00 12/01/2014 18:07

    Parleremo ora di Congar perché ci ha lasciato nei suoi diari non solo un quadro della situazione, ma anche la stesura di fatti e pensieri dopo aver letto i quali non si potrà più dire: “ma io non lo sapevo”.

Entrambi furono una spina dolente nel fianco non solo dell’Ordine di san Domenico, ma soprattutto della Chiesa di quegli anni, a partire – per Congar – proprio da una interpretazione del Concilio lastricata da profonde affermazioni poco ortodosse.

Dice giustamente padre Cavalcoli a riguardo di Schillebeeckx: “Certamente Roma non prese provvedimenti disciplinari nei suoi confronti, ma resta sempre il giudizio negativo. In tal senso è vero che Schillebeeckx “non è stato condannato”. Ma il fatto che Roma non prende provvedimenti disciplinari contro un teologo ribelle, non vuol dire che il giudizio negativo che dà su quel teologo circa le sue dottrine non sia vincolante per la coscienza del credente. Altrimenti che cosa ci stanno a fare le sentenze della Congregazione per la Dottrina della Fede?”

Eppure il 20 luglio 1960 viene nominato consultore della Commissione teologica preparatoria insieme a Henri de Lubac. Ma non è contento, è convinto di essere con Lubac solo un “oggetto da vetrina”, ma che in fondo la Chiesa non prenderà mai sul serio quel che dicono, e scrive nel suo diario: «È Roma che fa le nomine, e si salva la coscienza e la reputazione ampliando il ventaglio dei nomi, ma solo perché ha già preso le sue precauzioni, e le ha prese in modo efficace, per evitare ogni pericolo. Lubac e io siamo stati nominati per essere messi in mostra. Nella Chiesa c’è sempre una vetrina – attraente – e una bottega. La vetrina mostra Lubac, ma in bottega lavora Gagnebet. Mi sento proprio avvilito» (I,75).

Anche Schillebeeckx è chiamato come perito al Concilio e scrive padre Cavalcoli: “Ad un attento esame non è troppo difficile elencare tutti i punti dove il pensiero dello Schillebeeckx si trova in contrasto con la dottrina della Chiesa e lo stesso dogma cattolico: nel concetto di teologia, di dogma e di rivelazione, nella sacramentaria, in cristologia, nella liturgia, in ecclesiologia, in escatologia, nella stessa concezione del cristianesimo. Nessuno negherà i meriti teologici dello Schillebeeckx, evidenti soprattutto nel periodo giovanile: e questo è certamente stato uno dei motivi che gli hanno meritato la chiamata ad essere perito del Concilio. Lo Schillebeeckx eterodosso si è rivelato successivamente”.


Congar: dalle sue riflessioni non si salva nemmeno un Papa dei suoi tempi.

Confesso che da laica sono un po’ confusa davanti a questo atteggiamento, uno non diventa eterodosso dal giorno alla notte, e se uno non ha dei pronunciamenti chiari e dottrinali, non lo si invita ad un Concilio in qualità di perito, al limite come osservatore. Invece questi domenicani non sono stati semplici spettatori e le loro ombre tutt’altro che diradate, si sono addensate semmai dopo il Concilio, proprio durante il periodo più delicato della sua applicazione, con l’apostasia chiaramente denunciata da tutti i papi da allora e fino ad oggi.

Congar sembra persino infastidito, osiamo dire allergico, dall’antico e, caro alla tradizione, culto mariano. Scende a Roma e si trova nel pieno dell’Anno Mariano indetto da Pio XII (1953-54) e annota sul suo diario: «I muri delle chiese di Roma sono coperti di manifesti di feste, saluti sermoni su Maria Santissima, Immacolata, non si parla che del suo cuore immacolato. Tutti a questa chiesa per la Madre del Divino Amore, per la Madonna del popolo romano [...]. Si direbbe che è quella la religione. E allora è un’altra da quella di S. Paolo e di tutta la rivelazione biblica. Io non voglio entrare là dentro» (F 295).

