00 17/12/2014 10:40

 

Un premuroso sermone di San Leone Magno Papa, sulle verità di fede che potremmo definire profetico, vista l'attualità dei moniti contenuti per noi oggi.

SUL NATALE DEL SIGNORE (1)

1.1.   Come voi sapete, carissimi, abbiamo spesso adempiuto il nostro ministero della parola di salvezza spiegandovi l’eccellenza della solennità odierna, e non abbiamo alcun dubbio che la potenza della bontà divina abbia talmente illuminato il vostro cuore da far capire anche alla vostra intelligenza ciò che dentro di voi la fede aveva piantato.

1.2. Ma la nascita del Signore e Salvatore nostro, che ha origine dal Padre quanto alla divinità ma anche dalla madre quanto alla carne, è talmente superiore alle capacità del discorso umano che giustamente si riferisce ad ambedue le origini quanto dice la Scrittura: «Chi potrà narrare la sua generazione?» (Is.53,8).

Per questo ciò che non si può adeguatamente spiegare conserva sempre abbondanti motivi per parlarne, non certo nel senso che se ne possano avere opinioni contrarie, ma perché nessuna parola può esaurire la nobiltà del soggetto.

1.3. La grandezza dunque del mistero (1Tim.3,16), stabilito prima dei secoli eterni (Tit.1,2) per la salvezza del genere umano e svelato alla fine dei tempi (1Cor.10,11), non consente né di aggiungere né di togliere alcunché alla sua integrità, e come non può perdere alcuna delle sue proprietà, così non può accogliere quelle che gli sono estranee.

1.4. Molti però, con il loro attaccamento alle proprie idee, e più disposti a insegnare che a imparare quel che non hanno ancora capito, come dice l'Apostolo, «hanno fatto naufragio nella fede» (1Tim.1,19). Riassumerò ora con rapido cenno le loro opinioni perverse e contraddittorie, perché, una volta separate le tenebre dell’errore dalla luce della verità, si renda onore con animo devoto ai benefici di Dio e si evitino con piena consapevolezza le menzogne umane.

2.1.   Alcuni infatti, basandosi sulle testimonianze concernenti la nascita del Signore Gesù Cristo, che lo indicavano chiaramente come figlio dell’uomo, lo hanno creduto nient'altro che uomo, pensando che non si doveva attribuire la divinità a colui che sia la prima infanzia, sia le crescite del corpo, sia la sua condizione di dolore fino alla croce e alla morte attestavano per nulla diverso da tutti gli altri mortali. (2)

2.2. Altri invece, impressionati nell’ammirazione delle sue virtù e intuendo che la novità della sua nascita e la potenza delle sue parole e delle sue azioni appartenevano alla natura divina, pensarono che nulla fosse in lui della nostra sostanza, e che tutto quanto esprimeva attività e condizione corporale o    provenisse da una materia di natura più elevata o avesse avuto una parvenza simulata della carne, in modo che i sensi di chi lo vedeva e lo toccava erano ingannati da un'apparenza illusoria.

2.3. Vi furono anche certi eretici convinti di poter affermare che un qualcosa della sostanza del Verbo si era cambiato in carne, e che il Gesù nato dalla Vergine Maria non aveva nulla della natura della madre (3), ma che il fatto di essere Dio e il fatto di essere uomo dipendevano ambedue dall’essere Verbo: ovviamente così nel Cristo vi era un’umanità falsa a causa della sostanza diversa dalla nostra, e una divinità non vera perché soggetta all’imperfezione della mutabilità.

3.1.   Tali empietà, carissimi, e altre ancora ideate sotto l’ispirazione diabolicae diffuse a danno di molti da uomini strumenti di perdizione, le ha annientate già in passato la fede cattolica di cui Dio è maestro e sostegno.

È infatti lo Spirito Santo che ci esorta e ci istruisce con la testimonianza della Legge, con i vaticini dei profeti, con il messaggio del vangelo e l’insegnamento degli apostoli, perché con perseveranza e con intelligenza crediamo che, come dice il beato Giovanni: «Il Verbo di Dio si è fatto carne e abitò fra noi» (Gv.1,14).

