00 06/06/2013 18:37
[SM=g1740758] Messa del Pontefice a Santa Marta 6.6.2013

Per smascherare gli idoli nascosti

    È un invito a scoprire «gli idoli nascosti nelle tante pieghe che abbiamo nella nostra personalità», a «cacciare via l'idolo della mondanità, che ci porta a diventare nemici di Dio» quello rivolto da Papa Francesco durante la messa di stamattina, giovedì 6 giugno, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Fra i presenti, tra gli altri, dipendenti della Biblioteca Apostolica Vaticana e della Pontificia Università Lateranense.

    L'esortazione a intraprendere «la strada dell'amore a Dio», a mettersi in «cammino per arrivare» al suo regno è stata il coronamento di una riflessione incentrata sul brano del vangelo di Marco (12, 28-34), in cui Gesù risponde allo scriba che lo interroga su quale sia il più importante di tutti i comandamenti.

La prima annotazione del Pontefice è che Gesù non risponde con una spiegazione ma usando la parola di Dio: «Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore». Queste, ha detto, «non sono parole di Gesù». Infatti, egli si rivolge allo scriba come aveva fatto con Satana nelle tentazioni, «con la parola di Dio; non con le sue parole». E lo fa utilizzando «il credo d'Israele, quello che gli ebrei tutti i giorni, e parecchie volte al giorno, dicono: Shemà Israel! Ricordati Israele, di amare solo Dio».


    In proposito il Pontefice ha confidato di ritenere che lo scriba in questione forse «non era un santo, e andava un po' a mettere alla prova Gesù o anche a farlo cadere in una trappola». Insomma le sue intenzioni non erano delle migliori, perché «quando Gesù risponde con la parola di Dio» vuol dire che c'è di mezzo una tentazione.
«E questo si vede anche quando lo scriba gli dice: hai detto bene maestro», dando l'impressione di approvarne la risposta. Per questo Gesù gli risponde «non sei lontano dal Regno di Dio. Tu sai bene la teoria, tu sai bene che questo è così, ma non sei lontano. Ancora ti manca qualcosa per arrivare al Regno di Dio». Questo significa che c'è da intraprendere «un cammino per arrivare al Regno di Dio»; occorre «mettere in pratica di questo comandamento».


    Di conseguenza, «la confessione di Dio si fa nella vita, nel cammino della vita; non basta - ha avvertito il Papa - dire: io credo in Dio, l'unico»; ma bisogna chiedersi come si vive questo comandamento. In realtà, spesso si continua a «vivere come se lui non fosse l'unico Dio» e come se ci fossero «altre divinità a nostra disposizione».
È quello che Papa Francesco definisce «il pericolo dell'idolatria», la quale «è portata a noi con lo spirito del mondo». E Gesù su questo è sempre stato chiaro: «Lo spirito del mondo no». Tanto che nell'ultima cena «chiede al Padre che ci difenda dallo spirito del mondo, perché esso ci porta all'idolatria». Anche l'apostolo Giacomo, nel quarto capitolo della sua lettera, ha idee molto chiare: chi è amico del mondo è nemico di Dio. Non c'è un'altra opzione. Lo stesso Gesù aveva usato parole simili, ha ricordato il Santo Padre: «O Dio o il denaro; non si può servire i soldi e Dio».


    Per Papa Francesco è lo spirito del mondo che ci porta all'idolatria e lo fa con furbizia. «Io sono sicuro - ha detto - che nessuno di noi va davanti a un albero per adorarlo come un idolo»; che «nessuno di noi ha statue da adorare in casa propria».
Ma, ha messo in guardia, «l'idolatria è sottile; noi abbiamo i nostri idoli nascosti, e la strada della vita per arrivare, per non essere lontani dal regno di Dio, è una strada che comporta scoprire gli idoli nascosti». Ed è un compito impegnativo, visto che spesso li teniamo «ben nascosti». Come fece Rachele quando fuggì con il marito Giacobbe dalla casa di suo padre Labano, e avendogli sottratto gli idoli, li nascose sotto la cavalcatura su cui si era seduta. Così quando il padre la invitò ad alzarsi, rispose «con scuse, con argomentazioni» per occultare gli idoli. Lo stesso, secondo il Papa, facciamo anche noi, che teniamo i nostri idoli «nascosti nelle nostre cavalcature». Per questo «dobbiamo cercarli e dobbiamo distruggerli, come Mosè ha distrutto l'idolo d'oro nel deserto».


