00 02/07/2013 13:34

Il Papa: fuggiamo dal peccato senza averne nostalgia, dobbiamo essere forti nella debolezza



Il cristiano è chiamato ad essere coraggioso nella propria debolezza. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani 2 luglio alla Casa Santa Marta. Il Papa ha affermato che, a volte, dobbiamo riconoscere che siamo deboli e dunque dobbiamo fuggire senza nostalgia del peccato, senza guardare indietro. Alla Messa, concelebrata dal cardinale Manuel Monteiro de Castro e mons. Beniamino Stella, hanno preso parte un gruppo di sacerdoti e collaboratori del Tribunale della Penitenzieria Apostolica e un gruppo della Pontificia Accademia Ecclesiastica. Il servizio di Alessandro Gisotti:RealAudioMP3

Agire con lentezza, guardare indietro, avere paura e rivolgersi al Signore, alla grazia dello Spirito Santo. Nella sua omelia, Papa Francesco ha preso spunto dalle Letture di oggi per soffermarsi su quattro “atteggiamenti possibili nelle situazioni conflittuali, nelle situazioni difficili”. Il primo atteggiamento è quello della “lentezza” di Lot. Egli, ha osservato il Papa, era deciso a lasciare la città prima che fosse distrutta, ma lo fa piano piano. L’angelo gli dice di fuggire, ma c’è in lui l’“incapacità del distacco dal male, dal peccato”. Noi, ha aggiunto, vogliamo uscire, siamo decisi,” ma "c’è qualcosa che ci tira indietro” e così Lot si mette a negoziare perfino con l’angelo:

“E’ tanto difficile tagliare con una situazione peccaminosa. E’ difficile! Anche in una tentazione, è difficile! Ma la voce di Dio ci dice questa parola: ‘Fuggi! Tu non puoi lottare lì, perché il fuoco, lo zolfo ti uccideranno. Fuggi!’. Santa Teresina del Bambin Gesù ci insegnava che alcune volte, in alcune tentazioni, l’unica soluzione è fuggire e non avere vergogna di fuggire; riconoscere che siamo deboli e dobbiamo fuggire. E il nostro popolo nella sua semplice saggezza lo dice un po’ ironicamente: ‘Soldato che fugge, serve per un’altra guerra’. Fuggire per andare avanti nella strada di Gesù”.

L’angelo, ha aggiunto, dice poi di “non guardare indietro”, di fuggire e guardare avanti. Qui, ha detto, c’è un consiglio a vincere la nostalgia del peccato. Pensiamo al Popolo di Dio nel deserto, ha sottolineato: “Aveva tutto, le promesse, tutto”. Eppure, “c’era la nostalgia delle cipolle d’Egitto” e questa “nostalgia faceva dimenticare loro che quelle cipolle le mangiavano sulla tavola della schiavitù”. C’era la “nostalgia di ritornare, ritornare”. E il consiglio dell’angelo, ha osservato il Papa, “è saggio: Non guardare indietro! Va avanti”. Non dobbiamo fare come la moglie di Lot, dobbiamo “tagliare ogni nostalgia, perché c’è la tentazione anche della curiosità”:

“Davanti al peccato, fuggire senza nostalgia. La curiosità non serve, fa male! ‘Ma, in questo mondo tanto peccaminoso, come si può fare? Ma come sarà questo peccato? Io vorrei conoscere...’. No, lascia! La curiosità ti farà male! Fuggire e non guardare indietro! Siamo deboli, tutti, e dobbiamo difenderci. La terza situazione è sulla barca: è la paura. Quando viene nel mare un grande sconvolgimento, la barca era coperta dalle onde. ‘Salvaci, Signore, siamo perduti!’ Dicono loro. La paura! Anche quella è una tentazione del demonio: avere paura di andare avanti sulla strada del Signore”.

C’è la tentazione che dice che è “meglio rimanere qui”, dove sono sicuro. “Ma questo – ha avvertito - è l’Egitto della schiavitù!”. Ho “paura di andare avanti – ha ribadito il Papa - ho paura di dove mi porterà il Signore”. La paura, però, “non è un buon consigliere”. Gesù, ha soggiunto, “tante volte, l’ha detto: ‘Non abbiate paura!’. La paura non ci aiuta”. Il quarto atteggiamento, ha poi sottolineato, “è la grazia dello Spirito Santo”. Quando Gesù fa tornare la bonaccia sul mare agitato, i discepoli sulla barca sono pieni di stupore. “Sempre, davanti al peccato, davanti alla nostalgia, davanti alla paura”, ha affermato, dobbiamo rivolgerci al Signore:

“Guardare il Signore, contemplare il Signore. Questo ci dà questo stupore, tanto bello, di un nuovo incontro con il Signore. ‘Signore, io ho questa tentazione: voglio rimanere in questa situazione di peccato; Signore, io ho la curiosità di conoscere come sono queste cose; Signore io ho paura’. E loro hanno guardato il Signore: ‘Salvaci Signore, siamo perduti!’ Ed è venuto lo stupore del nuovo incontro con Gesù. Non siamo ingenui né cristiani tiepidi, siamo valorosi, coraggiosi. Siamo deboli noi, ma dobbiamo essere coraggiosi nella nostra debolezza. E il nostro coraggio tante volte deve esprimersi in una fuga e non guardare indietro, per non cadere nella cattiva nostalgia. Non avere paura e sempre guardare il Signore!”.


