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81. Sin dai tempi antichi la teologia ha lavorato in collaborazione con la filosofia. Sebbene questa associazione continui ad essere fondamentale, in tempi più recenti la teologia ha conosciuto anche altre forme di collaborazione. Gli studi biblici e la storia della Chiesa sono stati assistiti da nuovi metodi di analisi e interpretazione dei testi, e da nuove tecniche per verificare la validità storica delle fonti e per descrivere gli sviluppi sociali e culturali [139]. La teologia sistematica, fondamentale e morale hanno tutte tratto vantaggio dal confronto con le scienze naturali, economiche e mediche. La teologia pratica ha beneficiato dell’incontro con la sociologia, la psicologia e la pedagogia. In tutti questi contatti, la teologia cattolica dovrebbe rispettare la giusta coerenza dei metodi e delle scienze utilizzate, ma dovrebbe anche farne un uso critico, alla luce della fede che è parte dell’identità e della motivazione del teologo [140]. I risultati parziali, ottenuti attraverso metodi mutuati da un’altra disciplina, non possono essere determinanti per il lavoro teologico, e devono essere integrati criticamente con la funzione e l’argomentazione della teologia [141]. Un utilizzo non sufficientemente critico delle conoscenze e dei metodi di altre scienze probabilmente condurrà ad una distorsione e frammentazione del lavoro teologico. In effetti già i Padri ravvisarono in una fusione eccessivamente frettolosa tra fede e filosofia una fonte di eresie [142]. In breve, non si deve consentire alle altre discipline di imporre il proprio «magistero» alla teologia. Il teologo dovrebbe certamente acquisire e utilizzare i dati offerti dalle altre discipline, ma alla luce dei princìpi e metodi propri della teologia stessa.

82. In questa integrazione e assimilazione critica da parte della teologia di dati provenienti da altre scienze, la filosofia svolge un’opera di mediazione. Spetta alla filosofia, in quanto sapienza razionale, inserire in una visione più universale i risultati ottenuti dalle diverse scienze. Il ricorso alla filosofia in questo suo ruolo di mediatore aiuta il teologo a utilizzare i dati scientifici con la dovuta attenzione. Ad esempio, le conoscenze scientifiche acquisite in materia di evoluzione della vita, prima di essere prese in considerazione dalla teologia, devono essere interpretate alla luce della filosofia, per determinarne il valore e il significato [143]. La filosofia inoltre aiuta gli scienziati ad evitare la tentazione di applicare in modo univoco i loro metodi e i frutti della loro ricerca a questioni religiose che richiedono un approccio diverso.

83. Il rapporto tra teologia e scienze religiose o studi religiosi (ad esempio, la filosofia della religione, la sociologia della religione) è di particolare interesse. Le scienze e gli studi religiosi trattano i testi, le istituzioni e i fenomeni della tradizione cristiana, ma, per natura dei loro princìpi metodologici, questo studio avviene dall’esterno, senza interrogarsi sulla verità di ciò che viene esaminato; per loro la Chiesa e la sua fede sono semplicemente oggetti di ricerca alla stregua di qualsiasi altro oggetto. Nel XIX secolo si sono avute notevoli controversie tra la teologia e le scienze e gli studi religiosi. Da una parte si sosteneva che la teologia non è una scienza a motivo dei suoi presupposti di fede; soltanto le scienze e gli studi religiosi potevano essere «oggettivi». D’altra parte si affermava che le scienze e gli studi religiosi sono anti-teologici in quanto negherebbero la fede. Oggi queste antiche controversie riaffiorano ogni tanto, ma ci sono adesso migliori premesse per un dialogo proficuo tra le due parti. Da una parte le scienze e gli studi religiosi sono ora integrati nel tessuto dei metodi teologici poiché, non solo per l’esegesi e la storia della Chiesa, ma anche per la teologia pastorale e fondamentale, è necessario indagare la storia, la struttura e la fenomenologia di idee, temi, riti religiosi ecc. D’altra parte, le scienze fisiche e l’epistemologia contemporanea più in generale hanno dimostrato che non c’è mai una posizione neutrale dalla quale ricercare la verità; lo studioso è sempre portatore di particolari prospettive, intuizioni e presupposti che incidono sulla sua analisi. Rimane tuttavia una differenza essenziale tra teologia e scienze e studi religiosi: la teologia ha come suo oggetto la verità di Dio e su questo oggetto riflette con fede e alla luce di Dio, mentre le scienze e gli studi religiosi hanno come loro oggetto i fenomeni religiosi, e ad essi si avvicinano con un interesse culturale, prescindendo metodologicamente dalla verità della fede cristiana. La teologia, operando una riflessione dall’interno sulla Chiesa e la sua fede, va oltre le scienze e gli studi religiosi, ma può anche beneficiare delle indagini che questi svolgono dall’esterno.

