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18. Tre prediche di fra Giordano da Pisa

Della vastissima predicazione di fra Giordano si propongono tre esempi, che illustrano alcuni degli aspetti più interessanti del suo pensiero e della sua arte. La prima, inedita (dal Ms. Canoniciano italiano 132 della Bodleian Library di Oxford, cc. 74rb- 76va), è un vivace documento della floridezza economica fiorentina all'inizio del secolo XIV, e riflette i problemi morali e sociali connessi col primo sviluppo della società capitalistica. Le altre due prediche dànno un'idea del livello culturale e dei temi più tipici della predicazione giordaniana. Mi servo dell'edizione del Quaresimale fiorentino del 1305-1306 (Firenze, Sansoni, 1974), da me curata per la collana di «Autori classici e documenti di lingua pubblicati dall'Accademia della Crusca», dove le due prediche hanno rispettivamente i numeri XXVIII e LXXV.
a) MCCCIIII, Venerdì dopo nona [1], il dì di calendi gennaio, in Santa Maria Novella predicò frate Giordano

Consummati sunt dies octo [2]. Due sono quelle cose, secondo che i savi dicono, che tolgono la perfezione di tutte le cose: cioè difetto e soperchio. Questi, dicono i savi, tolgono la perfezione. In questa parola proposta si mostra perfezione d'opera compiuta, che fu consumata e perfetta; e questo ne dimostra in ciò che dice dies octo, imperò che otto si è numero circulare e ritondo, che non va più inanci che debbia, che si ritorna in quel medesimo punto. Così va il cerchio. E però facciamo noi l'ottave, imperò che l'ottava sì compie il numero circolare de la festa. Onde se ozzi [3] è domenica, sì diciamo noi che l'altra domenica sia l'ottava, e così ritorna in uno medesimo dì. E però qui avemo exemplo di perfezione in non mancare nell'opere nostre e di non superchiarle, però che così è difetto e vicio il soperchio come 'l poco. Cristo ne diede exemplo nelle sue opere perfette di mozzare il soperchio in ciò che si circoncise, ché tanto è a dire circumcidere come tagliare il soperchio.

Di queste due cose, cioè del mancamento e del soperchio, sarebbe buono a dire d'amendue: diciamo ora pur de l'uno e basterà. Dico dunque che 'l difetto toglie via la perfezione, e quanto è più il difetto, tanto se' più di lungi da perfezione. Quattro sono le ragioni e i modi onde tutte l'opere nostre sono difettive e non sono compiute né consumate, ma mancano: cioè propter difectum ordinis, propter decentiam pulcritudinis – e il suo contrario è defectum pulcritudinis –, propter fortitudinem – e 'l suo contrario si è defectum fortitudinis –, e propter saporem – e 'l suo contrario si è defectum saporis –. Queste sono quattro cose e quattro vie onde tutte l'opere nostre sono difettive e tutte mancano a perfectione, e ogni difetto si possono reducere a questi quattro.

Prima dico che l'opere nostre sono difettive e manche e non sono perfette né confermate per questa ragione: cioè per difetto d'ordine. Quale è l'ordine di tutte le cose? E' è di farle a quel fine al quale sono fatte. Questa è l'ordine, che se tu non fai al fine che 'l dei, tutta è manca la detta opera: così dicono i savi. Or ne veggiamo alcuna. Ecco l'opera de la mercantìa che tuttodì fate: questa si è fatta al suo fine, e quale è il suo fine? A due cose, cioè ad subventionem e ad dilectionem vel congregationem. Prima dico ad subventionem, cioè per sovenimento a' difetti, ché io ho molti difetti e non posso per me bastarmi, né tu a te, ma sono trovate l'arti e le mercantìe acciò che io faccia una mercantìa e tu un'altra, sì che de la mia mercantìa soverrò il difetto tuo, e tu de la tua soverrai al mio. E però sono l'arti diverse per li molti difetti ch'avemo. Io ti do il panno, che n'hai mistieri, e tu dai a me i denari che n'ho mistieri: e così di tutte l'arti. E così fanno le cittadi, ché non ha dato Idio a una gente ciò che bisogna, no, ma intra diverse genti l'ha date: e così l'una cittade soviene l'altra di quello ch'ella a ha, e così l'uno paese l'altro, sì che la mercatantìa si è trovata per subventionem, per cacciare e torre via le molte neccessitadi e difetti che avemo.

