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[SM=g1740758] Messa del primo maggio. Il Papa: società ingiusta quella che non dà lavoro o sfrutta i lavoratori


2013-05-01 Radio Vaticana

La società non è giusta se non offre a tutti un lavoro o sfrutta i lavoratori: lo ha affermato il Papa nella Messa presieduta nella Cappellina di Casa Santa Marta in occasione della Memoria di San Giuseppe Lavoratore. Erano presenti alcuni minori e ragazze madri, ospiti del Centro di solidarietà “Il Ponte”, nato a Civitavecchia nel 1979, accompagnati dal presidente dell’associazione, don Egidio Smacchia. Il servizio di Sergio Centofanti:

Nel Vangelo proposto dalla liturgia Gesù viene chiamato il “figlio del falegname”. Giuseppe era un lavoratore e Gesù ha imparato a lavorare con lui. Nella prima lettura si legge che Dio lavora per creare il mondo.

Questa “icona di Dio lavoratore – afferma il Papa - ci dice che il lavoro è qualcosa di più che guadagnarsi il pane”:

“Il lavoro ci dà la dignità! Chi lavora è degno, ha una dignità speciale, una dignità di persona: l’uomo e la donna che lavorano sono degni. Invece quelli che non lavorano non hanno questa dignità. Ma tanti sono quelli che vogliono lavorare e non possono. Questo è un peso per la nostra coscienza, perché quando la società è organizzata in tal modo, che non tutti hanno la possibilità di lavorare, di essere unti della dignità del lavoro, quella società non va bene: non è giusta! Va contro lo stesso Dio, che ha voluto che la nostra dignità incominci di qua”.

“La dignità – ha proseguito il Papa - non ce la dà il potere, il denaro, la cultura, no! …. La dignità ce la dà il lavoro!” e un lavoro degno, perché oggi tanti “sistemi sociali, politici ed economici hanno fatto una scelta che significa sfruttare la persona”:
“Non pagare il giusto, non dare lavoro, perché soltanto si guarda ai bilanci, ai bilanci dell’impresa; soltanto si guarda a quanto io posso approfittare. Quello va contro Dio! Quante volte – tante volte – abbiamo letto su ‘L’Osservatore Romano’…. Un titolo che mi ha colpito tanto il giorno della tragedia del Bangladesh, ‘Vivere con 38 euro al mese’: questo era il pagamento di queste persone che sono morte… E questo si chiama ‘lavoro schiavo!’. E oggi nel mondo c’è questa schiavitù che si fa col più bello che Dio ha dato all’uomo: la capacità di creare, di lavorare, di farne la propria dignità. Quanti fratelli e sorelle nel mondo sono in questa situazione per colpa di questi atteggiamenti economici, sociali, politici e così via…”.

Il Papa cita un rabbino del Medio Evo che raccontava alla sua comunità ebraica la vicenda della Torre di Babele: allora i mattoni erano molto preziosi:
“Quando un mattone, per sbaglio, cadeva, c’era un problema tremendo, uno scandalo: ‘Ma guarda cosa hai fatto!’. Ma se uno di quelli che facevano la torre cadeva: ‘Riposi in pace!’ e lo lasciavano tranquillo… Era più importante il mattone che la persona. Questo raccontava quel rabbino medievale e questo succede adesso! Le persone sono meno importanti delle cose che danno profitto a quelli che hanno il potere politico, sociale, economico.
A che punto siamo arrivati? Al punto che non siamo consci di questa dignità della persona; questa dignità del lavoro. Ma oggi la figura di San Giuseppe, di Gesù, di Dio che lavorano - questo è il nostro modello - ci insegnano la strada per andare verso la dignità”.


Oggi – ha osservato il Papa – non possiamo dire più quello che diceva San Paolo: “Chi non vuol lavorare, non mangi”, ma dobbiamo dire: “Chi non lavora, ha perso la dignità!”, perché “non trova la possibilità di lavorare”. Anzi: “La società ha spogliato questa persona di dignità!”. Oggi – ha aggiunto il Pontefice – ci fa bene riascoltare “la voce di Dio, quando si rivolgeva a Caino” dicendogli: “Caino, dov’è tuo fratello?”. Oggi, invece, sentiamo questa voce: “Dov’è tuo fratello che non ha lavoro? Dov’è tuo fratello che è sotto il lavoro schiavo?”. Il Papa conclude: “Preghiamo, preghiamo per tutti questi fratelli e sorelle che sono in questa situazione. Così sia”.