84. La teologia cattolica riconosce la giusta autonomia delle altre scienze, come pure riconosce le competenze professionali e lo sforzo verso la conoscenza che vi si possono ritrovare, ed è stata a sua volta stimolo di sviluppi in molte scienze. La teologia inoltre apre la strada attraverso la quale le altre scienze possono affrontare tematiche religiose. Tramite una critica costruttiva, aiuta le altre scienze a liberarsi dagli elementi antiteologici acquisiti sotto l’influenza del razionalismo. Estromettendo la teologia dal novero delle scienze, il razionalismo e il positivismo hanno ridotto la portata e l’influsso delle scienze stesse. La teologia cattolica critica ogni forma di autoassolutizzazione delle scienze, in quanto autoriduttiva e depauperante [144]. La presenza della teologia e dei teologi al cuore della vita universitaria, e il dialogo con altre discipline reso possibile da tale presenza, contribuiscono a promuovere una visione ampia, analogica e integrale della vita intellettuale. In quanto scientia Dei e scientia fidei, la teologia ha una parte importante nella sinfonia delle scienze e, quindi, rivendica il suo giusto posto nel mondo accademico.

85. Un criterio della teologia cattolica è che questa tenta di integrare una pluralità di indagini e metodi nel progetto unificato dell’intellectus fidei, e insiste sull’unità della verità e quindi sull’unità fondamentale della teologia stessa. La teologia cattolica riconosce i metodi propri delle altre scienze e li utilizza criticamente nella sua ricerca, non si isola dalla critica ed è aperta al dialogo scientifico.

3. Scienza e sapienza

86. Quest’ultima sezione esamina il fatto che la teologia non è soltanto scienza ma anche sapienza, con un ruolo particolare nel rapporto tra l’intera conoscenza umana e il Mistero di Dio. La persona umana non si accontenta di verità parziali, ma cerca di unificare elementi e aree di conoscenza diverse in una comprensione della verità ultima di tutte le cose e della vita umana stessa. Questa ricerca di sapienza indubbiamente anima la stessa teologia, e la pone in stretta relazione con l’esperienza spirituale e con la sapienza dei santi. In un senso più ampio, tuttavia, la teologia cattolica invita ognuno a riconoscere la trascendenza della Verità ultima, che non può mai essere pienamente compresa o conosciuta. La teologia non è solo sapienza di per se stessa, ma anche un invito alla sapienza per le altre discipline. La presenza della teologia nel dibattito scientifico e nella vita universitaria ha potenzialmente l’effetto benefico di ricordare a ognuno la vocazione sapienziale dell’intelligenza umana, richiamando il significativo interrogativo rivolto da Gesù nelle prime parole da lui pronunciate nel Vangelo di Giovanni: «Che cosa cercate?» (Gv 1,38).

87. Nell’Antico Testamento il messaggio centrale della teologia della sapienza appare tre volte: «Principio della sapienza è il timore del Signore» (Sal 110,10; cfr Pr 1,7; 9,10). Alla base di questa affermazione è l’intuizione dei saggi d’Israele che la sapienza di Dio opera nella creazione e nella storia e che chi comprende ciò comprenderà il significato del mondo e degli eventi (cfr Pr 7ss, Sap 7ss). Il «timore di Dio» è il giusto atteggiamento alla presenza di Dio (coram Deo). La sapienza è l’arte di conoscere il mondo e di orientare la propria vita alla devozione a Dio. Nei libri del Qohelet e di Giobbe, vengono duramente rivelati i limiti della comprensione umana dei pensieri e delle vie di Dio, non già per distruggere la sapienza degli esseri umani, ma per approfondirla entro l’orizzonte della sapienza di Dio.

