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[SM=g1740758] Papa Francesco: non sono le opere sociali che fanno la Chiesa ma lo scandalo della Croce


2013-06-01 Radio Vaticana
“La Chiesa non è un’organizzazione di cultura”, ma è “la famiglia di Gesù”: è quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta.
Il Papa ha ribadito che i cristiani non devono avere vergogna di vivere con lo scandalo della Croce e li ha esortati a non lasciarsi "intrappolare dallo spirito del mondo".
Alla Messa, concelebrata dal cardinale arcivescovo dell’Avana Jaime Lucas Ortega y Alamino, ha preso parte un gruppo di Gentiluomini di Sua Santità. Il servizio di Alessandro Gisotti:


Con quale autorità fai queste cose? Papa Francesco ha svolto la sua omelia partendo dalla domanda rivolta a Gesù dagli scribi e dai sommi sacerdoti. Ancora una volta, ha osservato, vogliono tendere “una trappola” al Signore, cercando di portarlo “all’angolo” di farlo sbagliare. Ma qual è, si chiede il Papa, il problema che questa gente aveva con Gesù? Sono forse i miracoli che faceva? No, non è questo. In realtà, ha affermato, “il problema che scandalizzava questa gente era quello che i demoni gridavano a Gesù: ‘Tu sei il Figlio di Dio, Tu sei il Santo!”.
Questo “è il centro”, questo scandalizza di Gesù: “Lui è Dio che si è incarnato”.

Anche a noi, ha proseguito, “ci tendono trappole nella vita”, ma ciò che “scandalizza della Chiesa è il mistero dell’Incarnazione del Verbo”. E "questo non si tollera, questo il demonio non lo tollera”:

“Quante volte si sente dire: ‘Ma, voi cristiani, siate un po’ più normali, come le altre persone, ragionevoli!’. Questo è un discorso da incantatori di serpenti, proprio: ‘Ma, siate così, no?, un po’ più normali, non siate tanto rigidi …’. Ma dietro a questo c’è: ‘Ma, non venite con storie, che Dio s’è fatto uomo’! L’Incarnazione del Verbo, quello è lo scandalo che c’è dietro! Noi possiamo fare tutte le opere sociali che vogliamo, e diranno: ‘Ma che brava, la Chiesa, che buona l’opera sociale che fa la Chiesa’. Ma se noi diciamo che noi facciamo questo perché quelle persone sono la carne di Cristo, viene lo scandalo. E quella è la verità, quella è la rivelazione di Gesù: quella presenza di Gesù incarnato”.

E “questo è il punto”, ha sottolineato Papa Francesco: “Sempre ci sarà la seduzione di fare cose buone senza lo scandalo del Verbo Incarnato, senza lo scandalo della Croce”. Dobbiamo invece “essere coerenti con questo scandalo, con questa realtà che fa scandalizzare”. E’ “meglio così: la coerenza della fede”. Il Papa ha, quindi, rammentato quanto afferma l’Apostolo Giovanni: “Quelli che negano che il Verbo è venuto nella carne sono dell’anticristo, sono l’anticristo”.

D’altronde, ha detto ancora, “soltanto quelli che dicono che il Verbo è venuto nella carne sono dello Spirito Santo”.
Papa Francesco ha dunque affermato che “ci farà bene a tutti noi pensare questo: la Chiesa non è un’organizzazione di cultura, anche di religione, anche sociale”:

“La Chiesa è la famiglia di Gesù. La Chiesa confessa che Gesù è il Figlio di Dio venuto nella carne: quello è lo scandalo, e per questo perseguitavano Gesù. E alla fine, quello che non aveva voluto dire Gesù, a questi – ‘Con che autorità fai questo?’ – lo dice al Sommo sacerdote. ‘Ma, alla fine di': Tu sei il Figlio di Dio?’ – ‘Sì!’. Condannato a morte, per quello. Questo è il centro della persecuzione. Se noi diventiamo cristiani ragionevoli, cristiani sociali, cristiani di beneficienza soltanto, quale sarà la conseguenza? Che non avremo mai martiri: quella sarà la conseguenza”.
Quando invece noi cristiani diciamo questa verità, che “Il Figlio di Dio è venuto e si è fatto carne”, quando noi – ha proseguito il Papa – “predichiamo lo scandalo della Croce, verranno le persecuzioni, verrà la Croce” e ciò “sarà buono”, “così è la nostra vita”:
“Chiediamo al Signore di non avere vergogna di vivere con questo scandalo della Croce. E anche la saggezza: chiediamo la saggezza di non lasciarci intrappolare dallo spirito del mondo, che sempre ci farà proposte educate, proposte civili, proposte buone ma dietro a quelle c’è proprio la negazione del fatto che il Verbo è venuto nella carne, dell’Incarnazione del Verbo. Che alla fine è quello che scandalizza quelli che perseguitano Gesù, è quello che distrugge l’opera del diavolo. Così sia”.


