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Premessa

La storia della predicazione è «solo un aspetto della vita movimentata della Chiesa» (Schneyer); di per sé richiederebbe una trattazione globale, da Cristo ai nostri giorni, dove fosse possibile cogliere la continuità e la varietà di un tipo di letteratura eccezionalmente importante per la formazione della cultura e delle lingue nazionali dei popoli europei.

Vi sono caratteristiche strutturali che, a prima lettura, permettono di distinguere da un'omelia dei Padri o da una predica barocca un sermone dell'età scolastica. Meno facile è distinguere un sermone medievale da uno dell'età umanistica poiché, nonostante le innovazioni tematiche e gli adattamenti morfologici, la predicazione perpetua le stesse strutture fino al maturo Rinascimento. I teorici delle Artes praedicandi, che fioriscono tra il XII e il XV secolo, definiscono «moderno» il tipo di sermone le cui regole sono fissate a partire dal XIII secolo. L'aggettivo (modernus), usato così frequentemente dagli scrittori del Duecento per sottolineare la novità di una cultura a base logico-scientifica, vuole caratterizzare la perfezione tecnica del nuovo sermo, costruito secondo i precetti della dialettica, ricco dei nuovi contenuti elaborati dalla Scolastica.

Ci muoveremo nell'àmbito della predicazione moderna o scolastica, dall'inizio del XIII secolo alla fine del XIV secolo, quando, particolarmente in Italia, le nuove forme di cultura e di spiritualità che vanno sotto il nome di Umanesimo incidono anche sul genere omiletico. Il discorso sarà delimitato da una parte dell'apparizione dell'ordine dei Predicatori, dall'altra dalla diffusione del sermone come mezzo di espressione del laicato. La predicazione medievale è internazionale, legata ai, nuovi ordini Mendicanti (francescani e domenicani), i quali sfuggono al particolarismo delle Diocesi e sono piuttosto connessi alla vita delle grandi Università europee (Parigi, Oxford, Bologna): ha dunque un orientamento amplissimo e una capacità di penetrazione ecumenica. L'angolo di visuale di un italianista deve essere forzatamente riduttivo.
Occorre innanzitutto fissare limiti geografici: alcuni dei più grandi predicatori dell'epoca, pur essendo nati in Italia, recitano i loro sermoni a Parigi, davanti agli studenti dell'Università; ci sforzeremo di fissare la nostra attenzione sulle grandi città italiane, in particolare sui comuni dell'Italia centro-settentrionale. In parte dovremo sacrificare i livelli alti della predicazione per cogliere le dimensioni sociologicamente più interessanti, cioè le forme di predicazione in cui la cultura clericale, di lingua latina, viene proposta in volgare al vasto pubblico delle città.


1. Il pubblico

L'attenzione al pubblico è uno dei canoni fondamentali che la retorica sacra medievale eredita da quella antica. Sant'Agostino, studiando nel De doctrina christiana le circostanze in cui avviene la predica, seguendo uno schema fissato già dai grandi maestri della scuola classica (da Cicerone a Quintiliano), considera «chi parla, dove, quando, perché, come, davanti a chi». È un'impostazione teorica comune a tutti gli autori di Artes praedicandi. Per Umberto di Romans, quinto maestro generale dell'ordine domenicano, uno degli uomini che più influirono sulle prime generazioni dei frati predicatori, il sermone consiste soprattutto nel volgarizzamento presso gli strati più bassi della popolazione della dottrina acquisita nella scuola.

La predicazione – afferma nel De eruditione praedicatorum – deve essere come un canto («quasi quidam cantus»), il predicatore deve essere accetto come un giullare, abile come un mercante. Non serve intrattenere il clero e i laici più colti, ma è necessario piuttosto recarsi dove vi è maggiore necessità, nei luoghi meno popolati, perfino nelle campagne, dove nessuno osa spingersi. Nelle parole di Umberto si avverte un'urgenza reale: la cultura del clero deve rispondere alla sfida lanciata sia dai movimenti ereticali sia dalla nuova cultura volgare, laica, organizzata all'interno degli ordinamenti democratici del Comune. Mano a mano che si procede nel XIII secolo, la predicazione, rinnovata dai Mendicanti nella stretta dell'assedio delle sette ereticali, si incanala nelle forme più tranquille e grigie di una parenesi rivolta alla nuova classe di mercanti e di imprenditori, che reggono ormai la vita politica delle città.