3.2. Fra noi, certo, perché la divinità del Verbo ci ha uniti a sé, la cui carne assunta dal grembo della Vergine siamo noi. E se questa carne non fosse la nostra, cioè realmente umana, il Verbo fatto carne non avrebbe abitato fra noi. Ma egli ha abitato fra noi (Gv.1,14), perché fece sua la natura del nostro corpo, «quando la Sapienza si edificò un’abitazione» (Prov.9,1), fatta non di una qualsiasi materia, ma della sostanza propriamente nostra, la cui assunzione è dichiarata nelle parole: «Il Verbo si è fatto carne e abitò in mezzo a noi»

 3.3. Con questa santa dottrina è in consonanza l’insegnamento del beato Paolo apostolo quando dice: «Badate che qualcuno non abbia a sedurvi con la filosofia e con vani inganni, secondo la tradizione degli uomini, secondo gli elementi del mondo, e non secondo Cristo; perché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate in lui a questa pienezza». (Col.2,8)

3.4. L’intera divinità dunque riempie tutto quanto il corpo, e come nulla manca di quella maestà che abitandolo riempie di sé il corpo divenuto sua dimora, così non c'è nulla in quel corpo che non sia riempito dal suo abitatore. Quanto poi alle parole: «E voi siete partecipi in lui di questa pienezza» (Col.2,10), con esse viene indicata certo la nostra natura, ma quella pienezza non apparterrebbe a noi, se il verbo di Dio non avesse unito a sé e l’anima e il corpo propri della nostra umana stirpe.

4.1.   Bisogna riconoscere, carissimi, e professare con tutto il cuore che questa generazione per cui sia il Verbo che la carne, cioè Dio e l’uomo, divengono un solo Figlio di Dio e un unico Cristo è assolutamente superiore a ogni origine nella creazione umana. Né infatti la formazione di Adamo dal fango della terra (Gn.2,7), né la creazione di Eva dalla carne dell'uomo (Gn.2,21), né la generazione degli altri uomini mediante l'unione sessuale possono essere paragonate alla nascita di Gesù Cristo.

4.2.   Abramo nella sua vecchiaia generò l’erede della divina promessa, e la sterile Sara concepì, pur avendo oltrepassati gli anni della fecondità (Gn.21,2). Giacobbe fu amato da Dio (Mal.1,2 e Rom.9,13), prima ancora di nascere, e per opera della grazia che previene le azioni responsabili fu distinto dal rude e irsuto fratello gemello (Gn.25,25 e Os.12,3). A Geremia viene detto: «Prima che io ti plasmassi nel grembo materno, ti ho conosciuto, e prima che uscissi dal ventre ti ho santificato» (Ger.1,5).

4.3. Anna, da tanto tempo infeconda, diede alla luce il profeta Samuele che volle offrire a Dio, così da divenire in tal modo famosa sia per il parto che per il suo voto (1Re 1,11-20). Il sacerdote Zaccaria ebbe un figlio santo da Elisabetta che era sterile (Lc.1,24) e Giovanni, il futuro precursore del Cristo, aveva ricevuto lo spirito di profezia ancora nel seno della madre (Lc. 1,15) e non ancora nato aveva indicato la madre del Signore con un sobbalzo di gioia nel chiuso del grembo (Lc.1,41).

4.4. Sono tutte cose grandi, queste, e piene di miracoli che segnano le opere di Dio, ma lo stupore che suscitano in noi si fa tanto più moderato quanto più sono numerose. La nascita del Signore nostro Gesù Cristo, però, supera ogni intelligenza e trascende tutti gli esempi, né può essere paragonata ad alcuno di essi essendo fra tutti tanto singolare.

4.5. A una vergine scelta, e già da tempo promessa dalla voce dei profeti e dalle prefigurazioni simboliche come discendente dalla stirpe di Abramo e dal ceppo di lesse, viene annunciata da un arcangelo una beata fecondità, che non avrebbe intaccato la sua integrità né avrebbe violata la sua verginità sia nel concepimento che nel parto.

