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13. I «Libri de virtutibus et vitiis»

Vere enciclopedie morali i Libri delle virtù e dei vizi sono uno strumento di lavoro indispensabile per il predicatore. Presento come campione una pagina sull'amore tra padri e figli del Liber de virtutibus et vitiis di Servasanto da Faenza. Seguo la lezione del codice 1696 della Biblioteca Universitaria di Bologna (cc. 72r-73v).

Viso de amore modoque amandi quo diligitur proximus, nunc videre restat de speciebus ipsius, et primo de amore parentum. Nam ad eorum amorem et movet natura et movent beneficia et movent exempla. Dico quod movet ad amorem parentum ipsa natura, quia corpus filiorum procedit ex carne parentum... Nota tamen quod amor iste non debet mensura carere, sed primo divino amore debet esse cohibitus. Unde Dominus in Matthaeo [1] sic ait: Qui diligit patrem vel matrem plus quam me non est me dignus. Cuius ratio est quia anima longe est melior corpore propter quam corpus est factum; et quia spiritualia sunt corporalibus meliora. Ergo Deus qui per se animam dedit et sine quo homo corpus non generavit, est magis quam homo amandus, quia quod dedit est longe maius et melius. Maiora enim dona maioris amoris sunt provocativa. Amor ergo parentum est bonus, sed si non sit amori divino contrarius. Gregorius: In hoc modo ametur quilibet adversarius, sed in via Dei contrarius non ametur etiam propinquus [2]. Honora patrem tuum, sed si te a vero Patre non separet. Tamdiu scito carnis copulam quamdiu ille noverit creatorem. Similiter et amor filiorum debet esse in Dominum. Exemplum in Heli et filiis eius de quibus sic legitur 1° Regum: Quare, Dominus inquit, honorasti filios tuos magis quam me? [3] Et sequitur inquiens quomodo periit ipse cum filiis una die [4]. Sed non talis Abraham, qui filium amatissimum voluit immolare [5]. Non talis et mulier illa sancta que septem filios pereuntes sub unius diei tempore conspiciens mori beato animo ferebatur, 2° Macabeorum [6]. Fuerunt et alie plures femine sancte, amorem Dei preferentes filiorum amori; sed heu quia nonnulli sunt qui amorem filiorum Domini proponunt amori. Exemplum de illo qui in pueritia non correptus a patre latro magnus est factus. Quem cum pater revocare a latrociniis niteretur, ostendit illi filius arborem tortuosam, in sua obliquitatem diutius delicatam, dicens patri ut rectificaret illam; hoc illi ostendere volens exemplo: quod sicut virgulas teneras facile ad rectitudinem possunt agricole revocare, sed non antiquatas et desiccatas in obliquitate; sic infantuli facile corriguntur, si a parentibus corrigantur, sed male diutius assueti non possunt divina potentia revocari…

[Avendo trattato dell'amore e del modo di amare il prossimo, resta da vedere delle sue varie specie, e innanzitutto dell'amore dei genitori. Muovono ad amarli la natura stessa, i benefici ricevuti, gli esempi. Dico che spinge ad amare i genitori la natura, perché il corpo dei figli deriva dalla carne dei genitori… Tuttavia è da notare che questo amore naturale non deve essere senza limiti, ma limitato innanzitutto dall'amore di Dio. Perciò il Signore dice nel Vangelo di Matteo: Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me. La ragione di questa affermazione è che l'anima è molto migliore del corpo, che è fatto per essa, e perché le cose spirituali sono migliori delle corporali. Dunque Dio, che per sua bontà diede l'anima, e senza il quale l'uomo non generò il corpo, va amato più dell'uomo: infatti doni maggiori esigono un più grande amore.

