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[SM=g1740720] II. SPIRITUALITÁ SACERDOTALE

La spiritualità del sacerdote consiste principalmente nel profondo rapporto di amicizia con Cristo, poiché egli è chiamato ad «andare da Lui» (Mc 3,13). In questo senso, nella vita del sacerdote Gesù avrà sempre la preminenza su tutto. Ogni sacerdote agisce in un contesto storico particolare, con le sue varie sfide ed esigenze. Proprio per questo, la garanzia di fecondità del ministero radica in una profonda vita interiore. Se il sacerdote non conta sul primato della grazia, non potrà rispondere alle sfide dei tempi, e ogni piano pastorale, per quanto elaborato possa essere, sarebbe destinato al fallimento.

 

2.1 Contesto storico attuale

Saper interpretare i segni dei tempi

45. La vita e il ministero dei sacerdoti si sviluppano sempre nel contesto storico, di volta in volta carico di nuovi problemi e di inedite risorse, nel quale si trova a vivere la Chiesa pellegrina nel mondo.

Il sacerdozio non nasce dalla storia, ma dalla immutabile volontà del Signore. Tuttavia esso si confronta con le circostanze storiche e − pur rimanendo sempre identico − si configura, nella concretezza delle scelte, anche attraverso una valutazione evangelica dei "segni dei tempi". Per tale motivo, i presbiteri hanno il dovere di interpretare tali "segni" alla luce della fede e di sottoporli a prudente discernimento. In ogni caso, non potranno ignorarli, soprattutto se si vuole orientare in modo efficace e pertinente la propria vita al fine di rendere fecondo il loro servizio e la loro testimonianza per il Regno di Dio.

Nell'attuale fase della vita della Chiesa, in un contesto sociale contrassegnato da un forte secolarismo, dopo che è stata riproposta a tutti una "misura alta" della vita cristiana ordinaria, quella della santità, i presbiteri sono chiamati a vivere con profondità il loro ministero come testimoni di speranza e trascendenza, tenuto conto delle sempre più numerose e delicate esigenze di ordine non solo pastorale, ma anche sociale e culturale, alle quali devono far fronte.

Essi, pertanto, sono oggi impegnati nei diversi campi di apostolato che richiedono generosità e dedizione completa, preparazione intellettuale e, soprattutto, una vita spirituale matura e profonda, radicata nella carità pastorale, che è la loro specifica via alla santità e che costituisce anche un autentico servizio ai fedeli nel ministero pastorale. In questo modo, se si sforzeranno per vivere pienamente la propria consacrazione – rimanendo uniti a Cristo e lasciandosi compenetrare dal suo Spirito –, nonostante i loro limiti, potranno realizzare il proprio ministero, aiutati dalla grazia, nella quale porranno la loro fiducia. È ad essa che devono far ricorso, «sapendo di poter così tendere alla perfezione con la speranza di progredire sempre più nella santità».

L'esigenza della conversione per l' evangelizzazione

46. Da ciò deriva che il sacerdote è coinvolto, in maniera del tutto speciale, nell'impegno dell'intera Chiesa per l'evangelizzazione. Partendo dalla fede in Gesù Cristo, Redentore dell'uomo, ha la certezza che in Lui vi sono «impenetrabili ricchezze» (Ef 3,8), che nessuna cultura e nessuna epoca può esaurire, e alle quali possono attingere sempre gli uomini.

É questa, pertanto, l'ora di un rinnovamento della nostra fede in Gesù Cristo, che è lo stesso «ieri e oggi e per sempre!» (Eb 13,8). Pertanto, «la chiamata alla nuova evangelizzazione è innanzitutto una chiamata alla conversione». Al tempo stesso, essa è una chiamata a quella speranza, «che poggia sulle promesse di Dio, sulla fedeltà alla sua Parola, e che ha come certezza incrollabile la risurrezione di Cristo, la sua vittoria definitiva sul peccato e sulla morte, primo annuncio e radice di ogni evangelizzazione, fondamento di ogni promozione umana, principio di ogni autentica cultura cristiana».

In tale contesto, il sacerdote deve anzitutto ravvivare la sua fede, la sua speranza ed il suo amore sincero al Signore, in modo tale da poterlo offrire alla contemplazione dei fedeli e di tutti gli uomini come veramente è: una Persona viva, affascinante, che ci ama più di tutti perché ha dato la Sua vita per noi; «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13).