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Il Papa nella Festa di San Tommaso: Dio si incontra baciando le piaghe di Gesù nei fratelli più deboli



Per incontrare il Dio vivo è necessario baciare con tenerezza le piaghe di Gesù nei nostri fratelli affamati, poveri, malati, carcerati: è quanto ha detto stamani il Papa nella Messa a “Santa Marta” stamani 3 luglio, commentando il Vangelo proposto dalla liturgia nella Festa di San Tommaso Apostolo. Erano presenti sacerdoti e collaboratori del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso guidati dal cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del dicastero. Il servizio di Sergio Centofanti:RealAudioMP3

Gesù, dopo la Resurrezione, appare agli apostoli, ma Tommaso non c’è: “Ha voluto che aspettasse una settimana – ha spiegato Papa Francesco - Il Signore sa perché fa le cose. E a ciascuno di noi dà il tempo che lui crede che sia meglio per noi. A Tommaso ha concesso una settimana”. Gesù si rivela con le sue piaghe: “Tutto il suo corpo era pulito, bellissimo, pieno di luce – sottolinea il Pontefice - ma le piaghe c’erano e ci sono ancora” e quando il Signore verrà, alla fine del mondo, “ci farà vedere le sue piaghe”. Tommaso per credere voleva mettere le sue dita in quelle piaghe:

“Era un testardo. Ma, il Signore ha voluto proprio un testardo per farci capire una cosa più grande. Tommaso ha visto il Signore, è stato invitato a mettere il suo dito nella piaga dei chiodi; mettere la mano sul fianco e non ha detto: ‘E’ vero: il Signore è risorto!’. No! E’ andato più oltre. Ha detto: ‘Dio!’. Il primo dei discepoli che fa la confessione della divinità di Cristo, dopo la Resurrezione. E ha adorato”.

“E così – prosegue il Papa - si capisce qual era l’intenzione del Signore nel farlo aspettare: prendere anche la sua incredulità per portarla non all’affermazione della Resurrezione, ma all’affermazione della sua divinità”. Il “cammino per l’incontro con Gesù-Dio – ha sottolineato - sono le sue piaghe. Non ce n’è un altro”:

“Nella storia della Chiesa ci sono stati alcuni sbagli nel cammino verso Dio. Alcuni hanno creduto che il Dio vivente, il Dio dei cristiani noi possiamo trovarlo per il cammino della meditazione, e andare più alto nella meditazione. Quello è pericoloso, eh? Quanti si perdono in quel cammino e non arrivano. Arrivano sì, forse, alla conoscenza di Dio, ma non di Gesù Cristo, Figlio di Dio, seconda Persona della Trinità. A quello non ci arrivano. E’ il cammino degli gnostici, no? Sono buoni, lavorano, quello, ma non è il cammino giusto. E’ molto complicato e non ti porta a buon porto”.

“Altri – ha spiegato il Papa - hanno pensato che per arrivare a Dio dobbiamo essere noi mortificati, austeri, e hanno scelto la strada della penitenza: soltanto la penitenza, il digiuno. E neppure questi sono arrivati al Dio vivo, a Gesù Cristo Dio vivo. Sono i pelagiani, che credono che con il loro sforzo possono arrivare”. Ma Gesù ci dice che il cammino per incontrarlo è quello di trovare le sue piaghe:

“E le piaghe di Gesù tu le trovi facendo le opere di misericordia, dando al corpo - al corpo - e anche all’anima, ma al corpo – sottolineo – del tuo fratello piagato, perché ha fame, perché ha sete, perché è nudo, perché è umiliato, perché è schiavo, perché è in carcere, perché è in ospedale. Quelle sono le piaghe di Gesù oggi. E Gesù ci chiede di fare un atto di fede, a Lui, ma tramite queste piaghe. ‘Ah, benissimo! Facciamo una fondazione per aiutare tutti quelli e facciamo tante cose buone per aiutarli’. Quello è importante, ma se noi rimaniamo su questo piano, saremo soltanto filantropici. Dobbiamo toccare le piaghe di Gesù, dobbiamo carezzare le piaghe di Gesù, dobbiamo curare le piaghe di Gesù con tenerezza, dobbiamo baciare le piaghe di Gesù, e questo letteralmente. Pensiamo, cosa è successo a San Francesco, quando ha abbracciato il lebbroso? Lo stesso che a Tommaso: la sua vita è cambiata!”.

