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[SM=g1740771] 40 anni di menzogne, 56 milioni di morti
di Marco Respinti
20-01-2013 da LanuovaBussolaQuotidiana

Martedì 22 gennaio ricorrono i 40 anni esatti dell’aborto legale negli Stati Uniti d’America e il Paese sta ancora facendo faticosamente i conti con l’abisso spalancatosi quel 22 gennaio 1973 in cui la Corte Suprema federale di Washington chiuse il famoso caso “Roe v. Wade” introducendo improvvisamente nell’ordinamento giuridico la libertà di sopprimere la vita umana nel grembo materno.
Mancano infatti all’appello circa 56 milioni di vite umane, e da allora alle donne è stata imposta una sudditanza che ha il volte atroce di una nuova schiavitù.

Le si è rese incapaci di guardare la gravidanza come un dono, una speranza, una gioia; si è inculcata loro l’idea distorta che famiglia e professione si escludano a vicenda; le si è rese più deboli di fronte alla rapacità di molti uomini; si e è avvelenato il loro cuore insinuando che la morte è la soluzione ai problemi, ai dubbi, alle difficoltà.
A quattro decenni da quella famigerata decisione, oggi lo dicono apertamente molti, talora insospettabili; per esempio Alveda C. King, attivista per i diritti civili, nipote di Martin Luther King, ex deputata Democratica nella Camera dello Stato della Georgia, due aborti alle spalle (prima di mutare radicalmente visione) e un terzo non riuscito. I 56 milioni di aborti americani attuali sono calcolati in base ai dati ufficiali forniti dal Guttmacher Institute, l’organizzazione non-profit che ha sede a Washington e a New York (e che spesso lavora a stretto contatto con l’Organizzazione Mondiale della Sanità), paladina in tutto il mondo della “salute riproduttiva e sessuale”, vale a dire aborto, contraccezione, sterilizzazione.

Ciononostante, pare che la cultura abortista stia perdendo sensibilmente terreno. Lo dice nientemeno che il settimanale Time, persino dalla copertina. Il fatto è, dice Time, che, nonostante tutto, diverse cliniche abortiste hanno dovuto chiudere i battenti per questa o per quella ragione; che alcuni emendamenti di legge hanno attenuato sensibilmente la gravità della sentenza “Roe v. Wade” (per esempio l’emendamento annuale promosso nel 1976 dal deputato Repubblicano cattolico Henry J. Hyde [1924-2007], che impedisce l’impiego di denaro pubblico americano per l’aborto esclusi incesto e stupro); e che l’azione benefica dei consultori e dell’attivismo pro-life, che negli Stati Uniti è una vera e propria crociata, sta dando effetti grandiosi.

Il punto nodale però è che l’intera vicenda della legalizzazione dell’aborto americano è un cumulo di menzogne. La prima menzogna è quella relativa al numero degli aborti clandestini praticati negli Stati Uniti in condizioni assurde e terribili prima del 1973, una piaga che i filoabortisti hanno a lungo astutamente utilizzato per chiedere a gran voce la legalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza. È una menzogna perché quelle cifre furono gonfiate ad arte.
Responsabile principale di questa bugia fu Bernard Nathanson (1926-2011), il famoso medico di New York che si vantava di essere stato responsabile di 75mila aborti a iniziare da quello che impose e praticò a una giovane che aveva messo incinta. «La cifra vera stava attorno alle 100mila unità, ma noi dicemmo ripetutamente ai media che si trattava di un milione. […] Le donne che morivano ogni anno per gli aborti illegali erano circa 200-250. La cifra che costantemente davamo in pasto ai media era 10mila».

Nathanson lo ha confessato dopo essersi convertito, essere divenuto cattolico ed essersi trasformato in eroe pro-life.
La seconda menzogna è quella della ragazza coperta da anonimato, “Jane Roe”, che, incinta per uno stupro, fu la causa prossima della sentenza del 1973. È una menzogna perché lo stupro fu solo un’invenzione di quella ragazza dall’adolescenza rovinata, lesbica, che, alla terza gravidanza indesiderata, s’inventò la violenza.
Supportata da avvocatesse in carriera con l’uzzolo dell’impegno politico, “Jane” adì il Tribunale distrettuale del Texas e dopo tre anni giunse in Corte Suprema. Intanto quel suo terzogenito era nato, era stato dato come gli altri in adozione e “Jane” cambiò la versione dei fatti invocando la necessità dell’aborto a causa dello stato di povertà e depressione in cui viveva. Lo ha confessato lei, rivelando di chiamarsi Norma Leah Nelson McCorvey, dopo essersi convertita prima al protestantesimo poi al cattolicesimo, ed essersi trasformata in eroina pro-life.

