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    .... e non si dica che fosse un tradizionalista, celebrava il nuovo rito, ma si rifiutava di dare la Comunione alla mano perchè, giustamente, il Concilio non lo chiese 

"Io ricordo questo nostro caro padre, insegnante di diritto canonico ci diceva sempre così: id quod voluit, legislator dixit, quod taquit , noluit, cioè quello che il legislatore ha voluto dire, lo ha veramente detto, quello che ha taciuto, non ha voluto dirlo. Va bene, carissimi, questa era l’interpretazione autentica e anche dei testi conciliari. Quindi praticamente è inutile che questi signori vengano a dire: va bene che la lettera del concilio è quella che i vangeli sono veramente storici, ma però lo spirito del concilio e via dicendo. Lo spirito del concilio semplicemente non esiste o per lo meno si potrebbe dire in tedesco che è un gaist, cioè un non spirito, uno spirito piuttosto maligno; allora bisogna essere estremamente attenti a non interpretare male il concilio, sia pure ci sono certi momenti in cui alcuni testi conciliari potrebbero prestarsi anche a questa sbagliata interpretazione...."

P. Thomas M. Tyn O.P. (conferenza su La Chiesa postconciliare)

qui il testo integrale della conferenza....
e nell'immagine il nostro pro-memoria   
http://cristianicattolici.freeforumzone.leonardo.it/d/8767018/Conferenza-sulla-situazione-nella-Chiesa-dopo-il-Concilio-da-meditare-/discussione.aspx















  Ci sono domenicani e domini-cani. Da inquisitori a inquisiti, storia e crepuscolo di un Ordine Religioso

Posted on 12/01/2014 

La crisi dell’ordine domenicano. A che punto è la notte?

È uno degli ordini più importanti della Cristianità. Ha dato fior di santi, San Domenico di Guzman e San Tommaso d’Aquino su tutti, come esempi luminosi per la Chiesa tutta. I suoi predicatori hanno percorso le strade del mondo per portare la Buona Novella e combattere le eresie, fedeli ai dettami del fondatore. Ma dalle sue fila sono venuti anche teologi che hanno contestato, sebbene non apertamente, il Magistero. Soprattutto nella modernità. Recando danni spirituali sia all’Ordine che alla Chiesa. E ora, ci chiediamo, a che punto è la crisi del glorioso ordine domenicano? E c’è una speranza di risalire la china?

di Dorotea Lancellotti dal sito papalepapale.com

L’ idea di Domenico di Guzman, fondare l’Ordine domenicano, è sintetizzata nella nota formula di S. Tommaso d’Aquino «contemplari et contemplata aliis tradere»: contemplare, ossia attingere la verità nell’ascolto e nella comunione con Dio e donare agli altri il frutto della propria contemplazione.

Il programma di Domenico è tutto qui ed è il medesimo che si proposero gli Apostoli: «Noi ci dedichiamo alla preghiera e al ministero della parola» (At. 6, 4).

Ritratto di domenicano

Il domenicano è per sua natura, prima di tutto, un contemplativo. Prima di essere maestro, è discepolo della verità; prima di essere padre e generatore della verità negli altri, è lui stesso generato dalla Verità. Egli «vive la verità nell’amore» – come si esprime l’apostolo Paolo – allo scopo di «far crescere l’umanità verso Cristo» (Ef. 4,15). Vivere in se stesso la verità evangelica è il presupposto per far crescere gli altri verso Cristo.

«Il frate predicatore – scrive il b. Umberto de Romans – attinge nella contemplazione ciò che poi dispensa nella predicazione [...] perciò quanto più uno è contemplativo, tanto più è adatto alla predicazione. »

E nel 2016 saranno 8oo candeline. Una sintesi doverosa

San Domenico di Guzman

E’ bene partire con una breve descrizione e indicazione circa il ramo femminile dell’Ordine domenicano, il quale non fu certo meno fecondo di frutti spirituali, nel campo della santità, di quello maschile.

San Domenico fondò il suo primo monastero di suore quando ancora sognava di poter raccogliere intorno a sé dei sacerdoti addetti alla predicazione. E non dimentichiamo che queste sorores erano delle autentiche monache di clausura, sebbene la clausura del Duecento differisse non poco da quella universalmente riformata poi dal Concilio di Trento.