 

Di nuovo, la Curia generalizia è così solidale con questa romanità mariana, agli occhi di Congar, tanto meschina e che di nuovo provoca un giudizio pesante: «La sera a S. Sabina ufficio bizzarro per la chiusura dell’anno mariano: saluto con preghiera composta dal papa. Ufficio della notte all’una: mattutino, Lodi cantate davanti al SS. Sacramento esposto, un saluto alla Madonna per finire. E domani ancora un saluto per terminare la recitazione del rosario davanti al SS. Sacramento. Si potrà così fare un bel rapporto al Card. Vicario che ha imposto queste veglie [...]. Verità di tutto questo? Nessuna! Valore di risposta ai problemi e ai bisogni degli uomini? Niente! È il “ronron” della macchina che gira dolcemente sotto il segno della doppia e unica devozione al papa e alla Madonna» (F 294).

Più tardi parlerà di “mariolatria”, e cioè che al cristianesimo si sostituisce «un mariano-cristianesimo [...] ho pensato che la questione mariologica fosse lo spartiacque tra due tipi di uomini. In effetti, i mariolatri sono da un lato e i cristiani dall’altro» (I,43).

Un documento importante per la mariologia: Marialis cultus di Paolo VI.

A sconfessare questo atteggiamento tipicamenteprotestante di Congar, saranno tutti i papi da allora ad oggi: Paolo VI con la Marialis cultus (e la proclamazione di Maria Mater Ecclesiae); Giovanni Paolo II con l’Anno Mariano, l’Anno del Rosario e il potenziamento dei misteri con l’aggiunta dei misteri della luce e la stessa Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae. Benedetto XVI col suo potenziamento verso i Santuari mariani ai quali ha donato sempre una rosa d’oro, la devozione popolare, la visita e il rosario a Pompei, e così papa Francesco del quale ben conosciamo la devozione mariana e che in soli sei mesi ha radunato il popolo cristiano in ben tre rosari pubblici.

La Curia dell’Ordine effettivamente cerca di correggere le sue derive, non tutti i domenicani stavano o stanno dalla sua parte, anzi, possiamo dire che Congar ha contagiato molto più i fedeli al di fuori dell’Ordine che non i confratelli. Trovandosi a Santa Sabina nel 1954 e avendo ricevuto osservazioni allarmate per certe parole usate in un articolo, Congar ricorda ai curiali che la verità o la falsità non sono nelle parole ma nei giudizi. Sennonché, dopo tanto nobile e logico ragionamento, continua con una constatazione tra il comico e il penoso: «Questo spiega il livello della Curia O.P. Una delle cose che mi hanno letteralmente fatto ammalare. Brava gente, molto pii, buoni e degni. Ma, nella vita civile, sarebbero come impiegati o contabili in una piccola casa di confezioni di abiti. Non alla testa dell’Ordine dei Predicatori Pugiles fidei!!! Che cosa sanno del combattimento della fede? In che cosa sono impegnati?» (F 342-343).

Congar era avvilito dal pontificato di Pio XII verso il quale non nascose mai la sua contrarietà, e scriveva così nel suo diario: «Da quindici secoli Roma lavora per impadronirsi – sì, per impadronirsi, per accaparrarsi – di tutti gli aspetti di direzione e di controllo. C’è riuscita. Si può dire che dopo il 1950 il lavoro era compiuto. Ma ora arriva un papa che minaccia di togliere loro alcuni posizioni. La Chiesa sta per avere la parola» (I,68).

Continuità e rottura. Due visioni della Chiesa al Concilio

Queste parole, scritte già nei preparativi del Vaticano II, sono coerenti con quanto Congar scrisse alla madre in una famosa lettera del 10.9.1956: «Conosco la storia [...]. Mi è evidente che Roma non ha mai cercato e non cerca che una cosa: l’affermazione della propria autorità. Il resto non l’interessa che come materia sulla quale esercitare questa autorità [...]. Ad esempio, se Roma si interessa al movimento liturgico con 90 anni di ritardo su tale movimento, è perché questo non esista senza di Roma e perché non sfugga al suo controllo» (F 426).

