00 12/10/2012 21:50
[SM=g1740720]  1) La preghiera

Occorre riaffermare il primato del soprannaturale, soprattutto in un’opera quale la genuina riforma della Chiesa. La Chiesa è essenzialmente un “mistero” divino, e noi invece ne abbiamo intrapreso la riforma con lo stesso spirito naturalistico con cui si mette mano alla riparazione di una società terrena! La Chiesa, creatura prediletta di Dio, sposa di Gesù Cristo, è dall’alto che deve attendersi l’aiuto e i criteri per il suo salutare aggiornamento. “Dalla virtù del Signore risuscitato essa trova forza per vincere con pazienza e carità le sue interne ed esterne difficoltà” (140). Si è, invece, in troppi ad attenderlo, quell’aggiornamento, quasi esclusivamente da metodi nuovi, organizzazioni nuove, tecniche d’apostolato nuove, pedagogie nuove, didattiche nuove, nuovi e più potenti mezzi di diffusione del pensiero!

L’aiuto di Dio, la luce soprannaturale si implorano con la preghiera. E in tale implorazione umile e fiduciosa non è possibile dimenticare l’intervento della beatissima Vergine Maria, madre di Dio e madre della Chiesa. Ma, oggi, si è forse in molti a pregare, a soffrire e ad offrirsi perché la Chiesa realizzi degnamente l’opera della propria riforma, e superi presto la crisi che la travaglia? Non direi. Il giubileo di purificazione spirituale e di preghiera indetto dal S. Padre Paolo VI subito dopo il Concilio, è quasi caduto nel vuoto; in talune chiese locali fu la gerarchia stessa ad ignorarlo! Né migliore accoglimento ha incontrato “l’anno della Fede”, indetto dal Papa in occasione del XIX centenario del martirio dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo. Eppure i veri riformatori — e tra questi il Clero in prima fila, e in exemplum — si ama vederli meglio in chiesa, inginocchiati davanti al Tabernacolo, che non sugli schermi televisivi in blouson noir e con la sigaretta in bocca!
Una simile insensibilità all’aspetto soprannaturale della riforma è uno dei fattori e degli indici più inquietanti della crisi. Ed è, insieme, uno degli effetti di quel tale ottimismo ad oltranza che vede tutto roseo nella situazione attuale o, quanto meno, una passeggera, inevitabile e benefica crisi di crescenza. In una simile persuasione, ad quid pregare affinché si realizzi l’unità di mente e di cuore tra i cattolici, e tutti insieme si sia uomini di buona volontà, umilmente docili allo Spirito Santo e all’autorità preposta da Gesù stesso a capo della sua Chiesa? Se mancano la sensazione della tempesta e la convinzione dell’assoluta necessità dell’aiuto di Dio, è impossibile che prorompa il grido della fede: “Signore, salvaci, perché stiamo perdendoci” (Mt. 8, 25)!

[SM=g1740766] 2) Riforma interiore

Nell’intenzione esplicita del Concilio, oltre che nella buona logica delle cose soprannaturali, la riforma interiore della mente e del cuore dei cattolici doveva precedere e accompagnare tutte le altre riforme. Per la Chiesa intera: ogni rinnovamento consiste essenzialmente nell’accrescimento della fedeltà alla propria vocazione; essa, infatti, è chiamata da Cristo a questa continua riforma di cui, in quanto istituzione umana e terrestre, ha sempre bisogno (141). Per il Clero: l’auspicato rinnovamento di tutta la Chiesa dipende in gran parte dal ministero sacerdotale animato dallo spirito di Cristo (142). Per i religiosi: il rinnovamento comporta il continuo ritorno alle fonti di ogni forma di vita cristiana e allo spirito primitivo del proprio istituto religioso (143). Di rincalzo, Paolo VI: “a nulla servirebbero le riforme esteriori, senza questo continuo rinnovamento interiore, questo studio di modellare la nostra mentalità su quella di Cristo, in conformità all’interpretazione che la Chiesa ci offre”.
Ed invece, finora ci siamo buttati a pesce sulle altre riforme, quelle, per intenderci, che a noi personalmente non costano niente; e ci siamo dimenticati, o abbiamo dato l’ultimo posto alla riforma basilare, a quella, per intenderci, che impegna tremendamente la nostra responsabilità personale. Abbiamo prestato maggiore attenzione al come viene attuandosi la riforma della Curia Romana, del Collegio cardinalizio, della liturgia, dell’arte sacra, dell’assegnazione dei posti di responsabilità a livello diocesano, nazionale o internazionale, ma ben poco abbiamo aperto le orecchie per ascoltare “che cosa dice lo Spirito alle Chiese” (Apoc. 2, 7)!
Troppa fiducia sembriamo collocare in ricette sostanzialmente naturalistiche; la vita di fede e di grazia, quasi vergognosi della stoltezza della Croce di Cristo (cfr. 1 Cor. 1, 23), pare l’abbiamo relegata ai margini del problema, mentre la gravità della crisi che travaglia la Chiesa dovrebb’essere un rude, ma vigoroso richiamo al primato del soprannaturale!

L’appello alla riforma interiore potrebbe, senza dubbio, per taluni costituire un comodo alibi onde eludere le altre riforme. Ma riconosciamo sinceramente che per molti altri è l’alibi opposto che si trova più comodo, seppure più gravido di conseguenze. Si costruirebbe sulla sabbia, per non dire che si distruggerebbe!