    Ma come smascherare questi idoli?
Il Santo Padre ha offerto un criterio di valutazione: sono quelli che fanno fare il contrario del comandamento: «Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore».
Perciò «la strada dell'amore a Dio - amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e tutta la tua anima - è una strada d'amore; è una strada di fedeltà».
Al punto che «al Signore piace fare la comparazione di questa strada con l'amore nuziale. Il Signore chiama la sua Chiesa, sposa; la nostra anima, sposa». Parla cioè di «un amore che somiglia tanto all'amore nuziale, l'amore di fedeltà». E quest'ultima ci impone «di cacciare via gli idoli, di scoprirli», perché ci sono e sono ben «nascosti, nella nostra personalità, nel nostro modo di vivere»; e ci rendono infedeli nell'amore. Non è un caso infatti che l'apostolo Giacomo, quando ammonisce: «chi è amico del mondo è nemico di Dio» incomincia rimproverandoci e usando il termine "adulteri", perché «chi è amico del mondo è un idolatra e non è fedele all'amore di Dio».


    Gesù dunque propone «una strada di fedeltà», secondo un'espressione che Papa Francesco ritrova in una delle lettere dell'apostolo Paolo a Timoteo: «Se tu non sei fedele al Signore, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso. Lui è la fedeltà piena. Lui non può essere infedele. Tanto è amore che ha per noi». Mentre noi, «con le piccole o non tanto piccole idolatrie che abbiamo, con l'amore allo spirito del mondo», possiamo diventare infedeli. La fedeltà è l'essenza di Dio che ci ama. Da qui l'invito conclusivo a pregare così: «Signore, tu sei tanto buono, insegnami questa strada per essere ogni giorno meno lontano dal regno di Dio; questa strada per cacciare via tutti gli idoli. È difficile - ha ammesso il Pontefice - ma dobbiamo cominciare».



(L'Osservatore Romano 7 giugno 2013)



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2013-06-07 Radio Vaticana
Lasciarci amare dal Signore con tenerezza è difficile ma è quanto dobbiamo chiedere a Dio: è l’invito di Papa Francesco nella Messa di stamani a “Santa Marta”, parlando dell’odierna solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù.

Era presente il personale dell’Archivio Segreto Vaticano: a concelebrare l’archivista di Santa Romana Chiesa, mons. Jean-Louis Bruguès, e il prefetto, mons. Sergio Pagano. Il servizio di Benedetta Capelli:



Gesù ci ha amato tanto non con le parole ma con le opere e con la sua vita. Papa Francesco lo ripete più volte nell’omelia di oggi, nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù che lui stesso definisce “la festa dell’amore”, di un “cuore che ha amato tanto”. Un amore che, come ripeteva Sant’Ignazio, “si manifesta più nelle opere che nelle parole” e che è soprattutto “più dare che ricevere”. “Questi due criteri – evidenzia il Papa – sono come i pilastri del vero amore” ed è il Buon Pastore a rappresentare in tutto l’amore di Dio.

Lui conosce una per una le sue pecorelle, “perché – aggiunge Papa Francesco – l’amore non è un amore astratto o generale: è l’amore verso ognuno”:

“Un Dio che si fa vicino per amore, cammina con il suo popolo e questo camminare arriva ad un punto che è inimmaginabile. Mai si può pensare che lo stesso Signore si fa uno di noi e cammina con noi, rimane con noi, rimane nella sua Chiesa, rimane nell’Eucarestia, rimane nella sua Parola, rimane nei poveri, rimane con noi camminando. E questa è vicinanza: il pastore vicino al suo gregge, vicino alle sue pecorelle, che conosce una ad una”.