Ed è un fatto degno di attenzione, non soltanto curioso, sapere dai documenti dell’epoca, che il monastero di Pruille veniva chiamato niente meno che la sacra praedicatio perché, per Domenico, non poteva esserci alcuna predicazione se questa non partiva prima dalla oratio, dalla preghiera, dalla contemplazione. È un dovere storico quanto spirituale, pertanto, riconoscere che le “predicatrici” furono prima dei predicatori. È questo solo un assaggio a quanto abbiamo già riportato nell’articolo dedicato alla Donna nella Chiesa.

A Roma papa Onorio III affidò a san Domenico la riforma dei monasteri urbani, in questo modo si favorì la fondazione stessa di San Sisto Vecchio, vera culla dell’Ordine in Italia. E da qui partiranno le domenicane incaricate di portare a compimento la prima fondazione bolognese, iniziata dalla beata Diana degli Andalò.

Non è cosa di poco conto che per tutto il XIII secolo, le Costituzioni delle suore di Pruille e di San Sisto Vecchio furono accolte con favore crescente anche da molti istituti non domenicani. Da considerare che tali Costituzioni erano quelle dei frati predicatori modificate, naturalmente, dalla femminilità dei soggetti.

Interi monasteri di altri ordini chiedevano di passare al nuovo istituto, implorando l’assistenza spirituale dei figli di San Domenico e, come in tutte le vicende umane, i frati dovettero ben presto difendersi da questa inflazione femminile del loro ordine; il rischio era infatti quello di una sopraffazione di una ondata di simpatia che costringeva non pochi frati ad accettare incarichi permanenti nei monasteri, con grave scapito dell’osservanza regolare e dell’austerità monastica, nonché di un impoverimento di quella vocazione specifica “dell’andare due a due” a predicare il Vangelo.

Alla fine l’ordine dovette abbandonare al clero secolare il governo e la direzione delle proprie suore.

La grave decisione non impoverì comunque l’ordine, al contrario, per nulla disarmate le figlie spirituali di san Domenico continuarono a fiorire e molti di questi monasteri ottennero il riconoscimento, quello del Secondo Ordine Domenicano. Il fascino, l’ideale, il carisma stesso domenicano non risparmiò neppure il laicato cattolico. Fin dai primi tempi molti buoni cristiani si raccolsero spontaneamente intorno ai Predicatori formando delle Confraternite, che poi sfociarono nel Terz’Ordine della penitenza di san Domenico, la cui stella più brillante la troviamo in santa Caterina da Siena, una “laica consacrata” – le mantellate – diventata Dottore della Chiesa.

Quanto al ramo maschile, ben conoscendole figure assai note come san Pio V, il b. Angelico, ed altri qui citati, dato il poco spazio vogliamo citare un papa domenicano beatificato.

Il beato papa Benedetto XI (1240-1304),tanto per descrivere alcuni fatti e il carattere ecclesiale dell’Ordine domenicano, si presenta a noi come l’antitesi perfetta del suo grande confratello Tommaso d’Aquino.

San Tommaso era nato nobile e della potente famiglia d’Aquino, ma detestò per tutta la vita le cariche onorifiche per la sua persona, riuscendo ad evitare per tutta la vita ogni incarico di governo nel suo stesso istituto. Niccolò Boccasino invece nacque da modesti genitori, il padre era notaio del comune e muore quando Niccolò era ancora bambino, lasciando la moglie e un altro figlio in forti ristrettezze economiche.

La sua fortuna, se di questa povertà dignitosa vogliamo parlare, somiglia molto a quella del suo grande conterraneo del secolo scorso, cioè a quella del pontefice San Pio X.

Il domenicano più famoso: s. Tommaso d’Aquino. (altorilievo in cartapesta leccese, fine ’800)

Nel 1254, mentre a Treviso il futuro papavestiva le bianche lane domenicane, san Tommaso d’Aquino aveva iniziato a Parigi la sua gloriosa carriera di insegnante e si preparava al magistero; e prima ancora, nel 1248, il futuro sant’Alberto, maestro di Tommaso – unico vescovo e domenicano a ricevere il titolo di Magno – riceveva una serie di prestigiosi incarichi. L’ordine di san Domenico era all’apogeo del suo splendore.

