00 20/06/2013 18:53



La grazia della gioia e della magnanimità

"Intellettuali senza talento, eticisti senza bontà, portatori di bellezze da museo": sono queste le categorie di "ipocriti che Gesù rimprovera tanto".
Le ha indicate Papa Francesco nella messa di mercoledì mattina, 19 giugno, nella cappella della Domus Sanctae Marthae, soffermandosi sull'ipocrisia che c'è anche nella Chiesa e sul male che essa produce. Con lui hanno concelebrato, tra gli altri, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, e l'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che accompagnavano due gruppi di officiali e collaboratori dei rispettivi dicasteri.


All'omelia il Pontefice ha ricordato che "il Signore parecchie volte nel vangelo parla dell'ipocrisia" e "contro gli ipocriti", elencandone i tre episodi più significativi. Il primo quando i farisei vogliono mettere Gesù alla prova, chiedendo se fosse lecito pagare le tasse a Cesare (Matteo 22, 15-22); il secondo, quando i sadducei gli sottopongono il caso della donna vedova sette volte (Matteo 22, 24-30). Da questi primi episodi emerge per il Papa una categoria specifica di ipocriti; quelli che "andavano sulla strada della casistica" e in questo modo "volevano fare cadere Gesù in una trappola".

La terza volta in cui si fa riferimento agli ipocriti - in modo "più forte ancora" ha fatto notare il Santo Padre - è nel capitolo 23 del vangelo di Matteo, quando Cristo si rivolge agli scribi e ai farisei con un richiamo che il Pontefice ha riassunto così: "Ipocriti, voi che non entrate nel regno dei cieli, non lasciate entrare gli altri; ipocriti voi che allargate i filattèri e allungate le frange". Questa tipologia di ipocriti rientra per Papa Francesco in una seconda casistica: quella di coloro che vanno per la strada dei precetti, attraverso "tanti precetti a causa dei quali la parola di Dio non sembra feconda"; e "anche per la strada della vanità", quella dei filattèri e delle frange. "Si fanno vanitosi e finiscono per rendersi ridicoli", ha commentato.

Insomma - ha riassunto i propri pensieri il Santo Padre - "i primi sono gli ipocriti della casistica, sono intellettuali della casistica", che "non hanno l'intelligenza di trovare, di spiegare Dio"; restano solo nella "casistica: fino qui si può, fino qui non si può". Sono, ha detto attualizzando il discorso, "cristiani intellettuali senza talento".
I secondi sono invece quelli dei precetti, che "portano il popolo di Dio su una strada senza uscita. Sono eticisti senza bontà. Non sanno cosa sia la bontà. Sono eticisti: si deve far questo, questo, questo... Riempiono di precetti" ma "senza bontà". Si adornano con "drappi, tante cose per fare finta di essere maestosi, perfetti"; e tuttavia "non hanno senso della bellezza. Arrivano soltanto a una bellezza da museo".

Ma - ha avvertito Papa Francesco - "la storia non finisce". E nel vangelo del giorno (Matteo 6, 1-6. 16-18) "il Signore parla di un'altra classe di ipocriti, quelli che vanno sul sacro". Questo caso, ha avvertito, è il più grave, perché sfiora il peccato contro lo Spirito Santo.
"Il Signore - ha detto - parla del digiuno, della preghiera e dell'elemosina: i tre pilastri della pietà cristiana, della conversione interiore che la Chiesa propone a noi tutti nella Quaresima. E in questa strada ci sono gli ipocriti, che si pavoneggiano nel fare digiuno, nel fare elemosine, nel pregare. Io penso che quando l'ipocrisia arriva a quel punto, nella relazione con Dio noi stiamo abbastanza vicini al peccato contro lo Spirito Santo. Questi non sanno di bellezza, questi non sanno d'amore, questi non sanno di verità; sono piccoli, vili".