Spiegando ancora un passaggio del Libro del profeta Ezechiele, il Papa mette in luce un altro aspetto dell’amore di Dio: la cura per la pecora smarrita e per quella ferita e malata:
“Tenerezza! Ma il Signore ci ama con tenerezza. Il Signore sa quella bella scienza delle carezze, quella tenerezza di Dio. Non ci ama con le parole. Lui si avvicina – vicinanza – e ci dà quell’amore con tenerezza. Vicinanza e tenerezza! Queste due maniere dell’amore del Signore che si fa vicino e dà tutto il suo amore con le cose anche più piccole: con la tenerezza. E questo è un amore forte, perché vicinanza e tenerezza ci fanno vedere la fortezza dell’amore di Dio”.

“Ma amate voi come io vi ho amato?” è questa la domanda che Papa Francesco pone, sottolineando come l’amore debba “farsi vicino al prossimo”, debba essere “come quello del buon samaritano” e in particolare nel segno della “vicinanza e tenerezza”. Ma come restituire tutto questo amore al Signore? È l’altro punto sul quale il Pontefice si sofferma: senz’altro “amandolo”, farsi “vicini a Lui”, “teneri con Lui”, ma questo non basta:
“Questa può sembrare un’eresia, ma è la verità più grande! Più difficile che amare Dio è lasciarci amare da Lui! La maniera di ridare tanto amore è aprire il cuore e lasciarci amare. Lasciare che Lui si faccia vicino a noi e sentirlo vicino. Lasciare che Lui si faccia tenero, ci carezzi. Quello è tanto difficile: lasciarci amare da Lui. E questo è forse quello che dobbiamo chiedere oggi nella Messa: ‘Signore io voglio amarti, ma insegnami la difficile scienza, la difficile abitudine di lasciarmi amare da Te, di sentirti vicino e di sentirti tenero!’. Che il Signore ci dia questa grazia!”.

*****

Dall'Osservatore Romano:

La "scienza della carezza" manifesta due pilastri dell'amore: la vicinanza e la tenerezza. E «Gesù conosce bene questa bella scienza». Lo ha detto Papa Francesco celebrando questa mattina, venerdì 7 giugno, la messa della solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Hanno concelebrato, tra gli altri, l'arcivescovo Jean-Louis Bruguès, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, e il vescovo Sergio Pagano, prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano, che accompagnavano un gruppo di dipendenti dell'istituzione.


Riferendosi alle letture del giorno - tratte dal libro del profeta Ezechiele (34, 11-16), dalla lettera di san Paolo ai Romani (5, 5-11) e dal vangelo da Luca (15, 3-7) - il Pontefice ha definito la solennità del Sacro Cuore di Gesù come la «festa dell'amore»: Gesù «ha voluto mostrarci il suo cuore, come il cuore che ha amato tanto. Perciò oggi facciamo questa commemorazione. Soprattutto dell'amore di Dio. Dio ci ha amato, ci ha amato tanto. Penso a quello che sant'Ignazio ci diceva, diceva a noi. Ci ha indicato due criteri sull'amore. Primo: l'amore si manifesta più nelle opere che nelle parole. Secondo: l'amore sta più nel dare che nel ricevere».

Sono i due criteri di cui «Paolo nella seconda lettura ci dice: Quando eravamo ancora deboli Gesù, nel tempo stabilito, morì per gli empi. Gesù ci ha amato non con le parole ma con le opere, con la sua vita. E ci ha dato, ci ha donato senza ricevere niente da noi. Questi due criteri sono come i pilastri del vero amore: le opere e il darsi». Spiegando il senso di questi due criteri, il Santo Padre ha notato che il darsi di Gesù è ben reso dalla figura del buon samaritano. «Oggi - ha detto - la liturgia ci fa vedere l'amore di Dio nella figura del pastore. Nel cantico responsoriale abbiamo detto quel bel salmo [22]: Il Signore è il mio pastore. Il Signore si manifesta al suo popolo anche come pastore».