Simigliantemente è fatta per congiunzione e per amore. E però volse Idio che noi fossimo difettuosi e abisognassimo l'uno de l'altro per congiunzione e per amore, che se non avessi difetto e avessi da me ciò ch'io volesse, e non abisognasse nulla d'altrui, io non gli favellerei, io non starei con lui. Or perché, se io non abisognasse? E così staremmo come bestie soli, che le bestie hanno pochi difetti e non abisogna l'uno de l'altro: stannosi per gli boschi e per li diserti, soli soli si vanno; così staremmo noi. E però provide Idio a ciò, che volse che l'uno abisognasse a l'altro. E non dé ogni arte a ogni omo e ogni sufficienzia a ogni paese, acciò che l'uno si raguni con l'altro e che l'uno visiti l'altro e stia l'uno con l'altro, e l'una gente vada a l'altra e l'uno paese e l'altro, acciò che le genti si visitassero insieme [4] l'una l'altra per congiunzione d'amore e d'amistà. Questo è dunque l'ordine e il fine de la mercatantìa, cioè subventione e amore. Se a questo ordine e a questo fine si facessero l'arti e le mercatantìe, tutti saremmo santi, tutte sarebber sante. Ma se questo ordine ci è ozzi o se a questo fine si fanno, non mi fa uopo dire: voi il vedete e sapete. Perché si fanno ozzi le mercatantìe e l'arti, a che fine, a che ordine? A ingannare l'uno l'altro, a rubare l'uno l'altro, a spogliare l'uno l'altro. Veracemente è come disse il Signore [5], che Cristo spogliò il tempio du' volte de' peccatori: l'una volta disse che l'avevan fatto casa di mercantìa, l'altra volta dice che la fecero spelunca de ladroni. Vedi parola, dicono i santi [6] prima la chiama mercatantìa, poi spelunca de' ladroni! Veracemente l'arti furo fatte e le mercatantìe al fine so- pradetto, ma ell'è ozzi fatta spelunca de' ladroni. Quale è l'arte de' ladroni? D'uccidere, di spogliare, di rubare. Così le mercatantìe si fanno a uccidere, a rubare e a spogliare: tutti sono scherani [7] a ingannare e a rubare l'uno l'altro. Tutte le mercatantìe e tutte l'arti sono ozzi corrotte di mille corruzioni, non ci ha arte che corrotta e lìvera [8] non sia, e direttamente sono dette spelunche, come dice il salmo: ut insidiatur in abscondito quasi leo in spelunca sua [9]. Egli stanno in aguato come il leone ne la spelunca, se neuno cattivello passa, di spogliarlo. Così è veramente: egli stanno in spelunche buie, e mostrano una cosa per un'altra, e i panni stracciati e rimendati cuoprono; e spogliano altrui ne le caverne.

E così de l'altre arti altresì, tutte sono corrotte sanza fiore [10] di carità. Non si curerà di metterti adosso la mala mercatantìa, anzi non desidera altro, e di vendertela ancora più cara che la buona non se ne temono, anzi il desiderano, e se possono unque [11], non se ne infingono. Vedi adunque l'arti corrotte, e specialmente ho detta di questa arte de la lana e de la mercatantìa che si fa più in questa città [12]. Così de l'altre si potrebbe anche dire, ma più di questa quasi che di tutte per le molte rie cose che ci si fanno. Questa corrucione è venuta per troppa avaricia, per troppa cupiditade ch' è in questa città sopra tutte l' altre cittadi quasi del mondo, però che comunamente siamo più ricchi. E però l'uno vole essere ricco a paratico [13] de l'altro, e però si mettono a fare ogni disordinazione per guadagnare. Nell'altre cittadi non sono gli omini troppo ricchi, hannosi cotali loro ricchezze piccole, stannosi col loro poco, hannosi loro ricchezza convenevole, e però stannosi così: non hanno questa sete de la avaricia ch'avemo noi, che volemo essere troppo ricchi, anzi straricchi. E così ti dicerei di tutte l'arti…

La seconda cosa che dà perfezione si è decentia pulcritudinis, e toglie la perfezione il suo contrario, cioè defectum pulcritudinis, difetto di bellezza. Quando è la cosa bella? Quando le dai la forma e il colore suo: non sia soprastagnato, che di sopra sia colore d'oro e di sotto sia stagno, non, ma dando a ciascheduna cosa suo colore. Onde ciascheduna cosa ha suo colore: l'oro ha suo colore, l'argento n'ha un altro, la pietra un altro, il marmo un altro e il legno un altro; e così di tutte le cose, ciascuna vuole il suo colore. Quale è dunque il difetto de la perfezione? Quando non hanno il loro colore né la loro bellezza, hanno altri colori e altre viste. E questo difetto potremmo porre a tutte le sopradette cose, che se noi ci facciamo prima a la mercatantìa, dico che non ha il suo colore, ha altro colore. Io dico di tutte l'arti, tutte sono dipinte e tutti gli artìfici sono fatti dipintori, tutti dipingono le loro mercatantìe. S'egli è il mercatante o il lanaiolo, dipingono sì i loro panni che parrà molte volte una lisciata [14] cosa, e quando si metterà indosso, tutta la bontà francesca [15], ne cascherà a terra e rimarrà la ragna e il panno grosso e sozzo com'egli è di natura. Questo è il dipignere, e è mal colore questo, imperò che non è il suo colore, è soprastagnato. E però sono sozzate l'arti e falsate, che danno alle merce colore e modo che non è suo per venderla più, e ricuoprono le magagne e aciecano altrui acciò che ingannino e vendano care le marcatantìe loro: questo è grave peccato. Così altresì il vinatiere quante cose rie e sozze fa egli ne l'arte sua non si potrebbe dire, e così ogni arte quasi. Onde eciandio i barbieri, ch'è la più pura arte che sia, sì l'hanno tolta la bellezza sua, che non guardano né domeniche né pasche [16], né dì di feste; e così sono corrotte l'arti.

