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La storia autentica del Vaticano II — ancora da scrivere e, comunque, spesso diversa dalla narrazione dàtane da molta pubblicistica attuale — si incaricherà di misurare e documentare l’apporto effettivo delle due tendenze.
Una cosa dev’essere fuori discussione fin da adesso: nessuna delle due è stata inutile per la Chiesa in quel momento eccezionale della sua storia che si è chiamato il Vaticano II. Sarà fatta giustizia di tante malignità usate da certa stampa, laicista e non, nei confronti della tendenza di “fedeltà alla tradizione”, ironizzata per la sua minoranza numerica e, perfino, per la esigua estensione territoriale della diocesi di qualcuno dei suoi aderenti! Come se nelle cose di Chiesa fosse il numero a dover avere la meglio; o come se le validità dell’opinione di un vescovo dovesse commisurarsi alla superficie della sua diocesi!


Un altro fatto dev’essere fuori discussione, un fatto quasi sempre disatteso dai pubblicisti che si sono interessati del Concilio. Le due tendenze, benché vivacemente combattive durante le fasi della elaborazione e discussione dei documenti, ritrovarono il loro equilibrio nella fase conclusiva, attorno al Sommo Pontefice, dimostratosi ancora una volta il naturale ago della bilancia specialmente nei momenti critici della storia di un Concilio e della Chiesa.
Ne è prova la quasi assoluta unanimità dei placet con cui sono stati approvati e promulgati tutti i documenti del Vaticano II: unanimità raggiunta non per la via del compromesso (brutta parola, indegna di un Concilio!), ma per la via della sintesi di quanto di legittimo e giusto e utile l’una e l’altra tendenza promuoveva. La sintesi fra tradizione e progresso, fra il nuovo e il vecchio, ha così assicurato ancora una volta la continuità nella Chiesa, evitando sia i pericoli della sclerotizzazione della sua vitalità, sia i pericoli dell’alterazione del suo Deposito rivelato.


Una conseguenza molto importante da trarne subito è questa: i testi conciliari rispecchiano la mente e la volontà di tutt’intero l’episcopato cattolico, con le sue due legittime tendenze. Sarebbe, dunque, ingiusto e ingiurioso vivisezionare i documenti per distinguervi ciò che apparterrebbe alla maggioranza e ciò che apparterrebbe alla minoranza, per poi accettare questo e rifiutare quello, o viceversa. Il Concilio o lo si accetta in blocco, o lo si rifiuta in blocco, perché esso è opera del Collegio episcopale sotto la guida del Vicario di Cristo. Sarebbe scientificamente disonesto, oltre che teologicamente inammissibile, accordargli credito soltanto per quello che esso presenta di nuovo, o soltanto per quello che di vecchio esso ripropone alla cattolicità! [SM=g1740733]

Il Concilio, cioè la sola Gerarchia, non ha operato l’aggiornamento della Chiesa; ha soltanto indicato le direttrici di marcia su cui operarlo. A Concilio finito, è tutta la Chiesa — Gerarchia e fedeli, chierici e laici — che deve sentirsi impegnata ad operarlo. Tutt’e due le tendenze sono chiamate a contribuire lealmente alla buona riuscita dell’impresa.
I testi conciliari formano un complesso organico dove ciascuna parte si tiene a tutte le altre. Non è, perciò, lecito attuare del Concilio solo ciò che è facile o solo ciò che piace, tralasciando il resto. Però non è nemmeno lecito sovvertire la gerarchia dei valori intrinseci delle riforme o le gradualità di tempo stabilite dal Concilio stesso tra le varie parti della complessa opera. Bisogna rispettarle, con umiltà e pazienza, sotto pena di disordini, di squilibri o di insuccessi.

Il post-concilio avrebbe dovuto essere un periodo di tranquilla e serena, seppure niente affatto idilliaca, attuazione del programma. Ed invece, purtroppo, a neppure quattro anni dalla chiusura del Concilio, tanta è l’inquietudine che travaglia la famiglia cattolica che sembra di trovarci nell’occhio di un ciclone, umanamente parlando, sovvertitore di ogni cosa.