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Quanto male fanno i corrotti nelle comunità cristiane!......

2013-06-03 L’Osservatore Romano

Il pensiero di Papa Francesco è andato questa mattina, lunedì 3 giugno, al predecessore Giovanni XXIII — «un modello di santità» l’ha definito — per ricordarne il cinquantesimo anniversario della morte, ma anche e soprattutto per rilanciarne la testimonianza in un tempo in cui, persino nella Chiesa, c’è chi sceglie la strada della corruzione piuttosto che quella dell’amore come risposta al dono di Dio per l’uomo.

Alla testimonianza della santità il Pontefice ha fatto cenno già nella preghiera iniziale della messa a Santa Marta — concelebrata, tra gli altri, dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi — quando ha ricordato la ricorrenza dei santi Carlo Lwanga e compagni, i martiri d’Uganda. Alla liturgia erano presenti, tra gli altri, i dipendenti della Congregazione delle cause dei santi e un gruppo di gentiluomini di Sua Santità.

Papa Francesco durante l’omelia ha voluto condividere con i partecipanti alcune riflessioni sul vangelo di Marco (12,1-12).
«Mi viene da pensare — ha esordito — alle tre figure di cristiani nella Chiesa: i peccatori, i corrotti, i santi. Dei peccatori non è necessario parlare troppo, perché tutti noi lo siamo. Ci conosciamo da dentro e sappiamo cosa è un peccatore. E se qualcuno di noi non si sente così, vada a farsi una visita dal medico spirituale: qualcosa non va».
La figura sulla quale il Santo Padre si è soffermato di più è stata quella dei corrotti. Nella parabola evangelica, ha spiegato, Gesù parla dell’amore grande del proprietario di una vigna, simbolo del popolo di Dio: «Lui ci ha chiamati con amore, ci custodisce. Ma poi ci dà la libertà, ci dà tutto questo amore “in affitto”. È come se dicesse a noi: Guarda e custodisci tu il mio amore come io custodisco te. È il dialogo fra Dio e noi: custodire l’amore. Tutto comincia con questo amore».

 Poi però i contadini ai quali la vigna è affidata «si sono sentiti forti, si sono sentiti autonomi da Dio», ha spiegato il Santo Padre. E così «si sono impadroniti di quella vigna; e hanno perso il rapporto con il padrone della vigna: I padroni siamo noi! E quando va qualcuno a ritirare da loro la parte del raccolto della vigna che spetta al padrone, lo bastonano, lo insultano, lo ammazzano». Questo significa perdere il rapporto con Dio, non avvertire più il bisogno «di quel padrone». È ciò che fanno i «corrotti, quelli che erano peccatori come tutti noi, ma hanno fatto un passo avanti»: si sono «consolidati nel peccato e non sentono il bisogno di Dio». O almeno, si illudono di non sentirlo, perché — ha spiegato il Papa — «nel codice genetico c’è questo rapporto a Dio. E siccome non possono negarlo, si fanno un Dio speciale: loro stessi».

Ecco chi sono i corrotti. E «questo è un pericolo anche per noi: diventare corrotti. Ce ne sono nelle comunità cristiane e fanno tanto male. Gesù parla ai dottori della legge, ai farisei, che erano corrotti. E dice loro che sono sepolcri imbiancati. E nelle comunità cristiane i corrotti sono così. Si dice: Ah, è buon cristiano, appartiene a tal confraternita; buono, buono, è uno di noi. Ma niente: sono per se stessi. Giuda ha incominciato da peccatore avaro, è finito nella corruzione. È una strada pericolosa, la strada dell’autonomia. I corrotti sono grandi smemorati, hanno dimenticato questo amore con il quale il Signore ha fatto la vigna, ha fatto loro. Hanno tagliato il rapporto con questo amore. E loro diventano adoratori di se stessi. Quanto male fanno i corrotti nelle comunità cristiane! Il Signore ci liberi dallo scivolare sulla strada della corruzione!».

Ma nella Chiesa ci sono anche i santi. «E adesso — ha detto il Pontefice — mi piace parlare dei santi; e mi piace farlo nel cinquantesimo della morte di Papa Giovanni, modello di santità». Nella parabola del Vangelo i santi, ha spiegato Papa Francesco, «sono quelli che vanno a prendere l’affitto e loro sanno cosa li aspetta. Ma devono farlo e fanno il loro dovere. I santi: quelli che ubbidiscono al Signore, quelli che adorano il Signore, quelli che non hanno perso la memoria dell’amore con il quale il Signore ha fatto la vigna. I santi nella Chiesa. E così come i corrotti fanno tanto male alla Chiesa, i santi fanno tanto bene».