Per toccare il Dio vivo – ha affermato il Papa – non serve “fare un corso di aggiornamento” ma entrare nelle piaghe di Gesù e per questo “è sufficiente uscire per la strada”. Chiediamo a San Tommaso – ha concluso - la grazia di avere il coraggio di entrare nelle piaghe di Gesù con la nostra tenerezza e sicuramente avremo la grazia di adorare il Dio vivo”.





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 La libertà dei figli di Dio

    Se esistesse una "carta d'identità" per i cristiani, certamente la libertà figurerebbe fra i tratti caratteristici. La libertà dei figli di Dio - ha spiegato in proposito Papa Francesco nell'omelia della messa celebrata questa mattina giovedì 4 luglio nella cappella della Domus Sanctae Marthae - è il frutto della riconciliazione con il Padre operata da Gesù, il quale ha assunto su di sè i peccati di tutti gli uomini e ha redento il mondo con la sua morte sulla croce. Nessuno, ha puntualizzato il Pontefice, ci può privare di questa identità.
   
    La riflessione del Santo Padre si è basata sul brano del vangelo di Matteo (9, 1-8) nel quale si narra il miracolo della guarigione del paralitico. Il Papa si è soffermato sui sentimenti che devono aver scosso l'anima dell'uomo invalido quando, portato su una lettiga, sente Gesù dirgli: "coraggio figlio, ti sono perdonati i peccati".
    Quelli che erano vicini a Gesù in quel momento e hanno udito le sue parole "hanno detto: "Questo bestemmia, soltanto Dio può perdonare i peccati". E Gesù per fargli capire bene ha chiesto loro: "Cosa è più facile perdonare i peccati o guarire? E ha guarito. Gesù, dice san Pietro, passò facendo il bene, sanando tutti, guarì, guarendo tutti".

    "Ma Gesù - ha proseguito il Papa - quando guariva un malato non era soltanto un guaritore. Quando insegnava alla gente, pensiamo nelle beatitudini, non era soltanto un catechista, un predicatore di morale. Quando bastonava l'ipocrisia dei farisei e dei sadducei non era un rivoluzionario che voleva cacciare via i romani. No, queste cose che Gesù faceva - la guarigione, l'insegnamento, le parole forti contro l'ipocrisia - erano soltanto un segno, un segno di qualcosa di più che Gesù stava facendo: perdonare i peccati".
   
Riconciliare il mondo in Cristo in nome del Padre: "questa è la missione di Gesù. Tutte le altre, le guarigioni, l'insegnamento, i rimproveri sono soltanto segni di quel miracolo più profondo che è la ri-creazione del mondo. Una bella preghiera della Chiesa dice: "O Signore tu che hai creato meravigliosamente il mondo, più meravigliosamente lo hai redento, lo hai ricreato"".
La riconciliazione è dunque la ri-creazione del mondo e la missione più profonda di Gesù è la redenzione di tutti noi peccatori. E "Gesù - ha aggiunto il Papa - questo lo fa non con parole, non con gesti, non camminando sulla strada, no! Lo fa con la sua carne. È proprio lui, Dio, che diventa uno di noi, uomo, per guarirci da dentro".

Ma, si è chiesto il Pontefice, "si può dire che Gesù si è fatto un peccatore? Non è proprio così, perché lui non poteva peccare. San Paolo dice la parola giusta: non si è fatto peccatore si è fatto peccato (cfr 2 Corinzi 5, 21). Lui ha preso su di sé tutto il peccato. E questo è bello, questa è la nuova creazione", è "Gesù che scende dalla gloria e si abbassa fino alla morte e morte di croce. Quella è la sua gloria e questa è la nostra salvezza. E la croce alla fine, si fa peccato (cfr 2 Corinzi 5, 21)".


    Riferendosi alla prima lettura della messa, tratta dal libro della Genesi (22,1-19) il Papa ha ricordato poi che mentre Abramo aveva risposto immediatamente al figlio Isacco che lo invocava davanti al fuoco del sacrificio "a Gesù che diceva "Padre mio" il Padre non risponderà. E lui soltanto dirà: "Padre perché mi hai abbandonato?"". Gesù "era diventato peccato per liberarci (cfr 2 Corinzi 5, 21)", questo "è il miracolo più grande" attraverso il quale Gesù ci ha resi figli di Dio e ci ha dato la libertà dei figli. E proprio per questo "noi possiamo dire: "Padre". Altrimenti non avremmo mai potuto dirlo".