Congar fa emergere che un papa va bene quando sostiene le sue teorie o idee, una reazione che continuerà anche durante e dopo il Concilio. Ad esempio, quando era in previsione il documento Sacram liturgiam di Paolo VI che rivendicava alla Santa Sede l’approvazione delle traduzioni liturgiche, scrive «Si parla del motu proprio del Papa sulla liturgia. Questo documento toglie praticamente al Concilio ciò che il Concilio aveva deciso» (II,8). Ma questo è falso! Chi aveva deciso e che cosa? A nome di chi parla Congar?

L’altra riserva di fondo, più esistenziale, è sul barocco, sul rinascimentale, sul “monarchico” nella Chiesa. Nella tarda estate del 1932, all’inizio dell’insegnamento annota: «Io e Chenu parlammo a cuore aperto e con freschezza delle mie prime scoperte e percezioni. Ci trovammo profondamente d’accordo. E su questa missione, sulla necessità di “liquidare” la “teologia barocca”» (F 24).

Non solo la teologia, anche l’udienza di Giovanni XXIII lo infastidisce e scrive: «È l’espressione sfarzosa di un

Giovanni XXIII. Congar ha da ridire pure su lui.

potere monarchico» (I,85). Neppure l’inaugurazione del Vaticano II l’11 ottobre 1962 sfugge a tale insofferenza sino a impedire a Congar di restarvi sino alla conclusione.

Ecco alcune riflessioni scritte nel pomeriggiodel fatidico giorno:«Gusto decorativo un po’ teatrale, barocco» (I,146) «[...] questo avvenimento della vita della Chiesa, che io amo, ma che vorrei meno “Rinascimento”, meno costantiniana» (I,146) «Dopo l’epistola lascio la tribuna. Non ne posso più. E, poi, sono oppresso da questo apparato feudale e rinascimentale [...]. Cerco di uscire dalla basilica» (I,147).

Solitamente, atteggiamenti del generedenotano piuttosto una allergia al sacro. Liturgie che, santi come l’eletta Dottore della Chiesa Teresina di Lisieux, lo stesso san Pio X, assorbivano con semplice candore, la dice lunga sulle lamentele di Congar.

Al Concilio con un atteggiamento da schizofrenico

Congar: un mito per molti teologi.

Congar ha pensieri contrastanti non soltanto sulla dottrina, ma anche sulle sue stesse idee e vive il tempo del Concilio in modi e termini assai frustranti per lui.

Laddove scrive: «Ho adottato come norma pratica di fare solo quanto mi è richiesto dai vescovi. Il Concilio sono loro» (I,199). A Concilio concluso riconoscerà che l’opposizione della minoranza «ha dato un contributo che nel complesso si è rivelato felice e positivo. Anche se a volte è stata irritante, ha obbligato a scavare in profondità, a sfumare o a precisare meglio, ad accettare altri aspetti» (II,50).

Per scrivere poi contraddicendosi: «Mi sono impegnato a smuovere l’opinione pubblica perché si aspetti e chieda molto. Ho ripetuto di continuo, dappertutto: forse otterremo il 5% di quanto chiediamo. Una ragione di più per chiedere molto» (I,66).

E non le risparmia neppure ai papi.

Additando come pessimo esempio san Pio V, scrive: «Non riesco ad amarlo e il suo ufficio è troppo ampolloso. Il Rinascimento ha segnato Roma e la Curia! E le istituzioni conservano il segno della loro origine! Il papato moderno è davvero tridentino e post tridentino» (II,309).