Anco hanno fatto gli artefici tanti capitoli e tanti statuti [17] che si debia osservare ch'è un peccato, ché saranno molte volte l'una metade rei e contra Dio. E così sotto questo liscio del sacramento (che dice: – Nol farei ché io l'ho giurato) fanno molti mali che pare che sia opera diritta a dire – Io l'ho giurato e sarà giuro di peccato, e dice – Io l'ho giurato –. Or come l'hai giurato, ch'è certamente male; or puo'ti tu legare a sacramento di Dio di fare nulla opera di vicio o di peccato? Non piaccia a Dio, somma pazzia e insania questa è! Hanno fatti i molti ordinamenti, che averà talora una piccola articella cinquanta e sessanta capitoli, che ve n'averà più che la metade tutti rei, che si vorreber cassare via a terra, e osserverannogli per sacramento. Or che peccato è questo a legarti per sacramento a ogni cosa, non piaccia a Dio che questo si debia fare! Dovarebbono ai capitoli porre pena cotanto, chi contrafacesse, secondo l'accesso: o soldi due o cinque o diece o soldi vinti o livre diece, come si convenisse: porre pena di cose temporali. Anzi per ogni cosa pongon l'anima! Dice colà colui che fa giurare: – Imprometti d'osservare questi capitoli, tali e tali, e giura a le sante Idio vangeli d'osservarli –; e a tutti si legherà per sacramento. O sciagurato, or che fai, or è questo bello a fare, a mettere per ogni cosa l'anima tua! E spergiuransi tuttodì ché non gli osservano mezzi, né buoni né rei. Che mi disse uno: – Io ho tanti capitoli adosso ne l'arte mia, e tutti ho giurato d'osservarli con sacramento, e non se ne osserva quasi nullo, e non posso fare altro, e spergiuromi tanto ogni dì ch'è un mare –. Or che è questo, che peccato è questo in tanti spergiuri e sacramenti a quanti vi sottomettete, or non è questa una crudeltade? Or qual saracini o tartari farebber questo, or mettete a zara [18] così l'anime vostre? Non si potrebbe troppo dire! E con questi sacramenti si colorano le loro male opere quando viene loro in aconcio; e dicono: – Nol farei ché l'ho giurato –, e sarà opera di peccato.

Così altresì le genti, i mercatanti, i mercieri e tutte arti hanno trovati loro modi e loro sutilitadi di parlare a inganno, e di fare loro giuri coperti a loro intendimento; e pare loro avere schifato il sacramento. Or che è questo a dire? Credonsi non essere spergiurati perché abbiano giurato o detto bugia sotto loro parole coperte: grande peccato è, l'uno dello spergiuro ché menti, e l'altra de lo 'nganno, ché sotto quella bugia lo 'nganni; e credonsi non essere spergiuri. Come si legge nella istoria di santo Nicolao [19] di quel mal cristiano che volse ingannare il giudeo e torgli il suo sotto specie di falsità mettendoli in mano la canna ove era l'avere suo, e diceva e giurò ch'egli aveva renduto ogni cosa. Credeva ciuffulare [20] Idio, me 'e ne fu poi bene pagato come gli si conveniva.