Nello stesso tempo, il sacerdote dovrebbe agire mosso da uno spirito accogliente e gioioso, frutto della sua unione con Dio attraverso la preghiera e il sacrificio, che è un elemento essenziale della sua missione evangelizzatrice di farsi tutto a tutti (cf. 1Cor 9,19-23), in modo da guadagnarli a Cristo. Allo stesso modo, consapevole della misericordia immeritata di Dio nella propria vita e nella vita dei suoi confratelli, deve coltivare le virtù dell'umiltà e della misericordia verso tutto il popolo di Dio, specialmente nei riguardi di quelle persone che si sentono estranee alla Chiesa. Il sacerdote, conscio che ogni persona è, in diverso modo, alla ricerca di un amore capace di portarla oltre gli angusti confini della propria debolezza, del proprio egoismo e, sopratutto, della stessa morte, proclamerà che Gesù Cristo è la risposta a tutti questi aneliti.

Nella nuova evangelizzazione, il sacerdote è chiamato ad essere l'araldo della speranza, che scaturisce anche dalla consapevolezza che egli stesso per primo è stato toccato dal Signore: egli vive in sé la gioia della salvezza che Gesù gli ha offerto. Si tratta di una speranza non solamente intellettuale, ma anche del cuore, perché il presbitero è stato toccato dall'amore di Cristo: «non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16).

La sfida delle sette e dei nuovi culti

47. Il proliferare delle sette e dei nuovi culti, nonché la loro diffusione anche fra i fedeli cattolici, costituisce una particolare sfida al ministero pastorale. Alla base di un tale fenomeno ci sono motivazioni complesse. In ogni caso, il ministero dei presbiteri viene sollecitato a rispondere con prontezza ed incisività alla ricerca del sacro ed in modo particolare dell'autentica spiritualità oggi emergente. Di conseguenza, bisogna che il sacerdote sia uomo di Dio e maestro di preghiera. Al tempo stesso, si impone la necessità di far sì che la comunità affidata alle sue cure pastorali sia realmente accogliente in modo che nessun appartenente ad essa possa sentirsi anonimo oppure oggetto di indifferenza. Si tratta di una responsabilità che ricade certamente su ogni fedele ma, in modo del tutto particolare, sul presbitero, che è uomo di comunione. Se egli saprà accogliere con stima e rispetto chiunque lo avvicini, apprezzandone la personalità, allora creerà uno stile di autentica carità che diventerà contagioso e si estenderà gradualmente all'intera comunità.

Per vincere la sfida delle sette e dei nuovi culti, è particolarmente importante – oltre al desiderio per la salvezza eterna dei fedeli, che batte nel cuore di ogni sacerdote – una catechesi matura e completa, la quale richiede uno speciale sforzo da parte del ministro di Dio affinché tutti i suoi fedeli conoscano realmente il significato della vocazione cristiana e della fede cattolica. In questo senso, «la misura più semplice, ovvia ed urgente da prendere, quella che potrebbe anche risultare la più efficace, consiste nel trarre il meglio dalle ricchezze del patrimonio spirituale cristiano».

In modo particolare, i fedeli devono essere educati a conoscere bene il rapporto che intercorre tra la loro specifica vocazione in Cristo e l'appartenenza alla sua Chiesa, che devono imparare ad amare filialmente e tenacemente. Tutto questo si realizzerà se il sacerdote, nella sua vita e nel suo ministero, eviterà tutto ciò che potrebbe provocare tiepidezza, freddezza o accettazione parziale della dottrina e delle norme della Chiesa. Senza dubbio, per coloro che cercano risposte tra le molteplici proposte religiose, «il fascino del cristianesimo si farà sentire prima di tutto nella testimonianza dei membri della Chiesa, nella loro fiducia, calma, pazienza ed affetto, e nel loro concreto amore per il prossimo, tutti frutti della loro fede nutriti dall'autentica preghiera personale».

Luci e ombre dell'attività ministeriale

48. È motivo di grande conforto rilevare che, oggi, i presbiteri di tutte le età, e nella stragrande maggioranza svolgono con gioioso impegno, spesso frutto di silenzioso eroismo, il sacro ministero, lavorando fino al limite delle proprie forze senza vedere, alle volte, i frutti del loro lavoro.