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2013-06-09 L’Osservatore Romano

La Parola di Dio, quella che solo all’ascolto “provoca stupore”, va custodita gelosamente nel profondo del cuore.

Lo ha detto Papa Francesco questa mattina, sabato 8 giugno, durante la messa celebrata nella cappella della Domus Sanctae Marthae. Nell’omelia il Pontefice ha posto l’accento proprio sullo stupore. Quello che colse quanti ascoltavano il dodicenne Gesù nel Tempio davanti ai dottori che lo interrogavano, come racconta il vangelo di Luca (2, 41-51), così come stupiti rimasero Giuseppe e Maria nel trovare Gesù che cercavano da tre giorni: “I dottori erano pieni di stupore – ha puntualizzato il Pontefice – e Giuseppe e Maria al vedere Gesù restarono stupiti”.
Il primo effetto della Parola di Dio è dunque quello di stupire, poiché in essa ritroviamo il senso del divino, ha notato il Santo Padre: “E poi ci dà gioia. Ma lo stupore è più che la gioia. È un momento nel quale la Parola di Dio viene seminata nel nostro cuore”.

Tuttavia non si deve vivere lo stupore solo nel momento in cui viene suscitato dalla Parola: è qualcosa da portare con sé per tutta la vita, “in una custodia”. Bisogna “custodire la Parola di Dio, e questo – ha puntualizzato Papa Francesco – lo dice il Vangelo: sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore”.
Custodire la Parola di Dio: un'espressione che, ha notato ancora il Pontefice, nei racconti evangelici si incontra spesso: anche nella notte della nascita di Gesù, “dopo la visita dei pastori”, Maria “è meravigliata”.

Papa Francesco ha poi riflettuto sul significato del “custodire” la Parola di Dio e si è domandato: “Io ricevo la Parola, poi prendo una bottiglia, metto la Parola nella bottiglia e la custodisco?”. Custodire la Parola di Dio – ha risposto – “vuol dire aprire il nostro cuore” a quella Parola, “come la terra si apre per ricevere il seme. La Parola di Dio è seme e viene seminata. E Gesù ci ha detto cosa succede con il seme. Alcuni cadono lungo il cammino e vengono gli uccelli e li mangiano”, e questo accade quando la Parola non è custodita. Significa che certi “cuori non sanno riceverla”. Accade anche che altri semi cadono “in una terra con tante pietre e il seme non riesce a far radici e muore”, cioè quando non siamo capaci di questa custodia perché non siamo costanti; e quando viene una tribolazione ce ne dimentichiamo.

“La Parola anche cade in una terra non preparata – ha aggiunto il Pontefice – dove ci sono le spine, e alla fine muore” perché “non è custodita”. Ma cosa sono le spine? Lo dice Gesù stesso: “L’attaccamento alle ricchezze, i vizi, tutte queste cose. Custodire la Parola di Dio è riceverla nel nostro cuore”, ha ripetuto Papa Francesco. Ma è necessario “preparare il nostro cuore per riceverla. Meditare sempre su cosa ci dice questa Parola oggi, guardando a quello che succede nella vita”. È quello ha fatto Maria durante la fuga in Egitto e alle nozze di Cana, quando s’interrogava sul significato di questi avvenimenti. Ecco l’impegno per i cristiani: accogliere la Parola di Dio e pensare a cosa significa oggi.

“Questo – ha notato il vescovo di Roma – è un lavoro spirituale grande. Giovanni Paolo ii diceva che Maria aveva, per questo lavoro, una particolare fatica nel suo cuore. Aveva il cuore affaticato. Ma questo non è un affanno, è un lavoro: cercare cosa significa questo in questo momento; cosa mi vuol dire il Signore in questo momento”. Insomma, leggere “la vita con la Parola di Dio: questo significa custodire”. Ma significa anche fare memoria. “La memoria – ha detto in proposito il Pontefice – è una custodia della Parola di Dio, ci aiuta a custodirla, a ricordare tutto quello che il Signore ha fatto nella mia vita, tutte le meraviglie della salvezza”.

