ragione. Con la sua opzione a favore del primato della ragione, il cristianesimo resta ancora oggi “razionalità”, e penso che una razionalità che si sbarazzi di questa opzione significherebbe per forza, contrariamente alle apparenze, non un’evoluzione ma un’involuzione della razionalità.


Abbiamo visto in precedenza che nella concezione del primo cristianesimo le nozioni di natura, uomo, Dio, ethos e religione erano indissolubilmente connesse l’una all’altra e che quel nesso aveva proprio aiutato il cristianesimo a vederci chiaro nella crisi degli dei e nella crisi dell’antica razionalità. L’orientarsi della religione verso una visione razionale del reale, l’ethos come parte di questa visione e la sua applicazione concreta sotto il primato dell’amore, si associarono l’uno all’altro. Il primato del Logos e il primato dell’amore si rivelarono identici.
Il
Logos non apparve più solo come ragione matematica alla base di tutte le cose ma come amore creatore fino a diventare com-passione verso la creatura. La dimensione cosmica della religione che venera il Creatore nella potenza dell’essere, e la sua dimensione esistenziale, la questione della redenzione, si compenetrarono e divennero una cosa sola.

Di fatto, una spiegazione del reale che non può in modo sensato e comprensivo fondare un
ethos resta necessariamente insufficiente. Ora, è un fatto che la teoria evoluzionistica, là dove rischia di allargarsi in philosophia universalis, tenta di fondare un nuovo ethos sulla base dell’evoluzione. Ma questo ethos evoluzionistico, che trova ineluttabilmente la sua nozione chiave nel modello della selezione, e quindi nella lotta per la sopravvivenza, nella vittoria del più forte, nell’adattamento riuscito, ha poco di consolante da offrire. Anche là dove si cerchi di abbellirlo in vari modi, resta ultimamente un ethos crudele. Lo sforzo per distillare il razionale a partire da una realtà insensata in se stessa fallisce qui in modo lampante. Tutto ciò serve a ben poco per quello di cui abbiamo bisogno: un’etica della pace universale, dell’amore pratico del prossimo e del necessario andare oltre il particolare.


Il tentativo di ridare, in questa crisi dell’umanità, un senso comprensibile alla nozione di cristianesimo come religio vera deve, per così dire, puntare ugualmente sull’ortoprassia e sull’ortodossia. Al livello più profondo il suo contenuto dovrà consistere, oggi – come sempre, in ultima analisi –, nel fatto che l’amore e la ragione coincidono in quanto veri e propri pilastri fondamentali del reale: la ragione vera è l’amore e l’amore è la ragione vera. Nella loro unità essi sono il vero fondamento e lo scopo di tutto il reale.


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)