Per questo loro impegno, essi costituiscono oggi un annuncio vivente di quella grazia divina che, elargita al momento dell'ordinazione, continua a donare forza sempre nuova per il lavoro ministeriale.

Assieme a queste luci, che illuminano la vita del sacerdote, non mancano ombre che tendono ad indebolirne la bellezza e a renderne meno efficace l'esercizio del ministero: «nel mondo d'oggi i compiti che gli uomini devono affrontare sono tanti e i problemi che li preoccupano − e che spesso richiedono una soluzione urgente − sono assai disparati; di conseguenza in molte occasioni essi si trovano in condizioni tali che è facile che si disperdano in tante cose diverse. Anche i presbiteri, immersi ed agitati da un gran numero di impegni derivanti dalla loro missione, possono domandarsi con vera angoscia come fare ad armonizzare la vita interiore con le esigenze dell'azione esterna»

Il ministero pastorale è impresa affascinante ma ardua, sempre esposta all'incomprensione e all'emarginazione, e, soprattutto oggi, alla stanchezza, alla sfiducia, all'isolamento e, qualche volta, alla solitudine.

Per vincere le sfide che la mentalità secolaristica continuamente pone, il sacerdote avrà cura di riservare il primato assoluto alla vita spirituale, allo stare sempre con Cristo e a vivere con generosità la carità pastorale, intensificando la comunione con tutti e, in primo luogo, con gli altri presbiteri. Come ricordava Benedetto XVI ai sacerdoti, «la relazione con Cristo, il colloquio personale con Cristo è una priorità pastorale fondamentale, è condizione per il nostro lavoro per gli altri! E la preghiera non è una cosa marginale: è proprio "professione" del sacerdote pregare, anche come rappresentante della gente che non sa pregare o non trova il tempo di pregare».

2.2 Stare con Cristo nella preghiera

Primato della vita spirituale

49. Il sacerdote è stato, per così dire, concepito in quella lunga preghiera durante la quale il Signore Gesù ha parlato al Padre dei suoi Apostoli e, certamente, di tutti coloro che nel corso dei secoli sarebbero stati fatti partecipi della Sua stessa missione (cf. Lc 6,12; Gv 17,15-20). La stessa orazione di Gesù nel Getsemani (cf. Mt 26,36-44), tutta protesa verso il sacrificio sacerdotale del Golgota, manifesta in modo paradigmatico «come il nostro sacerdozio debba essere profondamente vincolato alla preghiera: radicato nella preghiera».

Nati da queste preghiere e chiamati a rinnovare in modo sacramentale ed incruento un Sacrificio che da esse è inseparabile, i presbiteri manterranno vivo il loro ministero con una vita spirituale, alla quale daranno l'assoluta preminenza, evitando di trascurarla a motivo delle diverse attività.

Proprio per poter svolgere fruttuosamente il ministero pastorale, il sacerdote ha bisogno di entrare in una particolare e profonda sintonia con Cristo Buon Pastore, il quale, solo, resta il protagonista principale di ogni azione pastorale: «Egli pertanto rimane sempre il principio e la fonte della unità di vita dei presbiteri. Per raggiungerla, essi dovranno perciò unirsi a lui nella scoperta della volontà del Padre e nel dono di sé per il gregge loro affidato. Così, rappresentando il Buon Pastore, nell'esercizio stesso della carità pastorale troveranno il vincolo della perfezione sacerdotale che realizzerà l'unità nella loro vita e attività».

Mezzi per la vita spirituale

50. In effetti, tra le gravi contraddizioni della cultura relativista si evidenzia un'autentica disintegrazione della personalità causata dall'oscuramento della verità sull'uomo. Il rischio del dualismo nella vita sacerdotale è sempre in agguato.

Tale vita spirituale dev'essere incarnata nell'esistenza di ogni presbitero attraverso la liturgia, la preghiera personale, lo stile di vita e la pratica delle virtù cristiane, che contribuiscono alla fecondità dell'azione ministeriale. La stessa conformazione a Cristo esige al sacerdote di coltivare un clima di amicizia con il Signore Gesù, facendo esperienza di un incontro personale con Lui, e di porsi al servizio della Chiesa, suo Corpo, che egli dimostrerà di amare proprio attraverso l'adempimento fedele e indefesso dei doveri del ministero pastorale.

