00 07/01/2013 11:23
[SM=g1740733] § 5. Le orazioni segrete
     
      Questo è il nome che il B. Umberto, nel Commento alla Regola, dà ad un altro genere di preghiera: le orazioni in cui ciascuno, prostrato davanti a Dio, può versare in una completa libertà la sovrabbondanza dell’anima sua.
      La storia ci dice quanto nei primi tempi dell’Ordine queste preghiere fossero in onore.
      “Il nostro Beato Padre era solito rimanere in chiesa dopo la Compieta. Fatti rientrare i Frati nel dormitorio, egli trascorreva la notte in preghiera piangendo e gemendo. A volte i suoi singhiozzi e i suoi gridi destavano i Frati che riposavano in vicinanza e li commovevano fino alle lacrime”.
      “Il B. Giordano di Sassonia aveva dal Signore ricevuto una grazia speciale d’orazione che nulla poteva fargli trascurare, né le cure della sua funzione di Maestro dell’Ordine, né le fatiche dei viaggi; né alcuna sollecitudine. In convento egli aveva l’abitudine di pregare a lungo, in piedi, colle mani giunte, cogli occhi alzati al cielo. Restava così, senza sedersi né muoversi affatto, per lunghe ore, specialmente dopo il canto della Compieta e del Mattutino. In viaggio come in convento, era tutto immerso in una contemplazione che l’inondava di delizie. Tutto il tempo che non impiegava nel recitare l’ufficio o nel trattare affari seri coi Frati, lo consacrava alla contemplazione.
      Tale era il fervore dei primi Frati che nulla può darne un’idea. Essi prolungavano la loro preghiera dalla notte all’aurora. Di rado, anzi mai la chiesa era senza qualche Frate in orazione, a tal punto che, per essere sicuri di trovarli subito, i portinai andavano a cercarli in chiesa. Attendevano l’ora della Compieta come una festa. Finito l’ufficio, dopo aver salutata la Regina ed Avvocata del nostro Ordine, essi prendevano dure discipline, poi ciascuno faceva come dei pellegrinaggi di altare in altare, prostrandosi con umiltà e piangendo con tanta compunzione che le loro grida d’amore s’udivano di fuori. Dopo il Mattutino pochi ritornavano ai loro libri, meno ancora a letto; essi preferivano correre all’altare della beata Vergine, attorno al quale si vedeva talvolta una triplice fila di Frati, che con slanci di fervore ammirabile raccomandavano e l’Ordine e se stessi. Nessuno potrebbe dire la loro devozione alla Madonna. In cella si tenevano dinanzi la sua immagine e quella di Gesù Crocifisso, affinché sia leggendo, sia pregando, sia addormentandosi, fosse loro facile rimirarle e ottenere uno sguardo di misericordia” (Vitae Fratrum).
      Si metteva in pratica il consiglio del B. Umberto: “I Frati s’applichino alle orazioni segrete con fervore, perchè esse sono un segno manifesto di santità”.


§ 5. Le orazioni segrete (segue)

     
      Ma, si dirà, che metodo usa il Frate Predicatore per far orazione? Nessuno, risponderemo noi. E per buona fortuna. Noi pensiamo come il santo Abate di Solesmes, Don Guéranger: “Dio ci liberi dagli uomini di sistemi e d’idee convenzionali!”. E come Santa Giovanna di Chantal che scriveva: “Il gran metodo d’orazione è non averne nessuno... Se andando all’orazione fosse possibile rendersi una pura capacità per ricevere lo spirito di Dio, questo basterebbe per ogni metodo, l’orazione si deve fare per grazia e non per artifizio”32.
      Che certi metodi recenti, che hanno dei santi per autori e che del resto la Chiesa ha lodati, meritino rispetto e rendano servizio a tante anime, nulla di più certo; ma essi sono fatti per anime che vivono in condizioni che non sono le nostre e rispondono a tutt’altri bisogni. Lo svolgimento normale della nostra spiritualità segue una diversa tendenza.
      Abbiamo veduto come S. Domenico organizzò la vita quotidiana di suoi figli: tutto in essa converge verso la contemplazione. Non avrebbe certo avuta l’idea di ridurre l’orazione ad alcuni istanti determinati. Trattenersi con Dio, contemplare, doveva essere il fondo stesso dell’esistenza. È tutta quanta la giornata che le Costituzioni consacrano a Dio.
      Quando il Frate Predicatore è obbligato al silenzio, è perchè egli dimentichi il mondo e se stesso, e perchè nel raccoglimento ascolti Iddio; quando per ubbidienza deve studiare a lungo la “Sacra Scrittura e i libri teologici”, non si tratta certo d’uno studio arido e astratto, ma d’un lavoro in cui il cuore avrà il suo posto come l’intelletto, in cui l’anima si nutrirà, si immergerà nella bellezza dei divini misteri; lavoro che dev’essere una preghiera esso stesso. La preghiera deve sostenere e tutto penetrare. Preghiera liturgica, orazioni segrete, lectio divina si suppongono a vicenda, si chiamano, si compenetrano e quasi si confondono. Isolarle, metterle in un geloso parallelo sarebbe un falsare l’economia domenicana. Lo studio sia pio, la preghiera sia nutrita di verità, e l’amore verrà, l’amore che conduce all’unione, scopo supremo della vita soprannaturale.
      Così per la preghiera e per lo studio che si sostengono reciprocamente, studiando per meglio amare, pregando per meglio studiare, l’anima domenicana si solleva a Dio, senza scosse e senza rumore, giunge alla vera contemplazione.