Così si credono le persone essere fuori de' sacramenti per loro parole coperte: ingannati sono. Vedi quanti mali colori ci si danno? Io dico che i mercatanti e gli artefici hanno santificata l'usura, che dicono i savi che meglio è il nemico palese, ché 'l poi schencire [21] che quegli che ti pare amico e guarda di farti male; da costui non ti puoi difendere, no. Così il peccato dell'usura è peccato manifesto a tutta gente: almeno non t'inganna egli, ch'egli ti dice dinanzi tutto lo 'nganno, che vedi le mazzate dinanci, che le puoi schencire se tu vogli, e non te ne sforza di riceverle, che le ti pigli di tuo arbitrio. Ma gli artefici e i mercatanti non fanno così, ché non ti mostrano la magagna, anzi la cuoprono e dipingonla e non te ne avedi e ingannati: che averà un panno macchiato e faralloti parere iguali al buio; averà mal colore e faralloti parere buono con sua vista e con sue parole. Altresì, com'io ti dissi l'altrieri, tirano i panni e tragono loro le budella di corpo, e stracciansi, e poi gli ricuosciono e rimendano e raffaccionano e vendonlo per buono, e lodanlo; e è feccia ristagnata! E così è nimico mortalissimo, che t'affidi in lui a credigli e quegli t'inganna e t'uccide. Dunque peggio siete che gli usurai. Onde io ti dico per la mia sentenzia che l'altre arti sono peggio che usura al modo che le si fanno, almeno in tutto quello che le si trattano male. Onde siete peggio che usurai, peggio, e più la giudico per la mia sentenzia, secondo il mio vedere. Io non veggio vantaggio nullo da l'altre arti a l'usure, che non ci si fa una cosa lealmente, tutta ad inganno e a mal fine. Onde ben vi dice così, che l'altrieri venne uno a me e domandomi che arte io il conscigliasse di fare. Io pensai in lealtà, io nol seppi conscigliare di nulla arte; che eciandio, com'io dissi, l'arte del barbiere, ch'è la più pura, si è corrotta e sozzata, e è questo grande male imperò che è tanto il male e è sì corrotta cosa, che ne interviene questo: che se alcuno la vole fare lealmente, non puote, imperò che, dice, il vicino mio fa così e vende così; s'io non facesse così, io non guadagnerei, anzi ne perderei, io non posso fare altro. O Idio che corruccione è questa e che peccato, che è tanta la forza del male che non basta compierlo a quelli che 'l desiderano, ma i buoni che giustamente vorrebono fare non possono e sono constretti di fare quello che non deono. Vedete quanto male fae la corrucione de le male opere, che se altri volesse fare lealmente, non ci potrebbor guadagnare. Se l'arti facessero lealmente, così vi guadagnaresti come voi vi fate; se meglio, meglio, ma peggio non: or vedete che così vi guadagnaresti a farla lealmente come voi vi fate, vedete danno e pericolo che questo è? Non si potrebbono dire tanti pericoli e tanti peccati quanti vi si fanno, voi gli sapete assai meglio di noi, che noi non gli sappiamo se non per le scritture che parlano così in generalitade, ma noi avemo la sapienzia, che gli cognosciamo quegli che noi troviamo. Ma quelli che fa l'arte, sa meglio i difetti che null'altra persona, ma non ha il cognoscimento: s'egli avesse lo 'ntendimento, egli vedrebbe tante sozzure che fuggirebbe. Or così de l'altre cose: di ciaschedune si potrebbe così rovistare, imperò ch'hanno difetto d'ornamento e di bellezza; e però le nostre opere non possono mai venire a perfezione, no…
b) Predicò frate Giordano MCCCV in calendi marzo, martedì mattina «ad locum intus» [22].

Quecumque dicunt vobis servate et facite, secundum opera vero eorum nolite facere [23]. In questo Vangelo il Nostro Signore Iesù Cristo ne riprende massimamente di cinque vizii. Riprendene prima il vizio del mal discepolo, apresso il vizio del malo maestro, poi apresso il vizio de la vanagloria e quello della superbia, e infine il vizio de la presunzione overo audazia. Il vizio del mal discepolo si è quando prende il malo exemplo del malo maestro, e la buona dottrina lascia stare. Ecco che 'l Segnore dice: Fate secondo la dottrina loro, ma le loro opere non vogliate fare. Riprendene altressì il vizio del malo maestro. E’ sono due maestri: uno di falsità e uno di verità. Quello de la falsità si sono gli eretici e gli 'nfedeli, i quali in nullo modo deono essere uditi: questi non chiamo io maestri, ma i mali maestri, sono quegli i quali dicono e non fanno. Ecco che 'l Segnore dice di loro: Impongono i gravi comandamenti e pesi agli omeri de' piccioli, ma col loro dito minore no gli vogliono levare, cioè a dire non vogliono fare pur de' minori eglino [24]. Riprende ancora il vizio de la vanagloria quando dice di quelli scribi e farisei le vanitadi loro, che portavano le grandi filaterie e le grandi fimbrie [25]. Le filaterie si erano una carta ove erano scritti i comandamenti de la legge, e portavalla intorno al braccio apertamente, acciò che mostrassero alle genti: vedete come siamo zelatori de la legge, che sempre la porto dinanzi a li occhi? Portavano altressì le grandi fimbrie, cioè gli orli alle toniche loro, a modo di sossiture [26]. Usavano questo i giuderi a' vesti menti loro, che sì come erano divisati da tutta l'altra gente del mondo nella carne per lo segno de la ci rconcisione, così altressì gli segnò nelle vestimenta; onde le portavano orlate, e la tonica di Cristo fu così orlata altressì. Ma questi scribi e farisei le portavano maggiori degli altri omini, acciò che mostrassero che tutti gli altri omini passavano ne la legge; e portavano stecchi, overo cardi, in questa fimbrie, e faceansi pugnere i piedi, acciò ch'altri vedesse, ché diceano che ciò faceano perché sempre ricordasse loro de la legge. Grande vanitade era questa, tutte queste cose faceano per vanagloria. Apresso gli riprende del vizio de la superbia, in ciò che voleano essere ne' primi luoghi, ne' primi riposi nelle cene, voleano sedere pur nelle cattedre. Apresso riprende del vizio de l'audazia, cioè de la presunzione, ch'è a dire, secondo volgare [27], ardimento folle. Quale è questo malo ardimento? Quando tu ti fai sponitore e ammaestratore altrui, tu, che non ti si conviene.