Al pubblico vario e irrequieto del primo Duecento, aperto alle sollecitazioni dell'eresia, sensibile alle più drastiche proposte penitenziali e apocalittiche, succede un uditorio composto nelle salde strutture delle Confraternite laiche affiliate ai conventi francescani e domenicani. Ai temi teologici e aspramente penitenziali della predicazione duecentesca, che investe alle radici il significato del comportamento cristiano e propone una difficile, a volte rivoluzionaria, verifica sul modello di Cristo e della Chiesa primitiva, succede una tematica morale, quasi casuistica, che risponde punto per punto alle domande di una società opulenta, preoccupata di amministrare saggiamente la propria vita morale. Non è casuale che tanta parte della predicazione trecentesca, a cominciare da quella del Passavanti, tenda a cristallizzarsi nella forma del trattato.


2. La lingua

In un famoso Capitolare emanato dal Concilio di Tours nell'813, Carlomagno disponeva che i sermoni fossero tenuti al popolo «in rusticam romanam linguam», cioè nei volgari locali. Ovviamente non si deve credere che i predicatori si servissero di un volgare perfettamente elaborato e distinto dal latino. Il frammento di Valenciennes, registrato da un uditore nel IX secolo, è un esempio della lingua «rustica romana», la quale presenta «un'ossatura latina in cui si incastona il volgare» (Contini). Una «farcitura» analoga, ma più artificiosa, si riscontra in un documento del XII se colo, i Sermoni gallo-italici, provenienti dalla regione piemontese: in essi il latino si alterna con elementi francesi, provenzali e piemontesi. Ma in Francia, a partire dal XII secolo, in cui si assiste a una grande fioritura della predicazione popolare, non è raro imbattersi in sermoni totalmente redatti in volgare. Basti ricordare le omelie tenute tra il 1168 e il 1175 da Maurice de Sully, vescovo di Parigi. Poco più tardi la predicazione in volgare è documentata anche in Inghilterra e in Germania. In Italia occorre attendere l'alba del XIV secolo per trovare la prima ampia documentazione in volgare nel corpus delle prediche di fra Giordano da Pisa. Non che manchino testimonianze sulla predicazione in Italia precedenti a quell'epoca, anzi sono abbondanti, ma tutte ci sono giunte in veste latina. Federico Visconti, arcivescovo di Pisa (1254-1277) tenne spesso sermoni «in vulgari», come avvertono le rubriche del codice della Biblioteca Medicea Laurenziana (Firenze) che li conserva, ma essi sono trascritti in latino. Sembra che la prassi corrente prevedesse l'uso del latino nel sermone universitario o rivolto al clero, e riservasse il volgare alla predicazione per i laici, salvo a registrare anche quest'ultima in latino.

Questa tesi, sostenuta da illustri storici della predicazione (da Lecoy de la Marche all'Owst al Galletti), non va intesa in modo troppo rigido. Non è da escludere che, a volte, soprattutto fuori di Toscana, nelle regioni dove il volgare non era ancora giunto a un livello letterario, i predicatori si servissero di una lingua ibrida, mista di latino e di volgare. Il fenomeno, come ha rilevato la Lazzarini, è imponente nel Quattrocento, ma appare già dal XIII secolo. Espressioni in volgare si notano nei sermoni latini di Bartolomeo di Breganze, vescovo di Vicenza, e di Ambrogio Sansedoni di Siena. Fra Remigio de' Girolami ama introdurre nei suoi sermoni, tenuti in Santa Maria Novella, pittoresche locuzioni fiorentine. In uno schema di predica per la prima domenica di Quaresima, per descrivere la lotta tra Cristo e il diavolo nel deserto (Matteo 4, 1), egli ricorre alla terminologia della «lotta libera»:

Et nota quod diabolus primo expertus est si posset eum vincere a le pugnerecciole, scilicet cum lapidibus; secundo a le brachia, unde assumpsit et allegavit in manibus [Deuteronomio 6, 161]. Considera quomodo primo voluit ei dare la volta boccaia, quando dixit si cadens [Matteo 4, 9], secundo la volta del pecto o sopracapo.