88. Gesù stesso rientrava in questa tradizione sapienziale di Israele, e in lui viene trasformata la teologia della rivelazione veterotestamentaria. Egli ha così pregato: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). Questo sconcerto della sapienza tradizionale si colloca nel contesto evangelico della proclamazione di qualcosa di nuovo: la rivelazione escatologica dell’amore di Dio nella persona di Gesù Cristo. Gesù prosegue: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo», per arrivare così al noto invito: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendente il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita» (Mt 11,27-29). Questo «imparare» deriva dalla condizione di discepolo in compagnia di Gesù. Soltanto lui svela le Scritture (cfr Lc 24,25-27; Gv 5,36-40; Ap 5,5), perché la verità e la sapienza di Dio sono state rivelate in lui.

89. L’apostolo Paolo critica «la sapienza del mondo» che considera la croce di Gesù Cristo soltanto «stoltezza» (1 Cor 1,18-20). Questa stoltezza, proclama Paolo, è «sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta», «che Dio ha stabilito prima dei secoli» e adesso ha rivelato (1 Cor 2,7). La croce è il momento cruciale del progetto salvifico di Dio. Cristo crocifisso è «potenza di Dio e sapienza di Dio» (1 Cor 1,18-25). I credenti, coloro che hanno «il pensiero di Cristo» (1 Cor 2,16), ricevono questa sapienza, che dà accesso al «mistero di Dio» (1 Cor 2,1-2). È importante notare che se la sapienza paradossale di Dio, manifestata nella croce, contraddice la «sapienza del mondo», invece non va mai contro l’autentica sapienza umana. Al contrario, la trascende e la realizza in modo imprevisto.

90. La fede cristiana è presto entrata in contatto con la ricerca greca della sapienza. Ha rilevato i limiti di questa ricerca, soprattutto riguardo all’idea di salvezza attraverso la sola conoscenza (gnosis), ma ha anche incorporato dai greci alcune autentiche intuizioni. La sapienza è una visione unificante. Mentre la scienza cerca di rendere conto di un aspetto della realtà particolare, limitato e ben definito, mettendo in luce i princìpi che spiegano le proprietà dell’oggetto studiato, la sapienza cerca di dare una visione unificata dell’insieme della realtà. Si tratta, in effetti, di una conoscenza secondo le cause più alte, più universali e anche più esplicative [145]. Per i Padri della Chiesa, il saggio era colui che giudicava ogni cosa alla luce di Dio e delle realtà eterne, che sono norma per le cose qui sulla terra [146]. Quindi la sapienza ha anche una dimensione morale e spirituale.

91. Come indica il nome, la filosofia vede se stessa come sapienza, o quantomeno come ricerca amorosa della sapienza. La metafisica, in particolare, propone una visione della realtà unificata intorno al mistero fondamentale dell’essere; ma la Parola di Dio, che rivela «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo» (1 Cor 2,9), apre agli esseri umani la via verso una sapienza superiore [147]. Questa soprannaturale sapienza cristiana, che trascende la sapienza puramente umana della filosofia, assume due forme che si sostengono a vicenda, ma che non vanno confuse: la sapienza teologica e la sapienza mistica [148]. La sapienza teologica è opera della ragione illuminata dalla fede. È quindi una sapienza acquisita, nonostante che naturalmente presupponga il dono della fede. Offre una spiegazione unificata della realtà alla luce delle più alte verità della Rivelazione, e tutto illumina partendo dal mistero fondazionale della Trinità, considerato sia di per se stesso sia nella sua azione nella creazione e nella storia. A questo proposito, il Concilio Vaticano I ha affermato: «La ragione, quando è illuminata dalla fede e cerca diligentemente, piamente e con amore, ottiene, con l’aiuto di Dio, una certa comprensione dei misteri, già preziosa per sé, sia per l’analogia con le cose che già conosce naturalmente, sia per la connessione degli stessi misteri fra di loro relativamente al fine ultimo dell’uomo» [149]. La contemplazione intellettuale che scaturisce dall’opera razionale del teologo è così veramente sapienza. La sapienza mistica o «scienza dei santi» è un dono dello Spirito Santo che deriva dall’unione con Dio nell’amore. L’amore infatti crea una efficace connaturalità tra l’essere umano e Dio, il quale permette alle persone spirituali di conoscere e persino patire le cose divine (pati divina) [150], sperimentandole realmente nella loro vita. Si tratta di una conoscenza non concettuale, spesso espressa in poesia. Porta alla contemplazione e all’unione personale con Dio nella pace e nel silenzio.