Il Papa ha poi interrogato i presenti: “Come noi oggi custodiamo la Parola di Dio? Come conserviamo questo stupore” facendo in modo che gli uccelli non mangino i “semi” e i vizi “non li soffochino?”. E ha risposto che ci farà del bene chiedercelo, proprio alla luce delle cose che accadono nella vita, esortando poi a custodire la Parola “con la nostra memoria, e anche custodirla con la nostra speranza. Chiediamo al Signore ­– ha poi concluso Papa Francesco – la grazia di ricevere la Parola di Dio e custodirla, e anche la grazia di avere un cuore affaticato in questa custodia”.


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 Messa del Papa a Santa Marta 10.6.2013
Porte aperte alla consolazione

    Perché ci sono persone che hanno il cuore chiuso alla salvezza? È su questo interrogativo che Papa Francesco ha incentrato l'omelia della messa di oggi, lunedì 10 giugno, nella cappella della Domus Sanctae Marthae.
Una domanda che trova una risposta e una spiegazione nella paura, perché - ha spiegato il Pontefice - la salvezza ci fa paura. È un'attrazione che scatena i timori più nascosti nel nostro cuore. "Abbiamo bisogno" della salvezza, ma al tempo stesso ne "abbiamo paura", perché, ha detto il Santo Padre, "quando il Signore viene per salvarci, dobbiamo dare tutto" e a quel punto "comanda lui; e di questo abbiamo paura".
Gli uomini infatti vogliono "comandare", vogliono essere "i padroni" di loro stessi. E così "la salvezza non arriva, la consolazione dello Spirito non arriva".


    Nella liturgia del giorno il brano del vangelo di Matteo (5, 1-12) sulle Beatitudini ha offerto al Papa l'occasione per una riflessione sul rapporto tra salvezza e libertà. Solo la salvezza che arriva con la consolazione dello Spirito, ha affermato, ci rende liberi: è "la libertà che nasce dallo Spirito Santo che ci salva, che ci consola, che ci dà vita".
Ma per comprendere pienamente le beatitudini e cosa significhi "essere poveri, essere miti, essere misericordiosi" - tutte cose che "non sembra" ci "portino al successo" - occorre custodire "il cuore aperto" e aver "gustato bene quella consolazione dello Spirito Santo che è salvezza".
Le Beatitudini, del resto, sono "la legge di quelli che sono stati salvati" e hanno aperto il cuore alla salvezza.
"Questa - ha aggiunto - è la legge dei liberi, con quella libertà dello Spirito Santo". Possiamo "regolare la vita, sistemarla su un elenco di comandamenti o di procedimenti", ma è un'operazione meramente umana, ha avvertito Papa Francesco. "È una cosa limitata e alla fine non ci porta alla salvezza", poiché solo un "cuore aperto" può farlo.


    In proposito il Vangelo narra che, vedendo le folle, Gesù salì sul monte. "Tra le folle  c'erano tanti che avevano bisogno di salvezza. Era il popolo di Dio che seguiva Giovanni Battista prima, poi il Signore", proprio perché bisognoso di salvezza. Ma c'erano anche altri che "andavano là per esaminare questa dottrina nuova e poi litigare con Gesù. Non avevano il cuore aperto, avevano il cuore chiuso nelle loro cose".
Si chiedevano cosa Gesù volesse cambiare, ma "siccome avevano il cuore chiuso, il Signore non poteva cambiarlo"; e purtroppo "avevano il cuore chiuso" ha aggiunto Papa Francesco.


    Perciò il Pontefice ha invitato a chiedere al Signore "la grazia di seguirlo"; ma non con la libertà dei farisei e dei sadducei, che diventarono ipocriti perché volevano "seguirlo solo con la libertà umana". L'ipocrisia è proprio questo: "Non lasciare che lo Spirito cambi il cuore con la sua salvezza. La libertà che ci dà lo Spirito è anche una sorta di schiavitù, una schiavitù al Signore che ci fa liberi. È un'altra libertà". Invece, la nostra libertà è "una schiavitù: non al Signore, ma allo spirito del mondo". Da qui l'invocazione del Papa, che ha chiesto "la grazia di aprire il nostro cuore alla consolazione dello Spirito Santo, perché questa consolazione, che è la salvezza, ci faccia capire bene" i nuovi comandamenti contenuti nel Vangelo delle beatitudini.