4.6. Nel momento in cui scese su di lei lo Spirito Santo e la potenza dell’Altissimo la ricoprì con la sua ombra (Lc.1,35), l’immutabile verbo di Dio si rivestì della carne umana assunta dal suo corpo immacolato, carne che non avrebbe contratto alcuna macchia dalla concupiscenza, e tuttavia nulla le sarebbe mancato di quanto attiene alla natura dell'anima e del corpo.

 

5.1.   Si allontanino da noi e se ne fuggano nelle loro tenebre le mostruosità delle teorie eretiche e le sacrileghe invenzioni di errori insensati; i nostri maestri sono la moltitudine degli spiriti celesti (Lc.2,13) esultanti nella lode a Dio e i pastori istruiti dagli angeli: da loro abbiamo imparato a riconoscere i caratteri distintivi delle due nature, e quindi a adorare il Verbo nel Cristo uomo e Cristo uomo nel Verbo.

5.2. Se, come dice l’Apostolo, «chi si unisce a Dio, forma con liti un solo spirito» (1Cor.6,17), quanto più il Verbo che si è fatto carne sarà un solo Cristo, quando nulla vi è in una natura che non appartenga ad ambedue le nature! Non perdiamoci d'animo dunque dinanzi al disegno della misericordia di Dio, che ci rinnova donandoci l'innocenza e la vita, e poiché abbiamo riconosciuto nel nostro Salvatore i caratteri evidenti delle due nature, non dubitiamo né della realtà della carne nella sua gloria divina, né della maestà divina nell’umile condizione dell’uomo.

5.3.   La stessa persona che ha assunto la natura di servo è anche nella natura di Dio (Filip.2,6-7). È la stessa persona che rimane incorporea e assume un corpo. La stessa persona è inattaccabile nella sua potenza e passibile nella debolezza della nostra natura. È la stessa persona che, non distaccata dal trono del Padre, è crocifissa dagli empi sul legno della croce. È lo stesso che ascende sopra le altezze dei cieli vincitore della morte, ma restando nella sua Chiesa universale «sino alla fine del mondo» (Mt.28,20).

5.4. È infine la medesima persona che, ritornando nella stessa carne nella quale è ascesa, come si è assoggettata al giudizio degli empi, così giudicherà anche le azioni di tutti i mortali. E per non indugiare nelle numerosissime testimonianze, ci basti riferirne una dal Vangelo del beato Giovanni, dove lo stesso nostro Signore dice: «In verità in verità vi dico che viene l’ora, ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha dato anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato anche il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo» (Gv.5,25-27).

5.5. Con una sola dichiarazione dunque egli dimostra che la stessa persona è Figlio di Dio e figlio dell'uomo. Appare chiara perciò la ragione per cui dobbiamo credere che Cristo Signore sussiste nell’unità della persona: essendo Figlio di Dio, per il quale siamo stati creati, è divenuto anche figlio dell'uomo mediante l’assunzione della carne, allo scopo di morire, come dice l’Apostolo, «per i nostri peccati e di risorgere per la nostra giustificazione» (Rom.4,25).

6.1.   Questa professione di fede, carissimi, non teme alcuna obiezione, non si arrende ad alcun errore. Noi infatti conosciamo la misericordia di Dio promessa fin dal principio e preparata prima dei secoli: soltanto per essa si poterono spezzare le catene della schiavitù umana, con le quali il padre del peccato, perfido consigliere, aveva avvinto il primo uomo e tutta la sua posterità, e rivendicava per sé, in forza della sentenza di condanna emessa alle origini, questa posterità che gli si era arresa.

