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[SM=g1740758] § 3. Lo studio
1. Lo studio nella vita domenicana

     
      I Frati devono avere la massima applicazione allo studio: “leggere e meditare di giorno, di notte, in convento e in viaggio, e sforzarsi di tenere a memoria tutto quello che potranno”24.
      Difatti lo studio è uno dei primi mezzi che permettono all’Ordine di conseguire il suo scopo. “Certamente - dice il B. Umberto - lo studio non è il fine dell’Ordine, ma è eminentemente necessario per predicare e per operare la salute delle anime; senza lo studio non possiamo né l’uno né l’altro”». Infatti come è possibile predicare la dottrina, insegnare, discutere, confutare, senza una preparazione seria e metodica?
      Per questo S. Domenico costituì la vita dei suoi figli in modo tale da favorire lo studio imposto come un obbligo di regola, un’occupazione necessaria e permanente.
      Al suo ritorno da Roma, dove aveva ottenuto l’approvazione di papa Onorio - è Teodorico d’Apolda che lo racconta - egli riunì i suoi compagni ed espose loro lo scopo dell’Ordine nuovo: che studiassero e predicassero (ut studerent et praedicarent).
      Perciò uno dei primi obblighi del Priore è di vigilare affinché “gli studi siano sempre in pieno vigore e gli studenti applicatissimi”. Egli concederà le dispense utili affinché la fatica proveniente dalle osservanze non rallenti lo zelo dei Lettori o l’applicazione degli studenti. L’Ufficio stesso dev’essere cantato “brevemente e senza strascichi, per non impedire lo studio”25.
      Secondo le necessità momentanee del ministero, il Frate Predicatore vedrà rallentarsi l’obbligo delle diverse osservanze regolari; ma non sarà mai dispensato dall’obbligo dello studio, tanto esso è fondamentale nella vita domenicana. Il Gaetano esagerava senza dubbio, quando affermava che ogni domenicano, il quale non consacri quattro ore ogni giorno allo studio, è in stato di peccato mortale. È vero nondimeno che sarebbe totalmente fuori di strada e in grave colpa contro la sua Regola quel Frate Predicatore che non amasse il lavoro intellettuale.
      Una delle maggiori cure dell’Ordine, nei suoi inizi, fu quella di organizzare studi completi quant’era possibile e di stimolare i Frati al lavoro intellettuale. Nessun’altra società religiosa aveva ancora fatto questo fino a tal punto. Non appena San Domenico ebbe stabilito i suoi primi figli a Tolosa, fece loro frequentare la scuola episcopale di teologia. Dopo di lui, i Maestri Generali gareggiarono di zelo coi Capitoli per metter l’Ordine alla testa del movimento intellettuale del Medio Evo.
      Ai giorni nostri, l’Ordine ha serbato fede alla sua vocazione scientifica e, come per il passato, domanda ai suoi figli di darsi con ardore allo studio; e lumeggia il suo blasone con la parola così feconda: Veritas.
      Per il Frate Predicatore il dogma è la terra solida, incrollabile, su cui egli appoggia tutte le sue opere, tutta la sua azione. Terra di una inesauribile fecondità: scavata da teologi quali un Alberto Magno, un Tommaso d’Aquino, essa rivela tesori immensi; coltivata dai predicatori e dai mistici, essa s’adorna d’una splendida fioritura, fa germogliare il frumento, che dà il pane alle anime e fa sbocciare i fiori d’amore, gli slanci d’un Enrico Susone, d’una Caterina da Siena.
      Per lunghi anni prima d’essere impiegato nel ministero, il Frate Predicatore deve subire una preparazione grave e metodica. Non si procede alla maniera moderna per la sua iniziazione scientifica. La sua educazione si fa lentamente, tradizionalmente, secondo l’antico metodo scolastico che formò le più grandi menti della Chiesa.
      Giunto verso i vent’anni al noviziato, non è dedicato al ministero se non verso i trenta. Durante questi anni, lontano da tutto ciò che potrebbe dividere il suo sforzo o rallentare la sua attenzione, egli raccoglierà con una docilità intelligente e attiva gl’insegnamenti del passato, imparerà a conoscere ed amare il lavoro dei padri suoi, ciò ch’essi fecero e che non è più da fare; crescerà secondo il loro spirito, nel rispetto dell’opera loro. Allorché verrà il momento di produrre il suo sforzo, invece di distruggere, egli penserà ad aumentare la ricchezza tradizionale e a fornire il suo contributo personale al tesoro accumulato dai suoi padri.
      In ogni tempo, nell’Ordine, il religioso ebbe l’agio di dedicarsi allo studio: “Il tempo non fece loro difetto - scrive Mons. Douais degli studenti domenicani dei secoli XIII e XIV. – Tre anni passati nello Studium artium, tre anni nello Studium naturalium, tre anni con ogni rigore nello Studium theologiae, cioè, nove anni consecutivi consacrati a studi, che cominciavano verso il ventesimo anno. Di più, per i Frati meglio dotati e giudicati atti a divenir maestri a loro volta, tre anni passati nello Studium solemne, oppure anche tre anni passati nello Studium generale, cioè in tutto quindici anni durante i quali lo studio era, dopo la preghiera, l’occupazione principale, unica, necessaria...
      Bisogna ancora aggiungere che il Frate Predicatore, per quanto avesse varcato la soglia delle scuole, non cessava d’essere studente; egli era tale per professione, se così posso dire, poiché presente in convento, era tenuto ad assistere a tutte le lezioni. Così la sua intelligenza era continuamente coltivata, tenuta desta al contatto d’un maestro abile e sperimentato”26.
      Oggi, se l’organizzazione scolastica è stata modificata, per piegarsi alle necessità moderne, essa consacra sempre molti anni allo studio delle scienze sacre e resta vero il detto che il Frate Predicatore è “studente per professione”.