Eppure non tutto è perduto. Un aiuto per intraprendere "la strada contraria" viene da quello che dice Paolo nella prima lettura (2 Corinzi 9, 6-11). L'apostolo infatti, ha proseguito il Santo Padre, "ci parla di larghezza, di gioia. Tutti noi abbiamo la tentazione dell'ipocrisia. Tutti. Tutti i cristiani. Ma tutti abbiamo pure la grazia, la grazia che viene da Gesù Cristo, la grazia della gioia, la grazia della magnanimità, della larghezza". Ebbene, se "l'ipocrita non sa cosa sia gioia, non sa cosa sia larghezza, non sa cosa sia magnanimità", Paolo ci indica una strada alternativa fatta proprio "di gioia, di larghezza, di magnanimità".

Da qui il richiamo di Papa Francesco "all'ipocrisia nella Chiesa". "Quanto male ci fa a tutti!" ha esclamato. Anche perché "tutti noi abbiamo la possibilità di diventare ipocriti". Perciò il Pontefice ha invitato a pensare a Gesù, "che ci parla di pregare nel nascondimento, di profumarci la testa nel giorno del digiuno e di non far suonare la tromba quando facciamo un'opera buona".

In questo, ha assicurato citando la parabola di Gesù riportata nel vangelo di Luca (18, 9-14), nella preghiera "ci farà bene quell'icona tanto bella del pubblicano: abbi pietà di me Signore, io sono un peccatore. E questa - ha esortato - è la preghiera che noi dobbiamo fare tutti i giorni, nella consapevolezza che noi siamo peccatori, ma con peccati concreti, non teorici".

Nella stessa parabola, del resto, c'è un altro atteggiamento da evitare, quello del fariseo, che il Papa ha stigmatizzato così: "Ma Signore, io faccio questo, sono in questa associazione... Non va". Al contrario - ha concluso - "chiediamo al Signore che ci salvi da ogni ipocrisia e ci dia la grazia dell'amore, della larghezza, della magnanimità e della gioia".





ATTENZIONE: a riguardo dell'omelia di Papa Francesco di ieri 19 giugno e qui sopra riportata.... vogliamo apporre un testo riflessivo onde evitare che le parole usate dal Papa possano essere strumentalizzate per andare a colpire i devoti della Messa antica la quale, non dimentichiamolo, fu dono di Cristo prima , della Tradizione poi e di Benedetto XVI che l'ha ridonata in modo gratuito e libero.....   ci rifiutiamo pertanto di associare i moniti del Papa Francesco contro lo stesso predecessore che ha usato "pizzi e merletti, troni e piviali, frange ed esteriorità" per arricchire e dare valore al Culto della Messa.....
a conferma di ciò riportiamo un articolo apparso sull'Osservatore Romano, il giornale del Papa.....

Perseveriamo nella devozione alla bellezza liturgica nel nome della Chiesa !

…Sant'Ireneo diceva, verso la fine della sua esistenza, di non aver fatto altro nella vita che lasciare crescere e maturare quanto era stato seminato nella sua anima da Policarpo, discepolo di san Giovanni.
In un punto memorabile della sua breve autobiografia, Joseph Ratzinger ci rivela come fin da bambino abbia imparato a vivere la liturgia, grazie al seme deposto in lui dai suoi genitori, che gli regalarono lo «Schott», cioè il messale tradotto in tedesco dal monaco benedettino Anselm Schott.

Il frammento ha una bellezza germinale paragonabile a quella racchiusa nell'episodio della «Maddalena» nell'opera più importante di Proust: «Naturalmente, essendo bambino non comprendevo ogni dettaglio, ma il mio cammino con la liturgia era un processo di continua crescita in una grande realtà che superava tutte le individualità e le generazioni, che diveniva motivo di meraviglia e di scoperta nuove».

Questa concezione della liturgia come patrimonio ereditato dalla Tradizione, arricchito da apporti successivi che lo fanno crescere in modo organico, contrasta con alcune visioni contemporanee che preconizzano un sapere atomizzato, orfano di fondamenta e di vincoli saldi, facilmente adattabile alla circostanza concreta; un sapere, in definitiva, rabbiosamente «originale» – come se la tradizione non fosse la forma suprema di originalità, in quanto ci permette di vincolarci alle «origini» – che ha contaminato certe tendenze liturgiche, svuotando di senso il rito.