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Il Papa: la Chiesa è una comunità del “sì”, perché nasce dall'amore di Cristo



2013-05-02 Radio Vaticana
La Chiesa è una comunità del “sì” perché nasce dall’amore di Cristo. E’ quanto affermato, stamani, da Papa Francesco nella Messa celebrata nella Cappella della Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che quando i cristiani non fanno lavorare lo Spirito Santo allora cominciano le divisioni nella Chiesa. Alla Messa, concelebrata con il cardinale Albert Malcolm Ranjith Patabendige, ha preso parte un gruppo di dipendenti dei Musei Vaticani. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Papa Francesco si è soffermato sui primi passi della Chiesa che, dopo Pentecoste, è uscita per andare nelle “periferie della fede” ad annunciare il Vangelo. Il Papa ha osservato che lo Spirito Santo fa due cose: “prima spinge” e crea anche dei “problemi” e poi “fa l’armonia della Chiesa”.

A Gerusalemme dunque, tra i primi discepoli, “c’erano tante opinioni” sull’accoglienza dei pagani nella Chiesa. C’è chi diceva “no” ad un accordo, e chi invece era aperto:

“C’era una Chiesa del 'No, non si può; no, no, si deve, si deve, si deve’, e una Chiesa del 'Sì: ma … pensiamo alla cosa, apriamoci, c’è lo Spirito che ci apre la porta’. Lo Spirito Santo doveva fare il suo secondo lavoro: fare l’armonia di queste posizioni, l’armonia della Chiesa, fra loro a Gerusalemme e fra loro e i pagani. E’ un bel lavoro che fa sempre, lo Spirito Santo, nella storia. E quando noi non lo lasciamo lavorare, incominciano le divisioni nella Chiesa, le sètte, tutte queste cose … perché siamo chiusi alla verità dello Spirito”.

Ma qual è dunque la parola chiave in questa disputa alle origini della Chiesa? Papa Francesco ha ricordato le parole ispirate di Giacomo, del vescovo di Gerusalemme, che sottolinea come non si debba imporre sul collo dei discepoli un giogo che gli stessi padri non sono stati in grado di portare:
“Quando il servizio del Signore diventa un giogo così pesante, le porte delle comunità cristiane sono chiuse: nessuno vuole venire dal Signore. Noi invece crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati. Prima questa gioia del carisma di annunciare la grazia, poi vediamo cosa facciamo. Questa parola, giogo, mi viene al cuore, mi viene in mente”.

Il Papa si è soffermato su cosa significhi oggi nella Chiesa portare un giogo. Gesù, ricorda, chiede a tutti noi di rimanere nel suo amore. Ecco allora che proprio da questo amore nasce l’osservanza dei suoi comandamenti. Questa, ha ribadito, è “la comunità cristiana del sì” che rimane nell’amore di Cristo e dice dei ‘no’ “perché c’è quel sì”.

E’ questo amore, ha affermato ancora il Papa, che “ci porta alla fedeltà al Signore”… “perché io amo il Signore non faccio questo” o quest’altro:

“E’ una comunità del ‘sì’ e i ‘no’ sono conseguenza di questo ‘sì’. Chiediamo al Signore che lo Spirito Santo ci assista sempre per diventare comunità di amore, di amore a Gesù che ci ha amato tanto. Comunità di questo ‘sì’. E da questo ‘sì’ compiere i comandamenti. Comunità di porte aperte. E ci difenda dalla tentazione di diventare forse puritani, nel senso etimologico della parola, di cercare una purezza para-evangelica, una comunità del ‘no’. Perché Gesù ci chiede prima l’amore, l’amore per Lui, e di rimanere nel Suo amore”.

Ed ecco allora, conclude il Papa, che “quando una comunità cristiana vive nell’amore confessa i suoi peccati, adora il Signore, perdona le offese”. E, ancora, "ha carità con gli altri" e "la manifestazione dell’amore” e così “sente l’obbligo di fedeltà al Signore di fare come i comandamenti”.


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Il Papa: la Chiesa deve essere coraggiosa, no ai cristiani tiepidi


2013-05-03 Radio Vaticana
Un tocco di colore, familiare tra l'altro, ha caratterizzato l'assemblea dei fedeli che hanno partecipato alla messa celebrata da Papa Francesco questa mattina, venerdì 3 maggio, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Spiccavano infatti i colori delle divise michelangiolesche indossate da una settantina di Guardie Svizzere, accompagnate alla messa dal comandante Daniel Rudolf Anrig e dal cappellano monsignor Alain de Raemy, il quale ha concelebrato con il Santo Padre insieme a diversi altri sacerdoti: tra questi, l'arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.