Grande pericolo ad avere l'uomo ad ammaestrare altrui! Ma sommo si è ad ammaestrare ne la Scrittura Santa, nelle Pìstole, ne' vangeli, perciò che in ciò s'apartiene la salute e la perdizione. Sono molti matti, calzolaiuoli, pillicciaiuoli [28], e vorrassi fare disponitore de la Scrittura Santa. Grande ardimento è, troppo è grave offendimento il loro. E se questo è negli uomini, si è nelle femine maggiormente, però che le femine sono troppo più di lungi che l'uomo da le Scritture e da la lettera; e trovansi di quelle che si ne fanno sponitori de la Pìstola e del Vangelio. Grande è la follia loro, troppo è la loro scipidezza; fanno contra 'l comandamento di san Paolo, che dice: Stea la femina ne la chiesa, non sia ardita di favellare o d'interpretare parola di Santa Scrittura [29]. Sì che alle femine è tolto in tutto e per tutto, salvo che l'udire, onde vuole che odano, ma tacciano.

Or a carminare [30] tutto 'l Vangelo sarebbe lunga cosa. Diciamo pur del primo vizio del mal discepolo, che s'attien pur al malo exemplo, e lasciano la buona dottrina del maestro. Questi maestri sono i prelati, i pastori, che sono detti padri. Due grandi mali fanno questi mali discepoli, e questi sono i loro due mali vizii, de' quali dice l'uno Cristo qui. L'uno si è che s'eglino veggiono alcuno exemplo non buono, a quello s 'attengono, e la dottrina lasciano. L'altra che giudicano male di loro ove non si conviene. Vedran a questi vescovi i grossi ronzioni [31], i molti donzelli vestiti, e i poveri non procurati, e che dirà: a che mi aterrò? Pur a quel che fa egli. L'altra si è del mal giudicio, che gli giudicheranno, ove molte volte non fia peccato mortale né talora veniale, anzi sarà talora virtude. I prelati de la Chiesa possono avere licitamente ricchezze, e usarle, e se l'usa bene, sì gli è virtude. Onde i santi padri ne fuoro di meglio [32] per le ricchezze ch'ebbero. Non t'è licito giudicare se non cosa sì aperta che si possa quasi palpare. Come se io veggio fare il micidio, l'adulterio o cotali cose, allora ben gli posso giudicare, cioè che peccaro, ché quella opera non è buona; ma d'ogn'altra cosa, la quale si può fare sanza peccato, e l'uomo la giudica, sì pecca gravemente. Anzi giudicano eziandio coloro i quali queste cose del mondo non hanno: i religiosi. Se vedranno alcuna cosellina di fuori non tutta così onesta o composta come si converrebbe, sì 'l reputa che sia grande fallo e degno di male, colà ove molte volte non avrà se non peccato veniale. Or come possono essere peccatori, che si confessano ognendì? [33] Or si trovassero degli altri omini, che de' cento l'uno fossero sanza peccato mortale! E perché alcuno n'avesse ne la religione, dee pensare che quando e' v' ha correzione e disciplina, che de le due cose fia l'una: o egli s'amenderà, essendone gastigato e disciplinato, e s'egli non si amenderà, saranne cacciato. Dee pensare che la religione è come 'l mare, che non può tenere grande tempo la puzza, che non la getti via fuori immantenente.

Or mi di': se l'usuriere, overo l'avaro, avesse oro, perché quello oro tenesse alcuna ruggine e non fosse così chiaro, or gitterebbelo però? Mal farebbe, non si dee però gittare. Perché l'uomo avesse una pietra preziosa, uno diamante, e egli non fosse così trachiaro [34], e avesseci alcuna macola, or gitterestilo) però? Molto saresti matto. Così son di quelli i quali giudicano, dispregiano e hanno in contento [35] i buoni perché alcun'otta gli veggian fallare. Non può essere che l'uomo non falli per alcun tempo. E chi è quegli che mai non pecchi? Non può essere, e dunque gitterail però via? Or a che ti apiccherai poi? E però è grande la loro mattìa. Ben è vero che quando il vescovo o 'l prelato o 'l cappellano dà malo exemplo di sé di mala vita, che fa molto danno e guasta tutta la dottrina sua. Onde il predicatore, la cui vita non si acorda colle parole, la sua dottrina è avuta per neente. Onde dice l'uomo: se fosse vero quello che dicono, egli 'l farebbono: dunque attegnanci pur a quello che fanno. Il Filosofo dice che guastano la sapienza loro [36]. Ma per tutte queste cose, e se vedessimo tutti i mali exempli del mondo in quegli in cui dovessero essere migliori, non vuole Cristo che ci mutiamo da la buona via e da l'ammaestramento santo, ma fare sì come l'api che si pongono ai fiori gentili e fanno il mèle, ma non come quelli bacherozzoli [37] fastidiosi, che si pongono pur alla sozzura. E però dice Cristo: Fate ciò che dicono, ma non fate secondo l'opere loro.
c) Predicò frate Giordano MCCCVI sabato, dì XXVI di marzo, «ad locum intus in mane».

Hec est vita eterna, ut cognoscant te solum Dominum verum et quem misisti Iesum Cristum [38].