Il seme che i genitori deposero in quel bambino avrebbe in seguito recato frutti in opere come Dio e il mondo, dove Ratzinger si preoccuperà di mostrare il senso della storicità della liturgia come dono consegnato da Cristo alla Chiesa, dono che cresce con essa e incita a «riscoprirla come una creatura vivente».
A questa creatura vivente avrebbe dedicato Introduzione allo spirito della liturgia, un libro in cui – in continuità con il titolo classico di Guardini – Ratzinger rivendica il concetto di Tradizione, che non è statico, «ma che non si può neanche sminuire in una mera creatività arbitraria», approfondendo una concezione della liturgia come partecipazione all'incontro di Cristo con il Padre, in comunione con la Chiesa universale.
Come il suo maestro Guardini, Ratzinger desidera che la liturgia si celebri «in modo più essenziale».
E qui «essenzialità» non significa povertà, almeno non nel senso in cui alcuni hanno voluto anteporre la dimensione sociale alla celebrazione liturgica (ai quali Gesù risponde chiaramente nel brano evangelico dell'unzione di Betania); «essenzialità» significa «esigenza intima», ricerca di una purezza interiore che in nessun modo deve essere interpretata come purismo statico.

Nell'attenzione per la liturgia dobbiamo inquadrare l'importanza — visibile per qualsiasi persona non completamente stordita dalla frivolezza — che Benedetto XVI attribuisce ai paramenti e, in modo particolare, agli ornamenti liturgici.
Il sacerdote non sceglie tali ornamenti per un vezzo estetico: lo fa per rivestirsi di Cristo, quella «bellezza tanto antica e tanto nuova» di cui ci parlava sant'Agostino.
Questo «rivestirsi di Cristo», concetto centrale dell'antropologia paolina, esige un processo di trasformazione interiore, un rinnovamento intimo dell'uomo che gli permetta di essere una sola cosa con Cristo, membro del suo corpo.

Gli ornamenti liturgici rappresentano questo «rivestirsi di Cristo»: il sacerdote trascende la sua identità per divenire qualcun altro; e i fedeli che partecipano alla celebrazione ricordano che il cammino inaugurato con il Battesimo e alimentato con l'Eucaristia ci conduce alla casa celeste, dove saremo rivestiti con abiti nuovi, resi candidi nel sangue dell'Agnello.

Così gli ornamenti liturgici sono «anticipazione della veste nuova, del corpo risuscitato di Gesù Cristo»; anticipazione e speranza della nostra stessa risurrezione, tappa definitiva e dimora permanente dell'esistenza umana. …

( Cfr. Le vesti liturgiche secondo Ratzinger Da "L'Osservatore Romano" del 26 giugno 2008 di Juan Manuel de Prada, da : http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/205468
 
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 Pregare il Nostro Padre

    Non c'è bisogno di sprecare tante parole per pregare: il Signore sa quello che vogliamo dirgli. L'importante è che la prima parola della nostra preghiera sia "Padre". È il consiglio di Gesù agli apostoli quello rilanciato da Papa Francesco questa mattina, giovedì 20 giugno, durante la messa presieduta nella cappella della Domus Sanctae Marthae, concelebrata tra gli altri dal cardinale Zenon Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica, il quale accompagnava un gruppo di collaboratori del dicastero.

    Dunque il Pontefice ha ripetuto le raccomandazioni di Gesù nel momento in cui ha insegnato agli apostoli il Padre Nostro, secondo il racconto dell'evangelista Matteo (6, 7-15). Per pregare, ha detto in sostanza il Pontefice, non c'è bisogno di far rumore né di credere che sia meglio spendere tante parole. Non ci si deve affidare al rumore, al rumore della mondanità individuato da Gesù nel "far suonare la tromba" o in "quel farsi vedere il giorno del digiuno". Per pregare, ha ripetuto, non c'è bisogno del rumore della vanità: Gesù ha detto che questo è un comportamento proprio dei pagani.
    Papa Francesco è andato anche oltre, affermando che la preghiera non va considerata come una formula magica: "La preghiera non è una cosa magica; non si fa magia con la preghiera". Raccontando, come fa spesso, la sua esperienza personale, ha detto di non essersi mai rivolto a stregoni che promettono magie ma di aver saputo cosa capita in incontri di questo tipo: si spendono tante parole per ottenere "ora la guarigione, ora qualcos'altro" con l'aiuto della magia. Ma, ha avvertito, "questo è pagano".
   