92. La sapienza teologica e la sapienza mistica sono formalmente distinte ed è importante non confonderle. La sapienza mistica non è mai un sostituto della sapienza teologica. È tuttavia evidente che tra queste due forme di sapienza cristiana esistono stretti legami, sia nella persona del teologo sia nella comunità ecclesiale. Da una parte un’intensa vita spirituale alla ricerca della santità è un requisito della teologia autentica, come dimostrato dall’esempio dei dottori della Chiesa, di Oriente e di Occidente. La vera teologia presuppone la fede ed è animata dalla carità: «Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché l’amore è da Dio» (1 Gv 4,8) [151]. L’intelligenza dà alla teologia la ragione perspicace, ma il cuore ha la propria sapienza che purifica l’intelligenza. Ciò che è vero di tutti i cristiani, ossia che sono «santi per chiamata» (1 Cor 1,2), ha una particolare risonanza per i teologi. D’altra parte il corretto esercizio del compito teologico di dare una comprensione scientifica della fede permette di verificare l’autenticità dell’esperienza spirituale [152]. Per questo motivo santa Teresa d’Avila voleva che le sue monache ricercassero il consiglio dei teologi: «Quanto più il Signore vi favorirà nell’orazione, tanto più sarà necessario che le vostre opere e la vostra orazione poggino su un saldo fondamento» [153]. In ultima analisi, è compito del Magistero, con l’aiuto dei teologi, determinare se una qualsiasi pretesa spirituale è autenticamente cristiana.

93. Oggetto della teologia è il Dio vivente, e la vita del teologo è necessariamente segnata dallo sforzo costante di conoscere il Dio vivente. Il teologo non può escludere la propria vita dall’impegno di comprendere la realtà intera in riferimento a Dio. L’obbedienza alla verità purifica l’anima (cfr 1 Pt 1,22), e «la sapienza che viene dall’alto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera» (Gc 3,17). Ne consegue che la ricerca teologica dovrebbe purificare la mente e il cuore del teologo [154]. Questa caratteristica specifica dell’opera teologica non vìola in nessun modo il carattere scientifico della teologia; al contrario vi si accorda profondamente. La teologia è quindi caratterizzata da una spiritualità distintiva, i cui elementi integranti sono: amore per la verità, disponibilità alla conversione del cuore e della mente, uno sforzo verso la santità, e un impegno verso la missione e la comunione ecclesiale [155].

94. I teologi hanno ricevuto una particolare chiamata al servizio nel corpo di Cristo. Per questa chiamata e per i doni ricevuti sono in un rapporto particolare con il corpo e tutti i suoi membri. Vivendo nella «comunione dello Spirito Santo» (2 Cor 13,13), dovrebbero cercare, insieme a tutti i loro fratelli e sorelle, di conformare la propria vita al mistero dell’Eucaristia, «della quale la Chiesa continuamente vive e cresce» [156]. In effetti, chiamati come sono a spiegare i misteri della fede, dovrebbero essere particolarmente legati all’Eucaristia, dove è racchiuso «tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra pasqua», la cui carne è resa viva e vivificante dallo Spirito Santo [157]. Come l’Eucaristia è «fonte e culmine» della vita della Chiesa [158] e di «tutta l’evangelizzazione» [159], così è anche fonte e culmine di tutta la teologia. In questo senso la teologia può essere considerata essenzialmente e profondamente «mistica».

95. La verità di Dio non è quindi semplicemente qualcosa che possa essere esplorato nella riflessione sistematica e giustificato nel ragionamento deduttivo; è verità viva, sperimentata grazie alla partecipazione a Cristo, «il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione» (1 Cor 1,30). In quanto sapienza, la teologia è in grado di integrare aspetti della fede sia studiati sia sperimentati, e di trascendere, nel servizio alla verità di Dio, i limiti di ciò che è a rigore possibile da un punto di vista intellettuale. Un tale apprezzamento della teologia come sapienza può contribuire a risolvere due problemi che si presentano oggi alla teologia: innanzitutto offre la possibilità di colmare il divario tra i credenti e la riflessione teologica; e in secondo luogo, offre la possibilità di ampliare la comprensione della verità di Dio, così da facilitare la missione della Chiesa nelle culture non cristiane caratterizzate da diverse tradizioni sapienziali.