Dunque l'amore dei genitori è buono solo se non è contrario all'amor di Dio. Dice san Gregorio: A questo patto si ami qualunque nemico, ma se si oppone alla via di Dio, non si ami neppure un parente. Onora tuo padre, ma se non ti separa dal vero Padre. Riconosci l'unione della carne solo finché essa riconoscerà il Creatore. Così anche l'amore per i figli deve essere nel Signore. Vedi l'esempio di Eli e dei suoi figli, di cui così si legge nel primo Libro dei Re: Perché, dice il Signore, hai onorato i tuoi figli più di me? E segue dicendo come perì egli coi figli in un giorno. Non così si comportò Abramo, che fu pronto a immolare il suo amatissimo figlio. Non così quella santa donna che serenamente sopportava di vedere morire nello stesso giorno i suoi sette figliuoli, come si legge nel Libro secondo dei Maccabei. Vi furono anche molte altre donne sante, che preferirono l'amore di Dio a quello dei figli; ma ahimè, non pochi mettono l'affetto per i figli davanti all'amor di Dio. Vedi l'esempio di quello che, non essendo stato castigato dal padre mentre era fanciullo, diventò un grande bandito. Al padre, che tentava di distoglierlo dalla rapina, questi mostrò un albero storto, che era stato lasciato crescere troppo a lungo in senso obliquo; e gli disse di raddrizzarlo. Con questo esempio volle mostrargli che come i contadini possono facilmente raddrizzare i teneri alberelli, ma non le piante cresciute e rassodate nella loro stortura; così i fanciulli si ravvedono facilmente, se corretti dai genitori, ma una volta incalliti nel male non possono essere mutati neppure dalla Potenza divina…].

[1] Matteo 10, 37.

[2] Moralium in Iob, Homilia XXXVII, 3 (Patrologia latina 76, 1277).

[3] I Libro dei Re 2, 29. I figli di Eli, sacerdoti del Tempio, mangiavano le offerte prima che fossero sacrificate e giacevano con le donne di servizio. Il padre li rimprovera, ma blandamente.

[4] Cfr. il cap. 4.

[5] Genesi 22, 9.

[6] Libro 2° dei Maccabei, cap. 7.

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14. Sant'Antonio da Padova: sermone per la IV Domenica dopo l'Epifania

Mi limito a riprodurre il prothema, dove sant'Antonio chiarisce quali siano i compiti del buon predicatore. Si noti che il prothema sviluppa una autorità (Ascende in silvam) che richiama verbalmente il versetto del thema (Ascendente Jesu etc.). Il testo è quello dell'ed. Locatelli (Sermones dominicales et in Solemnitatibus, a cura di A. M. LOCATELLI, Patavii, presso la Basilica, 1885, vol. II, p. 685).

In illo tempore: Ascendente Iesu in naviculam, secuti sunt eum discipuli eius [1]. Dicitur in libro Iosue: Ascende in silvam, et succide tibi spatia in terra Pherezaei et Raphaim [2]. Silva est sterilis congregatio peccatorum, frigida, obscura, bestiis plena. Frigida propter defectum caritatis, abundavit enim iniquitas, et refriguit caritas [3], obscura propter defectum luminis; dilexerunt, inquit, homines magis tenebras, quam lucem [4]; plena bestiis gulae et luxuriae, usurae et rapinae: Exterminavit, inquit, eam aper, idest diabolus, de silva etc. [5]. In hac silva est venator Nembroth, idest diabolus. In hanc ergo silvam ascende, o Praedicator, et illa securi, cuius manubrium humanitas, cuius est ferrum divinitas, succide tibi spatia. Securis, inquit Evangelista, ad radicem arborum posita est [6]. Arbor mundanae altitudinis, silva sterilis et peccatricis congregationis succiditur securi Dominicae Incarnationis. Cum enim attente attendit Caput divinitatis reclinatum in gremio pauperculae Virginis, a sui status dignitate cadit, et sic fit locus spatiosus, in quo aedificatur civitas Domini virtutum, quam fluminis impetus laetificat [7]. Haec est mutatio dexterae Excelsi [8], ut ubi abundavit delictum, superabundet et gratia [9]. In terra, inquit, Pherezaei, qui interpretatur separatus, et Raphaim, qui interpretatur gigantes vel dissolutae matres. In hac triplici interpretatione maledictus ternarius designatur, scilicet superbia, avaritia et luxuria. Superbi animi fastu a ceteris separantur; avari sunt quasi gigantes terrae filii terrenis dediti; luxuriosi sunt tamquam matres dissolutae duobus uberibus, scilicet gula et luxuria carnis affectus nutrientes. Ad succidendum ergo hanc silvam, in tali terra radicatam, Praedicator ascendit sequens vestigia ascendentis in naviculam, de quo dicitur in hodierno Evangelio…

