00 23/01/2014 14:01


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA XLVIII GIORNATA MONDIALE
DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI
 

Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro

[Domenica, 1 giugno 2014]


 

Cari fratelli e sorelle,

oggi viviamo in un mondo che sta diventando sempre più “piccolo” e dove, quindi, sembrerebbe essere facile farsi prossimi gli uni agli altri. Gli sviluppi dei trasporti e delle tecnologie di comunicazione ci stanno avvicinando, connettendoci sempre di più, e la globalizzazione ci fa interdipendenti. Tuttavia all’interno dell’umanità permangono divisioni, a volte molto marcate. A livello globale vediamo la scandalosa distanza tra il lusso dei più ricchi e la miseria dei più poveri. Spesso basta andare in giro per le strade di una città per vedere il contrasto tra la gente che vive sui marciapiedi e le luci sfavillanti dei negozi. Ci siamo talmente abituati a tutto ciò che non ci colpisce più. Il mondo soffre di molteplici forme di esclusione, emarginazione e povertà; come pure di conflitti in cui si mescolano cause economiche, politiche, ideologiche e, purtroppo, anche religiose.

In questo mondo, i media possono aiutare a farci sentire più prossimi gli uni agli altri; a farci percepire un rinnovato senso di unità della famiglia umana che spinge alla solidarietà e all’impegno serio per una vita più dignitosa. Comunicare bene ci aiuta ad essere più vicini e a conoscerci meglio tra di noi, ad essere più uniti. I muri che ci dividono possono essere superati solamente se siamo pronti ad ascoltarci e ad imparare gli uni dagli altri. Abbiamo bisogno di comporre le differenze attraverso forme di dialogo che ci permettano di crescere nella comprensione e nel rispetto. La cultura dell’incontro richiede che siamo disposti non soltanto a dare, ma anche a ricevere dagli altri. I media possono aiutarci in questo, particolarmente oggi, quando le reti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi. In particolare internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una cosa buona, è un dono di Dio.

Esistono però aspetti problematici: la velocità dell’informazione supera la nostra capacità di riflessione e giudizio e non permette un’espressione di sé misurata e corretta. La varietà delle opinioni espresse può essere percepita come ricchezza, ma è anche possibile chiudersi in una sfera di informazioni che corrispondono solo alle nostre attese e alle nostre idee, o anche a determinati interessi politici ed economici. L’ambiente comunicativo può aiutarci a crescere o, al contrario, a disorientarci. Il desiderio di connessione digitale può finire per isolarci dal nostro prossimo, da chi ci sta più vicino. Senza dimenticare che chi, per diversi motivi, non ha accesso ai media sociali, rischia di essere escluso.

Questi limiti sono reali, tuttavia non giustificano un rifiuto dei media sociali; piuttosto ci ricordano che la comunicazione è, in definitiva, una conquista più umana che tecnologica. Dunque, che cosa ci aiuta nell’ambiente digitale a crescere in umanità e nella comprensione reciproca? Ad esempio, dobbiamo recuperare un certo senso di lentezza e di calma. Questo richiede tempo e capacità di fare silenzio per ascoltare. Abbiamo anche bisogno di essere pazienti se vogliamo capire chi è diverso da noi: la persona esprime pienamente se stessa non quando è semplicemente tollerata, ma quando sa di essere davvero accolta. Se siamo veramente desiderosi di ascoltare gli altri, allora impareremo a guardare il mondo con occhi diversi e ad apprezzare l’esperienza umana come si manifesta nelle varie culture e tradizioni. Ma sapremo anche meglio apprezzare i grandi valori ispirati dal Cristianesimo, ad esempio la visione dell’uomo come persona, il matrimonio e la famiglia, la distinzione tra sfera religiosa e sfera politica, i principi di solidarietà e sussidiarietà, e altri.