Come si deve pregare allora? È Gesù che ce lo ha insegnato: "Dice che il Padre che è in cielo "sa di quali cosa avete bisogno, prima ancora che glielo chiediate"". Dunque, la prima parola sia ""Padre". Questa è la chiave della preghiera. Senza dire, senza sentire questa parola, non si può pregare" ha spiegato il vescovo di Roma. E si è chiesto: "Chi prego? Il Dio Onnipotente? È troppo lontano. Questo io non lo sento, Gesù neppure lo sentiva. Chi prego? Il Dio cosmico? Un po' abituale in questi giorni, no? Pregare il Dio cosmico. Questa modalità politeista che arriva con una cultura superficiale".

    Bisogna invece "pregare il Padre", colui che ci ha generato. Ma non solo: bisogna pregare il Padre "nostro", cioè non il Padre di un generico e troppo anonimo "tutti", ma colui "che ti ha generato, che ti ha dato la vita, a te, a me", come persona singola, ha spiegato il Pontefice. È il Padre "che ti accompagna nel tuo cammino", quello che "conosce tutta la tua vita, tutta"; quello che sa ciò che "è buono e quello che non è tanto buono. Conosce tutto".

Ma non basta ancora: "Se non incominciamo la preghiera - ha precisato - con questa parola non detta dalle labbra, ma detta dal cuore, non possiamo pregare come cristiani".
    E per spiegare ancora meglio il senso della parola "Padre" il Pontefice ha riproposto l'atteggiamento fiducioso con il quale Isacco - "questo ragazzo di ventidue anni non era uno sciocco" ha sottolineato Papa Francesco - si rivolge al padre quando si accorge che non c'è l'agnello da sacrificare e nasce in lui il sospetto che sia egli stesso la vittima sacrificale: "Doveva fare la domanda e la Bibbia ci dice che ha detto: "Padre, manca la pecorella". Però si fidò di quello che era accanto a lui. Era suo padre. La sua preoccupazione, cioè " magari sono io la pecorella?", l'ha buttata nel cuore di suo padre".
    È quello che accade anche nella parabola del figlio che sperpera l'eredità "ma poi torna a casa è dice: "Padre, ho peccato". È la chiave di ogni preghiera: sentirsi amati da un padre"; e noi abbiamo "un Padre, vicinissimo, che ci abbraccia" e al quale possiamo lasciare tutti i nostri affanni perchè "lui sa ciò di cui abbiamo bisogno".

    Ma - si è chiesto ancora il Pontefice - è "un padre solo mio?". E ha risposto: "No è il Padre nostro, perché io non sono figlio unico. Nessuno di noi lo è. Se io non posso essere fratello, difficilmente potrei diventare figlio di questo Padre, perché è un Padre di sicuro mio, ma anche degli altri, dei miei fratelli". Da ciò, ha proseguito, discende che "se io non sono in pace con i miei fratelli, non posso dire Padre a lui. E così si spiega come Gesù, dopo averci insegnato il Padre Nostro, dice subito: "Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe".

    Entra dunque in gioco il perdono. Ma "è tanto difficile perdonare gli altri" ha ripetuto il Santo Padre; è difficile davvero, perché noi portiamo sempre dentro il rammarico per quello che ci hanno fatto, per il torto subito. Non si può pregare conservando nel cuore astio per i nemici. "Questo - ha sottolineato il Pontefice - è difficile. Sì è difficile, non è facile". Ma, ha concluso, "Gesù ci ha promesso lo Spirito Santo. È lui che ci insegna da dentro, dal cuore, come dire "Padre" e come dire "nostro"", e come dirlo: "facendo la pace con tutti i nostri nemici".

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CdV, 21 giu.

"Non ho mai visto un camion da trasloco dietro un corteo funebre, mai".