6.2. L'aiuto principale per la giustificazione degli uomini sta nel fatto che l'Unigenito di Dio si è degnato di essere anche il figlio dell'uomo, affinché colui che è Dio "homousios" al Padre, lui stesso fosse anche vero uomo consustanziale alla madre secondo la carne. Per questo noi esultiamo di gioia per la presenza delle due nature in Cristo, perché possiamo ottenere salvezza soltanto da ambedue le nature insieme, senza minimamente separare quella visibile dall'invisibile, quella corporale da quella incorporea, la passibile dall’impassibile, quella che si può toccare da quella che sfugge al tatto, la natura di servo dalla natura divina (Filip.2,6-7).

6.3. Perché, sebbene l'una resti immutabile fin dall’eternità e l'altra abbia avuto un inizio nel tempo, una volta però congiunte in unità, non possono più avere né separazione né fine: poiché colui che esalta e colui che è esaltato, colui che glorifica e colui che è glorificato si sono talmente uniti fra loro che nel Cristo, sia nel momento dell’onnipotenza, sia nel momento degli oltraggi, né gli attributi divini sono privi di quelli umani, né le prerogative umane sono prive di quelle divine.

7.1.   Se crediamo a queste verità, carissimi, noi siamo cristiani, veri israeliti(Gv.1,47), realmente adottati per aver parte alla sorte dei figli di Dio: di fatto anche tutti i santi che vissero prima del nostro Salvatore furono giustificati mediante questa fede e divennero corpo di Cristo grazie a questo mistero, nell’attesa della redenzione universale dei credenti nella discendenza di Abramo, di cui l'Apostolo dice: «Ora, ad Abramo furono fatte le promesse, e alla sua discendenza. La Scrittura non dice: "E alle discendenze”, come se volesse riferirsi a molte, ma con riferimento a una sola: “E alla tua discendenza, cioè Cristo”» (Gal.3,16).

7.2. È per questo motivo che l’evangelista Matteo, volendo far vedere che la promessa fatta ad Abramo si era adempiuta in Cristo, ha narrato la sua genealogia, e ha indicato in chi era stata riposta la benedizione per tutti i popoli (Mt.1,16).

7.3.   Anche Luca, partendo dalla nascita del Signore, ha narrato la genealogia di Gesù risalendo a ritroso nel tempo (Lc.3,23-38), per insegnare che anche quei secoli precedenti al diluvio erano connessi con questo mistero, e che tutti gli anelli delle successioni a cominciare dall’inizio portavano a colui nel quale soltanto c’era la salvezza di tutti. Nessun dubbio dunque che «sotto il cielo non c'è altro nome dato agli uomini, mediante il quale si debba essere salvati» (Att.4,12) all’infuori di Cristo, che insieme al Padre e allo Spirito Santo nell’uguaglianza della Trinità vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

 

Note

1) da I Sermoni natalizi di San Leone Magno Papa - ed. EDB classici -

San Leone I, Santo appunto, Dottore e Padre della Chiesa, riconosciuto come Magno (390 circa +461), è il primo Papa del quale si conservi una raccolta sistematica di sermoni ed epistolari, documenti pregiatissimi per lo studio della vita ecclesiastica di quei tempi e della vita stessa del V secolo. Nel suo lungo pontificato Papa Leone dovette far fronte ad una decadenza morale e dottrinale sia a livello politico del suo tempo, quanto della vita ecclesiale. Si battè tenacemente per l'unità della Chiesa e fu il primo Papa a rivendicare il primato del Vescovo di Roma su tutta la Chiesa universale.

2) come si può osservare siamo ad una denuncia (anche profetica) verso una eresia per nulla scomparsa e che si è ripresentata prepotentemente nel nostro tempo con il sostegno della teologia modernista degli anni '60 ad oggi.

3) questa denuncia la riscontriamo oggi nel mondo Pentecostale che nega alla Vergine la maternità divina per combattere ciò che loro accusano ai Cattolici: la venerazione alla "Madre di Dio", termine bandito dalle loro catechesi, per loro Maria è "solo" la Madre di Gesù e non la Madre di Dio....

Si legga anche: LETTERA DI SANT'AGOSTINO AI PENTECOSTALI A.D.2014


   




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)