[In quel tempo: Essendo Gesù salito sulla barca, i suoi discepoli lo seguirono. Si dice nel Libro di Giosuè: Vai nella selva, e abbattila per farvi un posto nella terra del Ferezeo e dei Raphaim. Selva è l'assieme dei peccati che tolgono ogni frutto: selva fredda, oscura, piena di belve. Fredda per mancanza di carità: infatti abbondò l'iniquità e la carità si raffreddò. Oscura perché vi manca la vera luce: Gli uomini – dice Giovanni – preferirono le tenebre alla luce. Piena di belve, cioè gola, lussuria, usura e rapina. Dice la Scrittura: Il cinghiale della foresta, cioè il demonio, la devasta. In questa selva vive il cacciatore Nembroth, cioè il diavolo. Dunque tu, o predicatore, vai in questa selva e fatti uno spazio brandendo quella scure che ha per manico l'umanità, per ferro la divinità di Cristo. La scure – dice l'evangelista – è posta alla radice degli alberi: l'albero della superbia umana, la selva della compagnia sterile dei peccatori è recisa dalla scure dell'Incarnazione del Signore. Quando il peccatore guarda fissamente il Capo della divinità reclinato nel grembo della piccola Vergine, cade dall'altezza della sua superbia; così si forma un luogo spazioso, dove si edifica la città divina delle virtù, allietata dal fiume e dai suoi ruscelli. Questo mutamento viene dalla mano di Dio, perché dove abbondò il peccato, sovrabbondò anche la grazia.

Dice: nella terra del Ferezeo, che si interpreta «separato», e dei Raphaim, che significa «giganti» o «madri dissolute». In questa triplice interpretazione si indica la maledetta triade, cioè la superbia, l'avarizia e la lussuria. I superbi per l'alterigia del loro animo sono separati dagli altri uomini; gli avari sono quasi giganti, figli della terra, dediti alle cose terrene; i lussuriosi sono come madri dissolute che nutrono gli istinti della carne a due poppe, cioè la gola e la lussuria. Dunque il predicatore sale per tagliare questa selva, seguendo i passi di colui che sale nella barca, di cui parla il Vangelo di oggi…].

[1] Matteo 8, 23.

[2] Libro di Giosuè 17, 15.

[3] Cfr. Matteo 24, 12.

[4] Giovanni 3, 19.

[5] Salmo 79, 14.

[6] Matteo 3, 10.

[7] Salmo 45, 5.

[8] Salmo 76, 11.

[9] Lettera ai Romani 5, 20.

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15. San Bonaventura: sermone per la XIII Domenica dopo Pentecoste

La predica non ha prothema, ma è introdotta da una similitudine morale. La struttura è quella tipica del sermo modernus: il thema è diviso in tre parti, che a loro volta sono svolte con successive suddivisioni. Un exemplum, tratto dall'esperienza personale del predicatore, ravviva il tono del discorso, che pure si regge soprattutto su citazioni scritturali abilmente concordate. Il passo è tratto dall'ed. dei Sermones dei Padri di Quaracchi (Opera omnia, t. IX, Ad Claras Aquas, 1901, pp. 403-404).

Steterunt a longe et levaverunt vocem, dicentes: Iesu, praeceptor, miserere nostri, Lucae decimo septimo [1].