[SM=g1740763] 3) Fedeltà al Concilio Vaticano II

Bisogna ritornare, da una parte e dall’altra, ad accettare integralmente, venerare e attuare con lealtà il Concilio Vaticano II: senza impazienze, ma anche senza resistenze; senza selezioni, ma anche senza adulterazioni. Di questo argomento abbiamo diffusamente trattato nel terzo capitolo. Qui si vuole riaffermare la inderogabile necessità, onde superare la crisi, che i documenti del Vaticano II, nella interpretazione autentica che ne dà l’Autorità legittima, e nella cornice sempre valida di tutto il precedente e concomitante Magistero ecclesiastico, siano accettati da tutti come norma sicura e vincolante, in ordine ai tempi, ai modi e ai limiti della genuina riforma. Si torni a credere al principio soprannaturale che le riforme le quali o restino al di qua o vadano al di là, peggio poi se contro le prescrizioni del Concilio e della legittima Autorità, non possono essere benedette da Dio, ancorché oggettivamente belle e utili. Ugualmente, un amore alla Tradizione che rifiutasse le riforme stabilite da un Concilio e attuate dalla legittima Autorità, sarebbe un amore spurio, non gradito a Dio. Nell’un caso e nell’altro, infatti, si avrebbe la presunzione di voler stabilire a proprio arbitrio ciò che giova e ciò che non giova alla Chiesa.

[SM=g1740762] 4) Fedeltà al Magistero ordinario della Chiesa

A questo punto potrebbe dire qualcuno: occorre fedeltà a Cristo e alla sua parola: questa è la soluzione definitiva di ogni difficoltà per la Chiesa!
Ben detto. Ma quando il Cristo non è più visibilmente presente sulla terra; quando la sua parola è consegnata ad un Libro, per sé muto e passibile di interpretazioni varie e perfino contrastanti, da dove mai potrà venire la soluzione concreta di una crisi, se non dall’Autorità gerarchica istituita da Cristo stesso a tale scopo? Da dove se non da un’autorità sempre viva, immediata, sempre presente e parlante, sempre in grado di garantire la fedeltà a Cristo e alla sua parola?
Solo il Magistero gerarchico può fornire la sicurezza che il progresso nella Chiesa avvenga nell’assoluto rispetto della sostanza del Deposito rivelato — cioè senza degenerare in progressismo —, e che il rispetto della Tradizione non ostacoli le doverose riforme — cioè non si radicalizzi in tradizionalismo. Solo il Magistero gerarchico può moderare le previe discussioni e, infine, decisoriamente sciogliere i contrasti, i dubbi, le incertezze, valutando le reciproche accuse delle due opposte tendenze: insomma, procurare che la sintesi fra Tradizione e progresso si realizzi nella verità e nella carità. Dovrebbe, dunque, cessare una buona volta la prevenzione, falsa e ingiusta, che il Magistero sia il luogo classico della “conservazione” e dell’immobilismo.


Magistero gerarchico è quello solenne dei Concili Ecumenici. Ma tali consessi, nella vita della Chiesa, sono piuttosto rari. E anche quando si concludono con dei documenti scritti, tali documenti sono soggetti, come avviene di tutte le carte morte, ad interpretazioni inesatte e perfino a vere deformazioni da parte di lettori o traduttori. È accaduto per tutti i Concili; sta accadendo — l’ho fatto rilevare nel terzo capitolo — anche per il Vaticano II. Ma per buona sorte della Chiesa, esiste il Magistero gerarchico ordinario, quello del Papa e dei vescovi in comunione con lui, dispersi in tutto il mondo. Anche questa forma di Magistero, a determinate condizioni, è garantita dal carisma dell’infallibilità. Bisogna però ammettere che l’universalità morale di tale Magistero, nonché la chiara intenzione di insegnare autoritativamente cose attinenti alla fede o alla morale di Cristo, non sempre né per tutti i fedeli sono di facile rilevazione. Non solo, ma possono darsi nella Chiesa — e, storicamente, si sono già date — situazioni di confusione e di incertezza, proprio a motivo della dissonanza tra l’insegnamento di singoli Vescovi, e perfino di interi episcopati, e quello di altri vescovi o di altri episcopati.

Come regolarsi, allora?

La Provvidenza del Signore, per una facile e sicura conoscenza da parte di tutti i fedeli, ha stabilito il magistero di un solo vescovo — il Vescovo di Roma, capo e pastore di tutto il gregge di Cristo — al quale, in definitiva, è subordinato il magistero degli altri singoli vescovi ed episcopati; un magistero conosciuto il quale è implicitamente conosciuto anche quello degli altri vescovi formanti comunione col Papa. Già fin dai tempi di S. Ireneo (a. 140-202), la voce documentata della Tradizione ecclesiastica insegnava che la Chiesa di Roma, a motivo del suo primato ricevuto nella persona del Beato Pietro, costituisce la via più breve e insieme più sicura per stabilire l’apostolicità, e quindi l’autenticità, di una dottrina. L’insegnamento di Roma è da considerare come l’unità di misura su cui misurare la dottrina cattolica, valida e obbligatoria anche per tutte le altre chiese del mondo (144).

Abbiamo, pertanto, nel Magistero del Papa, ordinario o straordinario che esso sia, la via più breve, più immediata, più sicura per misurare e mantenere la nostra fedeltà a Cristo, alla Parola di Dio scritta o tramandata, al Magistero gerarchico solenne ed ordinario. L’abbiamo, dunque, anche oggi per misurare la nostra fedeltà al Concilio Vaticano II e all’intera dottrina della Chiesa.




[SM=g1740758]  continua............

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)