"Questo - ha aggiunto il Papa - è il grande miracolo di Gesù. Noi schiavi del peccato, ci ha resi liberi" ci ha guarito. "Ci farà bene pensare a questo - ha aggiunto - e pensare che è tanto bello essere figli. È tanto bella questa libertà dei figli, perché il Figlio è a casa. Gesù ci ha aperto le porte di casa, noi adesso siamo a casa. Adesso si capisce questa parola di Gesù: "coraggio figlio ti sono perdonati i peccati". Quella è la radice del nostro coraggio: sono libero, sono figlio, mi ama il Padre e io amo il Padre. Chiediamo al Signore la grazia di capire bene questa opera sua".

    Dio "ha riconciliato a sé il mondo in Cristo - ha concluso - affidando a noi la parola della riconciliazione. E la grazia di portare avanti con forza, con la libertà dei figli, questa parola di riconciliazione. Noi siamo salvati in Gesù Cristo" e nessuno potrà mai privarci di questa grazia.

"Noi siamo salvati in Gesu' Cristo! E nessuno ci puo' rubare questa carta di identita'.
 Mi chiamo cosi': figlio di Dio! Che bella carta di identita'... Stato civile: libero! Cosi' sia". Con queste parole Papa Francesco ha concluso  l'omelia.



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La misericordia, il cuore del messaggio di Dio: così Papa Francesco a Santa Marta



Il cuore del messaggio di Dio è la misericordia: è quanto ha affermato Papa Francesco nella Messa a Santa Marta oggi 5 luglio,  commentando il Vangelo della chiamata di Matteo. Era presente un gruppo di dipendenti del Governatorato. Ha concelebrato col Papa il cardinale Jorge Liberato Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, nel giorno in cui è festa nazionale in Venezuela. Il servizio di Sergio Centofanti:RealAudioMP3

“Misericordia io voglio e non sacrifici”: il Papa ripete le parole di Gesù ai farisei che criticano il Signore che mangia con i peccatori. E i pubblicani – spiega - “erano doppiamente peccatori, perché erano attaccati al denaro e anche traditori della patria” in quanto riscuotevano le tasse dal loro popolo per conto dei romani. Gesù, dunque, vede Matteo, il pubblicano, e lo guarda con misericordia:

“E quell’uomo, seduto al banco delle imposte, in un primo momento Gesù lo guarda e quest’uomo sente qualcosa di nuovo, qualcosa che non conosceva - quello sguardo di Gesù su di lui - sente uno stupore dentro, sente l’invito di Gesù: ‘Seguimi! Seguimi!’. In quel momento, quest’uomo è pieno di gioia, ma è anche un po’ dubbioso, perché è tanto attaccato ai soldi. E’ bastato un momento soltanto - che noi conosciamo come è riuscito ad esprimerlo il Caravaggio: quell’uomo che guardava, ma anche, con le mani, prendeva i soldi - soltanto un momento nel quale Matteo dice di sì, lascia tutto e va con il Signore. E’ il momento della misericordia ricevuta e accettata: ‘Sì, vengo con te!’. E’ il primo momento dell’incontro, un’esperienza spirituale profonda”.

“Poi viene un secondo momento: la festa”, “il Signore fa festa con i peccatori”: si festeggia la misericordia di Dio che “cambia la vita”. Dopo questi due momenti, lo stupore dell’incontro e la festa, viene “il lavoro quotidiano”, annunciare il Vangelo:

“Questo lavoro si deve alimentare con la memoria di quel primo incontro, di quella festa. E questo non è un momento, questo è un tempo: fino alla fine della vita. La memoria. Memoria di che? Di quei fatti! Di quell’incontro con Gesù che mi ha cambiato la vita! Che ha avuto misericordia! Che è stato tanto buono con me e mi ha detto anche: ‘Invita i tuoi amici peccatori, perché facciamo festa!’. Quella memoria dà forza a Matteo e a tutti questi per andare avanti. ‘Il Signore mi ha cambiato la vita! Ho incontrato il Signore!’. Ricordare sempre. E’ come soffiare sulle braci di quella memoria, no? Soffiare per mantenere il fuoco, sempre”.

Nelle parabole evangeliche si parla del rifiuto di tanti invitati alla festa del Signore. E Gesù è andato a “cercare i poveri, gli ammalati e ha fatto festa con loro”:

“E Gesù, continuando con questa abitudine, fa festa con i peccatori e offre ai peccatori la grazia. ‘Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto, infatti, a chiamare i giusti, ma i peccatori’. Chi si crede giusto, che si cucini nel suo brodo! Lui è venuto per noi peccatori e questo è bello. Lasciamoci guardare dalla misericordia di Gesù, facciamo festa e abbiamo memoria di questa salvezza!”.


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[Modificato da Caterina63 11/07/2013 10:04]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)