Bernardo Guy (che al contrario della leggenda anticlericale fu un onesto, mite e scrupoloso inquisitore) oggi sarebbe costretto a inquisire i suoi stessi confratelli. Alcuni almeno, i più potenti

Ancora peggio per il beato Pio IX,del quale Congar scrive «Che del procedere della storia non aveva compreso nulla [...] sventurato, che non sapeva cosa fosse né l’Ecclesia né la Tradizione, e che ha spinto la Chiesa a essere sempre del mondo e non ancora per il mondo» (I,148).

All’inizio Pio XII sembra salvarsi.Negli appunti serali dopo l’udienza del 26.5.1946, Congar riconosce che «Davanti a lui non ci si sente bloccati da nulla di artificiale» (F 122), l’udienza non è stata banale e «il Santo Padre dà l’impressione di una grande semplicità. Non dice “Noi”, ma “io”. Si ha l’impressione che in lui l’uomo spirituale o semplicemente l’uomo è superiore alla funzione e la domina. Appare desideroso di piegarsi verso gli uomini che sono davanti a lui, di essere aperto con loro, di mettersi al loro servizio» (F 124).

Ma, una volta morto, la memoria su Pacelli precipita: «Il regime soffocante di Pio XII» (I,66), l’«insopportabile satrapismo di Pio XII» (I,67), la necessità odierna di convertirsi «a non pretendere di dettar legge su tutto: una volontà che sotto Pio XII ha assunto dimensioni mai raggiunte prima e ha condotto a un paternalismo e a una imbecillità senza limiti» (I,27-28).

Pio XII: il suo, secondo Congar, fu un regime soffocante.

Pacelli patisce, in verità, il confronto con il beato Giovanni XXIII (un po’ quello che accadde dopo Giovanni Paolo II ed oggi fra Benedetto e Francesco) che ha un necrologio più che positivo, con lui, scrive Congar: «la Chiesa, ma anche il mondo, ha fatto un’esperienza straordinaria [...] ci si è accorti che aveva trasformato la visione religiosa e anche umana del mondo: restando semplicemente quello che era [...] non si tratta di pretendere e di rivendicare con arroganza di essere il vicario di Cristo, ma di esserlo veramente» (I,361-362).

Ma eccolo, subito dopo, affondare il fioretto: peccato che in vita «le sue decisioni e la sua azione di governo smentivano in gran parte tutto quello che aveva suscitato speranze» (I,67), un suo discorso «mi pare molto banale» (I,84) e, peggio, per la festa di san Tommaso all’Angelicum il 7.3.1963: «lungo discorso del pontefice, che sostiene di non aver preparato niente [...] il papa, molto stanco, non mostra alcun slancio oratorio» (I,329).

E naturalmente ce n’è anche per Paolo VI: «È uomo di intelligenza superiore e ben informato. Suscita una profonda impressione di santità». Continuerà Giovanni XXIII ma «sarà molto più romano, più tipo Pio XII: vorrà, come Pio XII, stabilire le cose partendo dalle idee, e non semplicemente lasciandole crescere da sole partendo da qualche apertura prodotta da un moto del cuore. Amerà anche lui il mondo, ma su una linea di sollecitudine» (I,362).

Poi però con il tempo giunge la critica: «Il Papa fa grandi gesti simbolici, ma dietro di essi non vi sono né la teologia né il senso concreto delle cose che quei gesti esigerebbero» (II,233).

Dalla penna di Congar non si salva neppure Bologna. Prima del Vaticano II nel 1950 «alle 16,20 arrivo a Bologna

 

[...]. Alla sera a ricreazione i Padri parlano dell’enciclica Humani generis e mi dicono che prima ancora che apparisse alcuni giornali italiani hanno annunciato che questo documento atteso avrebbe condannato la teologia di P. de Lubac e l’ecumenismo di P. Congar. Bisogna lasciare che i cani facciano la pipì al portone» (F 169).