96. Il senso di mistero che caratterizza propriamente la teologia conduce ad un pronto riconoscimento dei limiti della conoscenza teologica, che contrasta con qualsiasi pretesa razionalista di esaurire il Mistero di Dio. L’insegnamento del Concilio Lateranense IV è fondamentale: «Perché tra il creatore e la creatura, per quanto la somiglianza sia grande, maggiore è la differenza» [160]. La ragione, illuminata dalla fede e guidata dalla Rivelazione, è sempre consapevole dei limiti intrinseci del proprio operato. È per questo che la teologia cattolica può assumere la forma di teologia «negativa» o «apofatica».

97. Tuttavia la teologia negativa non è affatto una negazione della teologia. La teologia catafatica e quella apofatica non dovrebbero essere messe in contrapposizione ; lungi dallo squalificare un approccio intellettuale al Mistero di Dio, la via negativa mette semplicemente in luce i limiti di un tale approccio. La via negativa è una dimensione fondamentale di ogni discorso autenticamente teologico, ma non può essere separata dalla via affirmativa e dalla via eminentiae [161]. Lo spirito umano, sollevandosi dagli effetti alla Causa, dalle creature al Creatore, comincia con l’affermare la presenza in Dio delle autentiche perfezioni scoperte nelle creature (via affirmativa), quindi nega che queste perfezioni siano in Dio nella forma imperfetta che assumono nelle creature (via negativa); infine afferma esse che sono in Dio in un modo propriamente divino che sfugge alla comprensione umana (via eminentiae) [162]. La teologia giustamente intende parlare veramente del Mistero di Dio, ma al tempo stesso sa che la sua conoscenza per quanto vera è inadeguata alla realtà di Dio, che non potrà mai «comprendere». Come ha detto sant’Agostino: «Se comprendi, non è Dio» [163].

98. È importante avere coscienza del senso di vuoto e di assenza di Dio che molte persone sperimentano oggi, e che pervade una così vasta parte della cultura moderna. La realtà primaria per la teologia cristiana, tuttavia, è la rivelazione di Dio. Suo punto di riferimento obbligatorio è la vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo. In questi eventi, Dio ha parlato in modo definitivo attraverso il suo Verbo fatto carne. La teologia affermativa è possibile come conseguenza dell’ascolto obbediente della Parola, presente nella creazione e nella storia. Il Mistero di Dio rivelato in Gesù Cristo dalla potenza dello Spirito Santo è un mistero di ektasis, amore, comunione e compenetrazione delle tre persone divine; un mistero di kenosis, la rinuncia alla figura di Dio da parte di Gesù nella sua incarnazione, per assumere quella di schiavo (cfr Fil 2,5-11); e un mistero di theosis, dove gli esseri umani sono chiamati a partecipare alla vita di Dio e a partecipare «della natura divina» (2 Pt 1,4) attraverso Cristo, nello Spirito. Quando la teologia parla di una via negativa e di un’assenza di parole, si riferisce ad un senso di timore reverenziale davanti al Mistero Trinitario nel quale è la salvezza. Sebbene non sia possibile descriverlo pienamente a parole, per amore i credenti già partecipano al Mistero: «Voi l’amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la meta della vostra fede: la salvezza delle anime» (1 Pt 1, 8-9).

99. Un criterio della teologia cattolica è che questa deve ricercare e rallegrarsi nella sapienza di Dio che è stoltezza per il mondo (cfr 1 Cor 1,18-25; 1 Cor 2,6-16). La teologia cattolica dovrebbe radicarsi nella grande tradizione sapienziale della Bibbia, riallacciarsi alle tradizioni sapienziali del cristianesimo d’Oriente e Occidente, e cercare di gettare un ponte verso tutte le tradizioni sapienziali. Nel ricercare la vera sapienza nello studio del Mistero di Dio, la teologia riconosce la totale priorità di Dio; intende non possedere, ma essere posseduta da Dio. Deve quindi prestare attenzione a ciò che lo Spirito sta dicendo alle Chiese attraverso «la scienza dei santi». La teologia comporta uno sforzo verso la santità e una consapevolezza sempre più profonda della trascendenza del Mistero di Dio.



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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)