È necessario, pertanto, che nella vita di preghiera del presbitero non manchino mai la celebrazione eucaristica quotidiana, con adeguata preparazione e successivo ringraziamento; la confessione frequente e la direzione spirituale già praticata in seminario e spesso prima; la celebrazione integra e fervorosa della Liturgia delle Ore, alla quale è quotidianamente tenuto; l'esame della propria coscienza; l'orazione mentale propriamente detta; la lectio divina, i prolungati momenti di silenzio e di colloquio, soprattutto negli Esercizi e Ritiri Spirituali periodici; le preziose espressioni della devozione mariana, come il Rosario; la Via Crucis e gli altri pii esercizi; la fruttuosa lettura agiografica; ecc. Senz'altro, il buon uso del tempo, per amore di Dio e della Chiesa, permetterà al sacerdote di mantenere più facilmente una solida vita di preghiera. Di fatto, si consiglia che il presbitero, con l'aiuto del suo direttore spirituale, cerchi di attenersi con costanza a questo piano di vita che gli permetta di crescere interiormente in un contesto dove le molteplici esigenze della vita lo potrebbero indurre parecchie volte all'attivismo e a trascurare la dimensione spirituale.

Ogni anno, come segno di duraturo desiderio di fedeltà, durante la Messa crismale, i presbiteri rinnovino, davanti al Vescovo ed insieme con Lui, le promesse fatte nel momento dell'ordinazione.

La cura della vita spirituale, che allontana il nemico della tiepidezza, deve essere sentita come un gioioso dovere da parte dello stesso sacerdote, ma anche come un diritto dei fedeli che cercano in lui, consciamente o inconsciamente, l'uomo di Dio, il consigliere, il mediatore di pace, l'amico fedele e prudente, la guida sicura a cui affidarsi nei momenti più duri della vita per trovare conforto e sicurezza.

Benedetto XVI presenta nel suo Magistero un testo altamente significativo sulla lotta alla tiepidezza spirituale che devono condurre anche coloro che sono più vicini al Signore per ragioni di ministero: «Nessuno è così vicino al suo Signore come il servo che ha accesso alla dimensione più privata della sua vita. In questo senso "servire" significa vicinanza, richiede familiarità. Questa familiarità comporta anche un pericolo: quello che il sacro da noi continuamente incontrato divenga per noi abitudine. Si spegne così il timore riverenziale. Condizionati da tutte le abitudini, non percepiamo più il fatto grande, nuovo, sorprendente, che Egli stesso sia presente, ci parli, si doni a noi. Contro questa assuefazione alla realtà straordinaria, contro l'indifferenza del cuore dobbiamo lottare senza tregua, riconoscendo sempre di nuovo la nostra insufficienza e la grazia che vi è nel fatto che Egli si consegni così nelle nostre mani».

Imitare Cristo che prega

51. A causa di numerosi impegni, provenienti in larga misura dall'attività pastorale, la vita dei presbiteri è esposta, oggi più che mai, ad una serie di sollecitazioni che potrebbero condurla verso un crescente attivismo, sottomettendola ad un ritmo, alle volte, frenetico e travolgente.

Contro tale tentazione, non bisogna dimenticare che la prima intenzione di Gesù fu quella di convocare intorno a sé degli Apostoli affinché «stessero con lui» (Mc 3,14).

Lo stesso Figlio di Dio ha voluto anche lasciarci testimonianza della sua preghiera. Con grande frequenza, infatti, i Vangeli ci presentano Cristo in preghiera: nella rivelazione della sua missione da parte del Padre (cf. Lc 3,21-22), prima della chiamata degli Apostoli (cf. Lc 6,12), nel rendere grazie a Dio nella moltiplicazione dei pani (cf. Mt 14,19; 15,36; Mc 6,41; 8,7; Lc 9,16; Gv 6,11), nella Trasfigurazione sul monte (cf. Lc 9, 28-29), quando risana il sordomuto (cf. Mc 7,34) e riporta in vita Lazzaro (cf. Gv 11,41 ss.), prima della confessione di Pietro (cf. Lc 9,18), quando insegna ai discepoli a pregare (cf. Lc 11,1), e quando questi ritornano dall'aver compiuto la loro missione (cf. Mt 11,25 ss.; Lc 10,21 ss.), nel benedire i fanciulli (cf. Mt 19,13), nel pregare per Pietro (cf. Lc 22,32), ecc.

