00 07/09/2012 17:49

CAPITOLO 15

Ove si mostra ai proficienti, che cominciano a entrare in questa conoscenza generale della contemplazione, come sia a loro opportuno servirsi talvolta della meditazione discorsiva e delle loro potenze naturali.

1. Su quanto già è stato detto può sorgere un dubbio: i proficienti, quelli cioè che Dio comincia a introdurre in questa conoscenza soprannaturale di contemplazione, di cui sto parlando, e che iniziano appena a farne esperienza, non devono mai servirsi della meditazione, dei ragionamenti e delle immagini naturali? A questo dubbio si risponde nel modo seguente: a coloro che cominciano ad avere questa conoscenza amorosa generalmente non è proibito cercare di meditare, sia perché, essendo all’inizio del loro cammino, non sono abituati a questa conoscenza amorosa al punto d’intraprenderla immediatamente appena vogliano, sia perché non si sono ancora distaccati dalla meditazione tanto da non potere più talvolta meditare o discorrere naturalmente, com’erano soliti fare, con le immagini e le letture consuete, per trarne qualche nuovo profitto. Anzi, al principio, quando dagli indizi suddetti tali persone si accorgeranno che la loro anima non è più occupata nella conoscenza che dà pace, dovranno avvalersi della meditazione discorsiva, finché non arriveranno alla contemplazione abituale in un modo più o meno perfetto, come accennavo sopra. Ciò accadrà quando, volendo meditare, non raggiungeranno immediatamente la conoscenza e la pace interiore, e neppure ne avranno il minimo desiderio, come ho detto. Prima di arrivare a questo stato, che è proprio dei proficienti, si deve ricorrere sia all’uno che all’altro esercizio, secondo i momenti.

2. Così l’anima molte volte si troverà immersa in questa amorosa e pacifica presenza di Dio, senza l’aiuto delle sue potenze, non ponendo atti particolari, cioè non operando attivamente, ma disponendosi solo a ricevere. Altre volte, invece, per potersi introdurre in tale presenza, dovrà aiutarsi dolcemente e moderatamente con la meditazione discorsiva. Ma una volta entrata in quello stato, torno a ripetere, l’anima non si serve più delle sue potenze. Al contrario, si può veramente dire che, a questo punto, la conoscenza e il diletto abbondano in essa e l’unica sua attività consiste in uno sguardo pieno d’amore per Dio, senza cercare di sentire o di volere qualcos’altro. Così, dunque, Dio le si comunica passivamente, proprio come la luce si comunica a chi ha gli occhi aperti e il cui unico sforzo è quello di tenerli aperti per riceverla. Ricevere la luce che si comunica soprannaturalmente significa che l’anima comprende passivamente. Quando si dice che essa che essa non agisce, non significa che non comprenda, ma che comprende cose che non richiedono la sua capacità, bensì solo la disponibilità a ricevere ciò che le viene dato, come accade per le illuminazioni, le illustrazioni o le ispirazioni divine.

3. Sebbene in questo stato la volontà riceva gratuitamente questa conoscenza generale e confusa di Dio, per avere più semplicemente e abbondantemente questa luce divina è necessario solo che s’impegni a non interporvi altre luci più palpabili di altre conoscenze, forme o immagini di qualsiasi genere, perché niente di tutto questo somiglia a quella luce delicata e pura di Dio. Per questo, se l’anima volesse allora comprendere e meditare cose particolari, anche se spirituali, creerebbe ostacolo alla luce limpida, semplice e generale dello spirito, frapponendole come delle nubi. Somiglierebbe a colui che ha davanti agli occhi qualche ostacolo che gli impedisce di vedere la luce e di spingere più oltre lo sguardo.

4. Risulta quindi chiaro che, quando l’anima sarà completamente purificata e libera da tutte le forme o immagini percepibili, s’immergerà in questa luce pura e semplice, trasformandosi in essa fino allo stato di perfezione. Difatti questa luce non manca mai all’anima, però non le si comunica in presenza delle forme e dei veli delle creature, da cui è avvolta e impedita. Se l’anima si libererà da questi ostacoli, completamente, come dirò più avanti, si ritroverà nel puro spogliamento e nella povertà di spirito. Divenuta semplice e pura, essa si trasformerà nella semplice e pura Sapienza, che è il Figlio di Dio. Quando nell’anima innamorata viene a mancare ciò che è naturale, immediatamente penetra n essa il divino, in un modo naturale e soprannaturale, perché non si abbia il vuoto della natura.