Papa Francesco, alla fine della messa, ha colto l'occasione per ringraziare le Guardie Svizzere "per l'amore e la vicinanza alla Chiesa, anche per la vicinanza al Papa e per l'amore per il Papa. È una bella testimonianza di fedeltà alla Chiesa. Il Signore vi benedica tanto per questo servizio. La Chiesa vi vuole tanto bene. Anche io".

Durante l'omelia invece il Pontefice ha invitato a riflettere sulla necessità di pregare con coraggio per ottenere la grazia della diffusione della fede nel mondo.
Come sempre il Pontefice ha usato un'espressione capace di entrare nel cuore e nella memoria di chi lo ascolta e lasciare un segno: ha parlato di una preghiera coraggiosa, quasi come una sfida per Gesù, il quale ha detto: "Qualunque cosa mi chiederete nel mio nome, la farò perché il Padre sia glorificato nel Figlio". Pregare dunque significa "avere il coraggio di andare da Gesù e chiedergli così: "Ma tu hai detto questo, fallo! Fa' che la fede vada avanti"".

Il Papa si è riferito alle letture del giorno, tratte dalla prima Lettera ai Corinti (15, 1-8) e dal vangelo di Giovanni (14, 6-14). "Quando gli apostoli hanno deciso di creare i diaconi - ha esordito - era perché avevano tanto lavoro nell'assistenza alle vedove, agli orfani" e si sentivano come distolti da quello che era il loro dovere "di annunziare la Parola e di pregare". Un compito, ha spiegato, che è proprio del "ministero vescovile", ma che riguarda anche "tutti noi cristiani che abbiamo ricevuto la fede: dobbiamo trasmetterla; dobbiamo darla; dobbiamo proclamarla con la nostra vita, con la nostra parola. È la trasmissione della fede che va di casa in casa, di famiglia in famiglia, di persona in persona".


Il vescovo di Roma ha poi fatto riferimento al "bel testo" alla lettera in cui san Paolo parla a Timoteo della fede ""che tu hai ricevuto dalla tua mamma e dalla tua nonna e devi trasmetterla ad altri". Così abbiamo ricevuto la fede noi, in famiglia; la fede in Gesù". Di quale fede si tratta? Di quella di cui parla Paolo, ha spiegato: ""A voi, infatti, ho trasmesso anzitutto quello che anche io ho ricevuto". Lui aveva ricevuto la fede e dà la fede" in Cristo, che "morì per i nostri peccati secondo le Scritture, che fu sepolto, che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture, che apparve ai dodici". Il fondamento e la forza della fede sono "in Gesù Risorto, in Gesù che ci ha perdonato i peccati con la sua morte e ci ha riconciliato con il Padre. Trasmettere questo chiede a noi di essere coraggiosi: il coraggio del trasmettere la fede. Un coraggio, alcune volte, semplice".

Come spesso accade, Papa Francesco è andato a pescare tra i suoi ricordi per rendere ancor più chiaro il suo messaggio e ancorarlo alla realtà di una vita vissuta: "Io ricordo - scusatemi è una storia personale - da bambino mia nonna ogni Venerdì Santo ci portava alla processione delle candele e alla fine della processione arrivava il Cristo giacente e la nonna ci faceva inginocchiare e diceva a noi bambini: "Guardate è morto, ma domani sarà risorto!". La fede è entrata così: la fede in Cristo morto e risorto".
Il Pontefice ha anche ricordato che tanti hanno cercato di sfumare "questa certezza forte" e hanno parlato di una "risurrezione spirituale". Ma non è così: "Cristo è vivo!"; è morto ma è risorto; è apparso agli apostoli e a Tommaso ha fatto mettere le dita nelle sue piaghe; ha mangiato con loro. "Cristo - ha ribadito - è vivo e anche vivo fra noi"; e proprio a noi spetta il compito di annunciarlo, di annunciare la fede con coraggio.


C'è però un altro coraggio, ha avvertito il Santo Padre, spiegando: "Gesù - per dirlo un po' forzatamente - ci sfida alla preghiera e dice così: "Qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò perché il Padre sia glorificato nel Figlio". Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò". Ma è forte questo! Abbiamo il coraggio di andare da Gesù e chiedergli così: "Ma tu hai detto questo, fallo! Fa' che la fede vada avanti, fa' che la evangelizzazione vada avanti, fa' che questo problema che ho venga risolto….". Abbiamo questo coraggio nella preghiera? O preghiamo un po' così, come si può, spendendo un po' di tempo nella preghiera?".