Durante il Concilio Congar tornerà a Bologna ma per incontrare Alberigo e Lercaro e non i frati, né si degnerà di

alloggiare in convento. Però una visita all’Arca di san Domenico è d’obbligo: «Vado sino al sepolcro di san Domenico. Crollo su un banco, privo di forze, ma prego tuttavia come se avessi molta forza. Alle 18 si celebra una messa. Vi assisto in raccoglimento. Passano molti Padri o confratelli. Andatura da monaci che escono dalla loro quiete separata e protetta, per fare un giro fra gli uomini che frequentano il loro santuario. Antropologicamente, un’impressione mediocre» (I,343).

Il domenicano P. Mario Luigi Ciappi O.P. († 1996), Maestro del Sacro Palazzo e poi Cardinale, è deprezzato da Congar perché cita lo Zigliara (Tommaso Zigliara † 1893, domenicano e cardinale) (I,98). e scrive: è «ultraprudente, ultracuriale, ultrapapista» (I,341).

Congar alla fine cede alle eresie protestanti

Haring, moralista controverso. Sostenuto da Congar.

Nel dopo contestazione e con la svolta di Giovanni Paolo II, Congar tornò flebilmente su posizioni simili ma non identiche a quelle dei Diari.

Così, in un’intervista del 1989 «Accennando alle posizioni del moralista Häring, fortemente osteggiate dalla Santa Sede, disse: “Penso che a Roma si trattino allo stesso modo problemi che non hanno la stessa importanza. È evidente che l’aborto è un crimine, ma la masturbazione…”.

Se la prese con il “giuramento di fedeltà”, dal 1° marzo dell’89 esteso a più categorie di persone: “Non bisogna abusare dei giuramenti. L’ha detto Gesù nel Vangelo”».

Sull’inferno commentò: «È molto difficile parlarne. Lei, ci crede veramente, dico veramente, all’inferno, al purgatorio? A quale inferno lei crede? Sta qui il problema. C’è un inferno al quale io non credo affatto. L’inferno del castigo eterno non è possibile, perché Dio si è rivelato come amore. Dunque, se c’è un inferno, di che inferno si tratta?» (*)

Vengono alla mente le parole di Benedetto XVI: «[La memoria del Concilio] suscita la domanda: Qual è stato il risultato del Concilio? È stato recepito nel modo giusto? Che cosa, nella recezione del Concilio, è stato buono, che cosa insufficiente o sbagliato? Che cosa resta ancora da fare? Nessuno può negare che, in vaste parti della Chiesa, la recezione del Concilio si è svolta in modo piuttosto difficile [...]. Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare ermeneutica della discontinuità e della rottura; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna» (Benedetto XVI, alla Curia il 22.12.2005).

Così come fu chiaro sempre Benedetto XVI, quasi a voler rispondere all’amico Congar, nell’omelia alla parrocchia romana nel 2007: «Per questo è venuto sulla terra, per questo morirà in croce ed il Padre lo risusciterà il terzo giorno. E’ venuto Gesù per dirci che ci vuole tutti in Paradiso e che l’inferno, del quale poco si parla in questo nostro tempo, esiste ed è eterno per quanti chiudono il cuore al suo amore».

E giunti a questo punto, come concludere?

Domenicani oggi.

Ai seguaci di Congar, Schillebeeckx, ed altri, a quanti preferiscono la “loro teologia” perché piace, perché è più spendibile o quant’altro, che facciano pure.

Ma se si afferma che questa è “la teologia domenicana”, o la teologia della Chiesa, allora l’affermazione è scorretta e grave da più punti di vista.

La verità contenuta nell’insegnamento della Chiesa non nasce all’improvviso imponendosi, ma è frutto del dibattito di varie tendenze, dove gli oppositori hanno un senso e perché proprio grazie al dibattito la verità stessa può farsi strada ed emergere. La verità nasce, si sviluppa e la si porta con l’insegnamento autorevole, al di là delle opinioni e quali che siano le tendenze storiche del momento. Congar ed altri come lui hanno senza dubbio contribuito al dibattito ma se il Vaticano II fosse stato fatto solo da lui o da Schillebeeckx, che cosa ne sarebbe risultato?