5. La persona spirituale impari a starsene in un’attenzione amorosa per Dio e conservi il suo intelletto nella pace, quando non può meditare, anche se ha l’impressione di non fare nulla. Così, a poco a poco, e molto presto, le verranno infusi riposo e pace divina, con meravigliose e sublimi conoscenze di Dio, pregne del suo amore. E non si avvalga di idee, meditazioni, immagini o ragionamenti, per non turbare la sua anima e strapparla dalla sua gioia e pace. Ciò significherebbe procurarle disgusto e ripugnanza. Se, come ho detto, avesse lo scrupolo di non fare nulla, ricordi che non è poca cosa calmare la sua anima e conservarla nel riposo e nella pace, libera da ogni attività e preoccupazione. Ciò è quanto ci chiede anche il Signore per bocca di Davide: Vacate, et videte quoniam ego sum Deus (Sal 45,11), cioè: Imparate ad essere spogli di tutte le cose, sia interiormente che esteriormente, e vedrete che io sono Dio.

 

CAPITOLO 16

Ove si parla delle percezioni immaginarie che si presentano soprannaturalmente alla fantasia. Si afferma che non possono essere per l’anima un mezzo immediato per l’unione con Dio.

1. Dopo aver trattato delle percezioni che possiamo avere per via naturale e intorno alle quali lavorano la fantasia e l’immaginazione con l’aiuto del ragionamento, passo ora a trattare di quelle soprannaturali, che si chiamano visioni immaginarie, appunto perché, costituite da immagini, forme e figure, entrano nell’ambito di questi sensi, né più né meno di quelle prodotte per via naturale.

2. Ora va osservato che sotto il nome di visioni immaginarie si vogliono includere tutte le cose che possono presentarsi soprannaturalmente alla fantasia come immagini, forme, figure o specie. Infatti le percezioni e le immagini che i cinque sensi corporali producono nell’anima, in cui trovano la loro sede, possono verificarsi e stabilirsi in essa anche per via soprannaturale senza il concorso dei sensi esterni. In effetti, il senso della fantasia, insieme alla memoria, è come un archivio o deposito dell’intelletto, in cui vengono accolte tutte le forme e immagini intelligibili: al pari di uno specchio, la fantasia le conserva in sé, dopo averle ricevute dai cinque sensi oppure, come ho detto, per via soprannaturale. Le presenta poi all’intelletto, che a sua volta le analizza e le giudica. La fantasia può, inoltre, comporre e formare altre immagini simili a quelle che già conosce.

3. Si tenga presente che, come i cinque sensi esterni offrono a quelli interni le immagini e le forme dei loro oggetti, così – ripeto – sia Dio che il demonio possono, soprannaturalmente e senza il concorso dei sensi esterni, produrre le stesse immagini e forme, anzi di più belle e perfette. Dio, servendosi di queste immagini, spesso rivela all’anima molte cose e le insegna una profonda sapienza, come si legge in ogni pagina della sacra Scrittura. Isaia (6,2-4), per esempio, vide Dio nella sua gloria circondato dal fumo che riempiva il tempio e dai serafini che si coprivano il volto e i piedi con lei ali; Geremia (1,11) vide la verga che vigilava e Daniele (7,10) ebbe moltissime visioni, ecc. Anche il demonio cerca d’ingannare l’anima con le sue – apparentemente buone – manifestazioni, come si legge nel primo libro dei Re, quando ingannò tutti i profeti di Acab: mostrò alla loro immaginazione i corni con cui, affermava, avrebbe distrutto gli assiri; e invece mentiva (1Re 22,11). Si potrebbero qui ricordare anche le visioni che ebbe la moglie di Pilato (Mt 27,19), perché questi non condannasse Cristo, e molti altri episodi. Da ciò risulta che nello specchio della fantasia e dell’immaginazione tali visioni immaginarie si presentano ai proficienti più frequentemente di quelle corporee esterne. Come ho detto, le visioni immaginarie non si differenziano, quanto alla forma e alla rappresentazione, da quelle provenienti dai sensi esterni. Sono, invece, molto diverse quanto all’effetto che producono e alla loro perfezione, perché sono più sottili e producono nell’anima un effetto più profondo, in quanto soprannaturali e più interiori di quelle soprannaturali provenienti dai sensi esterni. Ciò non toglie, tuttavia, che alcune delle visioni corporee esterne producano un effetto maggiore; in fondo, Dio si comunica all’anima come gli pare e piace. Ma voglio soltanto dire che tali visioni, in quanto spirituali, sono generalmente più efficaci.