Sulla pia Bernarda, madre di Niccolò Boccasino, si racconta di un episodio che la tradizione ha voluto conservare nel tempo legato alla elezione del figlio a Sommo Pontefice, e che vogliamo raccontarvi.

Dalla nativa Treviso sarebbe giunta a Perugia – dove risiedeva allora il Papa – per riabbracciare almeno un ultima volta il figlio e vederlo in tanta gloria. Era giunta in città con poveri vesti di popolana. Ma prima di introdurla dal Pontefice, i cortigiani la convinsero, nonostante ne fosse contrariata, a vestirsi con abiti sfarzosi e principeschi che si addicevano, per loro, alla madre di un papa.

Benedetto XI appena la vide entrare imbarazzata sotto quelle vesti che non le si addicevano affatto, si mostrò dispiaciuto e tanto contrariato da non volerla ricevere.

La madre soffrì molto ma comprese di aver sbagliato, rivestì i suoi abiti di popolana e appena il figlio la vide, le andò incontro abbracciandola con infinita dolcezza davanti a tutta la corte.

 

Qualcuno sostiene l’ipotesi che se Benedetto XI avesse avuto la possibilità di governare la Chiesa invece di

morire così prematuramente, forse il protestantesimo non avrebbe avuto il successo che ebbe.

Ci siamo dilungati in questi episodi per sottolineare il carisma che ha sempre caratterizzato l’Ordine di san Domenico dai semplici frati, fino a quelli che ricoprirono alti incarichi come Bartolomé de Las Casas (Siviglia, 1484 – Madrid, 17 luglio 1566), il primo ecclesiastico a diventare vescovo del Nuovo Mondo e che, con profonda ortodossia, non risparmiò la sua difesa contro la tratta degli schiavi dall’Africa e in difesa degli indigeni nativi americani; san Giacinto Odrowaz O.P. in Polonia, il primo domenicano canonizzato dopo il Concilio di Trento e infine Giordano Bruno, la cui storia abbiamo raccontato qui.

Fino a quando, l’epoca dei “Lumi”, le battaglie risorgimentali ed altro, non hanno finito per far penetrare anche qui il sapore dell’apostasia che, seppur mai conclamata nell’Ordine, di certo non salutare.

Le epoche buie della Chiesa: quelle delle persecuzioni o… quelle delle apostasie?

Tra il 1700 e il 1800 i testimoni luminosi domenicani non mancarono. Ma l’Ordine visse una crisi.

Le cronache domenicane riportano un quadrodrammatico della Chiesa lungo l’arco di oltre un secolo tra il 1700 e la fine del 1800.

Siamo nel 1835 e Maestro Generale dell’Ordineè nominato Fr. Giacinto Cipolletti, 70° successore di san Domenico, il quale dovette assistere, impotente, alla quasi completa rovina dell’Ordine a partire dalla Spagna.

Sotto il regno di Ferdinando VII, infatti, l’Ordine si vide dimenticato delle glorie passate e nel 1820 dovette affrontare il decreto che sopprimeva i conventi con meno di ventiquattro religiosi. Nel 1821 pretendeva, ma senza riuscirvi, grazie al rifiuto dei vescovi, di sottomettere i religiosi ai vescovi stessi (ossia cancellare l’identità degli Ordini Religiosi e ridurre a clero i frati); e nel 1834 istituì una commissione per la riforma dei regolari, preludio inevitabile alla loro soppressione.

I mezzi usati furono a dir poco grotteschi, trovandoci nell’età dei lumi, ma molto funzionanti per un popolo superstizioso ed ignorante e non certo più cristiano bensì già avvelenato dalla propaganda laicista, illuminista ed anticlericale del 1700: scoppiò il colera e si sparse la voce che i “frati domenicani avvelenavano le fontane pubbliche”.

Queste dicerie provocarono una vera invasione nei conventi da parte della plebaglia, la quale fu responsabile di centinaia di massacri che, a quanto pare, una certa storia “laicista” sembra aver dimenticato.

Ma non bastava!

Nel 1835 vengono fatte una serie di leggi atte a liberare i religiosi dei vari Ordini dalle loro Regole e Costituzioni, tuttavia poiché i religiosi non volevano abbandonare i propri Ordini e mostravano una forte resistenza, nel 1837 ne fu decisa la soppressione.