Quia solent reges et iudioes petitiones indiscrete formatas refellere nec effectui mancipare; hinc est, quod isti leprosi, gerentes typum petentium, ne reprehensibiles invenirentur coram Maiestate magni regis et iusti iudicis Iesu Christi, ostenduntur in verbo proposito discrete et prudenter suas petitiones porrexisse… Primo namque habuerunt religiosum gestum circumspectionis per distantiam positionis, quia perfusi erant timore humiliationis. Non enim accesserunt tanquam superbi praesumtuose, sed tanquam humiles reverenter steterunt a longe. Secundo habuerunt devotum praeconium laudationis, quia invocabant Principium humanae salvationis cum vehementia clamoris; unde levaverunt vocem, eximio cum desiderio proferendo: Iesu, quod interpretatur salus. Tertio habuerunt discretum intentum petitionis, quia versabantur circa defectum propriae infectionis sine verecundia propalationis; et ob hoc subiunxerunt: miserere nostri, scilicet quia sumus infecti morbo leprae. Non enim verecundati sunt suum defectum coram omnibus propalare.

Dicit ergo: Steterunt a longe; ubi commendantur quantum ad religiosum gestum circumspectionis. Unde illa anima habet religiosum gestum circumspectionis, quae primo stat humiliter ad deplorandum commissa peccata; secundo stat viriliter ad superandum diabolica tentamenta; tertio stat perseveranter ad obtinenda aeterna praemia.

Primo illa anima poenitens habet religiosum gestum circumspectionis, quae stat humiliter ad deplorandum sua peccata; unde Lucae decimo octavo [2]: Publicanus, a longe stans, nolebat nec oculos ad caelum levare, sed percutiebat pectus suum, dicens: Deus, propitius esto mihi peccatori. Unde Glossa [3]: «A longe stat, sicut humilis non audet appropinquare, ut ad eum Deus appropinquet; non aspicit, ut aspiciatur; premit conscientiam, sed spem sublevat, percutit pectus, poenas de se exigit, ut Deus parcat; confitetur, ut Deus ignoscat; ignoscit Deus quod ille agnoscit». Intellexerat enim ille publicanus illud quod dicitur Ecclesiastici secundo [4]: Fili, accedens ad servitutem Dei, sta in iustitia et timore. Hoc modo stabat etiam Maria Magdalena, secundum quod dicitur Lucae septimo [5].

Secundo illa anima habet religiosum gestum, quae stat viriliter ad superanda diabolica tentamenta; unde ad Ephesios sexto [6]: Induite vos armaturam Dei, ut possitis stare adversus insidias diaboli; et sequitur: State ergo succincti lumbos vestros in veritate et induti loricam iustitiae. – Ista armatura, qua debemus indui ad hoc, ut possimus superare diabolica tentamenta, est memoria passionis Christi; quae si ad memoriam affectuose reducatur, statim omnes daemones cum tremore effugantur, secundum quod experientia me docuit pluries. Nam semel, cum diabolus, fortiter me stringens in gutture, vellet strangulare, iam non valens prae nimia strictione gutturis clamare, ut a Fratribus adiutorium impetrarem, incipiebam cum ingenti dolore spiritum exhalare; sed habita dominicae passionis memoria, incepi in me compassione dominicae passionis singultus geminare et ignita suspiria loco vocis ad intimis cordis medullis emittere; quo facto, virtute dominicae passionis ego servus crucis, Bonaventura, qui volumen praesens sermonum ad laudem nominis Christi et sanctae crucis honorem compegi, tam crudeli nece profiteor me esse liberatum.

[Si fermarono di lontano e alzarono la voce dicendo: Gesù, maestro, abbi pietà di noi. Luca 17.