4. Ordinariamente il demonio per i suoi inganni, sia naturali che soprannaturali, si serve dei sensi dell’immaginazione e della fantasia. Essi, infatti, sono la porta d’entrata nell’anima e qui, come ho detto, l’intelletto attinge, quasi fosse un porto o un luogo dove prendere e deporre le sue provviste. Per questo, sia Dio che il demonio sono solleciti nell’offrire all’intelletto le pietre preziose delle loro immagini e forme soprannaturali. Tuttavia Dio non ricorre solo a questo mezzo per istruire l’anima, ma, dimorando sostanzialmente in essa, può fare ciò in modo diretto e con altri mezzi.

5. Non è ora il caso che mi dilunghi a descrivere i segni per riconoscere quali visioni provengano da Dio e quali no, e i diversi modi in cui esse avvengano. Il mio intento, infatti, non è questo, ma soltanto mostrare che l’intelletto deve stare attento affinché le visioni provenienti da Dio non gli siano d’impedimento o di ostacolo all’unione con la divina Sapienza, e le false non lo traggano in inganno.

6. Per questo dico che l’intelletto non deve lasciarsi ingombrare né tanto meno deve nutrirsi di tutte queste percezioni e visioni immaginarie o di qualsiasi altra rappresentazione che gli si presenti sotto una forma, figura o conoscenza particolare, siano esse false e provenienti dal demonio o sicuramente vere perché provenienti da Dio. L’anima non deve accoglierle né trattenerle, ma rimanerne distaccata, spoglia, pura e semplice, senza alcuna forma o modalità, come si richiede per l’unione con Dio.

7. Questo perché tutte le forme suddette, nel momento in cui vengono percepite, si presentano sempre – ripeto – sotto forme e modi limitati, mentre la Sapienza di Dio, alla quale deve unirsi l’intelletto, non ha forma né modo speciali; essa non soggiace ad alcun limite, né tanto meno è contenuta in una conoscenza distinta e particolare, perché è totalmente pura e semplice. Per unire due estremi, come quelli dell’anima e della Sapienza divina, è necessario che vi sia tra loro una certa somiglianza; perché l’anima si unisca alla Sapienza divina, dev’essere pura e semplice, non limitata né legata ad alcuna conoscenza particolare, né modificata dai limiti di forme, specie o immagini. Dio non può essere contenuto in alcuna immagine o forma né in una cognizione particolare; per questo, se l’anima vuole unirsi a lui, non dev’essere assoggettata a una forma o conoscenza distinta.

8. Che in Dio non esista forma né somiglianza, lo fa ben capire lo Spirito Santo nel libro del Deuteronomio quando afferma: Vocem verborum eius audistis, et formam penitus non vidistis: Voi udivate il suono delle parole, ma non vedevate alcuna figura (Dt 4,12). Aggiunge che c’erano tenebre, nuvole e oscurità (Dt 4,11), cioè questa conoscenza confusa e oscura di cui sto parlando, nella quale l’anima si unisce a Dio. Poco più avanti dice: Non vidistis aliquam similitudinem in die, qua locutus est vobis Dominus in Horeb de medio ignis, cioè: Non vedeste alcuna figura, quando il Signore vi parlò sull’Oreb dal fuoco (Dt 4,15).

9. Che l’anima non possa giungere fino alle altezze di Dio, nei limiti concessi in questa vita, per mezzo di figure e immagini, ce lo ricorda ancora la sacra Scrittura nel libro dei Numeri. Ivi si legge che Dio rimproverò Aronne e Maria perché avevano mormorato contro Mosè, loro fratello, per far loro comprendere a qual grado di unione e di amicizia lo aveva elevato. Disse loro così: Si quis inter vos fuerit propheta Domini, in visione apparebo ei, vel per somnium loquar ad illum. At non talis servus meus Moyses, qui in omni domo mea fidelissimus est: ore enim ad os loquor ei, et palam, et non per aenigmata et figuras Dominum videt, che significa: Se ci sarà un vostro profeta, io, il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò con lui. Non così per il mio servo Mosè: egli è l’uomo di fiducia in tutta la mia casa. Bocca a bocca parlo con lui, in visione e non con enigmi, ed egli guarda l’immagine del Signore (Nm 12,6-8). Questo testo ci fa chiaramente comprendere che nell’eccelso stato di unione, di cui sto parlando, Dio non si comunica all’anima sotto i veli di visioni immaginarie, di somiglianze o di figure, ma bocca a bocca: cioè l’essenza pura e semplice di Dio, che è come la sua bocca per amore, si comunica all’essenza pura e semplice dell’anima, che è come la sua bocca per amore di Dio.