Il vescovo di Roma ha quindi citato l'Antico Testamento, in particolare laddove si narra del coraggio di Abramo di parlare con Dio per chiedergli di salvare Sodoma: ""Ma se fossero 45 i giusti, tu la salverai? E se fossero 40, 35…". Negoziava con Dio" ha ricordato il Papa. Ma per fare ciò "bisogna avere coraggio". Coraggio è anche andare dal Signore per impetrare per gli altri, come ha fatto Mosè nel deserto. E quando la Chiesa perde questo coraggio, entra "in un'atmosfera di tepore".
I cristiani "tiepidi, senza coraggio - ha affermato il Pontefice - fanno tanto male alla Chiesa", perché il tepore fa rinchiudere in se stessi. E così si creano problemi tra le persone, si perdono di vista gli orizzonti. Ma soprattutto la tiepidezza fa smarrire proprio "il coraggio di pregare" e "il coraggio di annunciare il vangelo".

Eppure tutti noi "abbiamo il coraggio di immischiarci - ha notato ancora il Papa - nelle nostre piccole cose, nelle nostre gelosie, nelle nostre invidie, nel carrierismo, nell'andare avanti egoisticamente... in tutte queste cose. Ma questo non fa bene alla Chiesa... La Chiesa deve essere coraggiosa! Noi tutti dobbiamo essere coraggiosi nella preghiera, sfidando Gesù: "Tu hai detto questo, fammi il favore...". Ma con perseveranza".

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Il Papa ritorna a parlare del Demonio "principe" di questo mondo con il quale non si può e non si deve dialogare

2013-05-04 Radio Vaticana
Rimaniamo sempre miti e umili per sconfiggere le lusinghe e l'odio del mondo. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani nella Casa Santa Marta. Nell’omelia, il Papa ha ribadito che la strada dei cristiani è la strada di Gesù e per questo non dobbiamo avere paura di essere perseguitati. Alla Messa - concelebrata da mons. Lorenzo Baldisseri, segretario della Congregazione per i Vescovi – ha preso parte un gruppo di Guardie Svizzere Pontificie alle quali il Papa ha dedicato un saluto di affetto e gratitudine. “La Chiesa – ha detto – vi vuole tanto bene” e “anche io”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Sono l’umiltà e la mitezza le armi che abbiamo per difenderci dall'odio del mondo. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco che ha incentrato la sua omelia sulla lotta tra l’amore di Cristo e l’odio del principe del mondo.

Il Signore, ha ricordato, ci dice di non spaventarci perché il mondo ci odierà come ha odiato Lui:

“La strada dei cristiani è la strada di Gesù. Se noi vogliamo essere seguaci di Gesù, non c’è un’altra strada: quella che Lui ha segnato. E una delle conseguenze di questo è l’odio, è l’odio del mondo, e anche del principe di questo mondo. Il mondo amerebbe ciò che è suo. ‘Vi ho scelti io, dal mondo’: è stato Lui proprio che ci ha riscattato dal mondo, ci ha scelti: pura grazia! Con la sua morte, con la sua resurrezione, ci ha riscattati dal potere del mondo, dal potere del diavolo, dal potere del principe di questo mondo. E l’origine dell’odio è questa: siamo salvati. E quel principe che non vuole, che non vuole che noi siamo stati salvati, odia”.

Ecco allora che l’odio e la persecuzione dai primi tempi della Chiesa arrivano fino ad oggi. Ci sono “tante comunità cristiane perseguitate nel mondo – ha constatato con amarezza il Papa – in questo tempo più che nei primi tempi: oggi, adesso, in questo giorno e in questa ora”. Perché questo, si chiede ancora il Papa? Perché “lo spirito del mondo odia”.
E da questo deriva un ammonimento sempre attuale:

“Con il principe di questo mondo non si può dialogare: e questo sia chiaro! Oggi il dialogo è necessario fra noi, è necessario per la pace. Il dialogo è un’abitudine, è proprio un atteggiamento che noi dobbiamo avere tra noi per sentirci, capirci … ma quello deve mantenere sempre. Il dialogo nasce dalla carità, dall’amore.
Ma con
quel principe non si può dialogare: soltanto rispondere con la Parola di Dio che ci difende, perché il mondo ci odia. E come ha fatto con Gesù, farà con noi. ‘Ma, guarda, fai questo, una piccola truffa … non c’è niente, è piccola …’, e incomincia a portarci su una strada un po’ non giusta. Questa è una pia bugia: ‘Fallo, fallo, fallo: non c’è problema’, e incomincia da poco, sempre, no? E: ‘Ma … tu sei bravo, tu sei bravo: puoi farlo’. E’ lusinghiero, e con le lusinghe ci ammorbidisce. Fa così. E poi, noi cadiamo nella trappola”.