Tutta la sua attività quotidiana derivava dalla preghiera. Così egli si ritirava nel deserto o sul monte a pregare (cf. Mc 1,35; 6,46; Lc 5,16; Mt 4,1; Mt 14,23), si alzava al mattino presto (cf. Mc 1,35) o trascorreva tutta la notte in orazione con Dio (cf. Mt 14,23.25; Mc 6,46.48; Lc 6,12).

Fino al termine della sua vita, nell'ultima Cena (cf. Gv 17,1-26), nell'agonia (cf. Mt 26,36-44 par.) e sulla Croce (cf. Lc 23,34.46; Mt 27,46; Mc 15,34), il Maestro divino dimostrò che la preghiera animava il suo ministero messianico e il suo esodo pasquale. Risuscitato da morte, vive per sempre e prega per noi (cf. Eb 7,25).

Perciò, la priorità fondamentale del sacerdote è la sua personale relazione con Cristo attraverso l'abbondanza dei momenti di silenzio e di preghiera nei quali coltivare ed approfondire il proprio rapporto con la persona vivente del Signore Gesù. Sull'esempio di san Giuseppe, il silenzio del sacerdote «non manifesta un vuoto interiore, ma, al contrario, la pienezza di fede che egli porta nel cuore, e che guida ogni suo pensiero ed ogni sua azione». Un silenzio che, come quello del santo Patriarca, «custodisce la Parola di Dio, conosciuta attraverso le Sacre Scritture, confrontandola continuamente con gli avvenimenti della vita di Gesù; un silenzio intessuto di preghiera costante, preghiera di benedizione del Signore, di adorazione della sua santa volontà e di affidamento senza riserve alla sua provvidenza».

Nella comunione della santa Famiglia di Nazareth, il silenzio di Giuseppe si armonizzava con il raccoglimento di Maria, «realizzazione più perfetta» dell'obbedienza della fede, la quale «serbava e meditava nel suo cuore tutte le "grandi cose" fatte dall'Onnipotente».

In questo modo, i fedeli vedranno nel sacerdote un uomo appassionato di Cristo, che porta in sé il fuoco del Suo amore; un uomo che si sa chiamato dal Signore ed è pieno di amore per i suoi.

Imitare la Chiesa che prega

52. Per rimanere fedele all'impegno di «stare con Gesù», occorre che il presbitero sappia imitare la Chiesa che prega.

Nel dispensare la Parola di Dio, che lui stesso ha ricevuto con gioia, il sacerdote sia memore dell'esortazione rivoltagli dal Vescovo il giorno della sua ordinazione: «Per questo, facendo della Parola l'oggetto della tua continua riflessione, credi sempre quel che leggi, insegna quel che credi, realizza nella vita quel che insegni. In questo modo, mentre con la dottrina darai nutrimento al Popolo di Dio e con la buona testimonianza della vita gli sarai di conforto e sostegno, diventerai costruttore del tempio di Dio, che è la Chiesa». Similmente riguardo alla celebrazione dei sacramenti e, in particolare dell'Eucaristia: «Sii dunque consapevole di quel che fai, imita ciò che compi e poiché celebri il mistero della morte e della risurrezione del Signore, porta la morte di Cristo nel tuo corpo e cammina nella sua novità di vita». E, infine, riguardo alla guida pastorale del Popolo di Dio, perché lo conduca fino al Padre: «Per questo non cessare mai di tenere lo sguardo rivolto a Cristo, Pastore buono, che è venuto non per essere servito, ma per servire, e per cercare e salvare quelli che si sono perduti».

Preghiera come comunione

53. Forte dello speciale legame con il Signore, il presbitero saprà affrontare i momenti in cui potrebbe sentirsi solo in mezzo agli uomini, rinnovando con forza il suo stare con Cristo nell'Eucaristia, luogo reale della presenza del suo Signore.

Come Gesù, che mentre era solo stava continuamente con il Padre (cf. Lc 3,21; Mc 1,35), anche il presbitero deve essere l'uomo che, nel raccoglimento, nel silenzio e nella solitudine, trova la comunione con Dio, per cui potrà dire con S. Ambrogio: «Io non sono mai così poco solo come quando sembro di essere solo».

Accanto al Signore, il presbitero troverà la forza e gli strumenti per riavvicinare gli uomini a Dio, per accendere la loro fede, per suscitare impegno e condivisione.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)