10. Pertanto, per giungere a quest’unione d’amore di Dio essenziale, l’anima deve fare attenzione a non attaccarsi a queste visioni immaginarie, forme, rappresentazioni o conoscenze particolari, che non possono essere un mezzo adeguato e immediato per tale scopo; anzi le sarebbero d’impedimento; deve quindi rinunciare ad esse e cercare di evitarle. L’unico motivo per cui potrebbero essere accettate e apprezzate sarebbe quello del profitto e degli effetti buoni che le visioni vere producono nell’anima. Ma anche in questo caso è bene non accettarle, anzi conviene, per maggiore profitto, negarle sempre. Infatti il bene che queste visioni immaginarie possono operare nell’anima, insieme a quelle corporee esterne di cui si è parlato, consiste nel comunicare conoscenza, amore e dolcezza. Ora, perché producano questi effetti, non è necessario che l’anima le voglia accettare, come ho detto sopra. Le visioni li producono nel momento stesso in cui si presentano all’immaginazione; esse fanno sentire la loro presenza all’anima e le infondono conoscenza, amore, soavità o qualsiasi altra cosa voluta da Dio. Tale effetto viene prodotto nell’anima non solo simultaneamente, ma sostanzialmente, quantunque in momenti diversi, e passivamente, senza che essa possa impedirlo, anche se volesse. Del resto, prima non aveva potuto acquisirlo da sola, anche se dovette lavorare per disporsi a riceverlo. Prendiamo come esempio la vetrata. Come questa non può impedire al raggio di sole di penetrarla, e da esso viene illuminata, passivamente, senza suo concorso se non offrire la sua trasparenza, così l’anima, anche se volesse resistere, non potrebbe non ricevere gli influssi e le comunicazioni di tali visioni. Difatti alle visioni soprannaturali infuse non può resistere la volontà contraria, umile e piena di amore, ma solo l’impurità e l’imperfezione dell’anima, come le macchie sulla vetrata sono di ostacolo alla luce del sole.

11. È chiaro, quindi, che quanto più l’anima si spoglia, secondo la volontà e l’attaccamento, delle conoscenze e delle macchie causate da quelle forme, immagini e figure, con cui sono avvolte le comunicazioni spirituali di cui ho detto, non solo non si priva di tali comunicazioni e dei benefici che ne derivano, ma molto meglio si dispone ad accoglierle con abbondanza, chiarezza e libertà di spirito e semplicità, quando mette da parte tutte quelle conoscenze, perché sono cortine e veli che coprono la parte spirituale in esse contenuta. Se, al contrario, l’anima volesse nutrirsi di tali visioni, queste occuperebbero lo spirito e i sensi, tanto che non avrebbe più la semplicità e la libertà per ricevere simili comunicazioni. Tutto occupato nella corteccia, l’intelletto non avrebbe la libertà di ricevere lo spirito di quelle forme. Pertanto, se l’anima vuole accettare queste visioni e tenerle in conto, se ne ingombra e si contenta di quanto meno importante esse contengono, ossia di tutto quello che essa può afferrarne o conoscerne, come forma, immagine e conoscenza particolare. Difatti, quanto alla parte principale, cioè al bene spirituale che le viene infuso, l’anima non può afferrarlo o comprenderlo; non sa né saprà dire cosa sia, perché è un favore prettamente spirituale. Essa conosce soltanto ciò che di meno importante v’è in esse e secondo il suo modo d’intendere, cioè le forme sensibili. Per questo dico che di quelle visioni le viene comunicato ciò che essa non potrebbe comprendere né immaginare, e tutto ciò passivamente, senza che essa vi applichi o sappia applicarvi la sua capacità di comprensione.

