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2. Oltre Agostino e la pax christiana del primo millennio

La posizione di Lutero, che trova solo parzialmente comprensione nei pregiudizi antiebraici del tempo, è tanto più significativa quanto più si discosta da un iniziale scritto dell’autore, Dass Jesus Christus ein geborener Jude sei(Gesù Cristo è nato ebreo), del 1523, il quale, già nel titolo, indica un atteggiamento affatto ostile verso gli ebrei.
Qui la diffidenza ebraica verso il cristianesimo è spiegata a partire dai limiti della cristianità che, chiusa e ostile verso il popolo ebraico, non ha manifestato il volto compassionevole di Gesù. In precedenza, nel febbraio del 1514, nel contesto della controversia sulla distruzione dei libri ebraici che tormentò il mondo tedesco del primo Cinquecento, egli si era dichiarato contrario al divieto del Talmud. La “tolleranza” del giovane Lutero dipendeva dalla sua fedeltà alla Scrittura.

Come si deduce da una sua lettera a Georg Spalatin del febbraio 1514, i teologi di Colonia non potevano impedire agli ebrei di offendere Cristo e i suoi, attraverso la distruzione dei libri, poiché ciò era predetto dai profeti ed era contenuto nella Scrittura. La presenza della sinagoga, anche dopo la Chiesa, appare come un mistero che deve essere presente ai cristiani senza che essi pretendano di risolverlo in chiave politica. Le motivazioni luterane, come fa notare Adriano Prosperi, hanno un chiaro orientamento agostiniano.
Prosperi, nella introduzione alla traduzione italiana di Degli ebrei e delle loro menzogne, mostra come il tardo Lutero, rompendo con la sua posizione iniziale, operi un «distacco dall’esegesi agostiniana»24, esegesi che aveva permesso la coabitazione tra ebrei e cristiani nel primo millennio. «Agostino» osserva Prosperi «aveva giustificato la permanenza storica della religione ebraica come provvidenziale funzione di testimonianza della verità nei confronti dei negatori – pagani, eretici – della continuità della tradizione biblica veterotestamentaria nella Chiesa cristiana.

Ma aveva posto due condizioni a quella permanenza: l’una, che gli ebrei non dovessero essere maltrattati o uccisi per la loro colpa originaria; l’altra, che gli ebrei si sarebbero convertiti per ultimi alla fine dei tempi. Collegando il passo del Salmo 58, 15 con quello di Genesi 4, 15, aveva accostato la sopravvivenza degli ebrei come popolo unito da una religione a quella di Caino dopo l’uccisione di Abele. Il “segno” posto da Dio su Caino perché nessuno lo uccidesse era stato posto anche sugli ebrei: quel segno, secondo Agostino, era la loro religione.
Accanto a questa funzione protettiva del “segno” posto sugli ebrei, Agostino aveva ripreso l’interpretazione paolina del Salmo 58, 15: convertentur ad vesperam:gli ebrei erano destinati a convertirsi per ultimi, alla fine dei tempi, in fine mundi»25. In tal modo «dall’attesa apocalittica della conversione finale e dal significato provvidenziale attribuito alla presenza ebraica era derivata per gli ebrei la garanzia di un libero esercizio della loro religione»26.


Il giudizio di Prosperi coincide qui con quello di Léon Poliakov per il quale, secondo «il più illustre padre della Chiesa, Agostino», gli ebrei dovevano «rimanere protetti nelle loro vite e nel loro culto, in quanto “popolo testimone della crocifissione”, per testimoniare così la verità del cristianesimo e l’errore dell’ebraismo.
Così, in seguito, nel corso dei secoli, la Chiesa romana cercò di proteggere gli ebrei i quali, dal canto loro, considerarono i sovrani pontefici come l’ultima spiaggia. Ma generalmente, la condizione degli ebrei nel Medioevo non fu certo uniformemente tragica: certo, fu oscurata da sporadici massacri, da accuse di omicidio rituale ed altre ancora, ma per lo più essi vissero in accordo coi cristiani ed esercitarono (tranne l’agricoltura) i loro stessi mestieri»27.