E ha concluso: «Dei corrotti l’apostolo Giovanni dice che sono l’anticristo, che sono in mezzo a noi, ma non sono di noi. Dei santi la parola di Dio ci parla come di luce: quelli che saranno davanti al trono di Dio, in adorazione. Chiediamo oggi al Signore la grazia di sentirci peccatori. Ma davvero peccatori. La grazia di non diventare corrotti: peccatori sì, corrotti no. E la grazia di andare sulla strada della santità».




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- Avere il coraggio della "verità" giacché l'"ipocrisia è il linguaggio della corruzione". Respingere quella debolezza per cui ci piace che si parli bene di noi, quel "linguaggio persuasivo che porta invece all'errore, alla menzogna".
Il Papa durante la messa a S.Marta mette in guardia contro l'"idolatria narcisista". Quella "debolezza interiore", della "vanità", per cui "ci piace che dicano cose buone di noi".I "corrotti lo sanno" e "con questo linguaggio cercano di indebolirci".


2013-06-04 Radio Vaticana
Un cristiano non usa un “linguaggio socialmente educato”, incline all’ipocrisia, ma si fa portavoce della verità del Vangelo con la stessa trasparenza dei bambini.


Dai corrotti alla loro lingua preferita: l’ipocrisia.


La scena evangelica del tributo a Cesare, e della subdola richiesta dei farisei e degli erodiani a Cristo sulla legittimità di quel tributo, fornisce a Papa Francesco una riflessione in stretta continuità con l’omelia di ieri. L’intenzione con cui si avvicinano Gesù, afferma, è quella di farlo “cadere nella trappola”. La loro domanda se sia lecito o no pagare le tasse a Cesare viene posta – rileva il Papa – “con parole morbide, con parole belle, con parole troppo zuccherate”. “Cercano – soggiunge – di mostrarsi amici”. Ma è tutto falso. Perché, spiega Papa Francesco, “questi non amano la verità” ma soltanto se stessi, “e così cercano di ingannare, di coinvolgere l’altro nellaloromenzogna, nellalorobugia.

Loro hanno il cuore bugiardo, non possono dire la verità”:

“E’ proprio il linguaggio della corruzione, l’ipocrisia. E quando Gesù parla ai suoi discepoli, dice: ‘Ma il vostro parlare sia ‘Sì, sì! No, no!’. L’ipocrisia non è un linguaggio di verità, perché la verità mai va da sola. Mai! Va sempre con l’amore! Non c’è verità senza amore. L’amore è la prima verità. Se non c’è amore, non c’è verità. Questi vogliono una verità schiava dei propri interessi. C’è un amore, possiamo dire: ma è l’amore di se stessi, l’amore a se stessi. Quell’idolatria narcisista che li porta a tradire gli altri, li porta agli abusi di fiducia”.

Quello che sembra un “linguaggio persuasivo”, insiste Papa Francesco, porta invece “all’errore, alla menzogna”. E, sul filo dell’ironia, osserva che quelli che oggi avvicinano Gesù e “sembrano tanto amabili nel linguaggio, sono gli stessi che andranno giovedì, la sera, a prenderlo nell’Orto degli Ulivi, e venerdì lo porteranno da Pilato”. Invece, Gesù chiede esattamente il contrario a chi lo segue, una lingua “sì, sì, no, no”, una “parola di verità e con amore”:
“E la mitezza che Gesù vuole da noi non ha niente, non ha niente di questa adulazione, con questo modo zuccherato di andare avanti. Niente! La mitezza è semplice; è come quella di un bambino. E un bambino non è ipocrita, perché non è corrotto. Quando Gesù ci dice: ‘Il vostro parlare sia ‘Sì, sì! No, no!’ con anima di bambini, dice il contrario del parlare di questi”.

L’ultima considerazione riguarda quella “certa debolezza interiore”, stimolata dalla “vanità”, per cui, constata Papa Francesco, “ci piace che dicano cose buone di noi”. Questo i “corrotti lo sanno” e "con questo linguaggio cercano di indebolirci”:
“Pensiamo bene oggi: qual è la nostra lingua? Parliamo in verità, con amore, o parliamo un po’ con quel linguaggio sociale di essere educati, anche di dire cose belle, ma che non sentiamo? Che il nostro parlare sia evangelico, fratelli! Poi, questi ipocriti che cominciano con la lusinga, l’adulazione e tutto questo, finiscono, cercando falsi testimoni per accusare chi avevano lusingato. Chiediamo oggi al Signore che il nostro parlare sia il parlare dei semplici, parlare da bambino, parlare da figli di Dio, parlare in verità dall’amore”.