12. L’anima deve, quindi, rifiutare sempre tutte le percezioni che essa può vedere e sentire distintamente, perché la comunicazione dei sensi non è un fondamento sicuro come la fede. Al contrario, deve fissare la sua attenzione non su ciò che appartiene ai sensi ma allo spirito, non su ciò che cade sotto immagini sensibili ma su ciò che porta all’unione nella fede, la quale, come ho detto, ne costituisce il mezzo adatto. Così l’anima trarrà profitto per la sua fede da ciò che di sostanziale c’è in queste visioni, quando saprà rinunciare completamente a ciò che in esse c’è di sensibile e d’intelligibile e, rifiutandole, le userà bene in vista del fine che Dio ha voluto nel comunicargliele. Infatti, come si diceva parlando delle visioni corporee, Dio non le concede all’anima perché essa desidera averle e nemmeno affinché ponga in esse il suo attaccamento.

13. Ma a questo punto sorge un dubbio: se è vero che Dio concede all’anima visioni soprannaturali non perché essa le desideri, vi si attacchi o le apprezzi, allora per quale altra ragione gliele concede? Infatti l’anima, con simili comunicazioni, può cadere in molti errori e pericoli o perlomeno negli inconvenienti descritti che le impediscono di progredire. In realtà Dio potrebbe dare e comunicare spiritualmente e sostanzialmente ciò che invece, attraverso i sensi, le comunica in queste visioni e immagini sensibili.

14. Risponderò a questo dubbio nel capitolo seguente, perché si tratta di una dottrina importante, anzi fondamentale, secondo me, sia per le persone spirituali sia per coloro che le guidano. Ivi s’indicherà il modo di agire e il fine che Dio in quelle cose si prefigge; proprio perché molti ignorano tutto ciò, non sanno governarsi e non sanno guidare se stessi né gli altri verso l’unione divina. Pensano in realtà che, per il solo fatto che tali visioni sono vere e vengono da Dio, sia bene accettarle e basarsi su di esse, non considerando che pure in esse l’anima può nutrire spirito di possesso, attaccamento e ostacolo, allo stesso modo delle cose del mondo, se non saprà rinunciarvi. Crederanno bene accogliere quelle buone e respingere le altre, mettendo se stessi e le anime in grandi difficoltà e gravi pericoli, perché dovranno discernere tra le visioni vere e quelle false. Ma Dio non vuole che vengano a trovarsi in tali situazioni, né prescrive loro di esporre le anime semplici e umili a questi pericoli e incertezze. Essi, cioè coloro che le guidano, hanno una dottrina sana e sicura, che è la fede, con cui possono certamente andare avanti.

15. Per questo motivo occorre chiudere gli occhi a tutto ciò che viene dai sensi, come pure alle conoscenze chiare e particolari. Anche Pietro, pur essendo certissimo d’aver avuto una visione della gloria di Cristo nella trasfigurazione, tuttavia – dopo averla riportata nella sua seconda lettera – non volle che fosse presa come principale argomento di certezza. Per raccomandare la fede aggiunse: Et habemus firmiorem propheticum sermonem: cui benefacitis attendentes, quasi lucernae lucenti in caliginoso loco, donec dies elucescat, ecc.: Ma abbiamo una parola ancor più sicura, quella dei profeti, alla quale fate bene a prestare attenzione, come a lampada che brilla in luogo oscuro (2Pt 1,19). Quest’ultimo paragone, se ci riflettiamo bene, racchiude la dottrina che sto illustrando. Quando si dice di guardare alla fede, di cui parlarono quei profeti, come a lampada che brilla in luogo oscuro, si dice che dobbiamo tenerci al buio, chiudendo gli occhi a tutte le luci della terra e che, in queste tenebre, solo la fede, anch’essa oscura, è la luce a cui dobbiamo aggrapparci. Se, invece, vogliamo basarci su altre luci o conoscenze chiare e distinte, cessiamo di aggrapparci alla luce oscura della fede, che non ci offre più la sua luce in questo luogo oscuro di cui parla san Pietro. Questo luogo significa l’intelletto, che è il candeliere su cui poggia la candela della fede; esso deve rimanere oscuro fino a quando, nell’altra vita, spunterà il giorno della chiara visione di Dio e, in questa, quello della trasformazione e dell’unione con Dio, verso cui l’anima s’incammina.

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)