Come allora la comunicazione può essere a servizio di un’autentica cultura dell’incontro? E per noi discepoli del Signore, che cosa significa incontrare una persona secondo il Vangelo? Come è possibile, nonostante tutti i nostri limiti e peccati, essere veramente vicini gli uni agli altri? Queste domande si riassumono in quella che un giorno uno scriba, cioè un comunicatore, rivolse a Gesù: «E chi è mio prossimo?» (Lc 10,29). Questa domanda ci aiuta a capire la comunicazione in termini di prossimità. Potremmo tradurla così: come si manifesta la “prossimità” nell’uso dei mezzi di comunicazione e nel nuovo ambiente creato dalle tecnologie digitali? Trovo una risposta nella parabola del buon samaritano, che è anche una parabola del comunicatore. Chi comunica, infatti, si fa prossimo. E il buon samaritano non solo si fa prossimo, ma si fa carico di quell’uomo che vede mezzo morto sul ciglio della strada. Gesù inverte la prospettiva: non si tratta di riconoscere l’altro come un mio simile, ma della mia capacità di farmi simile all’altro. Comunicare significa quindi prendere consapevolezza di essere umani, figli di Dio. Mi piace definire questo potere della comunicazione come “prossimità”.

Quando la comunicazione ha il prevalente scopo di indurre al consumo o alla manipolazione delle persone, ci troviamo di fronte a un’aggressione violenta come quella subita dall’uomo percosso dai briganti e abbandonato lungo la strada, come leggiamo nella parabola. In lui il levita e il sacerdote non vedono un loro prossimo, ma un estraneo da cui era meglio tenersi a distanza. A quel tempo, ciò che li condizionava erano le regole della purità rituale. Oggi, noi corriamo il rischio che alcuni media ci condizionino al punto da farci ignorare il nostro prossimo reale.

Non basta passare lungo le “strade” digitali, cioè semplicemente essere connessi: occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero. Non possiamo vivere da soli, rinchiusi in noi stessi. Abbiamo bisogno di amare ed essere amati. Abbiamo bisogno di tenerezza. Non sono le strategie comunicative a garantire la bellezza, la bontà e la verità della comunicazione. Anche il mondo dei media non può essere alieno dalla cura per l’umanità, ed è chiamato ad esprimere tenerezza. La rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili ma di persone umane. La neutralità dei media è solo apparente: solo chi comunica mettendo in gioco se stesso può rappresentare un punto di riferimento. Il coinvolgimento personale è la radice stessa dell’affidabilità di un comunicatore. Proprio per questo la testimonianza cristiana, grazie alla rete, può raggiungere le periferie esistenziali.

Lo ripeto spesso: tra una Chiesa accidentata che esce per strada, e una Chiesa ammalata di autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la prima. E le strade sono quelle del mondo dove la gente vive, dove è raggiungibile effettivamente e affettivamente. Tra queste strade ci sono anche quelle digitali, affollate di umanità, spesso ferita: uomini e donne che cercano una salvezza o una speranza. Anche grazie alla rete il messaggio cristiano può viaggiare «fino ai confini della terra» (At 1,8). Aprire le porte delle chiese significa anche aprirle nell’ambiente digitale, sia perché la gente entri, in qualunque condizione di vita essa si trovi, sia perché il Vangelo possa varcare le soglie del tempio e uscire incontro a tutti. Siamo chiamati a testimoniare una Chiesa che sia casa di tutti. Siamo capaci di comunicare il volto di una Chiesa così? La comunicazione concorre a dare forma alla vocazione missionaria di tutta la Chiesa, e le reti sociali sono oggi uno dei luoghi in cui vivere questa vocazione a riscoprire la bellezza della fede, la bellezza dell’incontro con Cristo. Anche nel contesto della comunicazione serve una Chiesa che riesca a portare calore, ad accendere il cuore.