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Messa a Santa Marta 5.6.2013

Nel sottosuolo dell'esistenza
l'importanza della PREGHIERA

Per le persone che vivono "nel sottosuolo dell'esistenza", in condizioni "al limite", e che hanno perso la speranza ha pregato Papa Francesco durante la messa di stamane, mercoledì 5 giugno, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.

Tra gli altri, hanno concelebrato il cardinale Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, e padre Anthony Ward, sottosegretario, che accompagnavano officiali e dipendenti del dicastero. Tra i presenti, anche un gruppo della Biblioteca Apostolica Vaticana con il prefetto, monsignor Cesare Pasini.

L'invito a rivolgere il pensiero ai tanti che sperimentano situazioni di abbandono e "di sofferenza esistenziale" è stato suggerito dalle letture liturgiche. Nella prima, tratta dal libro di Tobia (3, 1-11.16-17), il Papa ha individuato nelle esperienze di Tobit e di Sara le storie di due persone sofferenti, al limite della disperazione, in bilico tra la vita e la morte. Entrambe sono in cerca di "una via d'uscita", che trovano lamentandosi. "Non bestemmiano, ma si lamentano" ha puntualizzato il Santo Padre.

"Lamentarsi davanti a Dio non è peccato" ha affermato. E subito dopo ha raccontato: "Un prete, che io conosco, una volta ha detto a una donna che si lamentava davanti a Dio per le sue calamità: Ma signora, quella è una forma di preghiera, vada avanti. Il Signore sente, ascolta i nostri lamenti".

Il Pontefice ha quindi ricordato l'esempio di Giobbe e di Geremia che, ha notato, "si lamentano anche con una maledizione: non al Signore, ma per quella situazione". Del resto, ha aggiunto, lamentarsi "è umano", anche perché "sono tante le persone in questo stato di sofferenza esistenziale". E facendo riferimento alla fotografia del bambino denutrito pubblicata ieri pomeriggio sulla prima pagina dell'Osservatore Romano, ha chiesto: "Quanti ce ne sono così? Pensiamo alla Siria, ai rifugiati, a tutti questi?". E "pensiamo agli ospedali: quanti, con malattie terminali, soffrono questo?".

La risposta è stata offerta da Papa Francesco riferendosi al terzo personaggio proposto nella liturgia odierna: la donna descritta nel brano evangelico (Marco, 12, 18-27). Rivolgendosi a Gesù i sadducei la presentavano, ha sottolineato il Santo Padre, come in "un laboratorio, tutto asettico, un caso di morale". Invece "quando noi parliamo di queste persone, che sono in situazioni al limite", dobbiamo farlo "con il cuore vicino a loro"; dobbiamo pensare "a questa gente, che soffre tanto, con il nostro cuore, con la nostra carne".

E ha detto di non apprezzare "quando si parla di queste situazioni in maniera accademica e non umana", ricorrendo magari solo a statistiche. "Nella Chiesa ci sono tante persone in questa situazione" e a chi chiede cosa si debba fare la risposta del Pontefice è "quello che dice Gesù: pregare, pregare per loro". Le persone che soffrono - ha spiegato - "devono entrare nel mio cuore, devono essere un'inquietudine per me. Il mio fratello soffre, la mia sorella soffre; ecco il mistero della comunione dei santi. Pregare: Signore guarda quello, piange, soffre. Pregare, permettetemi di dirlo, con la carne". Pregare con la nostra carne, dunque, "non con le idee; pregare con il cuore" ha ribadito.

Infine il Pontefice ha messo in luce come nella prima lettura ci sia una "parolina che apre la porta alla speranza" e che può aiutare nella preghiera. È l'espressione "nello stesso momento": quando Tobi pregava, "nello stesso momento" Sara pregava; e "nello stesso momento" la preghiera di entrambi fu accolta davanti alla gloria di Dio. "La preghiera - ha detto il Pontefice - arriva sempre alla gloria di Dio. Sempre, quando è preghiera del cuore". Invece, quando si guarda alle situazioni di sofferenza solo come a "un caso di morale", essa "non arriva mai, perché non esce mai da noi stessi, non ci interessa, è un gioco intellettuale".

Da qui l'invito a pensare ai sofferenti. È una condizione che Gesù conosce bene, fino al limite estremo dell'abbandono sulla croce. "Parliamo con Gesù oggi a messa - ha concluso Papa Francesco - di tutti questi fratelli e sorelle che soffrono tanto, che sono in questa situazione. Perché la nostra preghiera arrivi e sia un po' di speranza per tutti noi".



(L'Osservatore Romano 6 giugno 2013)


[Modificato da Caterina63 05/06/2013 21:37]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)