§ 3. Lo studio
2. L’oggetto principale dello studio

     
      Tuttavia, per importante che sia, lo studio non è lo scopo della vita domenicana. Se le Costituzioni non risparmiano alcun incoraggiamento per spingere i Frati al più intenso lavoro intellettuale, esse non insistono meno nel serbare allo studio il suo posto e il suo carattere: “Il nostro studio deve tendere principalmente e ardentemente ad aiutare l’anima del nostro prossimo”.
      Il Frate Predicatore non lavora come il dilettante che si compiace nel suo sapere e lo serba per sé, neppure solamente come il monaco, che cerca nei libri nuovi motivi per amar Dio. Egli ha di mira una scopo preciso: la salvezza delle anime. Utilia potius quam curiosa, diceva il Beato Umberto. E poiché la teologia, prima d’ogni scienza, è ordinata alla salute delle anime, il grande sforzo del Frate Predicatore sarà diretto allo studio dei libri teologici. Le Costituzioni, con quest’espressione, intendono anzitutto la Sacra Scrittura, il cui studio fu tanto raccomandato da S. Domenico27, la teologia propriamente detta e la storia sacra.
      Non è detto che il Frate Predicatore non possa aprir altri libri che questi. S. Tommaso d’Aquino non sdegnava di cercar prove della fede perfino negli eretici e nei pagani. La scienza del suo maestro, S. Alberto Magno, si estendeva a tutti i soggetti profani e gli permise di comporre una vera enciclopedia del sapere umano dei suoi tempi.
      Il Frate Predicatore potrà darsi alle scienze ausiliarie della teologia ed anche ad altre che hanno con essa solo relazioni più remote. Per meglio difendere la Chiesa, l’Ordine non temerà di assicurare ad alcuni dei suoi figli una larga e completa formazione scientifica. Ma lo studio della teologia rimarrà sempre lo studio fondamentale, e le altre scienze non saranno coltivate se non nella misura richiesta dalle necessità apostoliche. Con tanta maggior cura saranno richiamate allo scopo dell’Ordine, che è la salute delle anime, quanto più esse potrebbero allontanarlo28.