    Non a caso l'inizio della seconda lettera di san Paolo ai Corinzi (1, 1-7) nella liturgia del giorno parla per ben "nove volte di consolazione". Sembra un po' esagerato, ha commentato il Papa. E sottolineando che Paolo "ha bisogno di sette versetti per dire questa parola: consolazione", si è chiesto: "Perché insiste in questo? Cosa è questa consolazione?".
La lettera dell'apostolo è rivolta a cristiani "giovani nella fede", a quanti "hanno incominciato da poco la strada di Gesù".
Paolo "insiste su ciò. Nella strada di Gesù il Padre ci offre la consolazione". Questi cristiani "non erano tutti perseguitati. Erano persone normali che avevano la loro famiglia, il loro lavoro, ma avevano trovato Gesù. E questo è un cambiamento di vita tale che era necessaria una forza speciale di Dio, dello Spirito Santo; e questa forza è la consolazione".

    Cosa significa consolazione? Per Papa Francesco essa "è la presenza di Dio nel nostro cuore. Ma perché il Signore sia nel nostro cuore è necessario aprire la porta".
La conversione di questi pagani a cui scrive Paolo è consistita proprio nell'"aprire la porta al Signore". E per questo hanno avuto "la consolazione dello Spirito Santo". La salvezza è infatti "vivere nella consolazione dello Spirito Santo, non vivere nella consolazione dello spirito del mondo. Quello non è salvezza, è peccato". Al contrario, la salvezza è "andare avanti e aprire il cuore perché venga questa consolazione dello Spirito Santo".

    L'uomo corre spesso il rischio di cercare di "negoziare", di prendere quello che ci fa comodo, "un po' di qua e un po' di là". È come "fare una macedonia: un po' di Spirito Santo e un po' dello spirito del mondo". Ma con Dio non vi sono mezze misure: o si sceglie "una cosa o l'altra". Infatti, ha rimarcato il Pontefice, il "Signore lo dice chiaro: non si possono servire due padroni. O si serve il Signore o si serve lo spirito del mondo. Non si può mischiare tutto".
    Questa nuova legge che "il Signore ci porta, queste nuove Beatitudini si capiscono soltanto se uno ha il cuore aperto. Si capiscono dalla consolazione dello Spirito Santo. Non si possono capire con l'intelligenza umana o con lo spirito del mondo". Dobbiamo essere aperti alla salvezza, altrimenti "non si possono capire. Sono i nuovi comandamenti, ma se noi non abbiamo il cuore aperto allo Spirito Santo sembreranno sciocchezze".

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Povertà e lode di Dio: sono le due coordinate principali della missione della Chiesa, i "segni" che rivelano al popolo di Dio se "un apostolo vive la gratuità".
Li ha indicati Papa Francesco durante la messa di stamane, martedì 11 giugno, nella Domus Sanctae Martahe, concelebrata tra gli altri dall'arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, presenti responsabili e dipendenti dell'ex Santo'Uffizio.


La riflessione del Pontefice, prendendo spunto come di consueto dalle letture del giorno - tratte dagli Atti degli apostoli (11, 21-26; 13, 1-3) e dal vangelo di Matteo (10, 7-13) - è stata tutta incentrata sul tema della gratutità. Perché, ha spiegato, "la predicazione evangelica nasce dalla gratuità, dallo stupore della salvezza che viene; e quello che io ho ricevuto gratuitamente, devo darlo gratuitamente".

Lo si vede quando Gesù invia i suoi apostoli e dà loro le istruzioni per la missione che li attende. "Sono consegne - ha evidenziato il Santo Padre - molto semplici: non procuratevi oro, né argento, né denaro"; visto che basteranno "le cinture, la sacca di viaggio, le due tuniche, i sandali, il bastone", per il compito loro affidato. Una missione di salvezza, aggiunge Gesù, che consiste nel guarire gli infermi, risuscitare i morti, purificare i lebbrosi, scacciare i demoni.