Papa Francesco ha usato questa immagine nell'omelia tenuta alla Domus Santa Marta, per esprimere un concetto che aveva gia' spiegato qualche tempo fa con una frase di sua nonna: "Il sudario non ha tasche". Ma c'e' anche un tesoro, ha detto oggi, che "possiamo portare con noi", un tesoro che nessuno puo' rapinare, che non e' "quello che hai risparmiato per te", ma "quello che hai dato agli altri". Il problema, ha chiarito, sta nel non confondere le ricchezze.


Per Francesco, "la caccia all'unico tesoro che si puo' portare con se' nella vita dopo la vita e' la ragion d'essere di un cristiano; come Gesu' ha spiegato ai suoi discepoli dicendo loro: "Dov'e' il tuo tesoro, la' sara' anche il tuo cuore".
Quindi, ci sono "tesori rischiosi" che seducono "ma che dobbiamo lasciare", quelli accumulati durante la vita e che la morte vanifica.
Ma, ha scandito il Papa, "quel tesoro che noi abbiamo dato agli altri, quello lo portiamo. E quello sara' il 'nostro merito', fra virgolette perche' e' il merito di Gesu' Cristo in noi! E quello dobbiamo portarlo. E' quello che il Signore ci lascia portare. L'amore, la carita', il servizio, la pazienza, la bonta', la tenerezza sono tesori bellissimi: quelli portiamo. Gli altri no".

Per il Vangelo, ha ricordato Francesco, "il tesoro che vale agli occhi di Dio e' quello che gia' dalla terra si e' accumulato in cielo". "Ma Gesu' fa un passo oltre: lega il tesoro al 'cuore', crea un 'rapporto' fra i due termini" sottolinenando che il nostro cuore e' dove teniamo il nostro tesoro. "Questo- osserva Bergoglio - perche' il nostro 'e' un cuore inquieto', che il Signore ha fatto cosi' per cercare Lui".


"Il Signore ci ha fatto inquieti per cercarlo, per trovarlo, per crescere. Ma se il nostro tesoro e' un tesoro che non e' vicino al Signore, che non e' dal Signore, il nostro cuore diventa inquieto per cose che non vanno, per questi tesori", ha affermato Papa Francesco. Come "tanta gente", infatti, "anche noi siamo inquieti. Per avere questo, per arrivare a questo alla fine il nostro cuore si stanca, mai e' pieno: si stanca, diventa pigro, diventa un cuore senza amore". E' questa "la stanchezza del cuore". "Pensiamo a questo", ha suggerito il Pontefice ai cardinali, vescovi, sacerdoti e collaboratori laici presenti alla messa di oggi. "Io cosa ho: un cuore stanco, che soltanto vuol sistemarsi, tre-quattro cose, un bel conto in banca, questo, quell'altro? O un cuore inquieto, che sempre cerca di piu' le cose che non puo' avere, le cose del Signore? Questa inquietudine del cuore bisogna curarla sempre".

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 I pilastri della salvezza cristiana

    Ricchezze e preoccupazioni del mondo rendono dimentichi del passato, confusi nel presente, incerti sul futuro. Fanno cioè perdere di vista i tre pilastri su cui si fonda la storia della salvezza cristiana: un Padre che, nel passato, ci ha eletti; che ci ha fatto una promessa per il nostro futuro, e al quale abbiamo dato risposta stringendo con lui, nel presente, un'alleanza. È questo il senso della riflessione proposta da Papa Francesco durante la messa celebrata questa mattina, sabato 22 giugno, nella Domus Sanctae Marthae, alla quale ha assistito un gruppo di dipendenti dei Musei Vaticani.

    L'omelia del Papa si è sviluppata sul racconto proposto dal vangelo di Matteo (6, 24-34), là dove si parla delle raccomandazioni di Gesù ai discepoli: "quando dice: "Nessuno può servire due padroni perchè odierà l'uno e amerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza". E poi continua: "Perciò io vi dico non preoccupatevi per la vostra vita, per ciò che mangerete, per ciò che berrete"".