§ 5. Le orazioni segrete (segue)

     
      Si noti bene che, se la spiritualità domenicana non usa metodo sistematico, non si deve dire che essa non si conformi ad un ordine e che non osservi una disciplina. I nostri Santi ci lasciarono delle raccolte di meditazioni fatte per intero. Eppure quale unità nelle loro vedute! Qual sicurezza nella loro ubbidienza alla grande tradizione mistica che già Dionigi il Mistico chiamava “la tradizione sacerdotale”!
      Se si vuole, essi hanno un metodo, ma largo, libero, giocondo: quello della Chiesa, che sempre santificò le anime con la liturgia, quello che si poté definire con pari giustezza e forza: “il metodo autenticamente istituito dalla Chiesa per assimilare le anime a Gesù”33. Essi pensarono che le verità, approfondite nello studio, assimilate nell’orazione, cantate senza fine nella preghiera liturgica avevano una grazia somma per sollevare a Dio un’anima già purificata dal silenzio e dalle austerità del chiostro e per farla entrar nel mistero di Cristo e dell’adorabile Trinità.
      Come si vede, l’ascetica domenicana non cerca di formare dei santi secondo una formula unica imposta a tutte le anime. Essa non vuole dar una piega, né imporre una data formazione.
      Un giorno Nostro Signore disse a Santa Caterina da Siena: “Sai che cosa sei tu e che cosa sono io? Se impari queste due cose, sarai felice: tu sei quella che non sei, e io sono Colui che sono!”.
      La spiritualità domenicana è in germe in queste parole, che indicano la sua pratica fondamentale: stabilire l’anima di fronte a Gesù, modello d’ogni santità, affinché lo conosca e si trasformi mediante la vista di lui; applicarla alle grandi e profonde verità, sorgenti dell’azione; riempirla di luce per infiammarla d’amore.
      Qui ancora l’Ordine applica il suo motto: Veritas. Anzitutto ci vogliono idee, idee forti, idee piene, perchè dalle idee nascono gli atti e perché una verità, quand’è veramente padrona dell’intelligenza, finisce col governare la vita.
      Di qui i caratteri della pietà domenicana:
      Eminentemente disciplinata e forte, perché essa è satura di dogma e sempre appoggiata sulla verità che la preserva dagli errori; umile, di un’umiltà tanto più sicura in quanto che nasce, non dai ritorni incessanti su se stesso, ma dalla considerazione della divina maestà: “Io sono Colui che sono, tu sei quella che non sei”.
      Nondimeno, eminentemente libera. Perchè il conoscimento fa nascere l’amore. E che cosa c’è di più libero che l’amore? Giacché la sensibilità è domata e sottomessa all’amore divino, perché non lasciarle i suoi slanci, non permettere di dare ali all’amore? Di qui una mirabile varietà nei Santi domenicani. Ciascuno conserva la sua fisionomia distinta, le sue tendenze personali, le sue virtù preferite, e, sotto le medesime fattezze di famiglia, tradisce le differenze della schiatta, dell’ambiente, dell’educazione. Sono tutti segnati della grande nota domenicana: lo zelo delle anime mediante l’apostolato dottrinale; ma ciascuno aggiunge la sua nota personale: un Vincenzo Ferreri, la foga e l’intransigenza spagnola; un Enrico Susone, la dolcezza e la malinconia renana; una Caterina da Siena, l’armonia e gli ardori della terra italiana.
      Finalmente, pietà eminentemente confidente e gioconda.
      Dalla grande idea tomista: Dio anzitutto! nasce una mistica confidente, che dilata le facoltà umane e le dispone mirabilmente all’apostolato. La formazione teologica del Frate Predicatore lo abitua a considerare la perfezione soprannaturale da un alto punto di vista, a “vivere soprattutto mediante le sommità dell’anima”. Dio ci ama, ci ama infinitamente e in tutti i modi ci attrae a sé. Un solo mezzo efficace di rispondere a quest’amore: la confidenza, l’abbandono. Bando pertanto a quei mezzucci che mantengono l’anima fissa sopra se stessa! Bando a quei ritorni incessanti sopra se stesso, il cui più chiaro risultato è il mantenere l'egoismo. Sursum! In alto! l'anima domenicana si slanci, quale allodola che spicca il suo volo, che sale con celere sbattere d’ali nella luce, più in alto, sempre più in alto! “Mio Dio, dilatate l'anima mia!” supplicava Santa Caterina da Siena.
      Questa è la preghiera del Frate Predicatore egli desidera la dilatazione della vita. Nell’intelletto, una dottrina forte e piena; nel cuore, un amore ardente, profondo; fuori, opere vigorose, leali, ardite.

[SM=g1740771]


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)