Padre Lagrange. Altro domenicano illustre… e luminoso, a differenza di altri.

Qualcuno pensava di poter affermare che la teologia domenicana è quella di san Tommaso d’Aquino e di Marie-Joseph Lagrange (+1938), che nel 1878 in pellegrinaggio ad Ars, sulla tomba del santo Curato gli affida la sua vocazione domenicana. Nel 1880 incontra la spiritualità di santa Teresa d’Avila, di cui divenne per sempre un fedele devoto. Poi il 15 novembre 1890 fondò l’Ecole Biblique, la famosa Scuola Biblica che tuttavia non era vista di buon occhio dalle Congregazioni romane e anche dai papi Pio X e Pio XI, nonché dai Gesuiti i quali ne criticavano il metodo della critica storica; perfino “Il Vangelo di Gesù Cristo” da lui scritto venne sconsigliato per lo studio dei seminaristi, “i quali hanno più bisogno di pietà che di scienza e, per l’appunto l’opera di padre Lagrange, non è tale da favorire la devozione!”(chi lo dice?) e del quale è stata fatta richiesta, nonostante tutto, della causa di beatificazione. Da non confondersi con padre Reginaldo Garrigou Lagrange (+1964) considerato uno dei più grandi teologi neotomisti cattolici del XX secolo, unisce la preghiera e l’attenzione ai poveri alla ricerca scientifica e all’insegnamento, nonché alla cura d’anime, non sottraendosi al servizio della direzione spirituale. non solo per il loro apporto innovativo nella speculazione e nelle scienze bibliche, ma anche perché entrambi, san Tommaso e Joseph Lagrange, erano stati in un primo momento condannati! (Questa ultima frase non ha senso)

 

Senza dubbio Congar non è assolutamente l’aquinate, e sia lui quanto Schillebeeckx presero le distanze da questi maestri, ma tutti e due sono senza dubbio domenicani, e la loro teologia proviene dal dibattito, dallo studio e dalla ricerca ed è solo questione di tempo, ma i loro errori saranno condannati, perché l’infallibilità appartiene solo all’insegnamento integrale della Chiesa, così come ha ricordato papa Francesco nell’enciclica Lumen Fidei: “La teologia, poiché vive della fede, non consideri il Magistero del Papa e dei Vescovi in comunione con lui come qualcosa di estrinseco, un limite alla sua libertà, ma, al contrario, come uno dei suoi momenti interni, costitutivi, in quanto il Magistero assicura il contatto con la fonte originaria, e offre dunque la certezza di attingere alla Parola di Cristo nella sua integrità.”

Morte di s.Domenico. E i suoi frati quanto gli sopravvivranno ancora?

L’Ordine di san Domenico è nella maggioranza ancorato saldamente alla roccia petrina, ben saldo nella barca di Pietro e la storia mostrerà, ancora una volta, che anche queste icone contrarie attuali hanno delle crepe ed anche voragini e non avranno altro futuro se non per ricordare i loro errori.

Note

Tutte le fonti domenicane qui riportate, provengono da:

Ludovico Ferretti e Tito Centi,Vocazioni Domenicane, Edizioni O.V.D.,Firenze 1956

Daniele Penone, I Domenicani nei secoli – Edizioni ESD 1998

alcuni articoli sul diario di Congar di padre R. Barile O.P. che trovate qui  e qui

Diario di Congar: le citazione dei Diari avvengono con una sigla che indica il volume e il numero della pagina:

F = Yves Congar, Journal d’un théologien 1946-1956. Ed du Cerf, Parigi 2001, pp. 464.

I = Yves Congar, Diario del Concilio 1960-1963 – I. San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, pp. 540.

II = Yves Congar, Diario del Concilio 1960-1963 – II. San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, pp. 526.

(*) – Francesco Stazzari, Yves Congar. «Non sono disorientato» in Il Regno 14/1995, p. 433.

 










Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)