I re e i giudici sogliono respingere e invalidare le petizioni avanzate senza discrezione; perciò questi lebbrosi, che rappresentano l'uomo che supplica, avanzarono le loro richieste, come appare dal versetto proposto, con discrezione e prudenza, perché fossero irreprensibili davanti alla Maestà del grande re e giudice, Gesù Cristo… Infatti ebbero innanzitutto un gesto pio di circospezione, espresso dal loro sostare lontani, poiché erano pieni di timore e di umiliazione. Non si avvicinarono presuntuosamente, come fanno i superbi, ma come gli umili si fermarono lontano con reverenza. In secondo luogo ebbero un'espressione devota di lode, poiché con grande clamore invocavano il Principio della salvezza umana: cioè alzarono la voce, gridando con sommo desiderio: Gesù, che si interpreta «salute». In terzo luogo ebbero un saggio intento nel chiedere, poiché parlavano della propria infezione senza vergogna di dichiararla. E perciò soggiunsero abbi pietà di noi, s'intende perché siamo infetti dalla lebbra. Non si vergognarono infatti di manifestare davanti a tutti il loro difetto.

Dice dunque: Si fermarono lontano, dove sono lodati per il pio gesto di circospezione. Questo atto fa l'anima che si ferma prima di tutto a deplorare umilmente i peccati commessi; poi si ferma virilmente a superare le tentazioni diaboliche; in terzo luogo si ferma perseverantemente per ottenere i premi eterni. Prima di tutto l'anima penitente fa un gesto di pia circospezione, stando umilmente a piangere i suoi peccati; onde Luca scrive nel capitolo 18: Il pubblicano, stando lontano, non osava neppure levare gli occhi al cielo, ma si percuoteva il petto dicendo «O Dio, sii propizio verso di me che sono peccatore». E la Glossa aggiunge: «Sta lontano, come l'umile non osa avvicinarsi, perché Dio si avvicini a lui; non guarda, perché sia riguardato; la sua coscienza è abbattuta, ma la speranza è alta; batte il petto, si dichiara colpevole perché Dio perdoni; confessa perché Dio sia clemente: Dio infatti perdona il peccato che egli riconosce». Quel pubblicano aveva inteso il detto che si legge nel capitolo secondo dell'Ecclesiastico: Figlio, se tu intraprendi a servire il Signore, sta nella giustizia e nel timore. Così stava anche Maria Maddalena, secondo quanto si dice nel settimo capitolo del Vangelo di Luca…

In secondo luogo fa un gesto pio l'anima che sta virilmente ferma per superare le tentazioni del demonio, come è detto nel sesto capitolo della Lettera agli Efesini: Rivestitevi dell'armatura di Dio, perché possiate resistere alle insidie del diavolo; e poi: Dunque state coi fianchi cinti di verità, rivestiti della corazza della giustizia. Questa armatura, di cui dobbiamo coprirci per vincere le tentazioni diaboliche, è la memoria della Passione di Cristo. Se la richiameremo alla memoria con affetto, sùbito tutti i demonii atterriti saranno messi in fuga, come più volte mi ha insegnato l'esperienza. Una volta infatti, mentre il diavolo, stringendomi forte la gola voleva soffocarmi, non avendo io, così terribilmente attanagliato, neppure la forza di gridare per avere soccorso dai confratelli , già stavo per esalare l'anima con terribile dolore. Ed ecco revocando alla memoria la Passione del Signore, cominciai a moltiplicare dentro di me i gemiti, per la compassione colla quale partecipavo alla sua Passione; quindi invece di parole cominciai a emettere sospiri ardenti dalle più intime fibre del mio cuore. Dopo di ciò, per virtù della Passione del Signore, io Bonaventura, servo della Croce, autore di questo volume di sermoni a lode del nome di Cristo e della Santa Croce, dichiaro di essere stato liberato da una morte crudelissima].

[1] Luca 17, 13.

[2] Luca 18, 13.

[3] Glossa Ordinaria: cfr. Patrologia Latina 114, col. 323.

[4] Ecclesiastico 2, 1.

[5] Cfr. Luca 7, 38.

[6] Lettera agli Efesini 6, 11.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)