La terza menzogna è quella praticata dalla Corte Suprema federale di Washington. È una menzogna perché a quel massimo tribunale del Paese compete esclusivamente il peraltro decisivo compito di vegliare sulla costituzionalità dell’operato del legislatore, mai quello di legiferare in prima persona.
Invece proprio questo essa fece, indebitamente e scoprendo nelle pieghe della Costituzione federale un inesistente “diritto all’aborto” che applicò al caso Roe v. Wade e un inesistente “diritto alla privacy” che applicò al concomitante caso Doe v. Bolton.
Furono cancellate di botto così le leggi a protezione totale della vita umana nascente fino ad allora presenti negli ordinamenti giuridici di 30 dei 50 Stati dell’Unione nordamericana laddove nei rimanenti 20 l’aborto era permesso solo in caso d’incesto o stupro.

La quarta menzogna è quella che spaccia l’aborto per libertà individuale e diritto alla “salute riproduttiva”. È una menzogna perché la piaga seconda per gravità solamente alla soppressione della vita umana nel grembo materno è oggi quella della sindrome postaborto che colpisce le madri, ma pure i padri di bambini abortiti, seguita a ruota dalla terza, le malattie riconducibili all’aborto che colpiscono le madri abortiste.
Campagne di sensibilizzazione come “Operation Outcry” e “Silent No More” o missioni di ricupero spirituale come Rachel’s Vineyard, attiva anche in Italia come La vigna di Rachele, sono solo due dei numerosi fulgidi esempi di carità e apostolato tesi al ricupero integrale degli ex abortisti. Madri e, sottolineiamolo ancora, anche padri.

La quinta menzogna è quella del mito femminista. È una menzogna perché la “lotta di liberazione della donna” non c’entra nulla con l’aborto. Anzi, semmai c’entra proprio con il suo esatto contrario, la difesa globale della vita umana nascente.
Le fondatrici del movimento femminista americano, Susan B. Anthony (1820-1906) ed Elizabeth C. Stanton (1815-1902), erano tanto arrabbiate quanto antiabortiste. Lo ricorda bene oggi l’organizzazione Feminists for Life guidata da Serrin M. Foster; lo ricorda la Susan B. Anthony List, una lobby che pratica uno screening scrupoloso di ogni donna che negli USA s’impegni in politica; lo ha ricordato la grande accademica Elizabeth Fox-Genovese (1941-2007), già madrina marxista del movimento poi convertitasi al cattolicesimo al grido di (così s’intitola la sua autobiografia) “il femminismo non è la storia della mia vita”. E oggi lo dice finalmente anche il settimanale Time.

Ogni anno, dal 1974, nell’anniversario di questa famigerata sentenza-bugia, per iniziativa e poi a imitazione dell’indimenticata Nellie J. Gray (1924-2012), cattolica, i pro-lifer americani, ma con nutrite rappresentanze di diversi altri Paesi, si danno appuntamento nel cuore di Washington per testimoniare il “sì alla vita” lungo la Constitution Avenue e su fino alla Corte Suprema.
Sono migliaia e migliaia, e crescono ogni volta di più. Quest’anno la 39a Marcia per la Vita americana, la madre di tutte le Marce, si svolgerà venerdì 25 gennaio. Davvero quel Paese non riesce più a reggere 40 anni di aborto legale e milioni e milioni di morti innocenti.



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Quando la "carità cattolica" tradisce la Chiesa
di Massimo Introvigne
19-01-2013 da LanuovaBussolaQuotidiana




Con il motu proprio dell’11 novembre 2012 «Intima Ecclesiae natura» sul servizio della carità, come La Nuova Bussola Quotidiana aveva segnalato, Benedetto XVI aveva chiesto un vero e proprio giro di vite nei confronti delle organizzazioni caritative che si dicono cattoliche ma che, con le parole o con i fatti, contribuiscono alle violazioni dei principi non negoziabili in tema di vita e famiglia.
Dal motu proprio si dovrebbe ora passare alla fase operativa, con la Plenaria del Pontificio Consiglio «Cor Unum» – che coordina gli interventi caritativi della Chiesa in tutto il mondo – in corso in Vaticano.

Che si voglia fare sul serio emerge dall’intervento di apertura del cardinale Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio, ripreso anche da «L’Osservatore Romano» del 18 gennaio. Un intervento, invero, durissimo.
C’è, afferma il cardinale, un’«etica laicista», «pensata da certi organismi internazionali», che è stata imposta «con la violenza a culture e a popoli del mondo intero attraverso meccanismi politici, giuridici e culturali complessi», diffondendo «una visione negativa e distruttiva dell’uomo e della donna».