I filosofi del mondo, volendo parlare e cercare de la beatitudine e de la felicitade, sì ne fuoro tra loro molte oppinioni. Di questa felicitade parlaro tutti, e catuno si sforzò di trovarla e di conoscerla, ché vedendo che felicità pur era e potea essere, andaro sempre cercando in che fosse; e in questa sapienzia fu revelato de la verità assai più a uno ch'a un altro, e parlarne in diversi modi. E' fuoronne di cinque generazioni. I minori e i più vili, e quelli che al tutto mentiro e non conobbero neente di verità in ciò, si fuoro gli epicuri: credettero che fosse in mangiare, e in bere, e in diletti di carne, e chi assai n'avesse potesse essere beato. Questi furono i più stolti filosofi che mai fossero, i quali non sono degni d'essere detti filosofi, ma matti; contra i quali tutti gli altri filosofi dissero, e dannarli tutti e puoserli per sommi matti. Altri fuoro che dissero meglio assai di costoro, tutto ch'ancora non dicessero vero: questi dissero che beatitudine era ne le ricchezze. Ben si possono avere più beni per li danari che per li diletti di carne, ma questo è ancora falso, ma non è sì grande errore; e ancora i filosofi dannaro costoro.

Leggesi d'uno grande filosofo che, invitato da uno re a la corte sua, andòvi: il re avea apparecchiate grandi cose e vasellamenti d'oro e d'argento, e letta [39], e ornamenti mirabili; tutta la casa avea così ornata per mostrare a questo filosofo la gloria sua. Quando questi entrò in casa non rizzò neente [40] gli occhi a nulla di queste cose: puosesi a mangiare, e queste cose non guatava. Il re disdegnò [41] e maravigliossi, e dissegli: – Che è ciò, che non riguardi questa gloria? Vedesti mai tanta gloria? Rispuose il filosofo: – Sì, e maggiore –. Que' disse: – Ove la vedesti? Disse: – Ne' galli, ne' fagiani, ne' pappagalli; quella è maggiore gloria che la tua, però che quella è loro bellezza, e pòssonsene gloriare, sì come loro propria; ma questa bellezza non è tua, anzi dell'oro, e de l'argento, e di questi paramenti. Dunque perché vuoli che io raguardi? Queste non sono da te –. E così lo schernì [42].

Tutti i filosofi che fuoro grandi filosofi, dico quelli che fuoro diritti filosofi e maggiori, non pòttero amare le cose del mondo, e dannaro la legge de' saracini anzi ch'ella fosse, ch'aspettano i diletti mondani. E se dicessi: — Or non ha tra loro filosofi? Dico che sì: Avicenna fu saracino, e fu filosofo e si fece beffe de la legge sua, e schernìla. Se v'ha nullo filosofo o grande savio, e' medesimi scherniscono la legge loro e fànnosine beffe. Questa è vera, che nullo filosofo crede in queste cose del mondo, onde si legge di Socrate che, trovando una fonda [43] di danari nel bosco, nolla ricolse; levòllasi in collo, ch'era forse caduta a' mercatanti, pesavagli, ma più gli gravavano l'anima che 'l corpo. Disse: – Or ho io presa la penitenza mia e la mala ventura! – e gittolla via [44]. E' fu vergine, onde dispregiaro i filosofi tutte le cose del mondo, e amaro tutti povertà, fuoro castissimi e vergini. Vedi come disfecero la legge de' saracini , e hanno dannati tutti quelli che seguitano i diletti del mondo e le ricchezze. E disfanno la legge de' giuderi, che si credono essere beati pur in questo mondo! Aspettansi d'essere e di ritornare tutti in Ierusalèm, ne la Terra Santa di promessione, e credono avere questi beni del mondo. Gente matta! Or e' non vi caprebbono [45] tra quelli che sono passati, e che sono, e che saranno. Sono altrettanti o più, quanti sieno tutti gli uomini che sono oggi al mondo. Or ove caprebbono? Quella Terra Santa è picciola. Or vedete come sono matti! I filosofi, non che i santi, li dannaro, ché non può essere in queste cose beatitudine. Queste parole avemo dette, ché se queste cose dissero i filosofi, che fuoro pagani, e non ebbero la fede, quanto sarai ripreso tu, cristiano, se ti porterai male, che hai le Scritture, i predicatori e la verità aperta! Tutti i filosofi che fuoro grandi filosofi, tutti fuoro disprezzatori di ricchezze e di diletti di carne, videro ch'erano nulla.