Si tratta di una missione, ha specificato Papa Francesco, per avvicinare gli uomini al regno di Dio, per dare loro la bella notizia che il regno di Dio è vicino, anzi è arrivato. Ma - ha subito avvertito - il Signore vuole per gli apostoli "semplicità" di cuore e disponibilità a lasciare spazio "al potere della Parola di Dio".
Del resto, ha fatto notare, se essi non avessero avuto una grande "fiducia nella Parola di Dio, forse avrebbero fatto un'altra cosa", ma non avrebbero annunciato il Vangelo.


La frase chiave delle consegne di Cristo ai suoi è appunto: "gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date": parole in cui c'è tutta "la gratuità della salvezza". Perché - ha chiarito il Pontefice - "noi non possiamo predicare, annunziare il regno di Dio, senza questa certezza interiore che tutto è gratuito, tutto è grazia".
È quanto affermava sant'Agostino: Quaere causam et non invenies nisi gratiam. E quando noi agiamo senza lasciare spazio alla grazia, ha affermato il Papa, allora "il Vangelo non ha efficacia".

Del resto, che la predicazione evangelica nasca dalla gratuità lo testimoniano diversi episodi della vita dei primi apostoli. "San Pietro - ha ricordato il Santo Padre - non aveva un conto in banca e quando ha dovuto pagare le tasse, il Signore lo ha mandato al mare a pescare per trovare dentro il pesce la moneta con cui pagare". E Filippo, quando ha incontrato il ministro della regina Candace, non ha pensato di creare "un'organizzazione per sostenere il Vangelo", non ha negoziato; al contrario, "ha annunziato, ha battezzato e se n'è andato". La buona novella, dunque, si diffonde "seminando" la Parola di Dio. È lo stesso Gesù che lo dice: "il regno è come il seme che Dio dà. È un dono gratuito".

Fin dalle origini nella comunità cristiana c'è stata la "tentazione di cercare forza in altra parte che non sia la gratuità". Ma la nostra unica "forza è la gratuità del Vangelo" ha ribadito il Santo Padre, mettendo in guardia soprattutto dal rischio che l'annuncio possa sembrare proselitismo: "per quella strada - ha assicurato - non si va" da nessuna parte. E ha citato in proposito il suo predecessore Benedetto xvi, secondo il quale "la Chiesa non cresce per proselitismo" ma "per attrazione". Perché, ha aggiunto Papa Francesco, "il Signore ci ha inviato ad annunziare non a fare proseliti". E la forza di attrazione deve venire dalla testimonianza di quanti annunziano la gratuità della salvezza. "Tutto è grazia" ha ripetuto. E tra i tanti segni di questa gratuità ha individuato in particolare la povertà e la lode a Dio.

Quanto al primo, ha spiegato che l'annunzio del vangelo deve passare per la strada della povertà, per la testimonianza di questa povertà. "Non ho ricchezze, la mia ricchezza è soltanto il dono che ho ricevuto da Dio. Questa gratuità è la nostra ricchezza". Ed è una povertà, questa, che "ci salva dal diventare organizzatori, imprenditori". Il Papa è consapevole che "si devono portare avanti opere della Chiesa" e che "alcune sono un po' complesse", ma bisogna farlo "con cuore di povertà, non con cuore di investimento o come un imprenditore. La Chiesa non è una ong: è un'altra cosa, più importante. Nasce da questa gratuità ricevuta e annunziata".

Quanto alla capacità di lodare, il Santo Padre ha messo in chiaro che quando un apostolo non vive la gratuità perde anche la capacità di lodare il Signore, "perché lodare il Signore è essenzialmente gratuito. È un'orazione gratuita. Non chiediamo soltanto, lodiamo". Invece - ha concluso - "quando troviamo apostoli che vogliono fare una Chiesa ricca, una Chiesa senza la gratuità della lode", essa "invecchia, diventa una ong, non ha vita".


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[Modificato da Caterina63 11/06/2013 23:01]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)