Questa tolleranza caratterizzò, secondo Poliakov, l’Occidente latino. «Viceversa, la Chiesa greca ortodossa, che si era debitamente astenuta dal canonizzare sant’Agostino, aveva rifiutato la sua dottrina. Per questo fatto, i primi zar rifiutarono di ammettere gli ebrei nelle loro terre e quando, nel XVIII secolo, la Russia imperiale si annetté ad ovest alcuni territori già popolati da ebrei, questi furono sottomessi a severe leggi eccezionali»28.


L’autorità di Agostino costituisce così, tanto per Prosperi quanto per Poliakov, un essenziale punto di riferimento per comprendere il destino e le vicende degli ebrei in seno alla cristianità. Finché essa è unanimemente riconosciuta, come accade nel primo millennio, intatta permane la consapevolezza del mistero significato dal popolo ebraico, consapevolezza che limita le tentazioni di emarginazione e distoglie da velleità di conversioni forzate.
Come scrive Lucie Kaennel: «Fino all’XI secolo l’integrazione degli ebrei con la popolazione cristiana occidentale e con il mondo arabo spagnolo non presenta grandi difficoltà. Le comunità ebraiche godono della protezione dei sovrani. Mercanti ebrei assicurano le indispensabili relazioni fra la cristianità d’Occidente e il mondo islamico; tra le varie comunità religiose regna una relativa tolleranza»29. Tra il 1000 e il 1200 l’ebraismo diventa l’ideale punto d’incontro tra la cristianità latina e le grandi correnti del pensiero antico ed arabo-islamico, dando un apporto decisivo alla cultura medievale. È il tempo di Judah Halevi (1075-1141) e di Mosheh ben Maimôn, detto Maimonide (1135/38-1204), il più grande pensatore ebreo del Medioevo.

La situazione cambia nel corso dei secoli XIII e XIV. Nello spirito nuovo, contrassegnato dalle crociate contro l’islam e gli Albigesi, matura anche un atteggiamento diverso. Nel 1290 gli ebrei vengono cacciati dall’Inghilterra, nel 1308 dalla Francia; è l’inizio di un processo che culmina, nel 1492, con la loro espulsione dalla Spagna. Non è facile spiegare i perché di questa «svolta netta rispetto al percorso segnato da Agostino»30. Amos Funkenstein chiama in causa l’indirizzo razionalistico della nuova filosofia e la maggior conoscenza del Talmud che faceva apparire gli ebrei moderni come “eretici” rispetto al deposito veterotestamentario31. Con ciò i vincoli posti da Agostino a tutela della componente ebraica venivano a cadere.


La cristianità, che riserra le sue file attorno alla “rivoluzione pontificia” del XII-XIII secolo, appare meno nelle vesti della Chiesa pellegrina, la civitas Dei agostiniana, che del regno compiuto. L’ansia di purificazione che la percorre si traduce, all’esterno, in una lotta serrata con l’impero, gli eretici, i non cristiani. Al fondo v’è il presagio che il tempo del mondo volge alla fine. «La Chiesa rinnovata» così Gioacchino da Fiore «sta entrando nell’età dello Spirito», l’epoca finale della storia. Anche Lutero condivide questa visione “apocalittica”; anche per lui è scoccata l’ora decisiva nella lotta pro o contro l’Evangelo.

A partire da qui si precisa la sua concezione dell’avversario, ebreo, papista, turco, pagano, eretico32. Se ciò è vero, l’antiebraismo moderno, e ciò non è stato notato a sufficienza, troverebbe una chiave esplicativa nella tensione apocalittica che, a partire dal Medioevo, percorre gli animi. In ciò la rottura con la tradizione agostiniana – Gioacchino da Fiore contro Agostino33 – per la quale la civitas Dei e la civitas hominisrestano perplexae sino alla fine, e il conseguente ultimatum, dato agli ebrei, di convertirsi o di andarsene dal mondo “cristiano”.


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)