[E nota che il diavolo prima cercò di vincerlo, se fosse possibile, a le pugnerecciole, cioè con le pietre; poi a le brachia, e perciò prese e allegò un passo del Deuteronomio essi (gli angeli) ti porteranno sulle mani. Considera come dapprima gli volle dare la volta boccaia, quando disse se in ginocchio mi adorerai; poi la volta del petto o sopracapo].

Uno studio sistematico della tradizione manoscritta della predicazione due-trecentesca raccoglierebbe una documentazione interessantissima sulla diffusione di questa lingua ibrida peculiare dei predicatori.

3. La predicazione degli eretici

I movimenti ereticali hanno condizionato per certi aspetti la mentalità e l'opera dei fondatori degli ordini Mendicanti; certo la nuova predicazione cattolica fa conto delle esperienze compiute in questo campo dagli avversari. Purtroppo non c'è rimasto quasi nulla della predicazione degli eretici: l'unica reliquia è rappresentata dalla predica conservata dal rituale di liturgia catara, pubblicato dal Dondaine in appendice al Liber de duobus principiis. Possiamo farcene un'idea attraverso gli atti dell'Inquisizione (istituita nel 1233) e le testimonianze degli scrittori cattolici.

I capi delle sette ereticali sono innanzitutto geniali predicatori, capaci di piegare il volgare a strumento di una capillare penetrazione degli ambienti urbani. Il Tractatus de hereticis di Anselmo d'Alessandria riferisce che Marco di Concorezzo, primo diffusore della eresia catara in Italia, creato diacono a Napoli dal vescovo eretico, si diede a un'intensa predicazione «in Lombardia, et postea in Marchia, et postea in Tuscia» suscitando un'entusiastica adesione alla nuova setta. Valdo, il fondatore della setta dei Poveri di Lione, che prese da lui il nome (Valdesi), si rivolge al popolo lionese nella sua lingua, con una predicazione evangelica, basata sul commento del Nuovo Testamento tradotto in volgare. L'abilità nel maneggiare la Scrittura, la finezza della penetrazione psicologica è una caratteristica che accomuna tutti gli eretici: lo nota con preoccupazione Gioacchino da Fiore nella Expositio in Apocalypsim, identificando gli eretici con le locuste dell' Apocalisse (cap. 10).

La tecnica dei missionari eretici è sostanzialmente ispirata alla primitiva predicazione apostolica. Bernardo Gui, nel suo celebre Manuale dell'Inquisitore, dedica un capitolo al modo di insegnare tenuto dai Valdesi (v. TESTO N. 1). Passata la fase della tolleranza e delle discussioni pubbliche coi cattolici, costretti alla prudenza, gli eretici si radunano in luoghi privati. Tema della loro predicazione, affidata ai «perfetti», è il comportamento dei veri cristiani in base al Vangelo: essi parlano (come faranno i francescani) «delle virtù e delle buone opere, e della fuga dai vizi»; ma poi passano ad attaccare le istituzioni ecclesiastiche giudicate indegne del modello evangelico. I Valdesi predicano per lo più nelle case dei «credenti», ma anche per le vie della città o per le strade fuori dell'abitato.

Altri eretici, come gli Apostoli di Gerardo Segarelli di Parma, danno la preferenza alla predicazione itinerante, proclamando la penitenza per i paesi, sulle piazze e dovunque si imbattono in potenziali uditori. Al di là delle differenze dottrinali, tutti i movimenti ereticali sono d'accordo nel proporre un tipo di predicazione del tutto diverso da quello ex cathedra, che da secoli era affidato e limitato al vescovo. Si tratta, per quanto si può ricavare dalle testimonianze indirette di parte cattolica, di una predicazione adatta alla mentalità, all'ambiente, alla lingua di gruppi in generale non troppo numerosi, basata sulla lettura del Vangelo, tradotto in volgare, e sull'interpretazione letterale e spontanea della Parola di Dio. Queste caratteristiche del sermone ereticale saranno riprese nei loro valori positivi dai grandi predicatori francescani e domenicani.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)