Le due tendenze stanno degenerando; le loro idee di fondo impazzendo. È sorto tutto un florilegio di denominazioni, cariche di senso dispregiativo, usate per discriminare hinc inde i rispettivi avversari. Si attinge perfino dal vocabolario sociologico e politico. Solo per motivi di praticità, qui si ricordano e adoperano le due denominazioni di “tradizionalisti” da una parte, e “progressisti” dall’altra.
Ma sia ben chiaro che il taglio netto, e la conseguente conta numerica, tra i due schieramenti nella realtà concreta non è possibile. Moltissimi dei cosiddetti “tradizionalisti” operano per la fedeltà al Deposito rivelato senza, per questo, rifiutarsi al progresso e alle riforme stabilite dal Concilio. Parimenti, moltissimi dei cosiddetti “progressisti” perseguono il legittimo progresso senza, per questo, venir meno alla fedeltà verso il Deposito riconfermata solennemente dal Concilio stesso. Però gli autentici tradizionalisti e gli autentici progressisti, anche se minoranze o “scapigliature”, esistono davvero. Sono queste minoranze a radicalizzare, e quindi a far impazzire, i legittimi punti di vista delle due tendenze. Sono esse che si coagulano in blocchi, contrapposti alla maniera manichea. Tutto il bene starebbe da una parte sola, tutto il male dall’altra.


Accusa di sabotare i Concilio, da sinistra; contraccusa di sovvertire la Chiesa, da destra. Sospetto di eresia, qui; autoproclamazione di ortodossia, là. Si “schedano” le persone, sì da badare quasi esclusivamente non già a che cosa venga detto, ma da chi venga detto: e tanto basta per un giudizio di merito! Si attribuiscono ai propri avversari le peggiori intenzioni, mentre ciascun blocco in rissa ha la sincera convinzione di difendere la causa della verità e della giustizia. Un blocco, spaventato dall’audacia avventurosa che attribuisce all’altro, sembra dire: è meglio star fermi che correre il rischio di sbagliare. Il secondo blocco, insofferente per l’immobilismo che attribuisce al proprio avversario, sembra dire: il vero rischio è quello di non rischiare! E così sembra che a destra si rifiutino le legittime riforme, a sinistra si mini l’integrità della Rivelazione.

Si giunge al punto di prendere a propria bandiera il nome o di Pio XII o di Giovanni XXIII — due grandi Servi di Dio, due candidati alla gloria degli altari — per etichettare atteggiamenti o contrabbandare dottrine che essi, se vivi, sarebbero i primi a condannare. Di Pio XII taluni hanno fatto un linciaggio morale che non è esagerazione chiamare un martirio post mortem. E di Giovanni XXIII, per mera contrapposizione, tal’altri hanno fatto il papa più amato ma anche il più tradito: tradito, travisandone parole e gesti ad avallo di opinioni o rivoluzioni che egli, per natura e per formazione sacerdotale, aborriva come la peste! Segni dei tempi, ancor questi!

E mentre sul piano ecumenico, o su quello dei rapporti con le religioni non cristiane, o addirittura con gli atei, codesti cattolici protestano di voler cercare più quel che unisce che non quel che divide, essi medesimi poi, nel seno della Chiesa, stanno creando e propagandando quel che può dividere i figli della stessa madre di fede! Direbbe ancora ai nostri giorni S. Paolo: “... vi sono tra voi delle discordie. Intendo dire questo, che ciascuno di voi dice: io sono di Paolo! — io sono di Apollo! — io sono di Cefa! — io sono di Cristo! Ma, che è stato fatto a pezzi il Cristo?” (1 Cor. 1, 11 sg.).


Se lo scisma giuridico della fede, fortunatamente, non è ancora esploso, quello morale della carità è già consumato. Anche se la maggior responsabilità di tale situazione ricade su chierici, ma è l’intero Popolo di Dio a soffrirne e a restarne profondamente conturbato. Il Sommo Pontefice Paolo VI, gemendo, non si stanca di richiamare a saggezza, ad umiltà, ad ubbidienza; il suo linguaggio è quello della verità nella più sviscerata carità. L’ascoltassero tutti!
Dio solo sa fino a quando, e a che prezzo, sarà permessa questa grande tribolazione della sua Chiesa.




[SM=g1740758]  continua..........

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)