"A capire questo ci aiuta - ha detto il Pontefice - il capitolo 13 di san Matteo, che racconta quando Gesù spiega ai discepoli la parabola del seminatore. Dice che il seme che è caduto su una terra con le spine, viene soffocato. Ma chi lo soffoca? Gesù dice: "le ricchezze e le preoccupazioni del mondo". Si vede che Gesù aveva un'idea chiara su questo". Dunque "le ricchezze e le preoccupazioni del mondo - ha puntualizzato il Santo Padre - soffocano la Parola di Dio. E non la lasciano crescere. E la Parola muore perchè non è custodita, è soffocata. In quel caso si serve la ricchezza o la preoccupazione del mondo, ma non la Parola di Dio".


    Dopo aver fatto notare che Gesù, nelle sue spiegazioni ai discepoli, introduce l'elemento temporale, il Papa si è chiesto: "Cosa fanno in noi le ricchezze e cosa fanno le preoccupazioni?". "Semplicemente ci tolgono dal tempo", ha risposto spiegando poi: "Tutta la nostra vita è fissata su tre pilastri: uno nel passato, uno nel presente e l'altro nel futuro. E questo è chiaro nella Bibbia : il pilastro del passato è l'elezione. Il Signore ci ha eletti. Ognuno di noi può dire: "Il Signore mi ha eletto, mi ha amato, mi ha detto vieni e nel battesimo mi ha eletto per seguire una strada, la strada cristiana"".
Il futuro è la promessa che Gesù ha fatto agli uomini: "Mi ha eletto - ha spiegato ancora il vescovo di Roma - per camminare verso una promessa, ci ha fatto una promessa". Infine, il presente "è la nostra risposta a questo Dio tanto buono che mi ha eletto, che mi fa una promessa e che mi propone un'alleanza; e io faccio un'alleanza con lui".

    Elezione, promessa, alleanza sono dunque i tre pilastri di tutta la storia della salvezza.
Ma può succedere a volte che "quando il nostro cuore entra in questo che Gesù ci spiega - ha aggiunto il Santo Padre - taglia il tempo. Taglia il passato, taglia il futuro e si confonde nel presente". Ciò accade perché a colui "che è attaccato alle ricchezze non interessa il passato, né il futuro, ha tutto. La ricchezza è un idolo. Egli non ha bisogno di un passato, di una promessa, di una elezione, di futuro, di niente. Ciò di cui si preoccupa è quello che può succedere"; perciò "taglia il suo rapporto con il futuro", che per lui diventa "futuribile". Ma certo non lo orienta verso una promessa e perciò resta confuso, solo. "Per questo Gesù ci dice: "O Dio o la ricchezza, o il regno di Dio e la sua giustizia o le preoccupazioni". Semplicemente ci invita ad andare sulla strada di quel dono tanto grande che ci ha dato: essere i suoi eletti. Con il battesimo siamo eletti in amore", ha affermato il Pontefice.


    "Non tagliamo con il passato; abbiamo un Padre che ci ha messo in cammino. E anche il futuro è gioiosio perchè camminiamo verso una promessa e le preoccupazioni non vengono fuori. Il Signore è fedele, non delude. E perciò andiamo" è stata l'esortazione del Papa. Per quanto riguarda il presente, "facciamo quello che possiamo ma in concreto, senza illusioni e senza dimenticare che abbiamo un Padre nel passato il quale ci ha eletti".

    Dunque, ha aggiunto Papa Francesco, "ricordiamo bene: il seme che cade tra le spine è soffocato, è soffocato dalle ricchezze e dalle preoccupazioni del mondo": due elementi che fanno dimenticare il passato e il futuro. Così "abbiamo un Padre, ma viviamo come se non l'avessimo" e abbiamo un futuro incerto. In questo modo anche il presente "è qualcosa che non va". Ma è proprio per questo, ha poi rassicurato il Pontefice, che "dobbiamo confidare nel Signore il quale dice: "Tranquilli, cercate il Regno di Dio, la sua giustizia. Tutto l'altro verrà"". Concludendo l'omelia il Papa ha esortato a chiedere al Signore la grazia di non sbagliare dando peso alle preoccupazioni e all'idolatria delle ricchezze, ma ricordando sempre che "abbiamo un Padre che ci ha eletti e che ci promette qualcosa di buono"; dobbiamo dunque "camminare verso quella promessa prendendo il presente così come viene".