Il metodo – già denunciato da Benedetto XVI nel corso dei suoi viaggi in Africa – consiste nel ricattare i Paesi poveri, cui si dice che riceveranno aiuti economici dai grandi organismi internazionali solo se si apriranno alla diffusione indiscriminata della contraccezione, all’aborto e al riconoscimento delle unioni omosessuali.
Si vuole imporre con il ricatto degli aiuti, ha detto il porporato, un modello ideologico, «quello legato alla mentalità contraccettiva occidentale e al disprezzo dell’uomo e della donna creati a immagine di Dio, che trovano oggi spazio in forme normative mondiali tipo quelle che si ritrovano nell’ideologia del gender di cui tanto si parla».

Non bisogna stancarsi di denunciare come una forma di violenza l’imposizione ai Paesi poveri «di norme politiche e culturali che trasmettono ideologie e un laicismo aggressivi, intolleranti e distruttivi di culture e soprattutto della fede», e che attentano «culturalmente, politicamente e giuridicamente all’identità costitutiva dell’uomo e della donna come persone, alla loro identità sponsale e alla loro meravigliosa complementarietà nell’amore».
A questo autentico complotto di tante organizzazioni internazionali sarebbe possibile resistere se, almeno, le organizzazioni cattoliche fossero unite nel denunciarlo, e si astenessero da ogni inaccettabile collaborazione.

Purtroppo, come già il Papa aveva rilevato con tristezza nel motu proprio dello scorso novembre, non è così. Amaramente, il cardinale Sarah ripropone «la constatazione che alcuni membri della Chiesa che lavorano nel campo della carità si sono lasciati sedurre e inquadrare dall’etica puramente laica delle agenzie d’aiuto della governance mondiale, sino a fare dei partenariati incondizionati e adottare gli stessi obiettivi di destrutturazione antropologica, gli stessi linguaggi e gli stessi slogan».

Si tratta di un’accusa gravissima. Ci sono organismi cattolici che lavorano alla «destrutturazione antropologica», a quella autentica distruzione dell’uomo denunciata dal Papa nel suo discorso alla Curia Romana dello scorso 21 dicembre come la più grave minaccia per la Chiesa e all’umanità.
Ma il Magistero non è ascoltato, e così queste organizzazioni cattoliche perdono insieme la fede e la capacità di operare per il vero bene comune.

«La storia dell’Occidente – ha affermato il cardinale – ha sufficientemente provato il legame tra infedeltà al Magistero e perdita della fede». Denunciando il rischio – che ormai è più di un rischio – di una secolarizzazione delle organizzazioni caritative cattoliche, il porporato ha aggiunto che il discernimento «che noi cristiani siamo tenuti a fare alla luce del Vangelo consiste da una parte nel renderci capaci di aprire gli occhi e l’intelligenza sulle realtà inconfutabili e negative del nostro tempo, e dall’altra di mantenere lo sguardo fisso su cosa comporta il mistero della presenza di Dio».

La gravità della situazione non può essere sottovalutata. Oggi nel mondo c’è «chi vuole la morte dell’uomo per distruggere il disegno meraviglioso di Dio». E non si tratta di posizioni meramente filosofiche. Si utilizzano tutti i mezzi per «mondializzare nel modo più rapido possibile» una «cultura di morte». Si spaccia per aiuto alle donne «l’imposizione di politiche contraccettive e abortive».
Questa «situazione inaccettabile» passa per il mito secondo cui le grandi organizzazioni internazionali hanno sempre ragione, e la loro «governance mondiale» è sempre benefica e comunque inevitabile. E purtroppo «in gradi diversi alcune istituzioni cattoliche si sono lasciate coinvolgere dall’etica della governance mondiale, impastandola con il Vangelo e con la dottrina sociale. Hanno anche utilizzato quel caratteristico linguaggio ambiguo, si sono allineate alle sue condizioni di sostegno finanziario».

Qualche volta hanno anche fatto buoni affari. Ma questa non può essere la logica dei cattolici. È ora di cambiare, cioè di convertirsi. «La grazia della conversione ci fa uscire da questo quadro e ci fa ripartire in Cristo. La vocazione profetica del cristiano lo chiama a rendere testimonianza al Cristo e ai valori evangelici». «La carità non è una specializzazione nella Chiesa. È la vita del corpo nella sua interezza, è un appello universale a vivere la nostra fede e ad aiutare l’umanità a crescere, grazie al Vangelo».

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[Modificato da Caterina63 20/01/2013 09:53]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)