La testimonianza cristiana non si fa con il bombardamento di messaggi religiosi, ma con la volontà di donare se stessi agli altri «attraverso la disponibilità a coinvolgersi pazientemente e con rispetto nelle loro domande e nei loro dubbi, nel cammino di ricerca della verità e del senso dell’esistenza umana» (Benedetto XVIMessaggio per la XLVII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2013). Pensiamo all’episodio dei discepoli di Emmaus. Occorre sapersi inserire nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi, per comprenderne le attese, i dubbi, le speranze, e offrire loro il Vangelo, cioè Gesù Cristo, Dio fatto uomo, morto e risorto per liberarci dal peccato e dalla morte. La sfida richiede profondità, attenzione alla vita, sensibilità spirituale. Dialogare significa essere convinti che l’altro abbia qualcosa di buono da dire, fare spazio al suo punto di vista, alle sue proposte. Dialogare non significa rinunciare alle proprie idee e tradizioni, ma alla pretesa che siano uniche ed assolute.

L’icona del buon samaritano, che fascia le ferite dell’uomo percosso versandovi sopra olio e vino, ci sia di guida. La nostra comunicazione sia olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria. La nostra luminosità non provenga da trucchi o effetti speciali, ma dal nostro farci prossimo di chi incontriamo ferito lungo il cammino, con amore, con tenerezza. Non abbiate timore di farvi cittadini dell’ambiente digitale. È importante l’attenzione e la presenza della Chiesa nel mondo della comunicazione, per dialogare con l’uomo d’oggi e portarlo all’incontro con Cristo: una Chiesa che accompagna il cammino sa mettersi in cammino con tutti. In questo contesto la rivoluzione dei mezzi di comunicazione e dell’informazione è una grande e appassionante sfida, che richiede energie fresche e un’immaginazione nuova per trasmettere agli altri la bellezza di Dio.

Dal Vaticano, 24 gennaio 2014, memoria di san Francesco di Sales

 

FRANCESCO





P. Spadaro: per Papa Francesco comunicare non è routine, è una sfida appassionante



Prossimità, incontro, dialogo. Sono alcune delle parole chiavi del Messaggio di Papa Francesco per la prossima Giornata delle Comunicazioni Sociali. Il documento, pubblicato ieri, ruota intorno alla figura del Buon Samaritano indicato dal Pontefice come modello per i comunicatori. Per un commento sul Messaggio,Alessandro Gisotti ha intervistato il direttore di “Civiltà Cattolica”, padre Antonio Spadaro:RealAudioMP3 

R. – Certamente Papa Francesco è un Pontefice che ama molto la comunicazione, perché ha uno stile pastorale di contatto diretto con le persone. Quindi, per lui comunicazione significa incontro. La cultura della comunicazione è in diretta collisione con la cultura dello scarto, quindi della divisione, delle divisioni di tipo economico, ideologico. La comunicazione - e l’incontro - è al centro, è al cuore della visione bergogliana della vita e della Chiesa. Se dovessi riassumere, dunque, il concetto di fondo di questo testo direi che per lui comunicare appunto è incontrare, cioè farsi prossimo. C’è una sorta di rivoluzione copernicana della comunicazione, dove al centro non c’è il messaggio, ma ci sono le persone che comunicano. Questo è molto moderno, molto contemporaneo, perché noi sappiamo che le reti oggi costruiscono una comunicazione tutta centrata sulle relazioni. Se non ci sono relazioni, quindi, non si comunica. 

D. – Il Papa indica un modello, che può sembrare originale per un giornalista, per un comunicatore, quello del Buon Samaritano, e poi aggiunge: “Mi piace definire questo potere della comunicazione come prossimità”. Appunto, la prossimità è al centro...

R. – La prossimità è esattamente al centro! L’immagine quindi del Buon Samaritano è un’immagine molto forte che, peraltro, già l’allora cardinale Bergoglio aveva utilizzato nel 2002, parlando ai comunicatori di Buenos Aires. Questo messaggio è il frutto di una meditazione e di una riflessione lunga su questo tema. Ed è molto bello come la parabola evangelica diventi modello di riferimento per un comunicatore. Il Buon Samaritano si fa prossimo e cura le ferite, cura le piaghe, aiuta chi è in difficoltà. Questo concretamente significa per un comunicatore cristiano dare voce a chi non ha voce, rendere visibile il volto di chi è invisibile. 