 

Venne ingiunto il divieto di portare il proprio abito e la confisca di tutti i beni.

I domenicani dovettero scegliere tra l’esilio o la condizione di preti secolari. In Spagna l’Ordine si spaccò, molti divennero preti secolari, altri presero la via dell’esilio, l’aspetto era desolante ed infernale, l’Ordine completamente in rovina.

Non andava meglio nel resto d’Europa: nella Francia che avrebbe dovuto vantare il diritto-legalità e libertà, l’Ordine domenicano era del tutto scomparso in modo davvero violento; in Germania e in Belgio i frati erano costretti alla clandestinità, nelle nuove e moderne catacombe tirate su, paradossalmente, nell’età dei lumi.

Per non parlare dell’Olanda nella quale i frati svolgevano il proprio ministero travestiti da mercanti. Solo in Austria si registrava la tolleranza per alcuni conventi; in Ungheria, in Russia e in Lituania, i frati si contavano sulle dita di una mano e resistevano fra mille difficoltà. Negli Stati Uniti, addirittura, i domenicani si erano ridotti ad un lumicino.

 

Difficile pensare oggi queste situazioni, ma è storia ed è storia il fatto che la Vergine Santa mantenne la Sua promessa: l’Ordine resisterà ed esisterà fino alla fine del mondo.

Infatti, mentre la situazione appare drammatica un po’ ovunque, già nel 1838, in Italia, l’Ordine registra una forte ripresa, riesce a riaprire ben ottanta Conventi dei cinquecento preesistenti al momento della soppressione napoleonica.

Si sparge la voce e i frati esiliati, dispersi, cominciano a rientrare.

Ne è un esempio il Convento Patriarcale di Bologna nel quale al momento della soppressione vi erano 125 frati, e durante questa ripresa ne fecero ritorno dieci.

 

Intanto il nuovo Maestro Generale,Fr. Angelo Ancarani, 71° successore di san Domenico, chiese a papa Gregorio XVI di erigere a comunità di perfetta osservanza il Convento della Quercia, a Viterbo, dove già nel 1814 era stato fondato un noviziato internazionale.

La notizia è importante per le nostre “cronache” perché da questo convento posto sotto la giurisdizione del Maestro Generale, fu accolto il famoso padre Henri-Dominique Lacordaire con i suoi confratelli, di qui partirono le nuove forze, i futuri restauratori della vita domenicana.

La provvidenza scelse padre Lacordaire per la rinascita dell’Ordine, e non un’esagerazione se alcuni lo definiscono il “rifondatore” in Francia. Lo stesso Maestro Generale accolse il confratello condividendo insieme il suo progetto di reintrodurre il glorioso Ordine di san Domenico sul suolo francese.

Padre Lacordaire, l’uomo (controverso) della rinascita

Vale la pena di ricordare che al momento del primo trionfo padre Lacordaire non era ancora domenicano, ma era abate e teneva i quaresimali a Notre Dame. Così nel 1839, fatta la professione e vestite le bianche lane dopo il noviziato nel convento alla Quercia e a Boscomarengo (Alessandria), fece ritorno a Parigi presentandosi in pubblico con quell’abito domenicano che per troppi anni era stato bandito dalla Francia, e ritornò a predicare a Notre Dame da domenicano riscuotendo un grande successo attraverso nuove e molte conversioni.

In pochi anni riuscì a rifondare ben tre conventi, nei quali stabilì una perfetta osservanza delle Costituzioni.

Famosa la sua lettera sulla Santa Sede, dove riaffermava con forza le sue posizioni ultramontane, insistendo sul primato del Papa, pontefice romano, «depositario unico e permanente, [...] organo supremo della parola evangelica e fonte inviolabile della comunione universale » e sui vescovi. Questo testo guastò i suoi rapporti con monsignor de Quélen, gallicano convinto.

 

In Italia intanto si stavano verificando altri drammi per tutta la Chiesa: con i Moti del 1848 scoppiati in tutta Europa: Pio IX fu costretto a fuggire a Gaeta, anche il nuovo Maestro Generale, tale Vincenzo Ajello 72° successore di san Domenico, dovette fuggire presso amici per raggiungere Napoli. Gli succede Fr. Vincenzo Jandel entrato nell’Ordine grazie ad un incontro con padre Lacordaire, preferendolo alla Compagnia di Gesù nella quale aveva pensato di entrare in un primo momento.