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messa  Messa del Papa con i nunzi apostolici: Gesù ci chiede chi sia per noi, rispondiamo col cuore


Stamani 23.6.2013, alle ore 9.30, Papa Francesco ha presieduto la Santa Messa nella Domus Sanctae Marthae. Erano presenti circa 40 nunzi apostolici, rimasti in Vaticano dopo l’incontro avuto con il Pontefice venerdì scorso. Commentando il Vangelo domenicale di Luca, che riporta la domanda di Cristo agli Apostoli, “ma voi chi dite che io sia?”, il Santo Padre ha sottolineato che bisogna rispondere a Gesù con il cuore, ispirati dalla venerazione per Lui e dalla roccia del Suo Amore. Il servizio di Giancarlo La Vella:

“Chi dite che io sia?”. Una domanda alla quale Pietro risponde: “Tu sei il Cristo di Dio, l’Unto del Signore”, che anche duemila anni dopo ci coinvolge, che ci mette in crisi, una prova del nove del nostro cammino di fede. Una domanda diretta al cuore – afferma Papa Francesco, parlando nell’omelia ai nunzi apostolici – alla quale rispondere con l’umiltà del peccatore, al di là delle frasi fatte o di convenienza, che quasi ne contiene un’altra, speculare e altrettanto decisiva: “Chi noi pensiamo di essere per Gesù?”:

"Noi, anche noi, che siamo apostoli e servi del Signore dobbiamo rispondere, perché il Signore ci domanda: 'Cosa pensi tu di me?'. Ma lo fa, eh? Lo fa tante volte! 'Cosa pensi tu di me?', dice il Signore. E noi non possiamo farci quelli che non capiscono bene. 'Ma, tu sei l’unto! Sì, ho letto'. Con Gesù non possiamo parlare come con un personaggio storico, un personaggio della storia, no? Gesù è vivo davanti a noi. Questa domanda la fa una persona viva. E noi dobbiamo rispondere, ma dal cuore".

Siamo chiamati ancora oggi da Gesù a compiere quella scelta radicale fatta dagli Apostoli, una scelta totale, nella logica del “tutto o niente”, un cammino per compiere il quale – ha detto il Papa – dobbiamo essere illuminati da una “grazia speciale”, vivere sempre sulla solida base della venerazione e dell’amore per Gesù:

"Venerazione e amore per il Suo Santo Nome. Certezza che Lui ci ha stabiliti su una roccia: la roccia del Suo amore. E da questo amore noi ti diamo la risposta, diamo la risposta. E quando Gesù fa queste domande – 'Chi sono io per te?' – bisogna pensare a questo: io sono stabilito sulla roccia dell’amore di Lui. Lui mi guida. Devo rispondere fermo su quella roccia e sotto la guida di Lui stesso".

“Chi sono io per voi?”, ci chiede Gesù. A volte si ha vergogna a rispondere a questa domanda – sottolinea Papa Francesco – perché sappiamo che qualcosa in noi non va, siamo peccatori. Ma è proprio questo il momento in cui confidare nel suo amore e rispondere con quel senso di verità, così come Pietro fece sul Lago di Tiberiade. “Signore, tu sai tutto”. E’ proprio nel momento in cui ci sentiamo peccatori, il Signore ci ama tanto – dice ancora Papa Francesco – e come mise il pescatore Pietro a capo della Sua Chiesa, così – conclude – anche con noi farà qualcosa di buono:

"Lui è più grande, Lui è più grande! E quando noi diciamo, dalla venerazione e dall’amore, sicuri, sicuri sulla roccia dell’amore e sulla guida di Lui: 'Tu sei l’unto', questo ci farà tanto bene e ci farà andare avanti con sicurezza e prendere la Croce di ogni giorno, che alle volte è pesante. Andiamo avanti così, con gioia, e chiedendo questa grazia: dona al Tuo popolo, Padre, di vivere sempre nella venerazione e nell’amore per il Tuo santo nome! E con la certezza che Tu non privi mai della Tua guida coloro che hai stabilito sulla roccia del Tuo amore!".


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[Modificato da Caterina63 23/06/2013 20:49]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)