Altri filosofi, e fuoro pur di questi medesimi, ma erano divisi in due, sì dissero ch'era ne le dignitadi e ne le segnorie, però che l'omo n'era onorato e riverito. Questi ancora non dissero vero, e fuoro riprovati e dannati da maggiori filosofi, però che non danno onore le dignitadi né queste ricchezze all'omo, altronde è mistieri che proceda; anzi se 'l matto sarà exaltato e posto in officio di dignità, tanto sarà più vituperato [46]. Onde dice Salamone una bellissima parola: «Cotale è chi dà l'onore e la dignità a lo stolto, chente colui che mette la petruzza nel monte di Mercurio» [47]. (Mercurio fu lo idio de' mercatanti). Questo Mercurio fa molti monticelli come la talpa, che pur raguna, fa monticelli di petruzze. I mercatanti quando vogliono mettere ragione [48], sì hanno i quarteruoli [49], overo petruzze, overo fave, e me' oggi i foresi [50] hanno apparato di reggersi a petruzze e a fave, quando vogliono mettere ragione. Ecco che tu hai molte petruzze overo fave, e è gran fatto che in sé tutte sono iguali, e non è l'uno migliore che l'altra, e tu metterai e farai dire l'uno che rilevi mille livre, l'altro cento, l'altra diece, l'altra uno danaio. Or che è ciò, che tu fai tanto maggiore l'una che l'altra, con ciò sia cosa che l'una non sia migliore dell'altra? Questo si è vanità, che perché tu la conti per mille livre, ella non è però meglio ch'una fava. Dàilti tu quel nome, or che le fa quel nome? Tu la potresti fare dire così centomilia come mille: or che n'è però? Cotale è la gloria e l'onore de lo stolto ch'è posto ne la dignità, ché si rimane ne la stultìa sua, e non è però di meglio che gli altri òmini: però hae il nome un poco, ma così s'è come s'era prima, non vale però più, così s'è vile. Questo dice Salamone, e è bellissima paraula. Altri filosofi fuoro, e questi dissero meglio di tutti, e questi s'apressaro a la verità e dissero bene, avegna che non perfettamente, ma sì fu gran cosa, tanto ne dissero inanzi e apressarcisi, sì che già la toccaro.

E questi si divisero anche in due parti: l'una parte fuoro che si chiamano Academici, e capo di costoro fu Socrate. Questi videro che in nulla cosa di questo mondo era o potea essere beatitudine; vider costoro, e Socrate fu il principale, che felicità e gloria non potea essere se non in una cosa, cioè ne le virtudi…

L'altra parte di questi filosofi, che sono detti Peripatetici, questi dissero più perfettamente, ma non dannaro però il detto di costoro, anzi l'approvaro e fermaro, ma dissero più compiutamente; de' quali filosofi, il loro prencipe fu Arristotile. Questi puosero beatitudine ne la virtù de l'anima intellettuale, e divisero la beatitudine in cinque parti, e puosero loro nome: sapienzia, scienzia, intelletto, prudenzia e arte…

La somma parte de la beatitudine, e ove sta tutta, si è ne la sapienzia, la quale sta ne la virtù principale de l'anima, ch'è detta virtù speculativa. E così è la verità, così dice il sommo filosofo e il re de' filosofi: Aristotile [51]. Egli afferma quello che disse Socrate, ma egli la ricompie. Dice che ne le virtudi non è perfetta felicitade, ma dice che le virtudi sono necessarie a la felicitade, ché danno aiuto e sostenimento a la felicità, a la sapienzia, la quale avere non si puote sanza virtudi, ma principalmente non è ne le virtudi [52]. Questa sapienzia non è di cose corporali né di natura di questo mondo, ma sapienzia e cognoscimento de le cose divine, e dice egli di Dio e degli angeli, avegna che sapienzia comprende il savere de le cose divine e umane, spirituali e corporali, ma non istà principalmente nel cognoscimento de le cose umane, ma sta tutta nel cognoscimento de le cose divine. Questa è la sapienzia, questa è la felicità, qui sta tutta la beatitudine! Vedete che disse quel filosofo né più né meno quello che disse Cristo, Figliuol di Dio, oggi nel Vangelo: Questa è vita eterna: cognoscere Te Idio vero [53]. Non è altro vita eterna, non è altro beatitudine, che conoscere Idio. Acordossi Cristo con Aristotile: quel disse che la fede nostra, reveloglile Idio. E se dicessi come fu ciò, è quello che disse Cristo nel Vangelo: che fa nascere il sole suo sopra i buoni e sopra i rei, giusti e ingiusti [54]. Non s'intende pur del sole, ma de la sapienzia e de l'altre cose. Così fu ai filosofi: volle Idio fare ciò per testimonianza de la fede, ché eziandio non solamente i santi, ma i pagani, diedero testimonia [55] a la fede cristiana. Ecco che dice il sommo filosofo che beatitudine sta in conoscere le cose divine, e avegna che quasi neente si ne possa conoscere e sapere, tuttavia dice Aristotile che meglio è sapere un pocolino di questa sapienzia, che sapere tutte l'altre cose di sotto [56]: meglio è conoscere pur un poco di Dio, che la scienzia di tutte le criature e di tutte le nature. Ecco che s'acorda con Cristo, ma Cristo, il Figliuol di Dio, l'aperse e disse perfettamente.