§ 3. Lo studio
3. Caratteri dello studio

     
      Le Costituzioni, del resto, vegliano, affinché lo studio non possa mai diventare un ostacolo col diventare un oggetto di curiosità o vana compiacenza. Esse vogliono che il suo primo carattere sia quello d’esser pio. Tale è la condizione della sua utilità.
      Dio non voglia ch’esso sia un ostacolo alla contemplazione! Ogni libro deve parlarci di Dio. È Dio che dobbiamo cercare da per tutto, essendo il nostro primo ufficio quello di scoprire in ogni creatura l’immagine o le tracce del Creatore.
      Lo studio del Frate Predicatore non dev’essere un semplice lavoro intellettuale, una speculazione astratta e fredda. Sarebbe un intendere assai male lo scopo delle Costituzioni. La verità studiata deve discendere nel cuore, prender possesso dell’anima fino nel suo ultimo fondo e divenirvi un principio d’azione sovrana ed universale.
      I nostri primi Padri chiamavano lo studio lectio, ed era per loro il primo gradino della scala che fa salire a Dio: lectio, meditatio, oratio, contemplatio. Essi la cominciavano nell’intelletto e la proseguivano nel cuore. Così studiava S. Domenico: “Dopo la refezione - racconta il Padre Lacordaire riassumendo gli atti della canonizzazione - egli si ritirava in una camera per leggere il vangelo di San Matteo o le epistole di S. Paolo che sempre portava con sé. Si sedeva, apriva il libro, faceva il segno della Croce e leggeva attentamente. Ma ben presto la parola divina lo rapiva fuori di sé. Faceva gesti come se parlasse con qualcuno. Pareva ascoltare, disputare, lottare; sorrideva e piangeva alternativamente; guardava fisso, poi abbassava lo sguardo, poi parlava sommessamente, poi si percoteva il petto. Passava incessantemente dalla lettura alla preghiera, dalla meditazione alla contemplazione. Ogni tanto baciava il libro con amore, come per ringraziarlo della felicità che gli procurava, poi immergendosi sempre più in quelle sacre delizie, si copriva il viso colle mani e col cappuccio”.
      Così ancora studiava S. Tommaso, che ai suoi allievi poteva fare questa candida confidenza: “Io non ho mai letto un libro che lo Spirito Santo non m’abbia aiutato a capirlo e a raggiungervi la profondità d’un mistero”. Il suo segretario e testimone di tutta la sua vita, Fra Reginaldo, rivelava agli studenti di Napoli il segreto del suo immenso sapere: “Miei fratelli, quando il mio Maestro viveva, mi proibì di rivelare le meraviglie di cui ero testimone: non è solo dal suo genio naturale che gli derivava la sua meravigliosa scienza, ma anche dalla sua orazione. Ogni volta che voleva studiare, argomentare, insegnare, scrivere o dettare, egli pregava con un profluvio di lacrime, segretamente, la Verità divina che abita nell’intimo, ed è per il merito della sua preghiera che i suoi dubbi si risolvevano. Se gli si affacciava un dubbio si dileguava mirabilmente. Si vedeva nell’anima sua l’intelligenza e il cuore armonizzare le loro libertà, comandarsi e servirsi alternativamente. Il cuore, mediante la preghiera, meritava il contatto di Dio; l’intelligenza, che fruiva di questo contatto, godeva di un’alta intuizione, tanto più luminosa quanto con maggior ardore il cuore amava”.
      Beato quel Frate Predicatore che sa comprendere che lo studio così praticato è la sorgente a cui s’alimenta inesauribilmente lo zelo apostolico e che, fedele alla grazia della sua vocazione e associandosi alle lunghe generazioni domenicane, si mette alla sequela dei suoi Padri, ripetendo con essi le parole del Salmista: Ingrediar in veritate. Come loro, egli gusterà quella gioia profonda, piena d’amore e d’ammirazione, che Sant’Agostino chiamava: Gaudium de veritate, suprema felicità dell’anima umana. Dante l’esprimeva in tre mirabili versi: Luce intellettual piena d’amore - Amor di vero ben pien di letizia - Letizia che trascende ogni dolore.

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)