D. – In questo messaggio, come peraltro negli ultimi messaggi di Papa Benedetto, si parla molto di Internet. Papa Francesco utilizza un’immagine molto bella: “La rete digitale – dice – può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili, ma di persone umane”...

R. – Questo è un altro concetto centrale, perché appunto la comunicazione è una comunicazione tra persone innanzitutto. La Rete, quindi, non è come la rete idrica o la rete del gas, ma la Rete costruisce un ambiente comunicativo. In realtà, è come se il Papa dicesse che la Rete non esiste, Internet non esiste: è la nostra vita, siamo noi, esseri umani, ad essere in Rete! La nostra vita è una rete di relazioni. Poi i fili e i cavi, se vogliamo, ci aiutano ovviamente, anzi devono aiutarci – è questa la vocazione della Rete – ad essere più uniti, ad avere una comunicazione più diretta, che sia anche in grado di superare le barriere e gli ostacoli. C’è una visione cristiana forte, una visione quasi profetica della Rete. La Rete è intesa come dono di Dio agli uomini, perché grazie a questa gli uomini possono essere più uniti.

D. – Una parte consistente di questo messaggio è dedicata al dialogo e ovviamente in questo caso non ci si riferisce soltanto al dialogo dei comunicatori. “Dialogare - scrive Papa Francesco - non significa rinunciare alle proprie idee, ma alla pretesa che siano uniche ed assolute”. Qui, in qualche modo, si coglie anche la cifra del suo Pontificato...

R. – Assolutamente, perché il dialogare significa parlare con una persona non per convincerla delle proprie idee, questo non è un dialogo: dialogare significa confrontarsi con le persone, sapendo che l’altro può aiutare me a capire meglio. Possiamo insieme camminare verso l’unica verità. Allora, arroccarsi dentro idee personali o tradizioni linguistiche, partitiche e così via significa impedire questa fluidità di comunicazione. E’ un tema molto, molto caro a Papa Francesco, che più volte ha detto che la Chiesa deve inserirsi nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi, proprio per comprenderne meglio le attese, le speranze e i dubbi. Lo stile del dialogo, quindi, è proprio uno stile radicale, intendendo per stile non solo un modo di fare, ma proprio l’essenza stessa del Vangelo, l’apertura al mondo.

D. – E proprio l’apertura, l’orizzonte e lo sguardo verso il futuro conclude questo messaggio, laddove il Papa afferma “La rivoluzione dei mezzi di comunicazione richiede energie fresche e un’immaginazione nuova”. Anche qui c’è una spinta ad uscire fuori, uno slancio che il Papa dà ai comunicatori…

R. – Il Papa dice una cosa qui molto importante, che la comunicazione è una sfida appassionante – è una sua espressione – che appunto richiede energie. Non si può, quindi, affidare la comunicazione ad una routine meccanica, da ufficio stampa che si ferma solo a comunicare delle frasi fatte. Richiede, dunque, energie, voglia di comunicare, intensità, ma anche un’immaginazione nuova. Questo è molto interessante, cioè bisogna vedere le cose in maniera differente. L’immaginazione cristiana è un’immaginazione - grazie all’immagine del Buon Samaritano - in grado di plasmare, di dare forma ad una comunicazione che significa anche un modo di vivere insieme. Il Papa parla a volte nell’Evangelii Gaudium di una marea un po’ caotica, di una sorta di “carovana solidale” in cui ci troviamo immersi. Sono tutte immagini che colpiscono l’uomo di oggi, ma che dicono come la Chiesa debba mischiarsi, debba impastarsi con questa umanità per comunicare il messaggio del Vangelo.




Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2014/01/24/p._spadaro:_per_papa_francesco_comunicare_non_%C3%A8_routine,_%C3%A8_una_sfida/it1-766808 
del sito Radio Vaticana 


   

[Modificato da Caterina63 24/01/2014 09:21]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)