I filosofi che trattaro di questa beatitudine, e il sommo filosofo, sì mancaro bene, ma Cristo ci trasse d'ogne errore, e poi i santi l' hanno più amplificato ché non credettero che Idio si potesse vedere nudamente nella essenzia; di questo al tutto fuoro incredevili [57], né eziandio gli angeli, e non fu maraviglia se in ciò erraro, ché non ebero nullo aiuto dalle Scritture divine. Ma la fede dice e Cristo, il Figliuol di Dio, ci n' ha tratto d'errore, e tutti i santi il dicono a una voce, che Idio si vedrà a faccia a faccia, nudamente ne la sua essenzia, com'egli è, ma non in questo mondo, ma vedrassi da' santi in vita eterna, onde Cristo dice che si manifesterà a tutti la gloria sua e se medesimo. E santo Ioanni dice: Videbimus eum sicut est [58]. E altrove santo Paolo: Nunc per speculum in animate, tunc facie a facie videbimus [59], e in molti luoghi e ne' Vangelii. Ma in questa vita vero è che vedere né bene conoscere non si può, e però in questa vita non può essere beatitudine, ma nell'altra sarà; ma qui è mistieri che s'incominci, altrimenti non si può venire a quella.

Or, disse il lettore, era mio intendimento di questa materia di dirvi cose altissime, d'altra maniera che quello ch'è detto; e di dire, di questa beatitudine, altre cose più nobilemente.

Erano cose altissime e profonde, piene di luce e di splendore, ma però che questo prologo e questo entrare de la predica è stato lungo, e è abondato molto di parole, e sommici troppo disteso, sì faremo la fine qui, e sia questa essuta [60] la predicazione. Non sono cose vili, anzi sono utili e di grande bene a l' anima a sapere: hoe speranza che faranno prode a l'anime vostre, e di quelle cose che pensate avea di dirvi, serberelle ad altro tempo in altre predicazioni. Deo gratias.

[1] Dopo l'ora nona, cioè dopo mezzogiorno.

[2] Luca 2, 21.

[3] Oggi. L'assibilazione pare indicare copista settentrionale.

[4] Reciprocamente.

[5] Nel Vangelo: vedi Giovanni 2, 16; Matteo 21, 13; Marco 11, 17; Luca 19, 46.

[6] I santi sono gli esegeti della Scrittura.

[7] Cioè banditi, grassatori.

[8] Rovinata. Dal verbo liverare, cioè «rovinare».

[9] Salmo 10, 9.

[10] Un po'.

[11] Mai, qualche volta.

[12] L'Arte della Lana era una delle corporazioni più potenti in Firenze.

[13] Alla pari.

[14] Abbellita col «liscio», cioè il belletto; qua con qualsiasi sostanza atta a mascherare la vera qualità del panno.

[15] I panni di origine francese, detti «panni franceschi», erano i più delicati e costosi.

[16] Pasqua in italiano antico significa genericamente una festa solenne.

[17] Ogni Arte aveva uno statuto, diviso in capitoli, che regolava l'attività degli artigiani immatricolati nella corporazione.

[18] Cioè «giocate ai dadi».

[19] Si veda il TESTO N. 12c.

[20] Ingannare.

[21] Schivare.

[22] Cioè in Santa Maria Novella.

[23] Matteo 23, 3.

[24] Matteo 23, 4.

[25] Fimbria è l'orlo della veste: le filaterie sono bende sulle quali erano scritti versetti della Legge mosaica (la Thorà).

[26] Pieghe della tunica a guisa d'orlo.

[27] In volgare.

[28] Qua Giordano segue un luogo comune della predicazione antiereticale. Già sant'Antonio diceva con disprezzo (cfr. ed. Locatelli, Patavii, vol. I, 1885, p. 47) «gli eretici, che non sanno niente, tutta gente che fa il contadino, il calzolaio, il cuoiaio» (qui nihil aliud noverunt, utpote rustici, sutores, pelliparii…).

[29] Prima lettera ai Corinzi 14, 34.

[30] Esaminare capo per capo.

[31] Francesismo: grande cavallo assai costoso.

[32] Se ne servirono in bene, ne trassero vantaggio.

[33] Ogni giorno.

[34] Perfettamente chiaro (con prefisso francese tres).

[35] In dispregio.

[36] Non identificato.

[37] Insetti, probabilmente qui mosconi.

[38] Giovanni 17, 3.

[39] Plurale neutro: letti.

[40] Affatto.

[41] Si sdegnò.

[42] L'aneddoto è narrato anche da WALTER BURLEY, Liber de vita et moribus philosophorum, ed. H. KNUST, Tubingen, 1886, p. 14.

[43] Una borsa.

[44] L'aneddoto si legge nelle Parabolae di Odone di Cheriton, celebre predicatore inglese del Duecento (cfr. L. HERVIEUX, Les Fabulistes latins, vol. IV, Paris, 1896, p. 271).

[45] Entrerebbero, starebbero.

[46] Vituperato.

[47] Proverbi 26, 8.

[48] Fare i conti.

[49] Quarteruolo è una moneta d'ottone simile al fiorino.

[50] Oggi perfino i contadini. «Me'» viene dal latino melius.

[51] Nell'Etica Nicomachea, libro X, cap. 7.

[52] Ibidem, libro I, cap. 3.

[53] Giovanni 17, 3.

[54] Matteo 5, 45.

[55] Testimonianza.

[56] Vedi De partibus animalium, libro I, cap. 5.

[57] Forma pisana per «increduli».

[58] Prima lettera di Giovanni 3, 2.

[59] Prima lettera ai Corinzi 13, 12.

[60] Stata.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)