Il Signore, ha proseguito Papa Francesco, ci chiede di rimanere pecorelle, perché se uno lascia di essere pecorella, allora non si ha “un pastore che ti difenda e cadi nelle mani di questi lupi”:
“Voi potete fare la domanda: ‘Padre, qual è l’arma per difendersi da queste seduzioni, da questi fuochi d’artificio che fa il principe di questo mondo?, da queste lusinghe?’. L’arma è la stessa arma di Gesù: la Parola di Dio - non dialogare - ma sempre la Parola di Dio e poi l’umiltà e la mitezza.
Pensiamo a Gesù, quando gli danno quello schiaffo: che umiltà, che mitezza! Poteva insultarlo, no? Soltanto una domanda, mite e umile. Pensiamo a Gesù nella sua Passione. Il suo Profeta dice: ‘Come una pecora che va al mattatoio’. Non grida, niente: l’umiltà. Umiltà e mitezza. Queste sono le armi che il principe del mondo e lo spirito del mondo non tollera, perché le sue proposte sono proposte di potere mondano, proposte di vanità, proposte di ricchezze male acquisite, sono proposte così”.


Oggi, ha proseguito, “Gesù ci fa pensare a quest’odio che ha il mondo contro di noi, contro i seguaci di Gesù”. Ci odia, ha riaffermato, “perché Lui ci ha salvati, ci ha riscattati”. E pensiamo alle “armi per difenderci”, ha aggiunto: rimanere sempre pecorelle, “perché così abbiamo un pastore, ed essendo pecorelle siamo miti e umili”. Infine, l’invocazione alla Madonna affinché “ci aiuti a diventare umili e miti nella strada di Gesù”.



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Come le Sacre Scritture parlano del demonio

Il risorto e le lusinghe del serpente

di mons. Inos Biffi

Il serpente incarna, proprio all'inizio del mondo e della sua storia, la presenza di un essere invidioso: "Per invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo" (Sapienza, 2, 24).
Nel Nuovo Testamento si torna spesso su quel serpente.

Nei testi che si riferiscono al demonio l'accordo è perfetto: si tratta di un essere ostile a Dio, del quale mira a sconvolgere la Parola, e insieme ostile all'uomo che si propone di sedurre e di indurre a ribellarsi al disegno divino.
È il maligno.

In particolare, l'accordo esegetico riguarda Colui al quale il diavolo riserva la sua avversione, cioè Gesù Cristo. Sono poste così in antitesi due regalità: quella di Gesù e quella del Principe di questo mondo. Il demonio non può tollerare Gesù Cristo e in tutti i modi cerca di intralciare l'eterno piano divino concepito su di lui. Così nel deserto. Ma Gesù si proclama vincitore di questo principe: "Viene - dichiara - il principe del mondo; egli contro di me non può nulla" (Giovanni, 14, 30); precisamente, è al sopraggiungere dell'ora di Gesù, quella del suo innalzamento sulla croce e alla destra del Padre, che quel principe viene abbattuto: "Adesso è il giudizio di questo mondo; adesso il principe di questo mondo sarà gettato giù". Con l'effusione dello Spirito dal Signore glorificato quel principe trova la sua condanna (Giovanni, 16, 11). Specialmente Paolo rimarca la signoria del Risorto: in lui il Padre "ci ha liberati dal potere delle tenebre" (Colossesi, 1, 13) e "ha privato della loro forza i Principati e le Potenze", e "ne ha fatto pubblico spettacolo, trionfando su di loro in Cristo" (2, 15).

Stupisce oggi l'assenza nella predicazione e nella catechesi della verità relativa al demonio. Per non dire di quei teologi, che, per un verso, applaudono che finalmente il Vaticano II abbia dichiarato la Scrittura "anima della sacra teologia" (Dei verbum, 24) e, per l'altro, non esitano - se non a deciderne l'inesistenza (come fanno per gli angeli) - comunque a trascurare come marginale un dato, lo abbiamo visto, chiarissimo e largamente attestato nella stessa Scrittura, com'è quello relativo al demonio, ritenendolo la personificazione di un'oscura e primordiale idea di male, ormai demitizzabile e inaccettabile.
Una simile concezione è un capolavoro di ideologia e soprattutto equivale a banalizzare la stessa opera di Cristo e la sua redenzione. Ecco perché ci sembrano tutt'altro che secondari i richiami al demonio, che riscontriamo nei discorsi di Papa Francesco.



(L'Osservatore Romano 4 maggio 2013)

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[Modificato da Caterina63 04/05/2013 14:50]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)