A ragione padre Jandel è paragonato al beato Raimondo da Capua: come lui, con la sua Riforma diede inizio alla rinascita dell’Ordine, nei tempi burrascosi che contraddistinsero tutto il secolo XIX. Gli effetti benefici del suo lungo lavoro durarono per quasi cento anni, possiamo dirlo, fino al Concilio Vaticano II.

E ora. A che punto è la notte?

Un teologo domenicano di oggi: padre Giovanni Cavalcoli.

Forse potremmo dire che la “notte oscura” è passata, piuttosto dovremmo chiederci: quanti danni ha fatto? Fin dove si estendono le sue ombre? Quanti contagiati e quanti resi immuni dalle uscite poco ortodosse di Congar, per non dire di quelle eretiche di Schillebeeckx?

Da una parte ne siamo usciti proprio perchériconosciamo in certi pronunciamenti e atteggiamenti una certa apostasia dalla corretta dottrina, e il riconoscerli ci ha permesso di fare discernimento. Ma d’altra parte è chiaro che il veleno sparso miete ancora vittime, e chissà ancora per quanto tempo.

C’è un bellissimo articolo di padre Giovanni Cavalcoli O.P. sul confratello Schillebeeckx che suggerisco di leggere cliccando qui.

Mentre a cavallo e dopo del Concilio Vaticano II troviamo ancora brillanti domenicani come padre Tito Centi O.P. su don Milani, cliccate qui; così come padre Giacinto Scaltriti O.P. che in un suo volumetto intitolato “Teilhard de Chardin, tra il mito e l’eresia”, con imprimatur ecclesiastico nei primi anni ’60, nel quale il dotto sacerdote domenicano confutava alcune tesi del noto teologo gesuita, considerato uno dei maggiori esponenti della “nuova teologia”, dall’altra parte l’ormai famoso Yves Congar e il confratello Schillebeeckx gettavano le reti usando come esche la Nouvelle Théologie. I pesci che abboccarono non furono pochi!

Ratzinger (uno di questi “pesci” caduti nella rete, ma fortunatamente ne seppe uscire fuori) nel libro autobiografico “La mia vita” scrive: «Mi si rimproverò di aver abbandonato la nuova teologia, in verità e come spiegai a Küng, fu lui a dissociarsi dalla Teologia della Chiesa che ha nell’Aquinate la massima espressione».

 

Yves Congar, entrato nell’Ordine nella Provincia di Francia nel 1925, fu ordinato presbitero nel 1930; nel 1932 iniziò ad insegnare; gli anni dal 1946 al 1956 furono carichi di avvenimenti e di tensioni e costituirono l’oggetto di un diario – Journal d’un théologien 1946-1956 – per ora solo in francese. Successivamente Congar scrisse un diario della sua presenza al Vaticano II – Diario del Concilio – disponibile in italiano in due volumi. Congar si distingue dal confratello Schillebeeckx perché di fatto non fu mai dichiaratamente eretico, mentre il confratello olandese seminò delle vere eresie dottrinali, di carattere dogmatico, anche se Congar non scherzava quando diceva di non credere nell’Inferno eterno!

Scrive padre Cavalcoli: “Schillebeeckx è uno di quei teologi che hanno frainteso l’aggiornamento conciliare. Giovanni XXIII aveva voluto un mutamento nel linguaggio della Chiesa perché il messaggio evangelico fosse più comprensibile agli uomini del nostro tempo, ma non certo un mutamento nei contenuti della fede. Schillebeeckx, invece, col pretesto dell’aggiornamento del linguaggio, ha cambiato anche i contenuti e ciò per una falsa teoria del concetto, il quale, secondo lui, non può essere una fedele rappresentazione del reale, ma è una specie di “modello interpretativo” contingente, mutevole e relativo di una precedente “esperienza atematica” della realtà in se stessa ineffabile, secondo quanto ho già detto sopra”.


   continua..............


[Modificato da Caterina63 12/01/2014 18:04]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)